Le previsioni a lungo termine davano informazioni sull'andamento del tempo per tutto l'anno. Si basavano sull'osservazione di alcuni fenomeni in particolari giorni o periodi dell'anno considerati importanti per le fasi del lavoro. Si riteneva, ad esempio, che i primi dodici giorni del mese di gennaio rispecchiassero il tempo dei dodici mesi dell'anno; su mengianu, il mattino, corrispondeva alla prima metà del mese, su merì, la sera, alla seconda metà. In alcune zone della Sardegna al posto di gennaio si usava settembre. Le condizioni climatiche di alcuni mesi permettevano di capire come sarebbe stato il raccolto. Si diceva, ad esempio, gennarxu sicu, messaiu arricu (gennaio secco, contadino ricco) oppure che se le rane avessero gracidato già alla fine di questo mese, ci sarebbe stata una primavera anticipata e un buon raccolto. Se a febbraio avesse piovuto abbastanza valeva su diciu: marzu, cun s'arrosu miu mi fatzu (letteralmente, marzo con la mia rugiada mi faccio), cioè a marzo sarebbe bastata la rugiada a irrigare il terreno. Vi erano, inoltre, dei giorni precisi per fare previsioni sul tempo e sul raccolto: il due di febbraio, festa della Candelora, la notte del ventiquattro giugno, vigilia di San Giovanni Battista, e il due di dicembre, giorno di Santa Bibiana. Nel primo caso, se la candela della Madonna, durante la processione, fosse rimasta accesa si avrebbe avuto un raccolto abbondante ma se si fosse spenta sarebbe stato scarso. La vigilia di San Giovanni si osservava il comportamento degli animali: se le pecore o le capre avessero dormito raggruppate, l'annata sarebbe stata mediocre, in caso contrario il raccolto sarebbe stato abbondante e il tempo mite. Il due di dicembre dava auspici sulla pioggia; se avesse piovuto in questo giorno, la pioggia sarebbe continuata per i successivi quaranta: chi proit po Santa Bibiana proit unu mesi e una cida (Se piove per Santa Bibiana, piove un mese e una settimana). Sempre sotto forma di proverbio si sintetizzavano le caratteristiche di ciascun mese. Per febbraio si soleva ripetere: friaxiu, dogna pilloni preit a scraxu (a febbraio ogni uccello si riempie lo stomaco) oppure friaxiu facis a facis: candu est intruau est cun sa pobidda, candu c'est sobi bellu est cun sa fancedda (febbraio ha due facce: quando è rannuvolato è con la moglie, quando c'è un bel sole è con l'amante) ad indicare l'incostanza del tempo in questo mese. Il freddo del mese di marzo era così temuto che si riteneva che marzu sperra peis, bocit bois e scroxat brebeis (marzo spacca i piedi, uccide i buoi e scuoia le pecore). Ad aprile, caratterizzato dal ritorno del freddo dopo l'arrivo dei primi tepori della primavera, soleva dirsi: abrili torrat su lèpiri a cuibi (ad aprile la lepre torna nella tana). Di maggio si diceva longu che su mesi de maju (lungo come il mese di maggio), in quanto vi erano più ore di luce rispetto ai mesi invernali e i contadini dovevano lavorare di più, dato che iniziavano dal sorgere del sole fino al tramonto. Le previsioni a breve termine si basavano su eventi quotidiani: il nervosismo delle pecore al momento della mungitura o l'agitazione dei buoi, che si rincorrevano e saltavano, indicavano la vicinanza della pioggia. L'aria limpida, la brezza leggera e il cielo stellato erano segni di bel tempo. Anche il comparire dell'arcobaleno aveva un preciso significato: circhiolla a mengianu signallat tempu mau, circhiolla a merì signallat bona dì (arcobaleno di mattina indica cattivo tempo, arcobaleno di sera indica una buona giornata). La forma delle nuvole era, a sua volta, indicativa del mal tempo: mata bianca o conca de cabi e is brebeis (albero bianco o testa di cavolo sono i cumuli; le pecore, i cirri) annunciavano pioggia in giornata; sa nui niedda (la nuvola nera ossia i nembi) indicavano l'imminenza del temporale. Il temporale poteva essere previsto anche dal riacutizzarsi dei dolori reumatici o dal volo basso degli uccelli o da su bentu de Pula, il vento che spira dalla parte dei monti di Pula, lo scirocco. Una notte invernale serena e sa tremuntà, il vento di tramontana, indicavano gelu e cibixia, gelo e brina.