Arbus con il suo centro e nei dintorni il monte Arcuentu e con la sua bella costiera
In questa tappa del nostro viaggio, da Guspini ci recheremo ad Arbus che visiteremo con il suo centro ed i dintorni dove si trova il monte Arcuentu ed anche la sua bella costiera che visiteremo nella prossima pagina. Nel Monreale o Campidano di SanluriIl Monreale detto anche Campidano di Sanluri è una regione della Sardegna sud occidentale. anticamente il territorio del Monreale apparteneva al Giudicato d’Arborea di cui occupava la parte meridionale della Curatoria di Bonorzuli. I comuni che ne fanno parte sono Arbus, Gonnosfanadiga, Guspini, Pabillonis, Samassi, San Gavino Monreale, Sanluri, Serramanna, Serrenti, Vallermosa, Villacidro. I comuni di Serramanna e Serrenti sono ai confini tra il Monreale ed il Campidano di Cagliari, per cui possono essere conderati anche appartenenti a quest'ultimo. Il territorio del Monreale è prevalentemente pianeggiante, con diverse aree collinari. Nel territorio del Monreale esistono testimonianze prenuragiche, nuragiche, fenicio puniche e romane. Il territorio rientra totalmente nella Provincia del Sud Sardegna. In viaggio verso ArbusRientrati a Guspini e ripresa la SS126 Sud Occidentale Sarda in direzione sud ovest, dopo sei chilometri di curve in salita che portano al valico di Genna Frongia, a 381 metri di altezza, da dove è possibile ammirare lo scenario della costa sottostante, arriviamo all’interno dell’abitato di Arbus. Dal Municipio di Guspini a quello di Arbus si percorrono 8.1 chilometri. Il comune chiamato ArbusIl comune chiamato Arbus (altezza metri 314 sul livello del mare, abitanti 5.869 al 31 dicembre 2021) si trova nella parte nord occidentale della provincia, sulla costa, sui monti Arburese, a confine con la piana del Campidano, ed ospita uno tra i più affascinanti territori della Sardegna con le sue bellezze paesaggistiche e storico culturali che derivano del periodo rigoglioso nel diciannovesimo e ventesimo secolo di estrazione mineraria, le cui miniere dismesse sono attualmente parte del parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna. L’abitato è situato su un costone del comprensorio del Monte linas, ed è diviso dal monte stesso dalla sottostante Piana di Arbus. Arbus è attraversata dalla SS126 Sud Occidentale Sarda. Il territorio Comunale, classificato di collina, ricco di miniere non più attive, di alberi ghiandiferi, di frutteti e canneti, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate. In esso sono riscontrabili diversi ambienti, che vanno dalle zone boschive e minerarie di Ingurto su e Gennamari, alle zone marine di Gutturu Flumini, Funtanazza, Porto Palma, Torre dei Corsari e Pistis con le sue splendide dune color rosa. Da citare, inoltre, la meravigliosa costa rocciosa, che da capo Pecora porta fino a capo Frasca, e fino all’oasi faunistica Costa Verde. Questo paese fa parte del Consorzio delle città del MieleQuesto paese fa parte del Consorzio delle città del Miele, che comprende la rete dei territori che danno origine e identità ai mieli italiani, intesi come interpreti ideali di mete turistiche dove la storia, i miti, le tradizioni, l’arte e la cultura, i profumi e i sapori compongono un itinerario nazionale tutto da scoprire. Il miele come interprete ideale di mete turistiche dove la storia, i miti, le tradizioni, l’arte e la cultura, i profumi e i sapori compongono un itinerario tutto da scoprire. Questo Consorzio comprende, in Sardegna, i comuni di Arbus, Guspini, Monti, San Sperate. Origine del nomeSecondo alcuni studiosi il nome deriverebbe dal latino Albus, con il significato di Bianco, da cui deriverebbero le varianti sarde Arbu, Arvu ed Alvui. Secondo altri studiosi, invece, questa ipotesi non sarebbe attendibile, considerato che, per un nome di luogo come Arbus, non si può escludere l’esistenza di un elemento lessicale non latino autonomo, Arbu, oppure anche di un riflesso della base preromana Alba, ad indicare una Altura. La sua economiaIl comune chiamato Arbus è caratterizzata da un’economia di tipo agricolo affiancata da un crescente sviluppo del turismo. L’agricoltura produce cereali, frumento, ortaggi, foraggi, olivo, agrumi, uva altra frutta. Si pratica, inoltre, l’apicoltura. Si allevano anche bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli, ed è rinomato sopratutto per la pecora Nera di Arbus, razza ovina autoctona, da cui si ricava il latte e i suoi derivati inseriti nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali. Interessante l’artigianato, con la produzione del tradizionale coltello sardo, oltre che di sughero, ed inoltre sono presenti numerosi laboratori di ceramica. L’industria è costituita da piccole aziende che operano nei comparti alimentare, del legno, dei laterizi e dell’edilizia. Il terziario si compone di una sufficiente rete distributiva e dell’insieme dei servizi. Arbus è una meta turistica ambita, grazie alla bella posizione tra paesaggi montani e incontaminati e alla straordinaria varietà e qualità ambientale dei dintorni, caratterizzati da una serie di attrattive paesaggistiche ed ecologiche, come la Costa Verde, con le sue splendide spiagge e le dune di Scivu, oppure la località di Ingurtosu, la più vasta d’Italia, interessante per gli edifici minerari e per la distesa di Piscinas, uno dei sistemi di dune più grandi d’Europa. Notevole attrattiva esercita anche la località di Marina di Arbus, centro balneare che vanta spiagge molto belle. Le strutture ricettive, che comprendono vari agriturismi, offrono possibilità di ristorazione ed anche di soggiorno. Il coltello tradizionale sardoI coltelli tradizionali sardi si suddividono in tre categorie di base, che sono Sa leppa, ovvero il coltello a manico fisso ancora oggi in uso sopratutto presso pastori e contadini, il coltello a serramanico chiamato nel nord Sa resolza e nel sud S’Arresoja, e Sa Còrrina, che è il coltello più semplice e antico, che presenta una lama fissa a foglia d’ulivo e manico in corno di capra, ed è usato tipicamente dai pastori. Esistono tantissime varietà di Sa leppa, a seconda della zona geografica di produzione e della struttura morfologica del coltello stesso. I principali tra quelli ad oggi sono ancora realizzati sono la Pattadese, l’Arburese, la Guspinese, ai quali la regione Sardegna, per tutelare la produzione artigianale dell’Isola, ha conferito il marchio Doc. Altri centri di eccellenza sono Tempio Pausania, Dorgali, Alghero, Santu Lussurgiu e Assemini. Abitudine diffusa in Sardegna, soprattutto tra gli uomini, è di ricevere in regalo uno di questi coltelli che gli artigiani realizzano in manico d’osso e lama in acciaio, ma non è un regalo come gli altri, dato che ha un significato molto profondo. Oltre a essere un gesto di grande amicizia, è un auspicio di un felice futuro, poiché serve a tagliare tutti i rami secchi del passato e concentrarsi sul futuro. Ma tecnicamente il coltello non si regala, chi lo riceve è obbligato, secondo la tradizione, a regalare una moneta, anche di pochissimo valore, alla persona da cui lo riceve. In questo modo il coltello non servirà mai a separare l’amicizia. Il coltello tipico di Arbus che è S’ArburesaLa principale attività d’artigianato di Arbus è la produzione del coltello chiamato S'Aburesa, ossia l’Arburese, una speciale versione da scuoio con la lama panciuta in modo da favorire le operazioni di scuoiatura senza danneggiare il pellame che ne deriva e con manico ricurvo, dell’Arresoja, ossia del tipico coltello a serramanico sardo. Fa parte della categoria dei coltelli cosiddetti monolitici a serramanico, ha una lama a foglia larga e panciuta, che lo rende uno dei migliori strumenti per la pratica venatoria ed è un classico coltello da scuoio. L’impugnatura, generalmente in corno di montone, è ricavata da un monoblocco d’osso. Tagliata appositamente al centro per accogliere la lama, è spesso decorata con intagli preziosi che raffigurano animali tipici della Sardegna. In tempi recenti si possono trovare anche delle Arburesi con il manico ferrato. Il maestro coltellinaio Paolo Pusceddu ha realizzato il coltello Arburesa più grande del mondo, oggi conservato nel Museo del coltello sardo di Arbus, che ha una lunghezza di quattro metri e 85 centimetri e un peso di 295 chili, entrato nel Guinness dei primati nel 2002 come il Coltello a serramanico più grande del Mondo, record battuto l’anno successivo da Gianmario Tedde di Olbia, ma è ancora nel libro dei Guinness come Coltello a serramanico più pesante del Mondo. L’artigiano Paolo Pusceddu è il fondatore del Museo del coltello sardo. Brevi cenni storiciIl territorio è stato frequentato fino dalla preistoria, come dimostrato dai ritrovamenti di scheletrici preistorici del Mesolitico e Neolitico Antico nel suo territorio costiero. Nel periodo nuragico vengono edificati vari Nuraghe e tombe dei giganti, i cui resti sono ancora oggi visibili. In seguito, la zona è stata frequentata anche in epoca romana, infatti all’interno dell’abitato in piazza San Lussorio, durante la ristrutturazione dei locali adibiti a mercato Civico, è stato riconosciuto un sito archeologico pluristratificato, composto di un edificio termale e necropoli d’età romana imperiale, seguiti da un Cimitero e una chiesa di età spagnola, risalenti almeno al diciassettesimo secolo. Si ritiene, comunque, che il borgo nasca in periodo medioevale, quando appartiene al Giudicato d’Arborea, nella curatoria di Bonorzolia. Nel 1410 diviene possesso del Marchesato di Oristano, ed in seguito della Baronia di Monreale. Successivamente passa ai Carroz, ai Centelles e dal 1603 agli Osorio de la Cueva Marchesi di Quirra. Il comune conserva la dipendenza dalla Baronia di Monreale, fino al riscatto dei feudi avvenuto nel 1836, quando viene riscattata agli ultimi feudatari. Quando la Sardegna venne divisa in dieci province, Arbus viene assegnata alla Provincia di Iglesias. In seguito all’ampliamento delle vicine miniere di Montevecchio e Ingurtosu, nel 1901 Arbus con 6450 abitanti è uno dei paesi più grandi della diocesi di Ales, e l’ulteriore sviluppo delle attività estrattive avvenuto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale porta la popolazione, negli anni a metà del novecento, a superare i 10mila abitanti, ridottisi poi drasticamente in seguito alla crisi delle miniere e alla definitiva chiusura degli impianti. Del comune di Arbus nel 2001, con la riorganizzazione delle province della Sardegna, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, a quella nuova del Medio Campidano, ed in seguito, con la sua abolizione, nel 2016, passa alla nuova Provincia del Sud Sardegna. Successivamente nel 2016, con l’abolizione di quest'ultima provincia, passa alla nuova Provincia del Sud Sardegna. Principali personaggi nati ad ArbusAd Arbus sono nati Pietro leo e Raimondo Garau. Ad Arbus nel 1766 nasce in una modesta famiglia contadina Pietro Antonio leo che lavora in campagna sino dall’infanzia e solo più tardi può imparare a leggere e scrivere. Fuggito a Cagliari, entra a servizio presso una famiglia signorile per poter continuare gli studi fino alla laurea in filosofia e medicina conseguita fra il 1791 e il 1793. Esercita ad Arbus sinché vince la cattedra di istituzioni mediche a Cagliari. Suo primo interesse è l’introduzione in Sardegna dei progressi della scienza medica europea, per cui entra in contatto con diversi studiosi in Italia e all’estero. Particolare attenzione dedica allo studio della malaria, alle ragioni della sua diffusione e ai metodi cura. Si sposa ed ha due figli, dei quali il primogenito diviene sacerdote e il secondo giudice della reale Udienza. muore nel 1805, a soli 39 anni, a Parigi, dove si era recato per aggiornare la sua disciplina. |
Ad Arbus nel 1767 nasce in una famiglia di piccoli coltivatori agrari Raimondo Garau che riesce a formarsi grazie a un fondo istituito dallo zio paterno reverendo che garantiva ai suoi discendenti la possibilità di proseguire gli studi a patto che abbracciassero la vita ecclesiastica. Raimondo Garau inizialmente accetta e studia ad Iglesias, Ales e Cagliari, ma presto comprese che gli abiti talari non fanno per lui ed è costretto a dare lezioni private ai figli delle famiglie ricche per mantenersi. Si laurea in legge ed esercita la professione forense ricoprendo le prestigiose cariche di avvocato fiscale generale del regno e di capo dell’ufficio generale del Fisco regio. Esercita la carriera accademica insegnando di Diritto Civile, e, trasferitosi a Torino, nel 1815 ottiene la nomina a senatore del regno e consigliere regionale della Sardegna. muore a Genova nel 1824, durante il ritorno da uno dei ormai sempre più rari viaggi in Sardegna. |
I ritrovamenti scheletrici preistorici nel territorio di ArbusDurante una campagna di scavi avvenuta nell’ottobre del 2011, in località Su Pistoccu, nella Marina di Arbus a pochi metri dalla battigia della Costa Verde, è stato rinvenuto il più antico scheletro umano completo trovato sull’Isola. Gli esperti hanno datato lo scheletro in un periodo di transizione compreso tra i 10mila e gli 8mila anni fa, ovvero tra il Mesolitico ed il Neolitico Antico, ed il nome di Amsicora che ad esso è stato assegnato, è stato scelto in onore del noto condottiero che ha guidato i Sardi in una rivolta contro i Romani durante il terzo secolo avanti Cristo, dato che si tratta di un messaggero del passato che rivelerà la storia delle popolazioni più antiche della Sardegna. Il sito nel quale è stato rinvenuto Amsicora era già noto agli archeologi perché nel 1985 alcuni ragazzi che giocavano sulla spiaggia avevano trovato, in località S’Omu e S’Orku vicino a Portu Maga, in una parete di arenaria franata dopo un temporale, dei resti umani, e da allora è stato recuperato lo scheletro di un uomo di circa 40 anni, che è stato battezzato Beniamino interamente ricoperto di ocra rossa, accompagnato da frammenti di ossa di Prolagus sardus, un piccolo mammifero a metà fra un criceto e una lepre molto apprezzato come cibo dai Sardi dell’epoca ed estinto con ogni probabilità solo nel tardo Medioevo, e da una grande conchiglia di Charonia lampas con le prime spire tagliate, per consentirne l’uso come strumento a fiato, che è stata in seguito restaurata. Non è stato possibile datarlo con certezza al C14 perché privo di collagene. Lo scheletro è stato preso in custodia da un gruppo archeologico di Guspini, fino al trasferimento alla Soprintendenza di Cagliari. In seguito, una successiva campagna di scavo nel 2007, ha permesso il recupero, vicino a dove era stato trovato Beniamino, di altri resti umani, ossia dello scheletro di una donna a cui è stato dato il nome di Amanda che sono stati datati con il C14 dal laboratorio del National Science Foundation dell’Università di Tucson, in Arizona, a circa 8400 anni fa, durante il Neolitico Antico. Le principali feste e sagre che si svolgono ad ArbusAd Arbus sono attivi il Gruppo folk dell’Associazione Turistica Pro Loco di Arbus e l’Associazione Culturale Folkloristica Sant’Antonio di Arbus, i cui componenti si esibiscono nelle principali feste e sagre che si svolgono sia nel comune di Arbus che in altre località dell’Isola. Tra le principali feste e sagre che si svolgono ad Arbus si segnalano, il 17 gennaio, la Festa di Sant’Antonio Abate con l’accensione del falò rionale; mentre il 20 gennaio avvengono le sobrie celebrazioni del Santo Patrono, ossia la Festa di San Sebastiano, ed in questa occasione nei vari quartieri del borgo si accende, al tramonto, Su Fogu de Santu Sebastianu, ossia il falò di San Sebastiano; a febbraio, in occasione del Carnevale il raduno delle maschere e dei carri allegorici; il primo maggio, la escursione Una giornata per Ingurtosu; la prima domenica dopo la Pentecoste, la Festa della Madonna d’Itria nella chiesa campestre a lei dedicata; il terzo settimana di maggio, la Sagra del cinghiale, con il occasione anche la manifestazione Motocinghiale; dal primo sabato dopo il 13 giugno al martedì successivo, la Sagra di Sant’Antonio di Santadi, preceduta nel mese di maggio dalla Festa dei Buoi e dalla Corsa di Sant’Antonio; il primo fine settimana di luglio, la Sagra della pecora Nera di Arbus; all’inizio di agosto, la Sagra della Vitella, in occasione della quale si svolge la Festa dell’Emigrato; il terzo fine settimana di agosto, la Mostra scambio Minerali e Fossili; i giorni intorno al 21 agosto, la Festa di San Lussorio; l’8 settembre, la Festa della Beata Vergine Maria regina, nella chiesa parrocchiale a lei dedicata. La Festa di Sant’Antonio da Padova con la processione fino a Sant’Antonio di SantadiTra le numerose feste sacre che si svolgono ad Arbus l’evento più importante è la Festa di Sant’Antonio di Padova, che si svolge ogni anno nel mese di giugno e dura quattro o cinque giorni consecutivi intorno al 13 giugno. La Festa di Sant’Antonio da Padova è preceduta, in diverse date durante il mese di maggio, da vari eventi di preparazione, come la Festa dei Buoi ossia Sa die de Sa Festa de Is Bois, e la Corsa di Sant’Antonio. Durante la Festa di Sant’Antonio da Padova si svolge una processione che percorre circa 33,6 chilometri, accompagnata da gruppi in costume sardo dei paesi vicini, cavalieri bardati a festa, dalle tradizionali traccas. La processione ha inizio ad Arbus il sabato mattina, attraversa il centro abitato di Guspini e giunge fino alla frazione Sant’Antonio di Santadi, a 3 chilometri dalla spiaggia di Pistis, dove i festeggiamenti proseguono la domenica e il lunedì. Il martedì il simulacro effettua il percorso inverso e i festeggiamenti terminano la notte ad Arbus, con l’arrivo del simulacro del Santo, salutato con uno spettacolo pirotecnico. La Sagra della pecora Nera di Arbus che è una biodiversità tipica del territorioNell’ultimo weekend di luglio, ad Arbus si celebra la Sagra della pecora Nera di Arbus, una occasione per la degustazione del prodotto, ma anche di workshop e incontri per la tutela della specie. La pecora nera di Arbus è una biodiversità tipica del territorio dal quale prende il nome. A differenza della tipica pecora sarda, la pecora nera di Arbus ha le corna e, negli esemplari più puri, le orecchie piccolissime. Il suo latte ha una più alta resa casearia, ma viene prodotto in quantità minore. Pregiata è anche la sua lana, usata in passato per realizzare i tipici abiti in orbace della Sardegna. Considerata la scarsa popolazione e la peculiarità di questa specie, la Comunità Europea ha approvato dei finanziamenti per la salvaguardia di questa ed altre biodiversità. La Sagra della Vitella con la Festa dell’EmigratoOgni anno all’inizio di agosto, nella frazione Arbus chiamata Torre dei Corsari, si svolge la tradizionale Sagra della Vitella. Oltre a varie attività e spettacoli musicali, viene allestita la Sagra alimentare a base di carne di pecora e di vitella, prodotto tipico della zona, cucinata intera allo spiedo, in occasione del rientro per le vacanze degli emigrati che gradiscono l’iniziativa promossa, giungendo da ogni dove per trascorrere le vacanze estive. Da qui alla Sagra si associa anche la Festa dell’Emigrato. Carne ma anche formaggio, pane e un buon bicchiere di vino. Assieme ai buongustai un gran numero di visitatori per un pomeriggio di sole sulla spiaggia e una passeggiata sulle dune di Pistis. Visita del centro di ArbusL’abitato, che mostra segni di forte crescita edilizia, si caratterizza per le stradine strette e tortuose, per le case costruite in pietra di granito e per l’utilizzo dei làdiri, che sono mattoni a secco di fango e paglia. Entriamo ad Arbus da nord est con la SS126 Sud Occidentale Sarda che, entrando nell’abitato, prende il nome di via della Costituzione, e proseguirà, poi, con il nome di via della repubblica, per diventare più avanti via della lbertà. La nuova chiesa dedicata a San Lussorio MartireEntriamo nell’abitato e prendiamo la via della Costituzione. A duecento metri dal cartello segnaletico che aveva indicato l’ingresso nel paese, svoltiamo a destra e prendiamo la via John Fitzgerald Kennedy, che, dopo quattrocento metri, continua sulla via Guglielmo Marconi. Percorsa una cinquantina di metri lungo la via Guglielmo Marconi, prendiamo a destra il vico secondo Marconi e, dopo una sessantina di metri, si vede, alla destra della strada, la Nuova chiesa dedicata a San Lussorio Martire il Santo martirizzato a Fordongianus. Questa nuova chiesa è stata edificata per sostituire la vecchia chiesa a lui dedicata, che si trovava nell’attuale piazza San Lussorio, e che è stata demolita nel 1956. Ad Arbus, ogni anno presso questa nuova chiesa si svolge nei giorni intorno al 21 agosto la Festa di San Lussorio Martire, conosciuta dagli arburesi come Sa Festa Manna, la Festa grande in onore del Santo Martire che un tempo era il patrono della cittadina. Per questa festa, il simulacro del Santo viene portato dalla chiesa parrocchiale di San Sebastiano nella nuova chiesa a lui dedicata, dove si svolgono le iniziali funzioni religiose, poi il trasferimento in processione accompagnata dalla banda musicale e dal gruppo folk fino nell’Anfiteatro Comunale per la messa solenne, ed infine il rientro nella chiesa parrocchiale. Alle cerimonie religiose, sono affiancate numerose manifestazioni civili. Il Campo Sportivo Mario PeddisEntrati nell’abitato e presa la via della Costituzione, dopo duecento metri parte a destra la via John Fitzgerald Kennedy, la evitiamo e proseguiamo dritti finché, dopo altri cinquecento metri, la strada termina a un incrocio. Qui prendiamo a destra la via dello Stadio, all’inizio della quale, alla sinistra, si trova il cancello di ingresso del Campo Sportivo Mario Peddis storico impianto nel centro del paese in zona Cimitero. All’interno di questo impianto sportivo, si trova il Campo da Calcio, con manto in terra battuta e due tribune in due lati del campo non dotate di copertura, in grado di ospitare un centinaio di spettatori. Inaugurato nel lontano 1953, è stato declassato a impianto secondario dal 1992, anno in cui è stato inaugurato il più moderno e funzionale polivalente Santa Sofia, ma ha in ogni caso continuato a garantire un valido supporto per la seconda società del paese, l’Olimpia Arbus, che ne ha fatto per le gare di campionato il suo campo principale, ed anche per gli allenamenti infrasettimanali della squadra della Unione Sportiva Arbus, prima squadra e settore giovanile. All’ingresso dell’impianto sportivo, alla sinistra del Campo da Calcio, si trova un Campo polivalente all’aperto recentemente rinnovato completamente, dotato di fondo in erba sintetica, senza tribune, nel quale praticare diverse discipline tra le quali il calcetto, ossia calcio a cinque. Gli impianti sportivi della Scuola mediaProseguendo in salita lungo la via dello Stadio, dopo un centinaio di metri, alla sinistra della strada, al civico numero 3, si trova il cancello che permette di accedere agli impianti sportivi della Scuola media. All’interno di questi impianti si trova una Palestra polivalente, senza tribune, nella quale praticare come disciplina la pallacanestro. E subito dopo l’ingresso, alla sinistra della palestra, un poco più in basso rispetto ad essa, si trova un Campo polivalente all’aperto, senza tribune, nel quale praticare diverse discipline tra le quali la pallacanestro. L’Anfiteatro ComunaleAll’incrocio al termine della via della Costituzione, prendiamo a sinistra la via della Pineta, la seguiamo per un centinaio di metri, e vediamo, alla destra della strada, l’ingresso dell’ampio Anfiteatro Comunale di Arbus, in grado di ospitare 1200 spettatori, nel quale hanno luogo tutte le principali manifestazioni che si svolgono nel paese. Nel 2019 l’Anfiteatro è stato intestato al Sandro Usai, l’emigrato arburese che nel 2011 non aveva esitato a gettarsi nel mare di acqua, di fango e di detriti che si erano abbattuti su Monterosso, il paesino della costa ligure nelle Cinqueterre, investito e sommerso da una devastante alluvione, e che era stato ritrovato morto in mare. Ed a cui l’allora Presidente della repubblica Giorgio Napolitano aveva conferito, pochi giorni dopo la tragedia, la medaglia d’oro al valore civile. Il Cimitero Comunale San PaoloPassato il termine della via della Costituzione all’incrocio con la via dello Stadio e la via della Pineta, la strada prosegue con il nome di via della repubblica. Percorsa appena una cinquantina di metri, svoltiamo a sinistra nel viale Antonio Gramsci, e vediamo subito, alla sinistra della strada, il muro di cinta al centro del quale si trova il portone con il cancello di ingresso del Cimitero Comunale San Paolo. Questo Cimitero è stato realizzato nel ventesimo secolo per sostituire il vecchio Cimitero che si trovava in piazza San Lussorio, accanto all’antica chiesa dedicata al Santo martirizzato a Fordongianus. La piazza Giovanni XXIII con il Monumento ai CadutiProseguiamo a percorrere la via della repubblica e, subito dopo aver passato il viale Antonio Gramsci che ci ha portati al Cimitero Comunale, alla sinistra della via della repubblica si apre la Piazza Giovanni XXIII chiamata anche piazza monumento. Si tratta di un’ampia piazza al cui centro nel ventesimo secolo è stato posizionato il Monumento ai Caduti Di Arbus in tutte le guerre, monumento costituito da una stele in marmo con una statua in bronzo nella parte superiore, e sulle facciate della stele riportati i nomi di tutti i caduti di Arbus nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale. In questa piazza si svolgono alcune cerimonie religiose come la commemorazione dei caduti il 4 novembre, in occasione della giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate. Il Municipio di ArbusPassato il termine della via della Costituzione, arrivati all’incrocio con la via dello Stadio e la via della Pineta, proseguendo lungo la repubblica, dopo una cinquantina di metri evitiamo la deviazione in viale Antonio Gramsci e proseguiamo lungo la via della repubblica. Da qui, percorsi trecentocinquanta metri, svoltiamo a destra e prendiamo la via XX Settembre, dove, dopo centocinquanta metri, al civico numero 27, alla sinistra della strada si trova i ’edificio che ospita la sede e gli uffici del nuovo Municipio di Arbus. Questo edificio è stato edificato nel ventesimo secolo in sostituzione del vecchio Municipio che si trovava in piazza dell’Immacolata e che visiteremo più avanti. La chiesa parrocchiale di San Sebastiano MartirePercorsi poco più di cento metri lungo la via repubblica, arriviamo al centro del paese, e, subito dopo l’incrocio di via repubblica con la via Municipio, si vede alla sinistra della strada la chiesa di San Sebastiano Martire che è la chiesa parrocchiale di Arbus, al cui fianco destro si trova la piazza dell’Immacolata. Le prime notizie documentate su questa chiesa risalgono al 1591, ma il luogo di culto ha origini più antiche, ed allora si presentava col tetto in legno, con la facciata bassa, senza campanile e cappelle, ed aveva bisogno di lavori di restauro. In quell’anno i Procuratori della chiesa iniziano a raccogliere le offerte per mezzo dei Collettori, ed il 7 marzo 1591 vengono depositate le prime somme. Altre entrate si hanno dalle Obrerie delle feste, tolte le spese per le celebrazioni il resto veniva consegnato per i lavori della chiesa. Iniziano, allora, i lavori, che vanno avanti fino al 1638. La struttura dell’edificio è molto modesta, e le sue linee non rientrano nei canoni di nessuno stile architettonico, poiché viene costruita, ampliata e restaurata in periodi diversi. L’aspetto odierno della facciata si deve agli interventi di restauro del 1895 che ne consentono l’innalzamento e l’arricchimento tramite cornici e colonne sormontate da capitelli, e durante i quali viene definito anche il campanile così come è ora. All’interno il presbiterio è custodito da una balaustrata realizzata da Battista Spazzi intorno al 1770, l’altare maggiore risalente al 1845 è opera del Fiaschi, mentre la navata centrale apre a varie cappelle, fra le quali spicca, per la sua originalità, quella dedicata alla Madonna di lourdes. È presente anche un fonte battesimale in marmo risalente al 1778, del 1701 è la statua di San Sebastiano di Scuola cagliaritana, e ci si trova anche un organo a canne risalente al 1665. Ogni anno presso questa chiesa, dopo un triduo di preparazione con celebrazioni religiose seguite dal canto de Is Goccius, canti devozionali e paraliturgici di provenienza iberica composti in lingua sarda, il giorno della sua ricorrenza che è il 20 gennaio avvengono le sobrie celebrazioni del Santo Patrono, ossia la Festa di San Sebastiano. In questa occasione, la sera del 19 si accende, al tramonto, Su Fogu de Santu Sebastianu, ossia il falò di San Sebastiano. Il giorno della Festa si svolge una lunga processione per le vie del paese, accompagnata dalla banda musicale e dei gruppi folk, al termine della quale viene celebrata la Santa messa con il panegirico del Santo. Segue la benedizone e distribuzione delle arance ai fedeli. La piazza dell’Immacolata con l’ex Monte Granaticoalla destra della chiesa parrocchiale di San Sebastiano Martire si apre l’ampia Piazza dell’Immacolata meglio conosciuta come Pratz ’e Cresia dal termine in lingua sarda che indica la piazza della chiesa, non è disponibile il numero di abitanti). Su di essa si affacciano appunto la chiesa di San Sebastiano, il Monte Granatico e il Vecchio Municipio. Si tratta di una piazza circolare con al centro la statua della Madonna, ossia della Beata Vergine Maria, della metà del novecento. Sulla piazza, proprio dietro la statua, si trova l’edificio dell’ex Monte Granatico le cui prime notizie risalgono al 1763, che in passato era adibito a banca del grano, ovvero in cui si accantonava il grano e si prestava ai contadini con la garanzia della restituzione a fine raccolto. Questo edificio è nato per mano dei viceré spagnoli presenti a quel tempo in Sardegna, in modo da favorire l’economia e ostacolare l’usura. L’istituzione giungerà sino alla fine dell’ottocento trasformandosi in Cassa Ademprivile, confluendo nel 1928 nell’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna, assorbito verso gli anni cinquanta del secolo scorso dal Banco di Sardegna. L’edificio, dopo una ristrutturazione nel 1989, dichiarato Bene di interesse culturale storico artistico, attualmente viene utilizzato come sede di incontri, congressi e occasionali mostre, prevalentemente riguardanti il passato minerario del paese. Il vecchio Municipio di ArbusSempre nella piazza dell’Immacolata, proprio sul retro della chiesa parrocchiale, si trova l’edificio nel quale era ospitato il Vecchio Municipio di Arbus, un palazzo del 1895 che costituiva il fulcro della vita sociale del paese. Sulla facciata dell’edificio si trovano in bassorilievo i ritratti dei due principali cittadini arburesi vissuti a cavallo fra settecento e ottocento, ossia di Pietro leo che ha operato in un periodo cruciale per lo sviluppo delle scienze mediche e l’affermazione della nascente cultura della salute pubblica, e di Raimondo Garau giurista e senatore del Regno di Sardegna. L’edificio nel quale si trovava il vecchio Municipio, dopo la sua dismissione ora ospita la Biblioteca Comunale di Arbus. La piazza Mercato con il monumento dedicato a Pietro leo e Raimondo GarauDalla piazza dell’Immacolata, proseguiamo verso sud ovest con la via della repubblica, e, dopo centocinquanta metri vediamo partire a destra la via Torino. alla sinistra della via Torino, e tra questa strada e la prosecuzione della via della repubblica, si apre la Piazza Mercato meglio conosciuta come Pratza de Sa Panga, uno spiazo localizzato al centro del paese, così denominato in quanto nel passato in esso vaniva allestito un bancone, detto in lingua Sa panga, che veniva utilizzato quando un allevatore poneva in vendita un capo di bestiame macellato. Al centro della piazza è presente un grande Monumento dedicato a Pietro leo e Raimondo Garau i due principali cittadini arburesi vissuti a cavallo fra settecento e ottocento, Pietro leo che ha operato in un periodo cruciale per lo sviluppo delle scienze mediche e l’affermazione della nascente cultura della salute pubblica, e Raimondo Garau giurista e senatore del Regno di Sardegna. Il Museo del coltello sardoDalla via della repubblica, prendiamo a destra la via Torino, dopo un centinaio di metri svoltiamo a sinistra in via dei Giardini, e dopo una cinquantina di metri a sinistra nella via Roma, lungo la quale, percorsa una ventina di metri, al civico numero 15, si vede l’ingresso dell’edificio che ospita il Museo del coltello sardo. Creato dal famoso coltellinaio Paolo Pusceddu, sorge attiguo al suo laboratorio chiamato, come il coltello tipico del territorio, Arburesa. Nel Museo è possibile rivivere la storia della coltelleria in Sardegna, a partire dal neolitico. Il percorso museale ha inizio nella sala dove si trovano i coltelli più antichi, tra cui spicca la riproduzione di un pugnale in ossidiana, una roccia vetrosa utilizzata sin dal neolitico antico per realizzare arnesi da caccia, ma è possibile ammirare anche pezzi del sedicesimo secolo. Alcuni coltelli sono vere e proprie opere d’arte, coltelli con manici in corno di ogni forma e colore, intarsiati e scolpiti in forma di cervo, cinghiale, muflone e aquila, a rappresentare la fauna sarda. Sono poi esposti i prodotti dei più rappresentativi coltellinai sardi contemporanei. L’ultima sala è la ricostruzione dell’antica bottega del fabbro, Su Ferreri, nella quale sono visibili arnesi originali del secolo scorso. ossia un mantice, un trapano a volano, una mola a pedale, un’antica incudine. Il maestro coltellinaio Paolo Pusceddu ha realizzato il coltello Arburesa più grande del mondo, oggi conservato nel Museo, che ha una lunghezza di quattro metri e 85 centimetri e un peso di 295 chili, entrato nel Guinness dei primati nel 2002 come il Coltello a serramanico più grande del Mondo, record battuto l’anno successivo da Gianmario Tedde di Olbia, ma è ancora nel libro dei Guinness come Coltello a serramanico più pesante del Mondo. La piazza San Lussorio dove si trovava l’omonima chiesaDalla piazza Mercato, proseguiamo lungo la prosecuzione della via della repubblica, che è la via della lbertà, e, in una cinquantina di metri, troviamo alla sinistra della strada l’ampia Piazza San Lussorio chiamata anche piazza di scuola. Nella piazza si trovava la chiesa di San Lussorio della quale non è certa la data di costruzione, ma si ritiene successiva a quella della chiesa di San Sebastiano. La piccola chiesa era di dimensioni modeste, lunga quindici metri e larga sei, munita di campanile a vela nella parte anteriore, e terminava nella parte posteriore con un’abside circolare. La piazza costituiva il vecchio centro religioso del paese, era infatti presente il vecchio Cimitero prima della realizzazione del nuovo dedicato a San Paolo. Il vecchio Cimitero era costituito da uno spiazzo esagonale intorno alla chiesa, nel quale i defunti erano deposti a raggiera intorno alla chiesa. La Festa di San Lussorio era celebrata il 21 agosto ed aveva grande importanza per gli abitanti del paese, dato che era quello il periodo per stipulare o recedere contratti, saldare debiti e fare acquisti. Nei giorni della Festa il mercato veniva invaso dai banchi di vendita e si facevano ogni sorta di affari. La piccola chiesa di Sal Lussorio è stata, in seguito, sconsacrata ed utilizzata anche come locale scolastico, e parte proprio da questo l’idea del suo esproprio per fare posto al caseggiato della Scuola elementare che si trova attualmente al suo posto, e da questo deriva appunto il secondo nome della piazza. Dagli inizi degli anni 2000, però, la piazza sta subendo un profondo restauro, che è stato prolungato nel tempo anche a causa del ritrovamento di alcuni teschi e ossa umane, molto probabilmente risalenti al vecchio Cimitero, ma osservati per precauzione dalla Soprintendenza per i beni culturali. In via Silvio Pellico una croce in ferro ricorda dove si trovava la chiesa della Santa CroceProseguendo un centinaio di metri lungo la via Libertà, prendiamo a destra la stretta strada in salita che si chiama via Primo Maggio, la seguiamo e, in poco meno di altri cento metri, troviamo sulla destra in via Silvio Pellico. Lungo questa strada si può vedere una croce in ferro, che indica il luogo dove sorgeva la chiesa della Santa Croce. Non esiste alcun documento per datare la sua costruzione, ma come per San Lussorio, si può ipotizzare la sua presenza successiva a quella della chiesa di San Sebastiano. Di questa chiesa parla un documento del 1643, nel quale il Vicario Generale dà disposizioni per il rifacimento del tetto della chiesa della Santa Croce, perché vi si possa celebrare la Santa messa. Santa Croce, a differenza di altre Chiese, non aveva rendite, tanto da dover dipendere dalla chiesa madre per le riparazioni. L’Obriere che la custodiva, quanto riusciva, organizzava la Festa della Santa Croce il 14 settembre, altre volte l’organizzava a proprie spese. La chiesa della Santa Croce scompare, per disposizione del Vescovo, quasi sicuramente nell’anno 1763, i materiali recuperati come pietre e tegole vengono venduti, e sul luogo dove prima sorgeva la chiesa viene innalzata una croce in ferro. La chiesa parrocchiale della Beata Vergine Maria ReginaProseguiamo lungo la via della lbertà per centotrenta metri e arriviamo in piazza Cavalleria, qui svoltiamo a destra prendendo la via Giuseppe Mazzini che, in una settantina di metri, arriva a un bivio dove a destra continua la via Giuseppe Mazzini, mntre prendiamo a sinistra la via Nino Bixio. Questa strada, in un centinaio di metri, continua sulla via Roma, che, in un’ottantina di metri, diventa la via Rinascita. La prendiamo verso destra e la seguiamo per un centinaio di metri, fino a trovare alla destra della strada, al civico numero 30 della via Rinascita, una grande scalinata che ci porta alla chiesa della Beata Vergine Maria Regina La seconda parrocchiale di Arbus che alla fine del secolo scorso ha affiancato la chiesa parrocchiale di San Sebastiano Martire. Si tratta di una chiesa moderna in cemento armato, costruita nel 1970 su progetto dell’ingegner Antonio Zurrida di Arbus. Ogni anno presso questa chiesa, in occasione della sua celebrazione l’8 settembre, si svolge la Festa della Beata Vergine Maria regina. Dopo triduo di preparazione con la recita del rosario e la messa, le cerimonie dei tre giorni di Festa prevedono che il primo giorno si svolga la Festa del malato, con la messa con gli ammalati, gli anziani, i loro familiari e gli operatori del settore sanitario e assistenziale; il secondo giorno la Festa della famiglia, con la messa con tutte le famiglie della parrocchia; ed infine il giorno della festività la solenne processione accompagnata dalla banda musicale, seguita dalla messa solenne e dall’affidamento delle famiglie alla Madonna, con la benedizione delle coppie che festeggiano il loro anniversario. Alle cerimonie religiose si affiancano numerose manifestazioni civili, che si tengono di fronte alla gradinata della chiesa Beata Vergine Maria regina. Il Palazzetto Comunale dello sportPassata la chiesa parrocchiale della Beata Vergine Maria regina, la via Rinascita arriva a una rotonda, dove prendiamo la prima uscita a destra, che è la via Pietro leo, e, dopo una quarantina di metri, vediamo, alla sinistra della strada, l’ingresso del Palazzetto Comunale dello sport. Nel palazzetto si trova una Palestra polivalente al chiuso, dotata di tribune in grado di ospitare 300 spettatori, nella quale praticare come disciplina la pallacanestro. Nel palazzetto si gioca il secondo sport cittadino dopo il calcio, ossia la pallacanestro, dato che negli anni settanta e anni ottanta la squadra del paese militava nelle divisioni regionali. Attualmente ad Arbus sono presenti due società che curano in particolare il minibasket e il settore giovanile, e sono il Centro sportivo Basket e la Pallacanestro Arbus. La sala consiliare e gli uffici comunali di via Pietro LeoProseguendo dopo l’ingresso del Palazzetto dello sport, la via Pietro leo dopo una sessantina di metri svolta a destra e, percorsi appena una trentina di metri, alla destra della strada, la civico numero 57 della via Pietro Leo, si vede l’ingresso del caseggiato della ex Scuola Elementare di via Pietro leo. In questo caseggiato è ospitata la Sede secondaria del Municipio di Arbus, e vi si trovano la sala consiliare e gli ulteriori uffici comunali come ad esempio Pubblica Istruzione, Cultura, Sport e Promozione Turistica. Visita dei dintorni di ArbusVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Arbus è possibile visitare il monte Arcuentu, oltre alla sua bella zona costiera. Sono stati, inoltre, portati alla luce numerosi resti archeologici, ossia quelli delle Tombe di giganti Argiola Frissa I, Argiola Frissa II, Argiola Frissa III, Argiola Frissa IV, Bruncu su Sensu, Colludu, Cuccuru Espis, Manago, di Nostra Signora d’Itria, Sa Grutta ’e su Bandiu, Sa Perda ’e su Scusorgiu, Sa Perda Pinnada, Serr ’e Fossu, su Forru ’e Ni, su Forru de Mari, su lacchittu, su Mobizzu, su Rosau; del Protonuraghe Manago; dei Nuraghi semplici donigala, Frucca, Priogosu, punta Nicolau, Rocca su Casteddu, S’Enna ’e S’Arca I; dei Nuraghi complessi Cugui, Is Cabis, Narocci chiamato anche Cancedda, punta Sa Rana; dei Nuraghi Bau Espis, casa Sparedda, Corru Longu, Guradia de su Turcu, Is Concas, Masoni Brandi, Perdas Albas, punta su Nuraxi di tipologia indefinita; mentre non rimangono più i resti dei Nuraghi S’Enna ’e S’Arca II e Sardaresus che sono stati ormai distrutti. Il Santuario della Beata Vergine d’ItriaTorniamo a dove la via della lbertà è arrivata in piazza Cavalleria, da dove avevamo preso le deviazione che ci aveva portati alla chiesa parrocchiale della Beata Vergine Maria regina. Proseguaimo lungo la via della lbertà e, dopo settecentocinquanta metri, prima dell’uscita da Arbus in direzione Fluminimaggiore ed Ingurtosu, svoltiamo a destra seguendo le indicazioni per il Sentiero Sa Tella, percorriamo la strada in salita per un chilometro e seicento metri finché si immettesu una traversale, la prendiamo verso sinistra e proseguiamo ancora per tre chilometri e mezzo, sino a raggiungere un muro in pietra che affianca uno stabile, Al di là di questo muro di pietra, si prende un sentiero che in duecento metri porta al Santuario della Beata Vergine d’Itria. Racconta la leggenda che, nel seicento, una statua della Madonna viene ritrovata all’interno di una cassa in legno lungo la spiaggia di Piscinas, caricata su un carro, si decide di trasportarla in paese, ma lungo il tragitto i buoi si fermano e vani sono i tentativi di farli smuovere. Allora si pensa ad un segno divino, ed in quel luogo si decide per la costruzione di una chiesa in onore della Madonna Odigitria, che veniva invocata contro le invasioni moresche, vero flagello per le coste della Sardegna. La storia fa sapere che nel 1636, viene edificata la Cappella dedicata alla Vergine, all’interno della chiesa parrocchiale di San Sebastiano, nella quale è ancora oggi conservato lo splendido simulacro, mente al 1650 risale il primo libro dei conti della piccola Santuario campestre della Beata Vergine d’Itria edificata intorno alla prima metà del seicento, che ha potuto essere conservata nel tempo grazie alle cure di un’antica Confraternita, la quale possedeva immobili e bestiame che venivano ceduti in affitto. Dai registri amministrativi parrocchiali e della Confraternita, si apprende che la chiesa ha subito più volte lavori di restauro e manutenzione, segno tangibile dell’attenzione prestata per garantirne l’efficienza. Il piccolo Santuario ha mantenuto fino ad oggi la sua originaria struttura, il sagrato è delimitato da un muretto accessibile tramite bassi cancelli, la facciata è prolungata dalle falde che coprono un loggiato esterno con due brevi porticati, ai quali si affiancano due cosiddette stanze De Is oberaius, utilizzate dal Comitato per i festeggiamenti. Sulla sommità della parete di fondo, rivolta verso il paese, si erge una croce metallica. Il nome d’Itria è la contrazione di Odigitria, parola che significa Mostra la Via. Veniva così chiamato il tempio che si trovava a Costantinopoli, eretto per custodire ed onorare un quadro che raffigurava la Madonna. Non si sa come la venerazione della Madonna d’Itria sia giunta in Italia, ma si ritiene che il suo culto possa essere legato a un quadro della Vergine dipinto da San Luca Evangelista. Il culto della Vergine d’Itria a Portoscuso sembra risalire al periodo dell’attività della tonnara, ed è attestato fino dal 1630, ed il sito attuale nel quale sorge la chiesa dovrebbe corrispondere a quello, dove, nel 1655, il marchese Vivaldi Pasqua fece costruire una piccola chiesa col medesimo titolo. Il quadro raffigurante la Madonna d’Itria, secondo una tradizione popolare, era stato portato nella chiesa dove, durante un’incursione saracena, venne colpito da alcuni proietili. Dopo molti anni, il proprietario della tonnara lo portò a Genova per farlo restaurare, ma da dove il quadro non fece più ritorno a Portoscuso, ed in sua sostituzione, vi venne portato il simulacro che riproduceva la Santa. |
La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione alla statua della Madonna presente al suo interno. Ad Arbus, ogni anno, la prima domenica dopo la Pentecoste, si svolge la Festa della Madonna d’Itria. La statua della Madonna, dopo le iniziali cerimonie religiose, dalla chiesa parrocchiale di San Sebastiano, è portata in spalla sino all’uscita del paese, in un luogo chiamato Sa Perd ’e Nostra Signora, che ricorda una roccia oggi scomparsa, sulla quale veniva adagiato il simulacro per venire spogliato dagli oggetti preziosi, prima di essere caricato su un cocchio per il resto del viaggio accompagnato dalla banda musicale, dai gruppi folk, da gruppi religiosi e dai pellegrini. Presso la chiesa campestre si svolgono le cerimonie religiose, e si rientra la sera stessa, con una fiaccolata al canto dei goggius. Lo stadio Comunale Santa SofiaDal centro di Arbus, la via della lbertà, passata l’indicazione per il Sentiero Sa Tella, prosegue con il nome di via Is Trigas, e dopo un centinaio di metri, passata la Casa Cantoniera, arriva a un bivio dove verso destra parte la SS126 sud Occidentale Sarda che si dirige verso Fluminimaggiore, mentre noi prendiamo a sinistra la via Santu Domini. La seguiamo per sicentocinquanta metri, e vediamo, alla destra della strada, i cancelli di ingresso dello Stadio Comunale Santa Sofia. Questo impianto sportivo comprende un Campo di calcio con fondo in erba naturale, dotato di tribune in grado di ospitare 1000 spettatori in una tribuna centrale dotata di copertura. In questo campo gioca le sue partite la squadra della Unione Sportiva Arbus, fondata nel 1953, da sempre presente nei campionati regionali con anche una parentesi di due anni, nelle stagioni 2000-2001 e 2001-2002, nel campionato nazionale di Serie D, e che attualmente partecipa al campionato di Eccellenza. Intorno al Campo da Calcio si sviluppa una Pista di atletica leggera. Nello Stadio Comunale Santa Sofia sono presenti anche un Campo polivalente con fondo in erba sintetica, dotato di tribune per 50 spettatori, nel quale praticare calcetto ossia calcio a cinque, basket, e pallavolo; un Campo da Tennis, senza tribune; e due Campi da bocce, anche questi senza tribune. La grande e importante miniera di MontevecchioDa dove la via della Costituzione è diventata la via della repubblica, prendiamo la prima deviazione a destra che è la via Montevecchio, che si dirige verso nord ed esce dall’abitato come SP68. Dopo circa cinque chilometri e mezzo, entrata nel territorio di Guspini, questa strada va immettersi sulla SP66 proveniente appunto da Guspini, e in appena duecento metri porta all’interno del borgo realizzato per ospitare il personale della grande e importante Miniera di Montevecchio realizzata per sfruttare il filone minerario piombo zincifero a cavallo tra i territori di Guspini e Arbus. La zona mineraria era sfruttata già in epoca romana, periodo del quale sono stati trovati diversi reperti, tanto che all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari è stato ricostruito il sistema di secchi di rame legati alla catena di una ruota verticale, utilizzato durante il periodo romano per il prelievo dell’acqua che invadeva i condotti della miniera. Ma a scrivere l’inizio della storia recente di Montevecchio è un prete, Giovanni Antonio Pischedda, che riesce ad ottenere, nell’ottobre del 1842, un permesso di ricerca e di scavo per 25 quintali di galena, sul filone di Montevecchio. Intuita l’importanza dell’affare, si reca a Marsiglia dove incontra Giovanni Antonio Sanna, che trova i capitali necessari ed ottiene nel 1848 dal re Carlo Alberto la concessione perpetua per lo sfruttamento della miniera, la quale diviene nel 1865, con 1100 operai, la più importante non solo dell’isola ma del regno intero. La miniera si distingue, tra l’altro, nell’elettrificazione esterna ed interna, nell’adozione di nuovi sistemi di perforazione, prima a secco e poi ad acqua, meno nocivi per il minatore perforatore. Il maggior riconoscimento per l’innovazione viene dato ad un dipendente della società, letterio Freni che, nel dopoguerra, inventa l’autopala. Dopo un periodo di crisi e d’autarchia, nel 1930 Francesco Sartori con la collaborazione di Giovanni Rolandi la richiama a nuova vita, e ralizza la fonderia di San Gavino, che tratta i misti piombo zinciferi di Montevecchio arricchiti per flottazione. Entrata in crisi l’attività di estrazione mineraria in Sardegna, la miniera di Montevecchio chiude la propria attività nel 1991, dopo un’ultima occupazione dei pozzi da parte dei minatori che, dal pozzo Amsicora, rivendicavano ancora uno sviluppo alternativo. Tutto il complesso di Montevecchio, con i suoi siti minerari, è Sotto osservazione da parte dell’Unesco ed è un fiore all’occhiello del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, che raggruppa sotto un’unica realtà la ricca tradizione mineraria dell’isola, oggi fruibile anche dal punto di vista turistico, e si contraddistingue per le sue peculiarità ambientali, geologiche e biologiche. In questi ultimi anni, il centro minerario è stato ottimamente restaurato ed oggi rappresenta un significativo esempio di recupero del patrimonio di archeologia industriale, oggi fruibile anche dal punto di vista turistico con interessanti visite guidate. Il villaggio minerario Gennas in territorio di GuspiniIl complesso realizzato per ospitare il personale della grande ed importante miniera di Montevecchio è costituito da un borgo che era chiamato Villaggio Gennas completamente immerso nella natura, disteso sulla collina di Genna Serapis, così chiamata in riferimento alla divinità greco egizia Serapide, custode e protettrice del mondo sotterraneo, invocata dagli schiavi Damnati ad metalla nel periodo della dominazione romana. Il villaggio ha la configurazione tipica dei vecchi centri minierari, con le strade strette e tortuose che si staccano dalla strada principale, il viale Impero, che è un lungo viale alberato delimitato ai lati da due file di palazzine, destinate da una parte ai dirigenti e dall’altra agli impiegati. Il viale alberato è chiuso a nord dall’edificio dell’Ospedale, davanti al quale si trova la piazza Giovanni Rolandi, sulla quale si affaccia da un lato il Palazzo della Direzione progettato ed edificato da Giovanni Antonio Sanna tra il 1870 ed il 1877, e dall’altro lato l’edificio che ospitava la mensa degli impiegati. realizzato in forme neorinascimentali, il palazzo delle Direzione si erge su tre piani e si sviluppa attorno a un cortile centrale circondato su tre lati da un porticato con volte a crociera affrescate, ed ai piani inferiori ospita gli uffici amministrativi e tecnici della Direzione, al secondo l’appartamento signorile e al terzo i locali di servizio e gli alloggi per la servitù. Particolarmente affascinanti sono gli affreschi in stile liberty nelle sale del palazzo, la decorazione più rilevante riguarda il salone delle riunioni, chiamato la Sala blu, un vasto ambiente voltato a padiglione, con affreschi e stucchi sia nella volta che nelle pareti e persino nelle porte. Il viale Impero è aperto a sud verso uno spiazzo in prossimità dell’antica foresteria che verrà riadattata come Albergo Il Cinghiale, vicino alla quale si trova l’edificio inaugurato da Benito Mussolini nel 1937, che ospitava prima le Scuole Elementari e poi anche quelle medie, mentre nella parte a destra ospitava il Dopolavoro per gli operai, con attigua una sala cinematografica. Uscendo verso nord, passato l’Asilo Rolandi, si trovano gli edifici del Villaggio Rolandi, costruito nel 1953 per ospitare sopratutto le famiglie degli impiegati della società mineraria Montevecchio. Sul retro del palazzo della Direzione si trova la chiesa di Santa BarbaraNella zona dove è sorto il villaggio Gennas, Giovanni Antonio Sanna aveva pensato di far costruire una grande chiesa, dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori. Ma l’edificio, così come progettato, era troppo grande per le necessità, e dopo la sua morte viene realizzato al suo posto il palazzo della Direzione, di vaste dimensioni, comprendente gli uffici della direzione, l’appartamento del direttore e con, annessa, una grande cappella. Ed oggi, sul retro del palazzo della Direzione si trova la chiesa di Santa Barbara poco più di una Cappella situata all’interno della zona mineraria, dedicata alla Santa patrona dei minatori e degli artificieri. La chiesa è inglobata con l’abside ed il transetto nel palazzo della Direzione, dal quale si stacca il suo corpo e la sua facciata. Si tratta di una piccola Cappella con struttura a croce latina, che era un tempo riservata alla famiglia di Giovanni Antonio Sanna, ed in seguito trasformata in oratorio pubblico alle dipendenze della chiesa parrocchiale di Guspini. La piccola chiesa di Santa Barbara è tuttora aperta al culto, e vi si celebra la messa due volte la settimana. Ogni anno, alla fine della prima settimana di dicembre. Presso questa chiesa si svolgono i Festeggiamenti in onore di Santa Barbara, patrona di Montevecchio, organizzati dal comitato omonimo. I cantieri di levante in territorio di GuspiniArrivando con la SP66 alla Miniera di Montevecchio in territorio di Guspini, un paio di chilometri prima di raggiungere il villaggio Gennas, si incontrano dapprima i grandi casermoni di Villaggio Righi, realizzati a partire dal 1938 per gli operai e per le loro famiglie, che sono stati abitati fino agli anni settanta del novecento. Poi, presa una deviazione a destra, si arriva ai Cantieri di levante relativi alla prima concessione denominata Montevecchio 1, dei quali facevano parte il Cantiere di Sciria con il Pozzo Galileo che è stato uno dei cantieri più vecchi tra i primi a chiudere, le Miniere di Piccalinna con il Pozzo San Giovanni, il Cantiere Mezzena con il Pozzo Sartori e con la Laveria Principe nome dato in onore al principe Tomaso di Savoia che nel 1877 visita la miniera, e la Miniera di Sant’Antonio con il suo pozzo. I cantieri di PonentePiù avanti, guardando la facciata dell’Ospedale del villaggio Gennas, seguendo le indicazioni per le informazioni turistiche prendiamo la strada che si dirige in diagonale verso sinistra, e che ci porta nel territorio di Arbus, facendoci imboccare la prosecuzione della SP66, che è la strada che in una diecina di chilometri conduce fino al villaggio minerario di Ingortosu. Lungo questa strada si raggiunge la frazione Montevecchio in territorio di Arbus (altezza imprecisata, distanza in linea d’aria circa 4,58 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti), all’interno della quale si incontrano le strutture della Miniera di Montevecchio in terrritorio di Arbus. Si incontra prima l’Albergo operai Francesco Sartori, inaugurato da Benito Mussolini nel 1942 e rimasto attivo per più di trenta anni. Passata questra struttura, si incontrano i Cantieri di Ponente di cui fanno parte la Miniera di Sanna relativa alla concessione Montevecchio 2 con il suo pozzo, la Miniera di Telle con il Pozzo Amsicora e con la Laveria la Marmora, e la Miniera di Casargiu relative alla concessione Montevecchio 3 con il Pozzo Fais. La frazione Sa TancaGuardando la facciata dell’Ospedale del villaggio Gennas, seguendo le indicazioni per Piscinas e Costa Verde prendiamo la strada che lo costeggia verso sinistra, e che entra nel territorio di Arbus come SP65, la seguiamo per ottocento metri, e troviamo a sinistra le indicazioni che ci portano alla frazione Sa Tanca (altezza metri 340, distanza in linea d’aria circa 5,06 chilometri sul livello del mare, abitanti 21) nella quale si trova l’agriturismo omonimo. L’agriturismo inizia la sua attività nel 2001, ma già dal 2010 diviene una fattoria didattica riconosciuta dalla regione Sardegna. L’azienda agricola ha una sua storia, infatti nasce nel 1900 come Tanca Castoldi, di proprietà del conte omonimo, genero di Giovanni Antonio Sanna. La costruzione è ancora oggi ben conservata, intorno una vasta estensione di terra di 150 ettari. Nel 1967 gli eredi Castoldi la cedono alla famiglia Chessa, da generazioni allevatori di bestiame, che ancora oggi, continua l’attività zootecnica. Il monte Arcuentu con i pochi resti del suo Castello giudicaleProseguendo lungo la SP65, dopo circa tre chilometri e mezzo, seguendo le indicazioni per Arbus località Arcuentu, prendiamo una deviazione in una strada bianca sulla destra, e subito dopo un sentiero a sinistra, che si deve percorrere a piedi per circa sei chilometri, impiegando non meno di quattro ore. Si sale fino a quasi ottocento metri e quindi si scende, per raggiungere, nella macchia mediterranea, una radura dalla quale si vede il Monte Arcuentu. Le forme frastagliate del monte Arcuentu documentano la sua origine vulcanica, le sue rocce sono composte da rioliti, riodaciti, ignimbriti e tufi generati dalle lave acide e da basalti generati da lave basiche. Raggiungere la cima, di 785 metri di altitudine, rappresenta un’impresa ardua ma regaL’emozione di camminaresu un vulcano spento, fra enormi muraglioni di basalto, sui condotti originati dallo scorrere della lava. Sulla sommità del monte è presente una fitta foresta di lecci, fresca anche nelle giornate più afose. Una parte del monte Arcuentu si trova non nel territorio di Guspini nè in quello di Arbus, ma si trova nel territorio del comune di Gonnosfanadiga. Proseguendo verso il monte, passata una recinzione, si trova una Cappella con un piccolo altare, dietro il quale c’è un grande crocifisso metallico. Davanti all’altare, in mezzo a bosco di lecci, ci sono i pochi resti del Castello di Monte Arcuentu edificato nel decimo secolo, le cui mura proteggevano da possibili attacchi provenienti dal Giudicato di Càralis, situato in uno dei pochi accessi naturali al Giudicato d’Arborea. Il primo documento che lo menziona risale al 1164, si tratta di una concessione che il giudice Barisone I de Lacon-Serra, fà, unitamente al Castello della Marmilla, a favore della repubblica Comunale di Genova, in cambio dell’aiuto e del denaro prestatogli nella sfortunata vicenda della sua investitura imperiale a re nominale di Sardegna. Il giudice, nell’intento di ottenere dall’Imperatore Federico I Barbarossa il titolo di rex Sardiniae, si era affidato ai Genovesi. Nel 1164, viene incoronato re Nominale di Sardegna in cambio di 4000 marchi d’argento anticipati dal Comune di Genova. Nel 1172, il Castello di Arcuentu, insieme a quelli della Marmilla, risulta ancora occupato dai Genovesi a garanzia dei loro crediti. In seguito alla morte di Barisone I d’Arborea, diviene giudice il figlio Pietro I de Lacon-Serra. Nel 1189, Pietro, in cambio dell’estinzione del debito paterno, chiede ai suoi creditori la cittadinanza genovese. Quindi dal 1192, il Castello di Arcuentu, unitamente a quello di Marmilla, rientra in possesso dei sovrani arborensi, seguendone la sorte. Sebbene lo si raggiunga più facilmente da Guspini, il Castello di Monte Arquentu si trova nel territorio del comune di Arbus. I resti del Nuraghe complesso CuguiDal centro di Arbus, la via della lbertà, passata l’indicazione per il Sentiero Sa Tella, prosegue con il nome di via Is Trigas, e dopo un centinaio di metri, passata la Casa Cantoniera, arriva a un bivio dove verso destra parte la SS126 sud Occidentale Sarda che si dirige verso Fluminimaggiore, che ci porterà fino a visitare la miniera di Ingurtosu, alla quale saremmo potuti arrivare anche da Montevecchio con la SP66, ma che con questa strada statale è raggiungibile in condizioni migliori. Percorso un chilometro e mezzo lungo la SS126 sud Occidentale Sarda, al chilometro 82.4, troviamo una deviazione sulla destra che porta a un agriturismo, dal quale è possibile raggiungere un’altura, alla sommità della quale sono visibili i resti del Nuraghe Cugui costruito in granito locale a 362 metri di altezza. Si tratta di un Nuraghe complesso, che presenta una struttura a tre torri, delle quali solo una è accessibile, anche se con un’apertura non particolarmente alta. Intorno alle torri sono presenti bastioni che probabilmente racchiudono anche un piccolo cortile. Dalla sua collocazione è possibile vedere tutto il paese di Arbus, la catena del Monte linas ed una parte dell’abitato di Gonnosfanadiga. Vicinissimo alla struttura insiste un’impianto di antenna radio-televisiva. La grande e importante miniera di IngurtosuLe cronache attribuiscono a un fabbro di Arbus la scoperta, nel 1829, del giacimento della Miniera di Ingurtosu. Le prime concessioni minerarie vengono rilasciate nel 1852 ad una società genovese, che nel 1865 le cede alla Societè Civile de Mines, la quale inizia i lavori nel 1859 nei settori più galenosi dei filoni già noti di Ingurto su e Santa Anna. Nel 1855 sono rilasciate le autorizzazioni per le ricerche minerarie a Marco Calvo, che nel 1857 cede la miniera alla Società civile delle Miniere di Gennemari ed Ingurtosu, costituita a Parigi, con presidente l’ingegnere Bornemann, e direttore l’ingegnere Hoffmann. Nel 1869 la profondità dei pozzi raggiunge circa i 160 metri, e l’anno successivo, grazie all’aumento di capitale, si possono realizzare importanti opere come la ferrovia per trasferire il minerale dalle laverie al pontile di Piscinas. Nel 1899 tutte le concessioni vengono acquistate da lord Brassey, presidente della società francese Pertusola, ed i maggiori azionisti ne richiedono il trasferimento della sede da Parigi a Genova. Nello stesso anno la produzione è di 2400 tonnellate di piombo e 1000 tonnellate di zinco. Nel 1920, dopo la morte a londra di lord Brassey, la maggioranza delle azioni passa nelle mani del gruppo spagnolo Pennaroya. In seguito, nel 1953, si verifica una flessione dei mercati dei metalli, con conseguente arretramento della produzione, ed anche l’occupazione segna una diminuzione. Nel 1965 la situazione di generale depressione costringe la società Pertusola a trasferire le concessioni alla Società monteponi-Montevecchio, che riattiva alcune gallerie principali prosciugando i livelli profondi allagati. Viene riattivata la laveria Brassey che era stata fermata nel 1960, per trattare i grezzi provenienti sia dai gradini attivi in sotterraneo e i misti delle vecchie discariche. Durante il 1968 a causa dell’ennesima caduta dei prezzi del metallo la miniera viene definitivamente chiusa. Anche il complesso di Ingurtosu, con i suoi siti minerari, è Un fiore all’occhiello del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, che raggruppa sotto un’unica realtà la ricca tradizione mineraria dell’isola, oggi fruibile anche dal punto di vista turistico, e si contraddistingue per le sue peculiarità ambientali, geologiche e biologiche. In questi ultimi anni, il centro minerario è stato ottimamente restaurato ed oggi rappresenta un significativo esempio di recupero del patrimonio di archeologia industriale, oggi fruibile anche dal punto di vista turistico con interessanti visite guidate. La frazione Pitzinurri con il villaggio abitativo della miniera di IngurtosuPassata la deviazione che porta al Nuraghe Cugui, proseguiamo lungo la SS126 sud Occidentale Sarda per otto chilometri e mezzo, e al chilometro 77.2 vediamo la prima deviazione a destra nella SP66 che, in circa tre chilometri, porta alla frazione Pitzinurri (altezza metri 360, distanza in linea d’aria circa 9,36 chilometri sul livello del mare, abitanti 11), che si sviluppa alla sinistra e più avanti alla destra della strada statale. All’interno di questa frazione si trova il Villaggio minerario di Pitzinurri che era l’unico villaggio dell’area della miniera di Ingurto su a presentare un carattere esclusivamente abitativo. Pitzinurri nasce e si sviluppa nel primo decennio del novecento, facendo riferimento alle due ville presenti nella zona, la villa Ginestra ed il villino Wright, oltre ai quali erano presenti anche numerose altre strutture ridotte oggi quasi completamente a ruderi. Nel periodo seguente la Prima Guerra Mondiale sorge questo secondo piccolo centro abitato, come espansione del primo localizzato nella frazione Ingurtosu. La strada bianca che abbiamo visto alla sinistra della strada statale porta alla Villa Ginestra, che è stata la prima residenza estiva del direttore della miniera di Ingurtosu, lord Brassey, che la aveva dedicata alla consorte lady Idina, per questo la villa è conosciuta anche con l’appellativo di Villa Idina, per diventare in seguito la foresteria della società mineraria, e si trova da tempo in stato di completo abbandono. Invece, centocinquanta metri più avanti, una deviazione sulla destra porta al Villino Wright, che è stato la residenza del vicedirettore della miniera, nell’epoca in cui questa era di proprietà di lord Brassey, ed attualmente è stata trasformata in una abitazione privata. La chiesa di Santa BarbaraProseguendo per ottocento metri lungo la SP66, si vede, alla destra della strada, il vialetto di accesso alla chiesa di Santa Barbara costruita in posizione intermedia tra il villaggio minerario di Pitzinurri ed il villaggio minerario di Ingurtosu, in modo da poter assistere gli abitanti di entrambi. La costruzione della chiesa è voluta e in parte finanziata da lord Brassey, per migliorare la moralità e creare un ambiente sociale vivibile per i minatori, i lavori di costruzione iniziano nel 1914, ma subiscono rallentamenti a causa della Prima Guerra Mondiale, ciononostante la chiesa viene inaugurata nel 1916. La planimetria dell’edificio è costituita da tre corte ma ampie navate, una centrale e due laterali, dall’abside semicircolare leggermente sopraelevato e da uno slanciato campanile ubicato nel fianco sinistro della chiesa, ove è posta anche una piccola sacrestia. La struttura portante della chiesa di Santa Barbara di Ingurto su è realizzata in pietrame granitico locale sbozzato, lasciato a vista nella parte esterna ed intonacato in quella interna. La copertura dell’edificio è stata realizzata a due falde uniche per le tre navate e da una falda a tre pendenze, per la zona absidale. I quattro pilastri interni che sostengono archi a tutto sesto, sono realizzati anch’essi in blocchi squadrati di pietra e suddividono il soffitto in nove campate. A circa trecento metri di distanza, sulla montagna ad est rispetto alla chiesa di Santa Barbara, si trova la Via Crucis, realizzata nel 1956 per volere degli abitanti di Ingurtosu. La Via Crucis parte dalla chiesa di Santa Barbara e si snoda lungo un sentiero immerso nella folta e caratteristica vegetazione mediterranea, fino ad un complesso roccioso naturale sul quale sono state erette le tre croci del Calvario. Si tratta di tre croci in legno, due laterali e una centrale poste sulla sommità della roccia. La frazione Ingurto su con il suo villaggio minerarioPercorsi ancora trecentocinquanta metri lungo la SP66, raggiungiamo i primi edifici della frazione Ingurtosu (altezza metri 250, distanza in linea d’aria circa 9,71 chilometri sul livello del mare, abitanti 6), che ha ospitato un villaggio minerario il quale, in passato, è arrivato ad avere una popolazione di circa 500 persone. Il Villaggio minerario di Ingurtosu era il centro direzionale delle due miniere di Ingurto su e della vicina Gennamari. Nel villaggio c’erano la direzione, lo spaccio, la posta, le abitazioni degli impiegati, e, dietro impulso soprattutto di lord Brassey, è stato dotato di una serie di servizi non direttamente funzionali alla produzione, ossia un Ospedale per la cura del fisico dei minatori, e una chiesa per la cura delle loro anime. L’imprenditore inglese dà un’impronta paternalistica alla miniera, e comincia a prendersi cura dei suoi operai, li ciba, li alloggia, li cura, sia nel fisico che nell’anima. La distribuzione sul terreno dei diversi edifici non è per nulla casuale, ma è guidata dalla ostentata intenzione di rimarcare le gerarchie sociali e le posizioni reciproche tra le diverse classi. Gli impiegati sono più vicini in termini di valori e ideali al vertice rispetto ai minatori, e questa vicinanza ideologica si traduce anche in vicinanza spaziale. Su tutto domina il Palazzo della direzione, chiamato Il Castello, costruito negli anni settanta dell’ottocento da maestranze tedesche, sull’esempio di un contemporaneo palazzo esistente in Germania. Il fatto è che in quel periodo la proprietà della miniera era francese, ma la direzione dei lavori, i tecnici e gli ingegneri erano tutti tedeschi. Ed ecco spiegata la particolarità dell’edificio, specialmente di alcune sue parti. I cantieri della miniera di IngurtosuDal villaggio minerario di Ingurto su prosegue la SP66 che da Ingurto su conduce a Montevecchio, e lungo questa strada si trova il Cantiere di Casargiu di Ingurtosu, situato nell’omonima e vasta regione, al confine con il cantiere di Telle, miniera di piombo e zinco, che costituiva il cantiere più settentrionale della miniera di Montevecchio. Nel cantiere di Casargiu si incontra per primo il Pozzo 92 per la coltivazione del filoni Cervo e Ingurtosu, gli scavi per la sua costruzione iniziano nel 1949, ma il pozzo entra in esercizio solo agli inizi del 1954, quando è già in via di esaurimento il cantiere di Casargiu. Più avanti si inconta il Pozzo Casargiu, utilizzato per la coltivazione della parte orientale del filone Ingurto su e del filone secondario Cervo, gli scavi per la sua costruzione iniziano nel 1881, e la sua esile struttura viene dotata di una macchina estrattiva a vapore che muoveva delle gabbie in legno. Lasciato il villaggio minerario di Ingurtosu, la strada procede in direzione ovest verso Piscinas di Ingurtosu, ove si ergono maestose le stupende dune, e seguendola si incontrano la maggior parte degli impianti della miniera di Ingurtosu. Subito accanto al villaggio minerario, si trova il Cantiere Harold. Nel cantiere Harold si incontra per primo il Pozzo Gal, che prende il nome da un dirigente del gruppo Penarroya, che nel periodo seguente la Prima Guerra Mondiale, mantiene la gestione delle miniere per mezzo della socità Pertusola. Il pozzo viene utilizzato per la coltivazione delle sezioni più profonde del filone Brassey e dei filoni Cervo e Ingurtosu, i lavori per il suo scavo iniziano nel 1921 e vengono approfonditi nel 1923. Il pozzo, a sezione circolare del diametro di tre metri e ottanta, viene murato con mattoni nella parte superiore e con conci di granito nella parte inferiore, mentre nell’apposito ambiente attiguo viene installato l’argano di estrazione. Il pozzo Gal è stato recentemente recuperato e trasformato in area museale sulla vita dei minatori e della loro famiglie. Più avanti si inconta il Pozzo Turbina, scavato nel 1897 per la coltivazione del filone secondario detto Cervo, dotato di una macchina di estrazione a colonna d’acqua. Proseguendo, si incontra la miniera e l’insediamento di Naracauli, subito entrando nel quale si trova la Laveria Pireddu, che viene utilizzata per separare il minerale dal grezzo, e risale al periodo successivo la prima guera mondiale. Lo stile architettonico non è differente dal resto degli impianti che si trovano nella vallata di Ingurtosu. Nel cantiere Naracauli si trova il Pozzo lambert, utilizzato per la coltivazione della sezione ovest del filone Brassey, che prende il nome dall’ingegnere capo della società lambert, e viene costruito nel Novcento, quando la concessione di Ingurto su viene estesa anche per i minerali di Zinco. È presente poco più avanti la Laveria Brassey, costruita in seguito ad un decreto prefettizio del 1872 che autorizza la Società di Gennamari e Ingurto su a trasferire a Naracauli la laveria di Ingurtosu. La laveria, inaugurata nel 1900, ha la capacità di trattare fino a 500 tonnellate al giorno di minerale e di impiegare fino a 160 operai, destinata al trattamento delle blende provenienti dal pozzo Turbina oltre ai materiali blendosi del filone Brassey, e dal piazzale antistante parte la ferrovia che consente il trasporto dei minerali fino al molo di Piscinas. Nel 1875 un decreto ministeriale autorizza l’occupazione di un tratto di spiaggia di Piscinas per la costruzione dei magazzini della blenda e della galena. Inizialmente un carro trainato da un cavallo trasporta il minerale dalla vicina laveria Brassey, in seguito si fa correre una particolare locomotiva lungo dei binari dalla laveria alla spiaggia di Piscinas, locomotiva che viene inoltre utilizzata dalle famiglie dei dirigenti per andare al mare. Da Piscinas, nei giorni in cui il mare lo consente, i minerali vengono convogliati tramite apposite bilancelle a Carloforte sull’isola di San Pietro. La società Pertusola adibisce, in seguito, i magazzini a colonia marina per i bambini figli dei dipendenti, colonia che funziona fino agli anni cinquanta del novecento, ed in seguito, nei primi anni Novanta, le rovine dei magazzini vengono cedute a privati, sapientemente recuperate e convertite ad albergo, l’Hotel le Dune Piscinas che vedremo nella prossima tappa del nostro viaggio. La frazione Gennamari con la sua minieraIl villaggio minerario di Ingurto su era il centro direzionale delle due miniere di Ingurto su e della vicina Gennamari, che ci recheremo ora a visitare. Torniamo a dove dalla SS126 sud Occidentale Sarda, al chilometro 77.2, avevamo preso la deviazione a sinistra in una strada bianca che aveva porta alla frazione Pitzinurri per vedere la villa Ginestra, da quel punto proseguiamo verso sud con la Strada Statale per cinque chilometri, fino a trovare, in base alle indicazioni per la Colonia Penale di Is Arenas ed alla spiaggia di Scivu, la deviazione sulla Strada Comunale di Scivu. La seguiamo per settecento metri a raggiungiamo la frazione Gennamari (altezza, distanza in linea d’aria circa 11,99 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti). All’interno di questa frazione si trova la Miniera di Gennamari di cui abbiamo già parlato. Questo giacimento è stato scoperto già in età romana, ma, dopo un lungo periodo di oblio, è stato riscoperto da un fabbro di Arbus nel 1829. Nei pozzi di Gennamari dalla fine dell’ottocento veniva coltivato il medesimo corpo filoniano della miniera Ingurtosu, ed il minerale estratto veniva convogliato alle laverie di Naracauli. A settecento metri dall’imbocco della Strada Comunale di Scivu, troviamo il Villaggio minerario di Gennamari, con al centro il Palazzo della Direzione con il solaio del piano terra crollato perché un muro portante è stato smontato per asportare i mattoni, e di altri edifici tra i quali i ruderi della chiesa di Sant’Antonio da Padova. Percorsi altri trecento metri lungo la Strada Comunale di Scivu, prendiamo la sterrata sulla destra che conduce a Bau, e in un chilometro e trecento metri raggiungiamo il Pozzo Giordano. Di fronte al Palazzo della Direzione, un’altra strada in novecento metri conduce ail Pozzo Edoardo sull’altipiano di Bidderdi nei pressi della regione mineraria di Gragonti, e dopo ottocento metri si raggiunge la SS126 sud Occidentale Sarda, a trecento metri a nord della Cantoniera Bidderdi, ed attraversata la Strada Statale si raggiunge il Pozzo est anch’esso in località Bidderdi, in un’area mineraria che faceva parte della attigua concessione di Crabulazzu o Crabulatzu. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, in un viaggio che si svolgerà tra capo Frasca e capo Pecora visiteremo tutta la cosiddetta costiera di Arbus che comprende la Costa Verde che si sviluppa da Pistis a Torre dei Corsari, Porto Palma e Marina di Arbus, per proseguire oltre la Costa Verde per arrivare fino alle dune di Piscinas ed alle isolate spiagge di Bau e Scivu. |