L’occupazione catalano-aragonese fieramente contrastata dall’ultima resistenza del Giudicato d’Arborea
In questa pagina vedremo come, nel 1323, inizia l’occupazione catalana della Sardegna, con l’ultima resistenza del Giudicato d’Arborea. Vedremo la dominazione catalano-aragonese con sovrani appartenenti alla Corona d’Aragona, che si prolunga fino al 1410. Bonifacio VII crea il Regnum Sardiniae et Corsicae e lo dà in feudo a Giacomo II d’AragonaLa cosiddetta Corona d’Aragona è il nome dato all’insieme dei regni e territori soggetti alla giurisdizione dei sovrani d’Aragona dal 1134 al 1715, ed occupa inizialmente i territori della Spagna orientale, che comprendono le attuali province di Catalogna e d’Aragona. L’unione di questi territori avviene grazie al matrimonio, nel 1137, di Ramon Berenguer IV conte di Barcellona con Petronilla regina d’Aragona. Da quel momento i due territori di Barcellona e d’Aragona, pur rimanendo del tutto autonomi, vanno a formare la cosiddetta Corona d’Aragona, che verrà, nei secoli, accresciuta di altri territori, che consistono nei regni di Maiorca, di Valencia, di Napoli, di Sicilia, di Sardegna, della conte di Provenza, nonché dei ducati di Atene e di Neopatria. Pur trattandosi dell’unione dei due territori e dovendosi quindi più propriamente chiamare Catalano-aragonese, dato che va a costituire la Corona d’Aragona, verrà indicata in questa trattazione con il termine di Catalana. Dai Vespri Siciliani all’arrivo dei CatalaniLa conquista catalana della Sardegna parte da lontano. alla fine del tredicesimo secolo, la Sicilia vive sotto il regime di Carlo I d’Angiò fratello di Luigi nono re di Francia, che è vassallo del pontefice del quale è al servizio assoluto. Carlo, sposato con Beatrice di Provenza aveva conquistato il regno di Napoli e di Sicilia nel 1266, sconfiggendo a Benevento l’ultimo re svevo ossia il re Manfredi Svevia. Egli governa in modo dispotico e assoluto, confisca tutti i beni ai Baroni locali sostituendoli con nobili francesi, e sposta la capitale del regno da Palermo a Napoli. Mentre si era in attesa della funzione del vespro del 31 marzo 1282, il lunedì di Pasqua, sul sagrato della Chiesa dello Spirito Santo a Palermo avviene uno scontro che dà origine alla rivolta popolare nota con il nome di Vespri Siciliani. Dopo i vespri, i nobili siciliani offrono la Corona di Sicilia a Pietro III d’Aragona il Grande, marito di Costanza figlia del defunto re Manfredi Svevia. L’aver fatto cadere su di lui la scelta significa, per gli isolani, la volontà di ritornare in un certo modo alla dinastia sveva, incarnata da Costanza. Al tempo di Pietro III, la corona d’Aragona è protesa verso una notevole espansione politica e mercantile in tutta l’area mediterranea, in concorrenza con le marinerie pisane, genovesi e veneziane, alle quali contende il predominio sui ricchi mercati orientali. Grazie ad una rotta d’altura chiamata la Rota de las Islas, che passa attraverso le isole Baleari, la Sardegna, la Sicilia, la Grecia e Cipro, ed utilizzando diversi empori situati in queste tappe intermedie, i Catalani riescono a dimezzare i tempi di percorrenza delle navi mercantili, con un gran risparmio sui costi sulla tratta da Barcellona a Beirut. La Sicilia e la Sardegna, per la loro posizione strategica, costituiscono delle basi indispensabili per questo audace progetto, in quanto i loro porti costituiscono un approdo ideale per le navi che percorrono quelle rotte. I Catalani assumono in primo luogo il controllo della Sicilia, che mantengono fino al 1295, quando a seguito della contesa tra Angioini e Catalani relativa all’eredità degli Hohenstaufen, si ottiene la firma del trattato di Anagni, che era stato avviato su proposta del papa Celestino V e verrà concluso dal suo successore Bonifacio VIII. Sulla base di questo trattato, il re Giacomo II d’Aragona detto il Giusto, figlio e successore di Pietro III, cede la Sicilia a Carlo II d’Angiò detto lo Zoppo, figlio e successore di Carlo I, che ritorna ad affermare il proprio governo tirannico sulla Sicilia. In cambio Giacomo II d’Aragona ottiene i feudi Sardegna e di Corsica. I Siciliani si sentono però traditi e, non volendo rinunciare alla loro autonomia, dichiarano decaduto Giacomo II d’Aragona, ed eleggono al trono il fratello, Federico d’Aragona, che assume il nome di Federico III d’Aragona detto il Semplice, noto anche come Federico III di Sicilia, che è molto sensibile alle istanze della Sicilia. Da allora, il destino del regno di Sicilia, retto dai Catalani fino al passaggio sotto la Corona di Spagna, viene legato a quello della Sardegna. papa Bonifacio VIII crea il Regnum Sardiniae et Corsicae e lo assegna a Giacomo II d’AragonaIl papa Bonifacio VIII subito questo grave smacco, per reazione il 4 aprile del 1297, a Roma nell’antica Basilica di San Pietro, crea il Regnum Sardiniae et Corsicae che si può vedere come il precursore del successivo regno d’Italia. Si tratta di uno Stato sovrano vero e proprio, con un suo territorio, con un popolo ed un vincolo giuridico, ma comunque di uno Stato imperfetto, perché non ancora dotato di somma potestà, ossia della facoltà di stipulare autonomamente trattati internazionali. Il papa Bonifacio VIII lo assegna in feudo a Giacomo II d’Aragona, al quale due anni prima, con il trattato di Anagni, aveva già fatto assegnare i feudi Sardegna e di Corsica. Egli gli concede la Licentia invadendi, e la sua speranza è che questi ne prenda possesso, e che possa, partendo da qui, contrastare il controllo che la repubblica di Pisa ha affermato sulla maggior parte dell’Isola, e che potrà in seguito riprendere anche la Sicilia. Giacomo II d’Aragona detto il Giusto, che è nato a Valencia il 10 agosto 1267, succede nel 1285 al padre in Sicilia, e nel 1291 al fratello Alfonso III in Aragona, e regna fino alla morte a Barcellona il 2 novembre 1327. Si tratta di un uomo di grande abilità politica, permeato di spirito cavalleresco, colto e raffinato, che aveva dato un forte impulso alla politica di espansione mediterranea della Corona. L’occupazione dell’isola da parte della Corona d’Aragona a partire dal 1323Vediamo, ora, l’occupazione del’isola da parte della Corona d’Aragona. Il primo regnante catalano del regnum Sardiniae ed Corsicae è, quindi, Giacomo II d’Aragona il Giusto, che decide nel 1323 di prendere possesso dell’Isola, ed il cui regno durerà solo quattro anni fino al 1327. Giacomo si trova al fianco di Carlo II d’Angiò e gli Angioini, contro il fratello Federico III d’Aragona ed i Siciliani. È sulla Sicilia che si concentra lo scontro, con Federico che consolida il suo dominio sull’isola. Gli Aragona, impegnati oltre che in Sicilia anche nello scontro con le repubbliche marinare e nelle attività per il controllo del Mediterraneo e della via delle spezie, impiegheranno ben venticinque anni prima di iniziare ad occuparsi della Sardegna. La Corsica, invece, dal 1299 appartiene stabilmente alla repubblica di Genova, e, nonostante i vari tentativi di invasione, non verrà mai conquistata. Il controllo del Giudicato d’Arborea da parte della dinastia dei Cappai de Bas-SerraNella Sardegna i territorio che erano appartenuti ai Giudicati sono ora controllati dalle repubbliche di Genova e di Pisa, e l’unico che sopravvive indipendente è il Giudicato d’Arborea. alla morte di Giovanni d’Arborea detto Chiano nel 1304, inizia a governare il Giudicato d’Arborea la dinastia dei Cappai de Bas-Serra. Il governo di Andreotto d’Arborea che regna insieme al fratello Marianoalla messa a morte da una rivolta popolare di Giovanni d’Arborea detto Chiano nel 1304, la Corona de Logu intronizza il primo dei due figli naturali illegittimi chiamati Andreotto e Mariano, che gli succederanno nel governo del Giudicato, avuti da Vera Cappai di Villasalto, che era una ricca benestante figlia del banchiere conte di Muravera e Villasalto Johanni Perra de Cappai, considerata sua concubina dalle fonti cattoliche dell’epoca, ma che si può ritenere fosse una sorta di moglie morganatica secondo una tradizione indigena più volte messa in pratica dai giudici sardi. Quindi a Giovanni d’Arborea succede il figlio maggiore, Andreotto Cappai de Bas-Serra, che sale al trono e regna con il nome di Andreotto d’Arborea assieme al fratello minore Mariano. Andreotto governa fino alla morte nel 1308, e, in qualità di maggiore dei due fratelli, secondo l’uso bizantino, è lui a comandare, come Autocrator basileus. Poco prima di morire, Andreotto acquista, con la collaborazione del fratello Mariano, dalla famiglia dei Marchesi Malaspina, i loro diritti sulle curatorie di Planargia compreso il Castello di Serravalle a Bosa. I proventi derivanti da queste acquisizioni, fanno parte del patrimonio privato del giudice, chiamato Pegugiare, i cui proventi vengono amministrati separatamente dal demanio del Giudicato, ossia dal rennu del Giudicato. Comunque i proventi di queste acquisizioni, pur risultando possessi privati del giudice, vengono da lui usati per finanziare l’amministrazione demaniale del Giudicato. Il governo di Mariano III d’Arborea che per liberarsi da Pisa si avvicina ai CatalaniMorto nel 1308 Andreotto d’Arborea, viene intronizzato dalla Corona de Logu il fratello minore Mariano Cappai de Bas-Serra, che sale sul trono e regna con il nome di Mariano III d’Arborea fino alla morte nel 1321. Anche lui aveva partecipato, con il fratello Andreotto, all’acquisto della Planargia dai Marchesi Malaspina. Sebbene sia, a tutti gli effetti, il legittimo giudice d’Arborea, viene costretto dai Pisani a comprare nel 1312 da Enrico VII di Lussemburgo Imperatore del Sacro Romano Impero i propri diritti di successione sul Giudicato. Viene anche da loro costretto a sposare, sia pure solo verbalmente per procura, la nobildonna pisana Costanza da Montalcino. Egli non conosce nè vive mai con Costanza di Montalcino, la sua moglie per procura, convive invece con una concubina, la nobildonna Padulesa de Serra, dalla quale ha sei figli illegittimi, il primo è Ugone, la seconda della quale si ignora il nome diviene la moglie di Bonacorso de Amirato, seguono Guglielmo, Gonnario, Sardinia, ed ultima Adelasia. Mariano III viene ricordato per aver restaurato strade e ponti, per aver completato le mura e le torri difensive della sua capitale Oristano, ed infine per aver completato la costruzione del nuovo Palazzo arcivescovile. Poco dopo nel 1314, preso atto della politica sempre più invadente della repubblica di Pisa, e per il malcontento non più governabile della popolazione, si stacca da Pisa e quindi, verso il 1320, si avvicina a Giacomo II d’Aragona, che inizia ad avere delle mire sulla Sardegna, al quale chiede un aiuto per cacciare i Pisani dalla Sardegna. Il governo di Ugone II d’Arborea che si riconosce vassallo del re d’AragonaAllla morte del giudice Mariano III d’Arborea nel 1321, gli succede il primo dei suoi sei figli illegittimi, Ugone della casata Cappai de Bas-Serra, che viene intronizzato dalla Corona de Logu e sale al trono con il nome di Ugone II d’Arborea e che regnerà fino alla morte per malattia a Sardara il 5 aprile 1335. Come il nonno ed il padre, anche Ugone II d’Arborea convive con una concubina, una donna della quale si ignora il nome, dalla quale ha tre figli illegittimi, il primo è Lorenzo che verrà in seguito legittimato, a cui seguono Angiolesa e Preziosa. Sposa in seguito una certa Benedetta che morirà circa nel 1345 da cui nascono nove figli legittimi, Pietro che gli succederà con il nome di Pietro III, Mariano che succederà al fratello maggiore e regnerà con il nome di Mariano IV, la figlia Bonaventura che sposerà Pere de decimoèrica, Francesco che sarà il canonico di Urgel, Maria che sposerà Guglielmo Galcerà di Rocabertí, Giovanni che divenuto Giovanni signore di Bosa e Monteacuto si ribellerà contro contro il fratello Mariano IV e verrà imprigionato, Nicola canonico di lleida ed avo di Leonardo Cubello. Salito al trono, egli viene fortemente avversato dai Pisani che nonostante la sua intronizzazione lo ritengono un erede illegittimo in quanto figlio illegittimo di Mariano III. Allora egli si avvicina ai Catalani, sostenendo le pretese di Giacomo II d’Aragona sul Regnum Sardiniae et Corsicae. E nel 1322, il re d’Aragona Giacomo II gli Conferma l’infeudazione concedendogli la facoltà e il potere di concedere feudi, franchigie, grazie, alle comunità e alle singole persone disposte a riconoscere il dominio catalano in Sardegna. Ugone dal canto suo presta giuramento di fedeltà al sovrano d’Aragona e ai suoi successori. Nel 1323 accetta di divenire vassallo per Commendatio personalis della Corona d’Aragona, alla quale fa un giuramento di fedeltà ed accetta il pagamento d’un censo annuo di 3.000 fiorini d’oro, in cambio del mantenimento dei diritti dinastici e di un’eventuale protezione militare, nella speranza di poter espandere il suo controllo sull’intera Sardegna. Quindi, Ugone II ritiene di sottostare anche alle impostazioni feudali che Giacomo II vuole dare all’alleanza, ma ciò è soltanto un modo di evitare una guerra diretta, infatti mai un giudice avrebbe potuto sentirsi subordinato a un qualsiasi sovrano esterno. Il suo consolidamento dell’alleanza con i Catalani è determinato da un errato calcolo politico, almeno a giudicare dalle conseguenze che con il tempo avrà. Il contributo militare dato dal Giudicato di Arborea alla realizzazione di una testa di ponte sull’isola per conto dei Catalani, diventerà infatti determinante. L’11 aprile 1323, Ugone assalta con mercenari privati una truppa pisana che ha sconfinato nei suoi territori in una zona di confine, forse a Sardara, oppure al confine meridionale tra Villanovaforru e Sanluri, e li sconfigge nei pressi di Sanluri. Per combattere contro i Pisani chiede aiuto a Giacomo II, che prontamente invia nell’isola tre galere cariche di un piccolo corpo di spedizione composto da 2.000 fanti e 200 cavalieri, al comando del suo uomo di fiducia Gherardo visconte di Roccaberti e di suo nipote Dalmazzo, che partono da Barcellona prendendo posizione vicino a Quartu, a poca distanza da Castel di Castro. Queste truppe non costituiscono che l’avanguardia di quella che sarà la forza di invasione vera e propria che si sta radunando in Catalogna. Ma Giacomo II d’Aragona non si trova nelle condizioni di poter sostenere economicamente la costosa conquista militare dell’Isola, e si trova, quindi, nella necessità di richiedere l’aiuto dei suoi sudditi. Allora l’isola inizia a rappresentare, per la corona d’Aragona, una terra che promette facili arricchimenti. Rispondendo positivamente al loro sovrano, essi contribuiscono in prima persona al finanziamento delle spedizioni militari, spinti dalla certezza di una lauta ricompensa. A conquista avvenuta, infatti, il re ricompenserà e premierà generosamente coloro che hanno contribuito al successo, distribuendo loro cariche, prebende, terre e privilegi. La conquista dell’isola da parte dell’infante Alfonso d’AragonaDopo una lunga preparazione, il 13 giugno 1323 i Catalani, per prendere possesso dell’isola che era stata assegnata loro venticinque anni prima da papa Bonifacio VIII, sbarcano in Sardegna. Consigliata da Ugone II d’Arborea, la flotta catalana, formata da 53 galere e 11mila uomini, al comando dell’Infante Alfonso d’Aragona primogenito del re Giacomo II nato a Napoli il 4 novembre 1299, approda nel golfo di Palmas, nel Porto Sulcitanum che si trovava nell’attrezzata spiaggia di Porto Botte in territorio di Giba a sud di San Giovanni Suergiu, con lo scopo dichiarato di liberare l’isola dalla opprimente presenza pisana. L’infante Alfonso, dopo lo sbarco, si unisce alle truppe di Ugone II d’Arborea, ed insieme Cingono d’assedio Villa di Chiesa oggi Iglesias, che era stata controllata da Ugolino della Gherardesca decenni prima e ora sotto il controllo della repubblica di Pisa. Ad ottobre una flotta pisana compe un’incursione nelle acque di Portovesme dove brucia due galee catalane per poi ritirarsi. La ricca città mineraria, non ricevendo aiuti da Pisa, si arrende per fame dopo sette mesi di resistenza il 7 febbraio del 1324. Presa la città, le forze della coalizione occupano il Campidano e si avvicinano a Cagliari, ricongiundosi con gli armati di Gherardo de Roccaberti stanziati a Quartu. In aiuto di Castel di Castro i Pisani inviano in Sardegna una flotta di 40 galee, 12 uxer, 60 barche di piombinesi al comando del conte Manfredi della Gherardesca, che fa scalo ad Olbia dove imbarca 200 cavalieri provenienti dai possedimenti galluresi insieme ad altre forze, complessivamente la flotta trasporta 500 cavalieri e mille balestrieri. Mentre si avvicinavano a Castel di Cagliari, le navi pisane vengono intercettate dalle galee catalane ma i Pisani rifiutano lo scontro e concedono ai Catalani lo sbarco vicino a Capoterra. Il 29 febbraio l’esercito catalano e quello pisano si affrontano in una battaglia campale presso l’attuale Elmas nella cosiddetta battaglia di lucocisterna che si risolve con una sofferta vittoria degli iberici. Dopo la vittoria a lucocisterna, i Catalani si attestano sul colle di Bonaria, dove iniziano la costruzione di una rocca, la Roccaforte di Bonaria cinta di mura. In pratica si tratta di una nuova città, che in sei mesi arriva ad avere una popolazione di 6mila uomini. Quella fortificazione è andata distrutta lasciando spazio a nuove costruzioni, e del Castello di Bon Ayre, come si chiamava la fortificazione catalana, rimane solo una torre parzialmente mozzata e difficilmente osservabile dall’esterno, se non da alcuni punti nella zona di via Caboni. Nel dicembre 1325 la flotta catalana di Francesco Carroz sconfigge in una battaglia navale nel golfo di Cagliari quella pisano-genovese affidata a Gaspare Doria. Nel gennaio 1326 i Catalani guidati da Ramon de Peralta assaltano Stampace e nella battaglia di Stampace ne massacrano la popolazione, dopo di che il 10 giugno le truppe catalane entrano dall’porta di San Pancrazio e Castel di Castro capitola. Dal 19 giugno 1324 al 10 giugno 1326, la prima capitale del regno è la roccaforte di Bonaria, dopo di che diventa Castel di Castro che viene rinominata Castel de Càller. Il trattato di pace, firmato anche da Ugone, prevede la cessione ai Catalani di tutti i possedimenti pisani di Cagliari e della Gallura. Nasce così, giuridicamente e di fatto, il Regno di Sardegna. Per riconoscenza, l’infante Alfonso, grazie ai poteri conferitigli dal padre, concede in feudo a Ugone e ai suoi eredi il Giudicato d’Arborea, con le città, le ville, i castelli e i territori posseduti. I Catalani concludono l’occupazione del resto dell’Isola, che vedrà diversi tentativi di ribellione guidati dai Doria e dai Malaspina nel nord e dai Pisani nel sud. L’infante Alfonso torna in patria dalla Sardegna vittorioso, ma le basi su cui si fonda il suo successo non sono molto solide, data l’ambiguità dei rapporti con il Giudicato d’Arborea al sud, e al nord con i Doria ed i Malaspina. Nel 1325 la ribellione di Sassari, controllata da Genova e dai Doria e Malaspina, convince Pisa a riprendere le armi. I Pisani conquistano a Cagliari il Castel di Castro, che dovranno però abbandonare il 10 giugno 1326, per cederlo di nuovo ai Catalani. Ininterrottamente, dal 10 giugno 1326 fino al 17 marzo 1861, quando il Regno di Sardegna confluisce nel nascente regno d’Italia, la capitale del regno diviene la città di Cagliari, dove nel palazzo regio di piazza Castello, i Catalani e successivamente gli Spagnoli, si insediano e cercano di iberizzare al massimo le istituzioni. Il regno di Alfonso IV d’Aragona il Benigno che porta in Sardegna il regime feudaleMorto Giacomo II nel 1327, gli succede il figlio primogenito, quello che abbiamo già incontrato come l’infante Alfonso, che sale al trono ventottenne con il nome di Alfonso IV d’Aragona il Benigno, conte di Barcellona e quindi sovrano della Catalogna e Aragona, che era nato a Napoli il 4 novembre 1299 e che regnerà fino alla morte a Barcellona il 24 gennaio 1336. Gli Aragona inseriscono nel loro Stemma l’effige dei quattro Mori per rappresentare il loro dominio sulla Sardegna. Già dall’inizio della dominazione catalana, nei territori sottratti alla repubblica di Pisa viene instaurato il regime feudale e quindi la Sardegna viene governata dai Catalani tramite i feudatari, affidando piccoli feudi a quelli che avevano appoggiato l’infante Alfonso nella sua campagna per la conquista dell’Isola. Così, nei primi anni della dominazione aragonese, in Sardegna erano presenti già trentotto grandi feudi, legati a compensi militari, che giovavano alla Corona d’Aragona in quanto i feudatari rappresentavano una classe sicura per il controllo e la difesa del territorio. L’opera di Alfonso IV di ispanizzazione del nuovo regno non è però nché facile nché tanto meno indolore. Si verificano frequenti movimenti antiaragonesi dovuti alla soffocante dominazione iberica, che aveva instaurato il feudalesimo in una terra abituata alla Libertà, prima quella giudicale e poi quella Comunale. Già al tempo di Giacomo II nel 1325 si era già avuta la sollevazione di Sassari, nel 1328 si verifica la seconda rivolta nel capoluogo logudorese, il 26 settembre 1329 si ha la terza e più disgraziata insurrezione sassarese e la conseguente sanguinosa repressione. Tra i fatti più notevoli di quel periodo si può ricordare nel 1330 la distruzione della villa di Aryagono, in comune di Aglientu in Gallura, con l’eccidio di tutta la popolazione del paese, uomini, donne e bambini per aver soppresso nel 1329 il proprio signore, il catalano Martinez de lo Poyo. Le concessioni di Alfonso IV d’Aragona a Ugone II d’ArboreaNel maggio 1328 il re Alfonso IV d’Aragona, detto il Benigno, rinnova e conferma i benefici che, nel 1323, quando era ancora infante, aveva concesso a Ugone II d’Arborea. A nome di quest’ultimo, giurano fedeltà al re catalano il figlio primogenito, Pietro, e Guidone, arcivescovo di Arborea. Ed il sovrano d’Aragona concede al giudice d’Arborea anche il privilegio di poter conferire, ai suoi figli maschi legittimi, i titoli di conte, visconte o marchese. Ugone II d’Arborea dà ai suoi figli un’educazione catalana, e fa loro frequentare la corte di Barcellona. I re d’Aragona cercano, infatti, in vari modi, di tenersi alleati gli Arborea. Per questo, i Catalani attribuiscono rango sovrano al giudice e ai suoi figli, ed iniziano a stringerli in legami di parentela con diversi matrimoni. Li tengono a corte e li ricoprono di vari titoli nobiliari. Il principale titolo che viene rilasciato ad Ugone II è quello di visconte di Bas, in Catalogna, che è molto significativo tenendo conto che il titolo di visconte è il principale titolo della nobiltà catalana, dopo il sovrano. I figli degli Arborea, nel cerimoniale di corte, vengono considerati appena dietro gli infanti d’Aragona. Ma queste concessioni non valgono a trasformare gli Arborea in reali vassalli del re d’Aragona. A sottolineare la distanza tra la concezione di vassallaggio, presente nel sovrano catalano, e l’idea di libero Giudicato, che hanno gli Arborea, vi è anche il fatto che, alla corte in Aragona, i figli del giudice non hanno alcun titolo nobiliare, perché per il giudice ed i suoi discendenti qualsiasi titolo nobiliare sarebbe inferiore a quello del giudice stesso. Tra il 1330 ed il 1335 assistiamo alla guerra tra Aragona e Genova per il controllo del Mediterraneo occidentale. I Catalani non riescono a controllare l’isola nella quale invece aumenta l’opposizione dei Doria e dei Malaspina, quindi si vedono costretti ad affidare le difesa del territorio ai giudici d’Arborea, prima Pietro III, poi Mariano IV. Per rinsaldare i rapporti con la Chiesa cattolica, nel 1335 il re Alfonso IV dona la Chiesa sul colle di Bonaria, nel luogo allora detto di Buenaire ossia dell’aria buona, a Carlo Catalano nato a Cagliari da famiglia nobile ed imparentato con Giacomo II d’Aragona, tornato dalla Spagna indossando l’abito religioso dell’Ordine della Mercede, ed a quattro monaci Mercedari arrivati con lui, che vi costruiscono il convento di Bonaria nel quale ancora oggi hanno la loro dimora. Il giudice Ugone II d’Arborea, che ha acquistato, nel 1334, in Catalogna, la villa di Molins de rey ed i castelli di Gelida e di Matarò, muore di malattia nel 1336, lasciando il trono di Arborea al figlio primogenito legittimo Pietro che salirà al rono con il nome di Pietro III d’Arborea. Il governo di Pietro III d’ArboreaNel 1335, durante la malattia di Ugone II e circa un anno prima della sua morte, la Corona de Logu intronizza il figlio primogenito Pietro della casata Cappai de Bas-Serra, che sale al trono con il nome di Pietro III d’Arborea nato nel 1314 e che regnerà fino alla morte nel 1347. Pietro III d’Arborea si era già sposato dal 1326 con Costanza Alamarici, una giovane di lontane origini piemontesi figlia del marchese Filippo di Saluzzo, che è il primo governatore catalano della Sardegna, ma da lei non aveva avuto figli. Non si sa molto del governo di Pietro III d’Arborea, ma si sa che consolida i buoni rapporti con la dinastia catalana tanto che nelle sue insegne personali, accanto al Desdichado ossia all’albero sradicato del Giudicato di Arborea, vengono raffigurati i pali presenti sullo stemma d’Aragona. Durante il suo regno non avvengono fatti rilevanti, ed il Giudicato è posto sotto la forte influenza del suo cancelliere Guido Cattaneo arcivescovo di Arborea, e dal canonico di Tramatza e dottore in legge Filippo Mameli. Non molto altro si conosce sul regno del giudice Pietro III d’Aborea, se non che nel 1343, per rinsaldare i suoi buoni rapporti con la Chiesa cattolica, riceve da papa Clemente VI il benestare per la fondazione a Oristano del convento delle monache Clarisse. Appena fondato questo convento, in esso arrivano le prime monache che provengono dalla Spagna. Le monache clarisse sono le religiose appartenenti all’ordine fondato nel 1212 da San Francesco e Santa Chiara d’Assisi, dalla quale le clarisse derivano il nome, che seguono la regola approvata nel 1253 da papa Innocenzo IV. Pietro III d’Arborea muore, senza eredi diretti, nel 1347, e la Corona de Logu intronizza il fratello Mariano, che è il figlio secondogenito di Ugone II d’Arborea, il quale salirà al trono con il nome di Mariano IV e sarà, probabilmente, il più grande sovrano del più noto e importante Giudicato sardo. Il regno di Pietro IV d’Aragona il CerimoniosoNel 1336, lo stesso anno in cui muore Ugone II, muore anche re Alfonso IV d’Aragona. Al suo funerale a Barcellona il giudice Pietro III d’Arborea viene rappresentato dal fratello Mariano, che studia laggiù, e che partecipa attivamente all’incoronazione di Piero IV d’Aragona il Cerimonioso, nato a Balaguer il 5 settembre 1319 che regnerà fino alla morte a Barcellona il 5 gennaio 1387. Mariano rende omaggio a Pietro IV ed ottiene da lui in vassallaggio la conte di Goceano. Il sovrano catalano concede al Regno di Sardegna e Corsica la costituzione di un Parlamento, ed il 15 febbraio 1355 convoca a Cagliari il Primo Parlamento sardo al quale il compito di rappresentare gli ordini sociali nell’assemblea sono affidato a tre Bracci o Stamenti. Si tratta di quello militare o feudale che comprende i feudatari, i nobili e i cavalieri; quello ecclesiastico che comprende il clero regolare e secolare; e poi quello regio che comprende i cittadini delle città non infeudate, ossia delle ville regie ossia le principali città della Sardegna che sono governate direttamente dal rappresentante del re. Al momento le città non infeudate sono tre, dal 7 giugno 1327 Iglesias già Villa di Chiesa, dal 25 agosto 1327 Cagliari noto come Castel de Càller, dal 20 agosto 1331 Sassari chiamata Sàsser. I lavori del primo Parlamento si prolungano fino al marzo del 1355. Secondo un documento del 1355, sarebbe dovuta a Pietro IV d’Aragona la costruzione del Castello di Sanluri per la difesa del borgo contro possibili assalti. L’attuale proprietario il conte Alberto Villasanta sostiene che fosse stato edificato già durante il regno di Pietro I di Arborea, fra il 1188 ed il 1195 per difendere il Giudicato dagli assalti di quello di Cagliari. Passato ai Catalani il Castello sarebbe stato rafforzato nel 1355. Successivamente Sanluri diventerà centro di scontri tra la Corona Aragonese ed il Giudicato di Arborea, e scenario nel 1409 dello scontro cruento e decisivo nella battaglia di Sanluri fra truppe arborensi e spagnole, che conquistano definitivamente la residenza fortificata. Il Castello verrà ampliato dai Catalani nel 1436, con l’aggiunta di quattro torri angolari merlate riunite da un camminamento di ronda. In seguito la sua funzione militare termina, e il Castello diviene una dimora di proprietà di varie famiglie nobili spagnole. La pima guerra sardo-catalanaIl governo in Arborea di Mariano IV che si allontana dai Catalani e nel settembre del 1353, dopo aver messo fine al suo rapporto di vassallaggio con Pietro IV d’Aragona, a seguito di una delibera dalla Corona de Logu dichiara la guerra all’Aragona ed inizia la prima guerra sardo-catalana che si conclude l’11 luglio 1355 con la pace di Sanluri Il governo di Arborea di Mariano IV che contrasta Pietro IV d’Aragona e riunisce sotto il proprio regno quasi tutta la SardegnaNel 1347, alla morte senza eredi diretti di Pietro III d’Arborea, la Corona de Logu intronizza come giudice il fratello Mariano della casata Cappai de Bas-Serra, che assume il nome di Mariano IV d’Arborea. Mariano era nato a Oristano nel 1319 e governerà fino alla morte a Oristano nel maggio 1375. Egli era stato inviato su volere del padre a vivere in Catalogna dal 1331 al 1342, e qui era stato trattato come se fosse stato un infante d’Aragona. Nel 1336, a Barcellona, aveva sposato la nobile Timbora de Rocaberti, figlia del visconte Dalmau IV e di Beatriu de Serralonga, dalla quale aveva avuto quattro figli, il primo Ugone che gli succederà nalle guida del Giudicato, Beatrice che diventerà viscontessa consorte in quanto sposa di Aimerico sesto di Narbona, una bambina deceduta precocemente nel 1346, e poi Eleonora uno dei principali personaggi della storia della Sardegna. Ma sempre nello stesso anno, alla morte del padre Ugone II, Mariano era ritornato a Oristano. Nel 1339, al Donnikello Mariano, era stato riconosciuto da Pietro IV d’Aragona il titolo di visconte de Bas in Catalogna, ed inoltre di conte del Goceano e signore della Marmilla. Questi possedimenti, al di fuori del territorio giudicale, rendono di fatto Mariano vassallo del sovrano. Tale rapporto viene evidenziato anche esteriormente, dato che nel suo Armoriale sopra il Desdichado ossia l’albero sradicato del Giudicato di Arborea, sono raffigurati i pali presenti sullo stemma d’Aragona. Egli, con un’abile mossa politica, aveva restaurato l’antico Castello del Goceano a difesa del confine nord del Giudicato, e fatto edificare un borgo sotto il Castello, che viene chiamato Su Burgu, ossia Burgos. Nel 1342, Mariano si era trasferito insieme alla famiglia, ed era andato a vivere nel Castello del Goceano, dove si era adoperato per rendere florida l’agricoltura, cosa che si dimostrerà importante per la ripresa economica del Giudicato, che versa in uno stato di forte crisi a causa della guerra contro Pisa, e sarà fondamentale, nei successivi decenni di guerra. Durante questo periodo, aveva emanato una prima serie di norme di legge scritte, che principalmente regolamentano l’allevamento e l’agricoltura, allo scopo di migliorarne la produttività, ed in parte già avevano iniziato a trattare anche del diritto penale. Nel 1347, dopo la nomina a giudice, inizia a governare, e si dimostra uomo di grande cultura e preparazione politica. Dispensa onori, ma anche terribili punizioni, come quando fa impiccare due Sardi che avevano incitato al linciaggio di quaranta Catalani rinchiusi nelle carceri arborensi. Ha dalla sua parte la conoscenza profonda dei Catalani e del loro modo di pensare. Mariano IV è stato uno dei principali personaggi del periodo medioevale sardo, e, con lui, inizia un’epoca di grande splendore per il Giudicato d’Arborea, la cui capitale, Oristano, viene frequentata da importanti personaggi del continente italiano ed europeo. In quel periodo vengono particolarmente curate le arti e l’istruzione del popolo, viene potenziato il sistema viario ed incrementata l’agricoltura. Egli è colto ed intelligente, parla correntemente la lingua sarda, conosce il latino, il catalano, l’italiano, ed è in corrispondenza epistolare con le maggiori personalità del tempo, fra cui Caterina da Siena. Ha svolto, inoltre, una grande operazione di modernizzazione del regno, abolendo tra l’altro, nel 1353, la classe sociale dei servi, promulgando il Codice rurale, raccolta di leggi che regolano nel Giudicato d’Arborea le attività agro: il pastorali, e dando inizio alla stesura del codice di leggi civili e penali detto la Carta de logu, che verrà portato a termine dalla sorella Eleonora d’Arborea. Tra la fine del quattordicesimo secolo e gli inizi del quindicesimo secolo, anche la Sardegna subisce i devastanti effetti della peste, la cosiddetta Gran Morte o Morte Nera che imperversa con una prima ondata a partire dal 1347, alla quale segue una seconda ondata a partire dal 1353, e porta morte e distruzione in tutta Europa, uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente. L’epidemia si diffonde anche nell’Isola, decimando le città ed i villaggi, già fortemente provati dalle continue guerre tra Arborensi e Catalani. A Cagliari, dove in media muoiono 200 persone al giorno, quando i morti diventano così numerosi che gli Interradores a stento riescono a seppellirli in bare collocate nelle fosse comuni, i cadaveri cosparsi di calce vengono gettati nelle grotte del Fossario dove si trovano ancora oggi enormi stratigrafie di morti deposti uno sopra l’altro. I resti del Fossario sono presenti ancora oggi sotto la stretta via del Fossario, che parte subito alla destra della Cattedrale di Santa Maria Assunta. Allontanamento dai Catalani che hanno portato in Sardegna il regime feudaleDopo oltre quindici anni di alleanza dell’Arborea con la Corona d’Aragona, secondo la linea diplomatica tracciata dal padre, Mariano si accorge che la Corona d’Aragona sta portando in Sardegna il feudalesimo. Infatti, la politica degli Aragona è tipicamente improntata a un regime feudale di tipo europeo, mentre in Sardegna il feudalesimo non è mai esistito. Si accorge che l’isola è troppo stretta per la coesistenza due Stati sovrani, e che la politica di Pietro IV prevede la graduale annessione della Sardegna nell’orbita catalana. Si accorge, inoltre, che gli Aragona hanno intenzione di trattarlo come un qualsiasi loro feudatario, mentre gli Arborea non riconoscono il regime feudale, né, soprattutto, si possono riconoscere feudatari subordinati a un regno straniero. A Giovanni fratello di Mariano IV, nominato da Pietro IV signore di Bosa e Monteacuto, territori che erano già stati infeudati a Giovanni da suo padre Ugone e da Pietro III, si devono i begli affreschi della Chiesa di Nostra Signora de sos regnos Altos all’interno dl Castello di Serravalle a Bosa, la cui esecuzione per ragioni stilistiche viene posta tra il 1340 e il 1345, e che si devono a un pittore toscano, probabilmente pisano, i cui modi ricalcano quelli del fiorentino Buffalmacco e del senese Pietro lorenzetti. Nel 1349 Mariano, che intende staccarsi dai Catalani, imprigiona suo fratello Giovanni che vorrebbe rimanere fedele alla vecchia alleanza. Mariano, che è anche un sovrano crudele, non esita quindi a imprigionare il fratello Giovanni ed il nipote Pietro, che reastano in prigione sino al loro decesso nel 1376. Nel 1353 inizia la prima guerra sardo-catalanaNel 1347 le forze catalane vengono sconfitte dai Doria a Aidu de Turdu presso Bonorva, ed in questa occasione gli Arborensi corrono in aiuto dei Catalani. La città di Alghero, che si trovava nei possedimenti della famiglia genovese dei Doria, è stata formalmente ceduta alla Corona d’Aragona, ma essa rimane sotto il controllo dei Doria, ed in questa città intorno al 1350 i frati Minori Conventuali edificano il complesso conventuale di San Francesco con la sua Chiesa. Per contrastare i Doria nel 1351 la Corona d’Aragona si allea con Venezia in funzione antigenovese. In seguito la famiglia Doria fomenta una rivolta, e i Catalani organizzano una spedizione navale, con a capo l’ammiraglio catalano Bernardo di Cabrera, che il 27 agosto 1353 sbaraglia le armate genovesi nella battaglia di Porto Conte vicino ad Alghero. I morti genovesi sono circa 2000 ed oltre 3500 uomini vengono catturati, anche gli alleati avranno molti feriti e almeno 300 o 400 morti. Già nel 1352 nel suo Armoriale i pali presenti sullo stemma d’Aragona vengono raffigurati sotto invece che sopra il Desdichado ossia l’albero sradicato del Giudicato di Arborea. Nel settembre del 1353 Mariano IV, dopo aver messo fine al suo rapporto di vassallaggio con Pietro IV, a seguito di una delibera dalla Corona de Logu dichiara la guerra alla Corona di Aragona. Hà inizio a un lungo periodo di guerre, che saranno accompagnate dalle terribili epidemie di peste. Mariano inizia ad invadere il sud, minacciando di tagliar mani e piedi alla popolazione che si fosse dimostrata riluttante e di confiscare i loro beni. Invade il sud, accolto dalla popolazione a braccia aperte, il 10 settembre cattura Gherardo della Gherardesca, comandante dei Catalani, ed arriva ad occupare oltre un terzo dell’Isola. Gli eserciti giudicali, con veloci e imprevedibili attacchi, costringono i Catalani a ritirarsi da tutti i territori dell’Isola, fatta eccezione per la inespugnabile rocca di Castel di Castro e la città di Alghero. Mariano si dirige verso Castel di Castro per assalirlo, ma quando la rocca di Cagliari, dopo un lungo assedio, è ormai prossima alla resa, il catalano Bernardo de Cabrera riesce a bloccare le truppe del Giudicato d’Arborea a Quartu. Mariano viene costretto a ritirarsi a Sanluri, perché minacciato dal contingente iberico, che, avanzando dall’interno, riporta piccole vittorie, mente nel nord dell’isola gli Arborensi alleati con i Doria riescono a conquistare Alghero, ed a minacciare nel 1354 Sassari con un assedio disastroso per la città senza possibilità di rifornirsi dall’esterno. Pietro IV, che nell’ottobre del 1353 ha fatto atto di vassallaggio a papa Innocenzo VI e giurato fedeltà alla Chiesa per il Regno di Sardegna e Corsica, è costretto l’anno successivo a trovare altri fondi e allestire una nuova e potente flotta per riconquistare la Sardegna. Arriva lui stesso, nel luglio del 1354, nella rada di Alghero con più di 90 galere, e, dopo mesi di estenuante assedio, la città viene conquistata e diventa per la Corona Aragonese la chiave di comunicazione dell’isola con la Catalogna. Mariano IV evita di affrontare il nemico in battaglie decisive, ma lo fiacca con attacchi di sorpresa e con imboscate, impedendo l’arrivo di rifornimenti dal sud dell’Isola. Pietro IV riesce, comunque, a piegare Alghero dopo una sanguinosa ribellione, ed il 13 novembre del 1354 viene firmata la cosiddetta pace di Alghero. Ma i rapporti di Mariano con la Corona d’Aragona peggiorano, dopo che il re gli ha negato il possesso di Alghero che gli aveva promesso in cambio dell’appoggio nel contrastare i Doria al tempo dello scontro vittorioso a Porto Conte contro Genova. E Mariano IV toglie, quindi, i pali Catalani dalle sue insegne, ed assume nel suo Armoriale solo il Desdichado, ossia l’albero sradicato, che era il simbolo del Giudicato prima del suo regno. Si ribellano ai Catalani anche i Doria nel nord dell’Isola. La pace di Sanluri nel 1355 conclude la prima guerra sardo-catalanaDopo le successive trattative di pace con l’Arborea, che vengono condotte da Pedro de Exerica cognato di Mariano IV, alla fine si arriva l’11 luglio 1355 alla pace di Sanluri firmata nel Castello omonimo, che conclude la prima guerra sardo-catalana che era iniziata iniziata nel 1353, la quale favorisce gli Arborensi che devono rinunciare solo ad Alghero. Con questa pace Mariano IV ottiene parecchi degli obiettivi per cui aveva provocato la rivolta, ossia l’autonomia del Giudicato, la Libertà di commercio dai porti arborensi, l’infeudazione della Gallura, la clausola che il governatore generale del Regno di Sardegna debba essere una persona a lui gradita e che il re d’Aragona non possa entrare nel merito delle decisioni del giudice di Arborea all’interno del Giudicato. Pietro IV può invece prendere possesso di Alghero, ed emana quindi un’ordinanza con la quale ingiunge ai Sardi abitanti ad Alghero di lasciare la città e vendere i loro beni, con divieto permanente di abitare in questa città e di possedervi beni immobili. A seguito di questa conquista da Alghero vengono espulsi gli abitanti originari e la città viene ripopolata con genti provenienti dalla Catalogna. Inizia così la sua lunga storia catalana, che si scrive intorno alla Cinta muraria di Alghero La quale diventa da subito una vera e propria città fortezza. Le sue mura con le sue torri difensive vanno difese, rafforzate e custodite con cura, perciò diverse disposizioni regolano l’accesso e il soggiorno dei Sardi e degli stranieri all’interno delle mura cittadine, e tra queste vi è il divieto, per chi non sia catalano, di trascorrervi la notte. Quindi Pietro IV, che dal 6 gennaio al 26 agosto 1355, aveva soggiornato a Cagliari nel Palazzo regio di piazza Castello, può lasciare la Sardegna e ritornare in patria. La seconda guerra sardo-catalanaDopo dieci anni di pace, nel 1364, mentre il re Pietro IV d’Aragona è impegnato nella guerra dell’Aragona contro la Castiglia, Mariano IV decide di riprende la guerra contro i Catalani, ma la sua abilità politica lo porta, a chiedere a papa Urbano III l’autorizzazione alla guerra, ed ottenuta la Licenzia invadendi dal papa, il 18 ottobre 1365 inizia la seconda guerra sardo-catalana, che Eleonora d’Arborea conclude il 24 gennaio 1388 con l’accordo di pace indicato come l’ultima Pax Sardiniae. Nel 1365 inizia la seconda guerra sardo-catalana della quale vediamo gli sviluppi fino alla morte di Mariano IV
Seguono quasi dieci anni di pace, durante i quali Mariano rinforza il suo trono ed il suo esercito godendo di una vasta popolarità, grazie alle buone condizioni economiche dello stato. Egli, infatti, inizia ad accumulare ingenti risorse finanziarie, soprattutto attraverso l’acquisto delle granaglie nel mercato mediterraneo, il loro accumulo, e la loro successiva rivendita, caratterizzata da grandi margini di guadagno, durante i periodi carestia. Si impegna, inoltre, a raccogliere tutte le leggi, tramandate solo oralmente, in un organico testo scritto alla base del nuovo ordinamento giuridico che sta lentamente prendendo corpo. Nel 1364, mentre il re Pietro IV è impegnato nella guerra dell’Aragona contro la Castiglia, Mariano IV decide di riprende la guerra contro i Catalani, ma la sua abilità politica lo porta, a chiedere a papa Urbano III l’autorizzazione alla guerra, ed a chiedere di essere infeudato del Regno di Sardegna e Corsica al posto di Pietro VI, che, oltre tutto, non paga il censo dovuto al papato. Ottenuta la Licenzia Invadendi dal papa, il 18 ottobre 1365 Mariano IV inizia la seconda guerra sardo-catalana sempre più deciso ad unificare l’isola per diventarne l’unico sovrano. Persuaso del consenso dei Sardi, che è sicuro che lo accoglieranno come un liberatore, si impadronisce del Castello di Sanluri, di Iglesias, Selargius e Decimomannu, ed in seguito espugna i castelli della Gallura. I Doria però rompono con l’Arborea e passano sotto l’autorità dei Catalani. La Sardegna sembra poter diventare un unico regno sotto una casata locale, ma Pietro IV d’Aragona, timoroso per il futuro dell’Isola, arma una potente flotta con a bordo un poderoso esercito, al comando di Pietro Martinez de luna, che però viene sconfitto, nel giugno del 1365, in un agguato, mentre cerca di impossessarsi di Oristano, e muore sul campo. Nel maggio del 1368 le truppe di Mariano IV sconfiggono ad Oristano l’intero contingente catalano, nel 1369 assediano la città di Sassari, questa volta espugnandola, e l’anno successivo espugnano anche il Castello di Osilo. Proseguono verso sud, ma vegono fermate a Monteleone da Brancaleone Doria, che difende gli interessi della repubblica di Genova. Egli, che appartiene al celebre casato genovese, è un figlio illegittimo poi legittimato nato nel 1337 da una relazione del grande Brancaleone padre, figlio di Barnabò Doria e di Eleonora Fieschi, con una certa Giacomina sua concubina, di un casato sconosciuto. Già il 16 marzo 1357 Brancaleone Doria s ’era dichiarato vassallo ed alleato del re d’Aragona, per legittimare il possesso dei beni paterni. Successivamente però Brancaleone Doria sposerà, prima del 1376, la sorella di Mariano, Eleonora, garantendo la pace del Giudicato d’Arborea con la repubblica di Genova, contro il dominio dei Catalani. L’epopea dei Giudicati raggiunge il massimo splendore intorno al 1374, quando è Arborense la maggior parte della Sardegna con la sola eccezione dei territori del Castel di Castro a Cagliari e di Alghero, che resistono ancora, rifornite via mare, mentre a Sassari resiste il governo di Brancaleone Doria. In seguito le grandi manovre belliche si fermano a causa dell’imponente epidemia di peste, che dal 1375 falcidia gran parte della popolazione isolana. Mariano IV muore, all’età di 57 anni, nella grande pestilenza del 1376, a un passo dal coronare il suo sogno d’unità nazionale, essendo la rocca di Cagliari, dopo lungo assedio, ormai prossima alla resa. E, nel 1376, alla sua morte, la Corona de Logu intronizza suo figlio Ugone. Il governo di Ugone III d’ArboreaNel 1376 alla morte di Mariano IV gli succede sul trono il figlio Ugone della casata Cappai de Bas-Serra, che viene intronizzato dalla Corona de Logu e sale al trono con il nome di Ugone III d’Arborea. Ugone era nato in Catalogna a Molins de rei nel 1337 circa e regnerà fino alla morte a Oristano il 3 marzo 1383. Egli succede al padre, quasi quarantenne e vedovo, in qualità di giudice di Arborea e conte del Goceano, e regna fino al 1383. Viene ricordato come un sovrano crudele, ma, in ogni caso, Sa leggere e scrivere, conosce le comuni lingue straniere ed il complicato linguaggio diplomatico. E proprio sul piano diplomatico, ottiene il suo più grande risultato, facendo sposare prima del 1376 la sorella Eleonora con Brancaleone Doria, che è l’erede delle terre logudoresi della famiglia Doria. Nel 1363, aveva sposato la figlia di Giovanni III di Viterbo, della famiglia dei Da Vico, che gli dà un’unica figlia, che viene chiamata Benedetta. Tenta di far sposare la figlia Benedetta con il figlio appena nato di Carlo I d’Angiò, nell’ambito di un’alleanza anti catalana, e di questo tentivo di accordo si ha testimonianza in un memoriale d’ambasciata, redatto in latino, dal notaio Raimondo Mauranni. Ugone III già si era distinto a fianco del padre nelle lotte contro i Catalani, ed aveva pertecipato all’ultima campagna militare di suo padre contro Pietro De luna, comandando una delle battaglie che avevano portato alla sconfitta, in un agguato ad Oristano, nel 1365, del generale catalano. Divenuto giudice, Ugone prosegue la guerra contro di essi, tanto da riuscire a conservare al Giudicato tutti i territori catalani annessi, forse, anche, scendendo, a volte, a patti col nemico, al quale consente i rifornimenti via mare ad Alghero ed al Castello di Cagliari. La sua linea politica è autoritaria, e si avvale per il controllo del territorio di mercenari tedeschi, provenzali e borgognoni. Tenta, comunque, di proseguire nella riorganizzazione dell’amministrazione del Giudicato, ma si scontra contro i nobili ed i feudatari locali, tra cui Giovanni de ligia ed il figlio Valore, che vedono messi in discussione i privilegi da loro ottenuti dai Catalani. Per questo, viene accusato di crudeltà e tirannia e, da una cronaca francese, anche di rozzezza ed ignoranza. Quasi sicuramente si inimica i maggiorenti che lo attorniano, e che, tramando nell’ombra ed approfittando della sua malattia, riescono a convincere il popolo alla ribellione, che può avere avuto diverse motivazioni. Come ragioni interne, si può vedere il malcontento della nobiltà, dei proprietari e dei mercanti, derivanti dal suo atteggiamento autoritario, e per l’aumento della tassazione, necessaria per mantenere i mercenari che Ugone aveva assoldati. E, come ragioni esterne, vanno visti gli interessi dei Catalani e degli altri nemici del Giudicato di Arborea. Il 3 marzo 1383, si verifica un’insurrezione popolare istigata dai Catalani, adducendo come motivazione un presunto tradimento del Bannus consensus, ed Ugone e sua figlia Benedetta, la futura pretendente al trono, vengono assassinati ad Oristano, in modo legittimo secondo il diritto giudicale. I ribelli proclamano l’abolizione del regime giudicale e decidono l’istituzione di una republica. Ma la Corona de Logu decide di intronizzare il nipote minorenne di Ugone III, Federico figlio della sorella Eleonora, la quale assume la reggenza e riesce a riappacificare i ribelli, e reinsedia il sistema di governo giudicale. Eleonora d’Arborea che è stato l’ultimo baluardo contro l’occupazione catalanaLa grande Eleonora d’Arborea è stato uno dei principali personaggi della storia della Sardegna di cui si incontrano tracce non solo a Oristano ma in tutta l’isola. Non c'è, infatti, alcuna località della Sardegna nella quale non si trovi una strada o una piazza a lei dedicata, o non si trovi una sua statua commemorativa. La sua fama oltrepasserà i confini dell’Isola, ed Eleonora diventerà per il popolo sardo il principale simbolo di indipendenza e di Libertà. Nasce verso il 1347 probabilmente in Catalogna a Molins de rei, da Mariano IV della casata Cappai de Bas-Serra e dalla nobile catalana Timbora di Rocabertí, e morirà ad Oristano nel 1404. Sorella di Ugone III d’Arborea e di Beatrice, vive i primi anni della giovinezza ad Oristano, in un periodo di continue ribellioni all’occupazione catalana, e cresce quindi con forte propensione alle armi. Sposa prima del 1376 il quarantenne Brancaleone Doria nato in Sardegna nel 1337 che morirà a Castelsardo nel 1409, il quale aveva già contrastato nel 1369 a Monteleone le truppe di Mariano IV, ed il matrimonio con Eleonora d’Arborea è più di convenienza personale che politica, perché egli resta fedele alla Corona Aragonese, quindi il suo matrimonio rientra nel più generale disegno di un’alleanza tra gli Arborea ed i Doria, garantendo la pace con la repubblica di Genova. Cambierà parere durante la dura prigionia. Dopo le nozze Eleonora si trasferisce ad abitare a Castel Genovese, l’attuale Castelsardo, dove nascono i due figli, Federico e Mariano, che saranno gli eredi della casata dei Doria Bas, oltre ad altri due figli, Giannettino Doria e Nicolò Doria. Quando, però, suo fratello il giudice Ugone III di Arborea si ammala e si profila il problema della sua successione, Eleonora scrive al re d’Aragona, perché sostenga le ragioni di suo figlio Federico, piuttosto che quelle dell’altro pretendente al trono, il visconte di Narbona, vedovo di sua sorella Beatrice che era morta nel 1377. Dopo che nel 1383 Ugone viene assassinato nel suo palazzo di Oristano, Eleonora viene richiamata da Genova, dove risiede dal 1382, e dove si era trasferita dopo aver vissuto sei anni a Castel Genovese. Da Oristano scrive il 17 giugno al re Piero IV d’Aragona una relazione sulle condizioni della Sardegna, comunica di aver sottomesso tutti i territori arborensi ad eccezione di Sassari, e conclude la lettera avanzando proposte di pace e pregando il sovrano di voler concedere un salvacondotto ai quattro ambasciatori arborensi che ella avrebbe inviato a Barcellona per avviare al più presto trattative di pace. Invia quindi suo marito Brancaleone per ricevere il 23 luglio 1383 il Titolo onorifico di conte di Monteleone e barone della Marmilla inferiore, e per trattare direttamente con lui. Inoltre, scrive alla regina, chiedendole di intercedere presso il re a favore del figlio, al fine di far terminare il disordine che regna nell’isola. L’intenzione di Eleonora è di portare nelle mani del figlio Federico, quella parte della Sardegna che, prima Mariano IV, e successivamente Ugone III, avevano occupato. Ma questo disegno contrasta con gli interessi del re d’Aragona, che non ritiene conveniente avere una famiglia così potente nel suo regno, soprattutto considerando che, non essendoci erede diretti di Ugone, tutti i suoi possedimenti avrebbero potuto venire incamerati dal fisco grazie alla norma della Iuxta morem italicum. Ma Eleonora non si perde d’animo e conferma la sua politica di guerra, punisce quindi duramente i congiurati che intendevano chiedere aiuto a Genova e miravano ad instaurare un regime Comunale. Il governo della giudicessa Eleonora a nome del figlio Federico ancora minorenneDopo la morte di Ugone III la Corona de Logu del Giudicato decide di intronizzare Federico, nato da Eleonora nel 1377 a Castel Genovese, l’odierna Castelsardo, di appena sei anni, in quanto parente maschio più prossimo del giudice defunto, e regna formalmente dal 1383 al 1387. Ed Eleonora assume la reggenza in nome del figlio Federico di Arborea proclamandosi Giudicessa de facto, secondo il diritto giudicale, che prevede che le donne possano accedere sul trono al posto del loro padre o del loro fratello. Il diritto giudicale prevede, infatti, una prassi elettiva da parte della Corona de Logu, che è tutto l’opposto dell’infeudazione regia, e discorda completamente quindi dalla linea politica catalana. Gli Arborea si rifanno, quindi, alla loro antica autonomia, ed all’esercizio della piena sovranità nei propri territori. Brancaleone, che si trova in Catalogna, viene qui trattenuto, con il pretesto di farlo rientrare in Sardegna non appena sia stata allestita una apposita flotta. Ma verrà, poi, appena si diffonderà la notizia dell’elezione del figlio Federico, fatto arrestare da Pietro IV, inviato a Cagliari e rinchiuso nella Torre di San Pancrazio, dove nel 1387 gli giungerà la notizia della morte del figlio Federico, poi in quella dell’Elefante, e diventerà un vero e proprio ostaggio, uno strumento di pressione contro la giudicessa ribelle, con l’evidente scopo di convincerla alla restituzione dei territori ex catalani occupati. Invece di pianificare un’offensiva contro l’antico alleato, di cui è prigioniero suo marito, Eleonora si dedica a rafforzare la propria autorità nel Giudicato, non con la forza, ma con una ferma politica di resistenza alla Corona d’Aragona. La sua linea politica si riallaccia direttamente all’esperienza del padre Mariano IV, abbandonando definitivamente la politica autoritaria del fratello Ugone III. Eleonora dimostra, con la sua reggenza, di voler uscire dal periodo medioevale, puntando sulla liberazione dei servi, e di voler adibire alla propria lotta di tipo nazionale, oltre alle truppe mercenarie, anche quelle costituite dai suoi concittadini. Federico di Arborea regna formalmente dal 1376 al 1387, prima sotto la reggenza e poi sotto un Giudicato di fatto della madre Eleonora, Giudicessa de facto. La madre Eleonora deve immediatamente impegnarsi per assicurare il regno al figlio, e sconfiggere i ribelli, che avevano proclamato l’abolizione del regime giudicale e deciso l’istituzione di una republica. Eleonora, puniti duramente gli assassini del fratello, riesce a riappacificare i ribelli, e reinsedia il sistema di governo giudicale. Da documenti pervenutici, sappiamo che nel 1382 Eleonora stipula un patto, in base al quale elargisce un prestito di 4000 fiorini d’oro a Nicolò Guarco, doge della repubblica di Genova, e che questi da parte sua S’impegna a restituire la somma entro il termine di dieci anni, impegnandosi, in caso contrario, a pagare il doppio. Il patto prevede, tra l’altro, anche la promessa di far sposare il figlio Federico, una volta arrivato alla pubertà, con Bianchina, figlia del doge, con la condizione che, nel caso che tale matrimonio non si fosse potuto celebrare a causa della morte di uno dei due o per un qualsasi altro caso fortuito, il patto verrebbe considerato nullo. Un simile prestito, a una potente famiglia di Genova, e la clausola del matrimonio compresa nel contratto, evidenziano il disegno dinastico di Eleonora, la quale mantiene alto il prestigio della sua casata, e riconosce l’importanza degli interessi di Genova. Federico, però, muore a undici anni, prima di raggiungere la pubertà, e l’accordo non ha, quindi, effetto. A San Gavino Monreale, viene consacrata nel 1387, al tempo della reggenza da parte di Eleonora d’Arborea, la Chiesa palatina di San Gavino Martire costruita in forme gotiche nel 1347, data incisa su un conciò dell’abside, probabilmente da Pietro III d’Arborea. All’interno, la volta a crociera è quadripartita da costoloni, impostati su quattro peducci pensili nei quali si vedono scolpite, in altorilievo, le effigi nelle quali sono stati identificati i giudici Mariano IV con corona, scettro e stemma statale, Ugone III con la figlia Benedetta, Eleonora, e suo marito Brancaleone Doria, i quali fanno del monumento un vero e proprio pantheon degli Arborea. Il regno di Giovanni I d’Aragona il CacciatoreNel 1387 muore il re Pietro IV ed a lui succede il figlio Giovanni I d’Aragona il Cacciatore, detto anche il Galantuomo, che dà un notevole impulso alla riorganizzazione dell’amministrazione e alla restaurazione del sistema feudale che era stato spazzato via. Egli succede al padre Pietro IV il Cerimonioso, mentre sta per approvare la bozza del documento di pace fra Eleonora d’Arborea e la Corona d’Aragona. Si adopera anche per favorire un forte flusso di cittadini che si trasferissero dalla Spagna in Sardegna, nel tentativo di ispanizzare l’isola. Egli, durante i suoi trasferimenti, accompagnato dalla moglie e dalla corte, caccia il cinghiale e come al solito si occupa di politica. Il giovedì 19 maggio 1396, in cammino da Torroella de Montgrì a Gerona, il re muore in un oscurissimo incidente di caccia. Alcuni sostengono che fu un attacco di cuore. Eleonora a nome del figlio Mariano conclude la seconda guerra sardo-catalanaNello stesso anno 1387 muore anche Federico d’Arborea e gli succede il fratello minore Mariano, nato da Eleonora nel 1378 a Castel Genovese, l’odierna Castelsardo, di appena nove anni, che viene intronizzato dalla Corona de Logu del Giudicato con il nome di Mariano V d’Arborea e regna formalmente dal 1387 al 1392 sotto la reggenza della madre Eleonora, Giudicessa de facto, e poi come giudice di diritto dal 1392 alla morte nel 1407. Eleonora, rimasta giudicessa, si dedica principalmente a continuare la lotta contro la Corona d’Aragona per tentare di salvare il marito dalla prigionia. Dopo essere riuscita quasi a completare il progetto del padre di riunire quasi tutta l’isola, tenendo sotto scacco e ricacciando ai margini dell’isola le truppe catalane, vede crollare il suo progetto in seguito a una imprevedibile incognita della sorte, la peste, che consegnerà, senza combattere, la Sardegna ai Catalani. Il venerdì 24 gennaio dell’anno bisestile 1388 viene firmato, a Cagliari, l’accordo indicato come l’ultima Pax Sardiniae che verrà ratificata da Giovanni I d’Aragona nei pressi di Barcellona, e che riporta la Sardegna alla situazione ante 1355. L’accordo conclude la seconda guerra sardo-catalana che era stata iniziata nel 1364 da Mariano IV, il cui testo oggi è presente in un famoso rotolo pergamenaceo lungo oltre nove metri conservato nel’Archivio Comunale di Cagliari. Con questo trattato di pace viene riconosciuto Mariano V come sovrano, ma Arborea deve rientrare nei confini prima del 1355, vengono restituiti alla Corona città, ville e luoghi occupati dai precedenti giudici d’Arborea, in cambio della Libertà di Brancaleone Doria, al quale vengono, comunque, confermati tutti i suoi possedimenti sardi. Arborea rientra nei confini naturali, ma la Libertà a Brancaleone Doria non viene concessa. Si tratta di una notevole sconfitta politica e diplomatica, che Eleonora subisce per ottenere la liberazione del marito. Brancaleone errà liberato due anni dopo, l’1 gennaio 1390, e sarà lui l’artefice della vendetta futura, non Eleonora, che con il ritorno del marito si dedica alla conclusione della formulazione della Carta de logu. Il notevole significato che viene attribuito alla figura di Eleonora, è principalmente legato alla durata del suo Giudicato, l’ultimo che verrà ceduto a un dominio esterno all’isola. Eleonora si dimostra, infatti, l’ultima reggente di uno stato sardo autoctono indipendente. La terza guerra sardo-catalanaBrancaleone Doria marito di Eleonora d’Arborea il 10 aprile 1388 ricusa l’ultima Pax Sardiniae ed inizia la terza guerra sardo-catalana che dura cinquanta anni e si conclude quando Guglielmo II d’Arborea il 17 agosto 1420 vende agli Aragonesi quello che rimane dell’antico Giudicatoper 100.000 fiorini d’oro. Brancaleone Doria inizia la terza guerra sardo-catalana e riprende il controllo di quasi tutta l’IsolaIl marito di Eleonora d’Arborea Brancaleone Doria che fino all’incarcerazione aveva mantenuto un atteggiamento di relativa compiacenza verso la Corona d’Aragona, dopo la scarcerazione l’1 gennaio 1390 si mette al comando dell’esercito di Arborea. Già nel 1390 a Brancaleone, che l’odio ha ormai reso intrattabile, il malcontento della popolazione per il governo catalano permette di riunire un esercito di oltre 10mila uomini, ed il 10 aprile egli ricusa l’ultima Pax Sardiniae del 1388 ritenendolo non valido in quanto estorto con ricatto. alla testa del suo esercito, accompagnato dal figlio tredicenne Mariano, il 16 agosto occupa Sassari, e successivamente il Castello di Osilo. Sempre con il figlio al fianco invade i territori catalani della costa nord orientale, ed in settembre conquista il Castello della Fava, di Galtellì, di Bonvehì e di Pedreso. Ben presto occupa tutti i territori della Sardegna settentrionale che erano in mano catalana, con esclusione di Alghero e longosardo, dove sorgerà Santa Teresa di Gallura, dei castelli di Quirra e Acquafreadda e delle zone circostanti. A settembre si dirige verso sud e il 3 di ottobre con il suo esercito entra a Villa di Chiesa e occupa tutto l’lglesiente. In Una lettera scritta a Sanluri il 3 febbraio 1392, Brancaleone annuncia di aver ripreso tutti i territori posseduti nel 1388. In meno di sei mesi, si è impossessato anche dei territori meridionali, ed il Regno di Sardegna e Corsica si è nuovamente ridotto alle sole città di solo Castel di Castro, Alghero e longonsardo. Tutto il resto è nuovamente Sardegna arborense. Eleonora d’Arborea promulga la Carta de loguNella sua reggenza, a nome prima del figlio Federico e poi del secondo figlio Mariano, oltre a garantire la difesa della sovranità e dei confini territoriali del Giudicato, Eleonora riesce soprattutto ad attuare una vasta opera di riordino e di sistemazione definitiva degli ordinamenti e degli istituti giuridici locali, completando e promulgando in un arco di tempo fra il 1389 ed il 1392, sotto la guida del giurista Filippo Mameli, un importante funzionario giudicale appartenente all’ordine ecclesiastico esperto di diritto canonico e civile, il codice di leggi civili e penali detto la Carta de logu come versione aggiornata ed ampliata della Carta emanata precedentemente da suo padre Mariano IV e già rivisitata dal fratello Ugone III. Tradizionalmente la sua promulgazione sarebbe avvenuta il 14 aprile 1392, giorno di Pasqua. La Carta sintetizza la concezione statale che i Sardi si erano tramandati sin dall’epoca della civiltà nuragica, ma attraverso alcune norme vi è anche l’apertura alla modernità, e giuridicamente essa contiene elementi della tradizione romana, di quella bizantina, soprattutto di quella giudicale, oltre ad alcuni elementi della stessa cultura catalana. Stilata in lingua sarda logudorese, la Carta è divisa in 198 capitoli che riguardano il diritto penale cioè i reati e le pene relative, l’ordinamento amministrativo dei Giudicati e dei villaggi, i più importanti diritti e gli obblighi civili delle popolazioni. La sua lettura delinea, disciplinate in modo chiaro e rispondente alla esigenza di certezza del diritto, numerose situazioni ed i corrispondenti istituti giuridici, ancor oggi di grande attualità, ad esempio la tutela e la posizione della donna, la difesa del territorio, il problema dell’usura, l’esigenza di certezza nei rapporti sociali, tutti argomenti più volte ripresi nel testo. Di essa verrà riconosciuto il grande valore, al punto da estenderla durante il dominio catalano, spagnolo e piemontese a quasi tutta la Sardegna, e rimarrà in vigore fino al 16 aprile 1827, ormai alle soglie del Risorgimento, quando verrà sostituita dal Codice di Carlo Felice. Il governo di Mariano V d’Arborea che conferma i patti stipulati da Eleonora con l’AragonaMariano ha quattordici anni quando, nel 1392, sua madre promulga la Carta de logu che lo dichiarava maggiorenne. E quindi, grazie alla modifica della legge sull’età minima per regnare portata a quattordici anni, nello stesso anno Mariano acquisisce la pienezza dei poteri nel Giudicato, con il nome di Mariano V d’Arborea. Quale primo atto del suo governo, egli conferma i patti stipulati con l’Aragona, ma il potere in realtà rimane quasi sempre nelle mani della madre Eleonora e del padre Brancaleone. Sotto il suo governo, passano dieci anni di pace apparente, durante i quali Brancaleone governa indirettamente tutta l’Arborea. Il regno di Martino I d’Aragona detto l’Umano o l’Ecclesiastico noto anche come Martino il VecchioNel 1396 muore Giovanni I d’Aragona e gli succede il fratello Martino I d’Aragona duca di Montblanc, detto l’Umano o l’Ecclesiastico, noto anche come Martino il Vecchio, che è un uomo di tempra diversa dal suo predecessore, è infatti un abile politico, e che regna fino alla morte nel 1410. Quando lo raggiunge la notizia della morte di suo fratello Giovanni, con grande energia si predispone a raccoglierne l’eredità, a Barcellona nomina reggente la moglie Maria de luna che, con l’aiuto del conte d’Urgel suo cugino, difende il trono da altri pretendenti e consolida il potere, mentre in Sicilia stabilizza la situazione consentendo a Martino il Giovane di governare. Martino I, che dal 1392 era impegnato in Sicilia a sostenere le ragioni di suo figlio Martino detto il Giovane, lascia la Sicilia il 14 dicembre 1396 per dirigersi a Barcellona, con scalo in Sardegna per visitare i pochi resti del suo regno al di là del mare. Giunge nell’isola a quarant’anni, è grasso, gottoso, pacifico, religioso e compassionevole, insomma è tutto il contrario del fratello. A Cagliari, dove si ferma per un mese, e ad Alghero dove giunge l’8 febbraio 1397, Martino il Vecchio va ad incoraggiare le guarnigioni, e a promettere e persino ad assegnare, ai sudditi fedeli, feudi e terre non più controllate, comportandosi come se la situazione politica dell’isola sia del tutto transitoria e contingente. Fra il 1401 e il 1403 vi è una feroce ondata epidemica e conseguente carestia ed è nuovamente comparsa la peste. La morte di Eleonora d’Arborea e del figlio Mariano VNel 1404 a Oristano muore Eleonora d’Arborea come il padre Mariano IV anch’essa a causa della peste. Brancaleone Doria, intanto, ha ripreso la guerra contro i Catalani occupando nel 1406 anche il Castello di Quirra. E nel 1407, per motivi sconosciuti ma forse anch’egli a causa della peste, muore anche il figlio Mariano V senza lasciare eredi diretti. Nel 1407, mentre assedia Castel di Castro, a Brancaleone Doria arriva la notizia della morte di Mariano V, ed egli è costretto alla rinuncia all’assedio ed al ritiro a Castel Genovese, probabilmente a causa di conflitti di successione. Dalla morte di Eleonora e Mariano V deriva una crisi tra diversi pretendenti al trono, che si risolve nel 1408, quando la Corona de Logu intronizza Guglielmo III di Narbona, nipote di sua zia Beatrice, sorella di Eleonora. Da Beatrice d’Arborea nasce la dinastia dei NarbonaDa Mariano IV della casata Cappai de Bas-Serra, e dalla nobile catalana Timbora di Rocabertí era nata verso il 1343 probabilmente in Catalogna, a Molins de rei, Beatrice d’Arborea sorella di Ugone III d’Arborea e di Eleonora, che morirà in Francia a Narbona nel 1377. Nel 1361 viene stipulato il contratto di nozze tra la diciottenne Beatrice ed il trentatreenne visconte Aimerico VI di Narbona ammiraglio di Francia, le nozze sono celebrate nel 1362 e Beatrice parte per le coste provenzali con grande fasto e una ricchissima dote. La giovane Beatrice vive per quattordici anni nel Castello viscontile di Narbona, dedicandosi soprattutto alla cura dei sette figli tra cui il successore Guglielmo, si dedica anche ad attività benefiche, fino a morire nel 1377 all’età di 34 anni. L’Armoriale della sua famiglia unisce l’albero verde sradicato del Giudicato di Arborea con il rosso dello stemma della famiglia dei Narbona: lara. Per molto tempo gli storici hanno immaginato Eleonora come la secondogenita di Mariano e Timbora, essendo stata lei a succedere come reggente del figlio al fratello Ugone III assassinato nel 1383. Però in una lettera conservata negli Archivi reali di Barcellona, inviata dal vedovo di Beatrice Aimerico sesto di Narbona al re Pietro IV d’Aragona, si afferma che era quest'ultima la seconda figlia, tanto che portava anche il nome dell’ava materna, e dunque il trono di Arborea spettava di diritto al loro erede Guglielmo. Il figlio primogenito di Beatrice, che diviene visconte dal 1388 al 1397 con i nome di Guglielmo II di Narbona, sposa Guèrine figlia di Marquis di Beaufort, e da loro nascono due figli, Guglielmo e Aimerico che muore in Sardegna a 16 o 17 anni. Il figlio primogenito Guglielmo, oltre che visconte con il nome di Guglielmo III di Narbona, diventerà il futuro giudice d’Arborea. La reggenza di Leonardo Cubello a nome di Gugliemo III di NarbonaTorniamo a quando, dopo la morte di Mariano V d’Arborea, il regno viene rivendicato da diversi pretendenti, tra i quali il francese Guglielmo III di Narbona, nipote da parte di padre di Beatrice, secondogenita di Mariano IV d’Arborea. A Oristano la Corona de Logu, dopo aver esaminato la posizione successoria dei vari aspiranti al titolo, considerando infondate le rivendicazioni di Bracaleone Doria, riconosce nel 1408 la legittimità dei diritti di Guglielmo III di Narbona al quale offre la sovranità del Giudicato d’Arborea. A seguito della nomina di Guglielmo a giudice, Brancaleone, che non può assumere la Corona giudicale, si ritira sdegnato a Castel Genovese, o forse secondo un’altra versione a Monteleone Rocca Doria. In ogni caso, verrà catturato e ucciso dai Catalani, prima della battaglia di Sanluri, nei primi mesi del 1409. All’atto della sua nomina, Guglielmo si trova nel suo viscontado, nel sud della Francia, e, poiché sono prevedibili tempi lunghi per il suo arrivo in Sardegna, viene designato alla reggenza Leonardo Cubello podestà di Oristano, appartenente a un ramo cadetto della famiglia. Egli è figlio di Salvatore di Bas, nipote di Ugone II d’Arborea, e di Costanza Cubello appartenete a un’importante famiglia locale, e, nonostante la diretta discendenza dalla casata dei Bas, figura sempre nei documenti con il cognome materno dei Cubello, che trasmetterà poi anche ai figli. Arrivo in Sardegna del figlio primogenito di Martino I d’Aragona il Vecchio chiamato Martino il GiovaneIl figlio primogenito di Martino I d’Aragona il Vecchio, chiamato Martino il Giovane grazie al matrimonio con Maria di Sicilia regina titolare in quanto figlia di Federico il Semplice, è stato re consorte di Sicilia dal 1392 al 1401, ed alla morte di Maria diventato re di Sicilia dal 1401 al 1409 con il nome di Martino I di Sicilia. Il 6 ottobre 1408, mentre in Oristano proseguono le dispute tra gli aspiranti successori al trono, Martino il giovane che è anche l’erede della corona d’Aragona arriva in Sardegna e sbarca a Cagliari con un forte esercito al comando di Pietro Torelles, con l’incarico da parte del padre Martino il Vecchio di riconquistare alla corona d’Aragona, per vie pacifiche se possibile o altrimenti con la forza, l’isola che, dopo la morte, senza eredi, del giudice d’Arborea Mariano V, si trovava in seria crisi di successione. Marino manda un’ambasciata a Leonardo Cubello, invitandolo a convocare i maggiorenti del Giudicato ad una riunione, da tenersi in Oristano il 26 ottobre, che, però, non si tiene dato che Leonardo Cubello comunica al re che il visconte di Narbona è sbarcato in Sardegna, e che, pertanto, non gli sembra corretto proseguire personalmente le trattative. Lo scontro tra Martino il Giovane e Guglielmo II d’Arborea che culmina nella battaglia di SanluriLeonardo Cubello lascia, quindi, la reggenza a favore del visconte di Narbona che, l’8 dicembre giunge nell’isola e che viene incoronato con il nome di Guglielmo II d’Arborea ad Oristano il 13 gennaio 1409, cui aggiunge i titoli di conte del Goceano e visconte de Bas, e che si prepara allo scontro essendo falliti tutti i tentativi diplomatici. Sbarca nel porto di Frixiano, presso Castelsardo, al comando di un esercito composto da oltre 18mila uomini, e si trasferisce a Sanluri, unica fortezza tra Cagliari ed Oristano in grado di sbarrare il passo al nemico. Dopo svariati tentativi tra Martino il Giovane e Guglielmo II d’Arborea di trovare un accordo diplomatico, non riuscendo a raggiungere un compromesso, la guerra diviene inevitabile. Guglielmo II riprende il conflitto contro gli Aragona, ma è uno straniero, e non riesce, quindi, a sostituire nell’immaginario collettivo dei Sardi i suoi predecessori, che avevano incarnato lo scontro contro gli Aragona, tanto che quando ordina alla popolazione del villaggio il restauro delle mura della fortezza e lo svuotamento del fossato, la gente del posto, dopo essersi riunita in assemblea, decide di non fare alcun lavoro gratuitamente, dato che la corte d’Arborea può farlo a proprie spese. I primi scontri avvengono in mare, quando, il primo giugno 1409, nel golfo dell’Asinara, la flotta catalana distrugge sei galere genovesi mandate in aiuto agli Arborensi. alla testa dei Catalani, Pietro Torrelles assedia Villa di Chiesa, oggi Iglesias, che si era ribellata, mentre Berengario Carroz parte alla conquista dell’Ogliastra. Il 26 giugno re Martino, dopo aver affidato ai suoi consiglieri l’amministrazione del Castello di Cagliari, in modo da conservare il controllo del porto ed in caso di sconfitta avere libera la via della fuga, a capo di un esercito composto da ottomila fanti e tremila cavalieri siciliani, catalani, valenzani e balearini, parte da Cagliari diretto a Sanluri. Concentra le truppe presso la foce del Flumini Mannu, poi, costeggiando il corso d’acqua, risale per Villasor, Serramanna e Samassi, fino a Sanluri, dove arriva la sera del 29 giugno 1409. All’alba di domenica 30 giugno l’esercito catalano lascia l’accampamento e si porta nei pressi di Sanluri. L’avanguardia è guidata da Pietro Torrelles e precede il grosso dell’esercito con a capo re Martino. Improvvisamente viene affrontato dall’esercito giudicale comandato da Guglielmo II, composto da 17mila fanti arborensi, duemila cavalieri francesi e mille balestrieri genovesi. I due eserciti si scontrano nella battaglia di Sanluri in lingua sarda Sa Battalla de Seddori Ma anche solo Sa Battalla per antonomasia, che si svolge vicino a una collina a oriente da Sanluri, che oggi viene chiamata Su Bruncu de Sa Battalla, ossia il poggio della battaglia. Le forze catalane, meglio armate ed organizzate, riescono a dividere in due tronconi l’esercito sardo, il più numeroso dei quali, composto da oltre 7mila uomini, nel disperato tentativo di opporre un’ultima resistenza, viene accerchiato ed annientato in un luogo che ancora oggi è chiamato S’Occidroxiu, ossia il macello. L’altro troncone si divide ancora in due parti, la più numerosa, con a capo Guglielmo II, raggiunge il Castello di Monreale riuscendo a mettersi in salvo; mentre gli altri si rifugiano nel borgo fortificato di Sanluri, che però viene espugnato e raso al suolo dalla fanteria catalana. All’interno di Sanluri vengono trucidati senza pietà più di mille uomini. Dopo la battaglia di Sanluri, prosegue l’avanzata delle truppe catalane. Il 4 luglio si arrende loro Villa di Chiesa, nelle mani di Giovanni de Sena. È un vero disastro per i Sardi. Un imprevisto ferma però i Catalani dopo che hanno conquistato Iglesias, ossia la morte per la malaria di Martino il Giovane. Egli è, infatti, rientrato a Cagliari, dove, però, non sopravvive a lungo. La sua morte è, leggendariamente, legata alla Bella di Sanluri una schiava sanlurese di rara bellezza, che a detta degli autori del tempo con il suo troppo amore avrebbe fatto sì che Martino, già debilitato dalle febbri malariche, esali l’ultimo respiro il 25 luglio 1409. Francesco Cesare Casulla scrive: Nell’euforia della vittoria, nel palazzo regio della capitale, Martino il Giovane S’intrattenne con una bella prigioniera sanlurese di cui non si conosce il nome, indebolendosi a tal punto da non opporre, poi, alcuna resistenza alle perniciose febbri malariche della terzana maligna che avevano preso a scuoterlo di li a poco. Morì nel giro di dieci giorni, il 25 luglio, e fu seppellito nel transetto sinistro del duomo di Cagliari. Martino il Giovane viene sepolto della Cattedrale di Cagliari dove è presente il suo Mausoleo funebre. Erroneamente si era sempre creduto che le spoglie mortali con la fine della dominazione aragonese e spagnola fossero state traslate in Spagna, invece mercoledì 16 novembre 2005, smontando il mausoleo per la ristrutturazione si sono scoperti i resti mortali di Martino, racchiusi in un involucro di velluto rosso, ricamato in oro. alla sua morte al trono di Sicilia subentra il padre Martino il Vecchio con il nome di Martino II di Sicilia, dove regnerà poco più di un anno fino alla morte il 31 maggio 1410. La battaglia di Sanluri non conclude, comunque, lo scontro tra Catalani ed Arborea, che prosegue altri dieci anni, ma con essa inizia il definitivo tramonto del Giudicato d’Arborea. La seconda reggenza di Leonardo Cubello fino alla seconda battagliaDopo la sconfitta nella battaglia di Sanluri, Guglielmo II si salva con la fuga e raggiunge Oristano, da dove parte per tornare in Provenza dove si reca per cercare aiuti, lasciando la reggenza a Leonardo Cubello. Ma la situazione è cambiata, e si sa che Pietro Torrelles, già luogotenente di Martino il Giovane, sta facendo rapidi preparativi per marciare su Oristano e costringerla alla resa. Partito da Sanluri per la definitiva conquista della valle del Tirso e di Oristano, il 4 luglio 1409, vi è la presa da parte del comandante filo catalano Giovanni di Sena dell’importante città di Villa di Chiesa. Il 17 agosto l’esercito catalano guidato dai Moncada tenta di attaccare Oristano, ma viene respinto dall’esercito giudicale. Il giorno successivo, il 18 agosto, Pietro Torrelles guida i soldati catalani in una battaglia che si svolge vicino ad Oristano, nella pianura tra Sant’Anna, Feno su e Santa Giusta, ricordata come la Seconda battaglia in lingua sarda Sa Segunda Battalla, nella quale viene contrastato e respinto dalle forze sarde con a capo Leonardo Cubello, e nella quale cadono secondo fonti spagnole 6.536 catalani. I Catalani vengono respinti e rimangono tragicamente intrappolati nelle paludi. Ma inspiegabilmente, Leonardo Cubello, non sfrutta appieno il vantaggio militarmente acquisito, e si ritira ad Oristano. Leonardo Cubello firma la resa della storica Arborea che viene incamerata nel Regnum Sardiniae et CorsicaeMa il conflitto non è ancora concluso, dato che l’esercito catalano chiede ed affluiscono ingenti rinforzi dalla Spagna. Passano sette mesi prima che Pietro Torrelles riesca a prendere il Castello di Monreale a San Gavino, il Castello di Marmilla a las Plassas, il Castello di Gioiosa Guardia a Villamassargia, scardinando così le ultime difese sarde, e l’obiettivo di puntare tutto su Oristano è solo una questione di tempo. Il 25 marzo 1410 Pietro Torrelles riparte dalla fortezza di Sanluri e punta su Bosa, questa volta vengono evitate le paludi Santa Giusta e Fenosu, e l’attacco viene portato da nord, aggredendo prima Bosa, centro strategico e porto commerciale di vitale importanza per il Giudicato di Arborea. Qui, nonostante la capitale della Planargia si difenda tenacemente, la resa agli assalti è incondizionata, e i Catalani possono dirottare tutte le forze verso Oristano, retta da Leonardo Cubello. Lo scontro finale però si conclude senza combattere, perchché il 29 marzo 1410 senza tentare la minima resistenza Leonardo Cubello, nella Chiesa di San Martino fuori le mura, firma la cosiddetta pace di San Martino che determina la resa della città e di tutta la storica Arborea, la quale viene incamerata nel Regnum Sardiniae et Corsicae. Il documento di capitolazione, che viene firmato dal giudice della città Leonardo Cubello e da Pietro Torrelles luogotenente generale del re Martino il Vecchio, prevedeva che Il regno d’Arborea venisse abolito di fatto e trasformato, con la forza, in una entità subordinata: il Marchesato di Oristano che conservava solo il controllo di alcune terre, comprendenti Oristano e i campidani di Cabras, Milis e Simaxis. Molti storici pensano ad una collusione di Leonardo Cubello con il nemico, anche perché di lì a poco, riceve in feudo il Marchesato di Oristano ed il titolo di primo marchese di Oristano, ma viene relegato al ruolo di semplice vassallo della Corona d’Aragona. Ma il regno di Arborea, pur avendo perso la sua capitale e i territori storici, è ancora vivo e controlla tutta la Sardegna nord orientale, restano giudicali i territori arborensi dell’ex Giudicato di Torres, due curatorie del Giudicato di Gallura e le Barbagie di Belvì, d’Ollolai e del Mandrolisai, e la terza guerra sardo-catalana continua. L’influenza della dominazione catalano aragonese sulla vita della SardegnaLe conseguenze sull’isola della dominazione aragonese, retta prima da una dinastia catalano-aragonese e successivamente da quella valenciana, sono assai gravi, sia per le condizioni di vita della popolazione, che per l’economia. Gli Aragonesi arrivano, in breve, ad impossessarsi, sia fisicamente che giuridicamente, del territorio, che precedentemente apparteneva loro solo teoricamente. Dopo aver scacciato i residenti sardi, cercano di Imporre l’ibericità a tutti i costi. Vengono anche nominati prelati spagnoli, limitando la presenza degli Ordini religiosi italiani. L’imposizione del regime feudale e la povertà della popolazioneGià dall’inizio della dominazione aragonese, la situazione peggiora nelle campagne, dove viene applicato il regime feudale anche nei territori che erano appartenuti all’Arborea, e quindi la Sardegna viene governata dagli Aragonesi tramite i feudatari, affidando piccoli feudi a quelli che avevano appoggiato l’infante Alfonso. Chi possiede sufficiente denaro, così come chi possa contaresu un parente influente presso la corte, non fatica molto ad ottenere un feudo. La corsa ai feudi da parte dei nobili, di ricchi commercianti, di alti funzionari, è inarrestabile e causa dissidi e gelosie. In breve, i feudi entrano nelle mani di un numero molto limitato di famiglie che, con opportune alleanze e matrimoni, aumentano i propri possedimenti. La Sardegna è preda di questi nuovi padroni che governano indisturbati nei loro feudi, lasciando la popolazione nella condizione di estrema povertà, sottoposta a vessazioni e soprusi di ogni genere. I feudatari, con il possesso dei loro feudi, controllano le popolazioni e l’economia, ed hanno l’obbligo di risiederci e di difendere il territorio in nome del re d’Aragona, e con successione ereditaria per linea maschile. Obbligo al quale, però, molti vengono meno, rientrando in patria ed affidando il feudo a loro procuratori. Gli abitanti dell’isola conducono una vita assai grama, sottoposti alle prepotenze ed agli abusi dei signori locali, oppure dei loro procuratori, quando i titolari sono rientrati in territorio iberico. Alcune città sono governate direttamente dal rappresentante del re, e vengono chiamate città di diritto regio e sono dal 1327 Iglesias e Cagliari, dal 1331 Sassari, alle quali si aggiungeranno dal 1448 Castel Genovese, dal 1479 Oristano, dal 1499 Bosa, e dal 1501 Alghero. Nel Castrum di Càralis, e successivamente anche a Sassari, vengono trasferite famiglie aragonesi, catalane e valenciane, con il diritto di eleggere un consiglio ed un a giunta in rappresentanza delle diverse classi sociali. Le epidemie che aggravano la situazioneA partire dal 1347 un nuovo grave evento si verifica, che avrà gravissime conseguenze sulla storia della Sardegna. Tra la fine del quattordicesimo secolo e gli inizi del quindicesimo secolo, anche la Sardegna subisce i devastanti effetti della peste, la cosiddetta Gran Morte o Morte Nera che imperversa soprattutto a partire tra il 1347 e il 1353, e porta morte e distruzione in tutta Europa, uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente. L’epidemia si diffonde anche nell’Isola, decimando le città ed i villaggi, già fortemente provati dalle continue guerre tra Arborensi ed Aragonesi. A questa pestilenza, altre ne seguiranno negli anni successivi, con conseguente riduzione della popolazione a causa delle numerose vittime, oltre a quelle che già provocano la malaria e le frequenti carestie. Il governo dell’IsolaL’amministrazione della Sardegna viene affidata dai catalano aragonesi a un Governatore generale che ha la residenza ed il suo palazzo nella cittadella fortificata di Bonaria, e poi nel Castrum di Càralis. Nel 1355, il re Pietro IV concede la costituzione di un Parlamento, ed a Cagliari Riunisce per la prima volta il Parlamento sardo composto dai tre stamenti, o bracci, rappresentanti del clero, della nobiltà e delle città regie. Inoltre, l’isola tende a spopolarsi a causa di anni di guerra, ed inoltre di alluvioni, pestilenze, e brigantaggio. Sono iniziate anche le incursioni dei Pirati ottomani provenienti dall’impero turco ottomano, detto anche Sublime Stato Ottomano o semplicemente Sublime Porta, costituito dai territori balcanici, del vicino oriente e nordafricani occupati dai turchi ottomani. Il controllo delle attività economicheDagli Aragonesi viene imposto un controllo diretto su tutte le attività economiche dell’Isola. La corona aragonese avoca a se i diritti inerenti lo sfruttamento dei ricchi Giacimenti minerari dell’Argentaria del Sigerro, al fine di evitare che per le ricchezze minerarie della zona si scatenano dispute tra i nobili aragonesi. Le miniere dell’Iglesiente dipendono, quindi, direttamente dal re, e ad Iglesias viene aperta una zecca dove confluisce tutta la produzione argentiera. Il livello dell’attività estrattiva, in un primo periodo, risulta essere notevolmente ridotto, soprattutto se paragonato con quello che si era avuto sotto la dominazione pisana. In un secondo periodo, però, a seguito della conquista totale dell’Isola, gli Aragonesi cercano di dare nuovo slancio all’attività di estrazione dell’argento, alleggerendo i dazi, le tasse e i diritti della corona sui metalli. Tale politica però non riesce a riportare le miniere sarde al passato splendore. Le Saline dipendono anch’esse dal re, i cui appaltatori sfruttano pesantemente la popolazione locale. Tutto il Commercio del grano converge su Cagliari ed è controllato dalle famiglie majorchine e catalane degli Canyelles, Tomich, Aymerich. L’aumento spopositato della tassazioneI Tributi sono numerosi e gravosi. Il più importante è il Focatico o Feu, che viene pagato collettivamente ed è ripartito dalla comunità tra le singole famiglie. Vi è poi il llaor, un tributo basato sul seminato e non sul raccolto. Si paga un decimo del ricavato del miele e della cera prodotti, ed una percentuale sul vino venduto. Anche il bestiame viene tassato con il Deghino o Sbarbagio. Per mantenere i cavalli del vicere, si paga in grano ed orzo il Diritto di Paglia; e, per mantenere i prelati, i parroci e i vice parroci, vengono pagate alla Chiesa le Decime. Si paga, inoltre, per mantenere la Scolca ossia per il servizio di polizia, per la Curia ossia il Tribunale di prima istanza, per il mantenimento delle carceri, ed anche per il mezzo postatico, ossia per il trasporto della corrispondenza. A questi tributi, vanno aggiunti la Roadia, che consiste in prestazioni gratuite per il signore, e si è tenuti al trasporto gratuito fino a Cagliari delle tasse riscosse in natura. Inoltre altri tributi sono le Silvae, il Presènti, le Corveès. La prossima paginaNella prossima pagina vedremo come, dopo la dominazione catalano-aragonese, dal 1412 si passa a quella valenciana, in seguiro dal 1479 si passa alla dominazione castigliana che porta alla costituzione del Regno di Sardegna La cui dominazione si prolungherà fino al 1713. |