Tra l’undicesimo ed il sesto secolo avanti Cristo sbarcano in Sardegna i Fenici ben accolti dalla popolazione locale
In questa pagina vedremo i Fenici apparire improvvisamente sulla scena come grande potenza marinara. Ad essi vengono fatte risalire grandi conoscenze tecnologiche, ed alcuni attribuiscono loro anche l’invenzione dell’alfabeto moderno, la diffusione del vetro e della porpora, e quella del sistema babilonese di pesi e misure, ma noi riteniamo che queste conquiste siano ad esse antecedenti. La presenza fenicia in Sardegna copre un periodo che inizia nell’undicesimo e si prolunga fino al sesto secolo avanti Cristo. Chi sono i mercanti e navigatori FeniciQuella fenicia è una popolazione di Origine semitica, appartenete probabilmente anch’essa ai cosiddetti Popoli del Mare, che proviene da un’arida striscia di terra nel Mediterraneo orientale, dove occupa la maggiore parte della costa dell’attuale libano, limitata a sud dal monte Carmel, a nord dal golfo Dilskenderun, a est dalla catena del libano e ad ovest dal mare. Il termine Fenici deriva dalla parola greca Phoinikes, con la quale già Omero chiama questo popolo, ma probabilmente si tratta di un termine nato per designare questa popolazione, e non la parola con cui essa designava se stessa, infatti Non risulta che i Fenici si siano mai dati una denominazione come popolo, a parte le denominazioni delle singole città-stato. Sebbene siano di origine probabilmente precedente, è nell’undicesimo secolo che si osserva l’espansione dei Fenici, il cui centro principale è Sidone. Lo storico romano Giustino, dà anche la notizia della fondazione di Tiro, ma la città era già conosciuta prima di questo periodo, dunque si crede che la città in quest’occasione sia stata rifondata. L’organizzazione della società feniciaLa società fenicia è basata sulle città-stato, che sorgono principalmente sulle coste. Un sovrano domina su ogni città-stato, ognuna delle quali è un’entità autonoma, composta dall’abitato e dalla campagna circostante. Le dinastie diventano presto ereditarie. A volte compare un’assemblea cittadina, e comunque un affiancamento degli anziani, che prendono decisioni al posto del re, e sono molto probabilmente esponenti delle classi mercantili. L’economia della società feniciaNon essendo la loro terra adatta all’agricoltura, ma ricca di coste e di approdi, i Fenici si dedicano alla navigazione e al commercio. I commerci fenici riguarda soprattutto i metalli semilavorati, il grano, le conserve alimentari di carne e di pesce, il vino, il sale e gli schiavi, e dalle loro coste toccano le terre più lontane. La fine dell’undicesimo secolo ed il secolo successivo è il periodo del predominio di Tiro, con il commercio marittimo che si sviluppa da Cipro all’Egeo, fino ad arrivare in Anatolia, e verso occidente fino alle coste spagnole. Fonte principale della loro economia sono le intense attività commerciali e marittime, per sostenere le quali, dopo le prime frequentazioni occasionali, essi iniziano a fondare numerosi Empori commerciali, punti di appoggio, e colonie sulle coste. Nel Mediterraneo occidentale le fondano soprattutto a Malta e in Sicilia, da cui partono due rotte, la prima per la Sardegna, le Baleari e la Spagna; la seconda per l’Africa, fino all’Atlantico, e poi, nuovamente, alla Spagna. Sono grandi navigatori, e conoscono e sanno tracciare le rotte. Preferiscono navigare sotto costa, di giorno, orientandosi con il sole, hanno quindi bisogno di punti di approdo che non distino tra loro più di una giornata di navigazione. Se costretti a navigare di notte, si orientano con le stelle dell’Orsa Minore che verranno, per questo, chiamate dai greci Stelle fenicie. L’organizzazione urbana delle città fenicieLe città fenicie sono caratterizzate da possenti mura difensive e da porti funzionali, realizzati in posizioni in grado di difendersi dalle maree o da fenomeni di insabbiamento. Le navi entrano in porto solo per operazioni di carico e scarico, mentre, per il resto del tempo, restano in mare. Per quanto riguarda l’organizzazione urbana dei centri fenici, sappiamo che all’interno della cerchia muraria si trovano le case, le botteghe, gli impianti artigianali, e i numerosi edifici pubblici. Vi sorgono, anche, i templi, e, soprattutto nella parte più alta della città, denominata Acropoli, generalmente sorge un importante Santuario. Al di fuori dalle mura cittadine, vengono, invece, realizzate la necropoli, nelle quali seppellire i defunti in tombe a pozzo scavate nella roccia, con seppellimento sia ad inumazione che ad incinerazione; ed il Tophet, il luogo destinato alla sepoltura dei bambini, con l’incinerazione ed il loro seppellimento in vasi di terracotta. La cultura feniciaI Fenici possiedono una notevole cultura, parlano una lingua semitica affine all’ebraico e, secondo alcuni, avrebbero inventato l’alfabeto moderno, che fa corrispondere ad ogni suono un segno, ma noi abbiamo la certezza che un tale alfabeto fosse di gran lunga antecedente dato che in Sardegna sono state rinvenute alcune iscrizioni in una lingua del tutto simile ma di gran lunga più arcaica, risalenti al periodo shardana. Il loro alfabeto, come in tutte le lingue semitiche, manca delle vocali che verranno successivamente aggiunte dai Greci i quali inizieranno a scrivere da sinistra verso destra. Utilizzano e diffondono la conoscenza del vetro, che i Greci ritengono addirittura sia stato inventato proprio da loro. Utilizzano inoltre la porpora, una sostanza rossa estratta dalla conchiglia di alcuni animali marini, per colorare le vesti. E portano inoltre alla diffusione, in tutto il Mediterraneo, del sistema babilonese di pesi e misure. Ma la Bibbia racconta che Ooliab, figlio di Achisamac, della tribù di Dan, Intesseva la porpora viola e rossa, intesseva lo scarlatto e ricamava il bisso..., e lui era uno dei costruttori dell’Arca, parliamo quindi una data intorno al 1300-1280 avanti Cristo, quattrocento anni prima dell’arrivo sulla scena dei cosiddetti Fenici. Una interessante ipotesi sulla misteriosa origine dei FeniciÈ, quindi, improbabile che si tratti di un popolo nativo del libano, perché, dopo l’invasione del 1200 che tutto distrugge e dalla quale si salva solo Atene, sarebbero occorsi secoli prima che una civiltà ivi residente potesse riprendere il suo splendore. E d’altra parte, le conoscenze dei Fenici si ritrovano tutte nella precedente storia degli Shardana, per cui siamo portati a vedere i Fenici come eredi degli Shardana, rientrati, dopo la grande catastrofe del 1200 avanti Cristo, nel territorio dal quale, tanti anni prima, erano partiti per muoversi verso occidente. Questo porta a ritenere che la civiltà fenicia sia stata originata dalla fusione della popolazione locale cananea, con gli Shardana e gli altri Popoli del Mare, che arrivarono ad occupare le coste orientali del Mediterraneo, in seguito alle loro terribili incursioni del 1200 avanti Cristo. Delle navi shardana riprodotte nei bronzetti votivi abbiamo già parlato, vi si possono forse riconoscere le navi dei Feaci di Omero, e vi riconosciamo le caratteristiche delle navi dei Fenici. Come abbiamo già scritto, della navigazione lungo le coste dell’Africa degli Shardana alla ricerca dello stagno per produrre il bronzo, le cui rotte a loro ben note, sarebbero poi state seguite dai Fenici. Ed essi, infatti, le seguono, su incarico del faraone Necao, nel settimo secolo avanti Cristo; da Hiram il fenicio, verso la mitica Hofir; nel viaggio voluto nel 900 avanti Cristo da Salomone, il quale invia i Fenici a cercare metalli, fino alla mitica Tartesso. Ed inoltre ai Fenici gli storici Greci attribuiscono anche il primo periplo dell’Africa. L’arrivo dei Fenici in SardegnaAttirati dalla posizione geografica dell’Isola, le cui coste costituiscono un’ottima base di transito verso l’occidente, dalla fertilità della terra e dalla ricchezza delle miniere, i Fenici cominciano a frequentare la Sardegna per scambiare i propri prodotti con quelli delle popolazioni locali. Offrono vasi, tessuti, gioielli e profumi, in cambio di metalli greggi, soprattutto il rame, l’argento ed il piombo. La collocazione degli insediamenti Fenici in zone nelle quali non esistevano precedenti insediamenti locali, fa pensare che non si sia determinato alcun conflitto tra i Fenici e gli abitanti dell’Isola. I Fenici si insediano in luoghi a bassa densità abitativa da parte della popolazione locale, o in luoghi dai quali i i locali si erano allontanati da molto tempo. Preferiscono insediarsi nel sud dell’Isola, perché il nord ha folti insediamenti locali. Effettuano un insediamento progressivo, dove l’entroterra lo permette, ma con una espansione esclusivamente difensiva, ed acquisiscono il territorio solo per necessità di approvvigionamento agricolo, soprattutto nel Sulcis. Si presume, comunque, che tra la popolazione locale ed i Fenici si instauri un buon rapporto di collaborazione e di scambio commerciale. Grazie alla presenza dei Fenici viene introdotta la scrittura, e la cultura dell’isola si arricchisce, uscendo dai suoi confini naturali ed entrando nel più ampio contesto della cultura mediterranea. A Nora è stata rinvenuta una stele sepolcrale, nota appunto con il nome di Stele di Nora, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, sulla quale compare la parola SHRDN, che per gli Egizi indicava gli Shardana, il che starebbe a dimostrare l’origine shardana dei Fenici. E la sua lettura, ricostruita dall’epigrafista Gigi Sanna, dimostra che la stele di Nora sarebbe di gran lunga antecedente l’arrivo dei Fenici in Sardegna, e non sarebbe quindi opera di scribi fenici ma di scribi shardana. In essa si trovano una decina di segni corrispondenti esattamente a lettere dell’alfabeto fenicio, ma in essa si ritrova anche una lettera ripetuta due volte che non figura nell’alfabeto fenicio. I caratteri sono di tipologia cosiddetta fenicia arcaica, alfabeto adoperato anche in Sardegna tra il decimo ed il nonno secolo avanti Cristo, ma il contenuto linguistico si deve ritenere completamente sardo. Se fosse vera, come noi riteniamo, l’origine shardana dei Fenici, ciò farebbe comprendere perché al loro arrivo in Sardegna vengano accolti così bene dalla popolazione locale, che consentirà loro la creazione degli scali commerciali. Cosa che non avverrà invece con i Cartaginesi, e meno ancora con i Romani, che verranno sempre contrastati dalla popolazione locale. I primi sbarchi dei Fenici in Sardegna nell’Età del Bronzo FinaleIn base a ritrovamenti effettuati a Sulci, sappiamo che i primi Fenici iniziano a frequentare le coste sarde già dall’undicesimo secolo avanti Cristo, nel periodo in cui il predominio di Tiro li fa iniziare a spostarsi lungo le coste del Mediterraneo, e la loro presenza sull’isola dura in tutto circa seicento anni. Il primo periodo della presenza fenicia in Sardegna, è quello che viene chiamato della Fase Precoloniale e che si inquadra nell’Età del Bronzo Finale, dal loro primo approdo sull’isola nell’undicesimo secolo, fino a verso l’850 avanti Cristo. Nella fase precoloniale, vengono creati da parte dei Fenici i primi insediamenti, che vengono indicati nella letteratura specialistica con il termine di Empori commerciali. Si tratta di centri abitati di piccole dimensioni, a carattere solitamente non di tipo stanziale, creati con una duplice funzione. Da un lato, per instaurare, incentivare e regolamentare le relazioni commerciali con le popolazioni locali. Dall’altro, per offrire alle navi fenicie un supporto per le necessità di sosta, per quelle di ricovero delle navi in caso di avverse condizioni atmosferiche, e per riparare i possibili danneggiamenti ai quali le navi potevano essere soggette. I dati archeologici attestano, nel periodo precoloniale, contatti commerciali e culturali tra Sardi, Fenici, Egei e Micenei, che avvengono in diversi centri, come, ad esempio, nel villaggio di Sant’Imbenia, nella baia di Porto conte, vicino ad Alghero, in Provincia di Sassari. L’abitato di Sant’Imbenia si è rivelato un centro di smistamento dei prodotti minerari locali, argento, rame e ferro, ed almeno nella prima metà dell’ottavo secolo viene realizzata un’officina ceramica e forse anche metallurgica. Qui sono state rinvenute, accanto alle ceramiche realizzate dalla popolazione locale, anche altre di importazione, in particolare fenicie e greche dell’Eubea, la presenza delle quali ha portato gli studiosi a ipotizzare la presenza stabile di popolazioni di provenienza orientale. Sono databili nel periodo precoloniale, un frammento di ceramica micenea ritrovato a Tharros databile addirittura al 1300 avanti Cristo, anche un tripode rinvenuto a Oristano, manici di specchi trovati a Santadi, un bronzetto rinvenuto a Galtellì. Riferibili esclusivamente ai Fenici sono anche alcuni reperti del decimo e del nonno secolo rinvenuti nella Nurra. In seguito, sempre databili nel periodo precoloniale ma riferibili al nonno ed all’ottavo secolo, sono diversi bronzi figurati rinvenuti a Santa Cristina di Paulilatino, ed anche un bronzetto rinvenuto a Mandas. Risalgono all’ottavo secolo anche i torcieri in bronzo di stile cipriota rinvenuti nell’area di Santa Giusta, ma anche torcieri rinvenuti a Serri ed a Tadasuni, e nel Nuraghe su Uraki a San Vero Milis. alla stessa epoca sono riferibili tra l’altro una fibbia bronzea trovata a Barumini, ed anche alcuni bacili rinvenuti a Sardara, ed un tripode rinvenuto a Santadi. Nella prima Età del Ferro la presenza dei Fenici diventa stabileI Fenici incominciano a installarsi stabilmente in Sardegna nell’Età del Ferro, verso l’850 avanti Cristo, in un’epoca comunque antecedente il settimo o il sesto secolo, quando fino a qualche tempo fa si pensava fosse iniziata la loro installazione stabile. Si tratta dei primi insediamenti fenici, che in seguito assumeranno i connotati di vere e proprie realtà urbane. Infatti, dall’850 avanti Cristo, ha inizio la fase del reale insediamento fenicio indicata con il nome di Fase Coloniale. Con l’arrivo dei Fenici in Sardegna, la popolazione preistorica entra, per la prima volta, in contatto diretto con il modello urbano, che in quegli anni si è affermato in turro il bacino del Mediterraneo. Il primo periodo della presenza fenicia sull’isola, chiamato periodo GeometricoNel periodo che va dall’850 al 730 avanti Cristo si sviluppa la prima fase dell’età coloniale, ossia quell’età che viene detta Periodo Geometrico. In questa fase comincia a comparire il ferro, ma prosegue l’utilizzo da parte della popolazione locale del bronzo. Vengono realizzati gli ultimi bronzetti, ed anche le ceramiche hanno forti analogie con quelle dell’epoca precedente. Inoltre, molti Nuraghi non vengono abbandonati, ma ristrutturati e utilizzati come templi, ed è importante sottolineare che essi rimangono un ruolo fondamentale, come ben evidenzia anche la riproduzione dei tanti modelli di Nuraghe in pietra, bronzo e argilla. Durante il periodo geometrico, vengono esportati manufatti sardi in quasi tutte le regioni mediterranee, cosa evidenziata dalla diffusione della ceramica sarda anche al di fuori dell’Isola. Il primo periodo, chiamato Geometrico I fa riferimento ad alcuni rinvenimenti nel Nuraghe di Genna Maria nel vano 17, a Villanovaforru nel Medio Campidano. Altri ritrovamenti riconducibili a questo periodo, provengono dai contesti di Sant’Anastasia, di Monte Zara, e dal sepolcreto a pozzetti di Antas, a Fluminimaggiore. Il successivo periodo, chiamato Geometrico II si riferisce ancora al contesto di Genna Maria nei vani 11 e 12, che viene definito Genna Maria II per distinguerlo dal precedente. Tra gli altri contesti dove sono stati rinvenuti reperti di questo periodo, c’è quello di Barumini, ed il sepolcreto a pozzetti, cippi-Nuraghi e statue, rinvenuti a Mont ’e Prama, in territorio di Cabras vicino ad Oristano. Il periodo Orientalizzante Antico e Medio-EvolutoMa è verso il 730 avanti Cristo che la presenza dei Fenici in Sardegna diviene stabile, si insediano, fondano le loro principali città, e vi si insediano. Tra il 730 ed il 580 avanti Cristo, si sviluppa il Periodo Orientalizzante. In questo periodo continua, pur riducendosi come numero, la presenza di manufatti sardi in quasi tutte le regioni del Mediterraneo, che hanno apprezzato i loro manufatti del periodo geometrico. Nella fase iniziale, durante il periodo Orientalizzate Antico gli insediamenti e i depositi costieri nella parte meridionale dell’Isola, usati come scali marittimi e commerciali, diventano veri centri abitati. In questo periodo, i Fenici realizzano città importanti e potenti, belle e molto decorate. Nella seconda fase del periodo, chiamato Orientalizzante Medio-Evoluto emerge un rapporto privilegiato con l’Etruria, ma con direttrice invertita. Infatti, sono gli Etruschi a viaggiare in direzione della Sardegna, ed influenzano in modo significativo la produzione ceramica locale. I Sardi si trovano, inoltre, a subire l’intraprendenza commerciale e politica dei Fenici, che, insediatisi sulle coste, tendono ad estendere la loro influenza culturale e politica in porzioni sempre maggiori del territorio, soprattutto nell’area del Sulcis. L’ultimo periodo della presenza fenicia sull’isola, denominato periodo ArcaicoNegli ultimi anni della presenza fenicia in Sardegna, tra il 580 ed il 510 avanti Cristo, si sviluppa il Periodo Arcaico ma questo periodo assai breve è molto meno conosciuto di quello precedente. Nel periodo Arcaico, la fondazione, da parte di profughi greci provenienti da Focea, in Turchia, delle colonie di Massalia, oggi Marsiglia, sulla costa francese, di Alalia, in Corsica, e dell’emporio di Gravisca, oggi nota come Porto Clementino, presso Tarquinia in Provincia di Viterbo, iniziano a spezzare con la presenza greca il duopolio etrusco-fenicio nel Tirreno. Ha inizio la presenza di popolazioni greche, almeno in aree portuali, libere e non ancora controllate dai Fenici, in particolare a Cagliari e ad Olbia, scalo fondamentale, come Alalia, per la navigazione dei Sardi verso l’Etruria e la costa francese. La presenza fenicia nell’isola prosegue, comunque, fino all’occupazione cartaginese delle piane della Sardegna, intorno al 510 avanti Cristo, suggellata dal primo accordo tra Roma e Cartagine, in una data assai vicina a quella che in Grecia chiude la fase arcaica e inizia quella classica. L’influenza della presenza fenicia in SardegnaIl contatto con i Fenici porta alla popolazione locale numeroso vantaggi. Questi vanno dalla Introduzione della scrittura che rappresenta un evento rivoluzionario nello scenario culturale sardo, anche se forse come abbiamo già visto la scrittura potrebbe essese stata antecedente, fino alla nascita del concetto di città del quale abbiamo già parlato. La struttura sociale della società feniciaI Fenici sono frazionati politicamente. Ogni città è sovrana, ed è governata da un monarca, in genere ereditario, affiancato da un consiglio di anziani, espressione dell’Oligarchia di commercianti e armatori, che ne limita la sovranità. Ma la vera conquista in quel periodo, secondo l’archeologo Giovanni Lilliu, è l’organizzazione politica, che ruota intorno al Parlamento del villaggio, nel quale un’assemblea composta dai capi e dalle persone più influenti, si riunisce per discutere sulle questioni più importanti e sulla giustizia. Secondo Giovanni Lilliu, questa forma di governo, benché non originale ed esclusivo della Sardegna, si ritroverà ancora intatto, dopo duemila anni, nello spirito delle Coronas de logu del periodo giudicale. L’economiaDai Fenici la popolazione locale impara a sfruttare meglio le risorse naturali dell’Isola, migliora lo sfruttamento dei giacimenti minerari, inizia la coltivazione della palma e dell’ulivo, la produzione del sale, migliorano le conoscenze per la pratica della pesca. porta anche la conoscenza di divinità diverse rispetto a quelle che avevano adorato per secoli. Con il prosperare dei commerci, i prodotti della metallurgia e i manufatti sardi raggiungono ogni angolo del Mediterraneo, dalle coste siro: il palestinesi a quelle spagnole e atlantiche. Quanto alle merci importate dai Fenici, sono soprattutto oggetti di lusso o stoviglie destinate ai banchetti, e provengono principalmente dalle città dell’Etruria. I Fenici utilizzano la Porpora, una sostanza rossa estratta dalla conchiglia di alcuni animali marini, per colorare le vesti. La porpora, però, era già conosciuta prima dei Fenici, dato che secondo la Bibbia Mosè affidò la costruzione dell’arca dell’alleanza a Ooliab della tribù di Dan, che intesseva la porpora viola, rossa scarlatto e ricamava il bisso. Come già detto, secondo Esichilo in Sardegna, nella località dove sorgeva Cornus, era fiorente l’industria della porpora che era esportata in tutto il Mediterraneo con il nome di Ba’ mma sArdianica, ossia tinta scarlatta sarda, ed ancora oggi gli abitanti del luogo lo chiamano Campu ’e corra, dove Corra è il nome che danno al mollusco della famiglia dei gasteropodi, dal quale essa veniva estratta. Per non parlare del Bisso, detto anche la seta di mare, che viene ricavato da un filamento che secerne un mollusco, la Pinna nobilis setacea, che si trova, tra l’altro, nei fondali dell’isola di Sant’Antioco. E proprio a Sant’Antioco ancora oggi vive ed opera Chiara Vigo, l’ultima persona al mondo che raccoglie, carda, fila, tesse il bisso, e che lo tinge secondo l’antichissima tradizione. Come cambiano i villaggi e si avvia la costruzione delle città fenicieNella prima Età del Ferro, in Sardegna vengono superati i nuclei abitativi dipendenti dalla residenza del capo, ubicati in prossimità e direttamente dipendenti dal Nuraghe, oppure distanti da esso ma legati al terreno agricolo e pastorale. Avvengono, inoltre, notevoli cambiamenti nell’assetto di alcuni Nuraghi, che subiscono ristrutturazioni, a volte addirittura il parziale smantellamento di alcune delle torri e dei bastioni, come testimoniato, tra l’altro, dal Nuraghe Genna Maria a Villanovaforru. Ed intorno ai Nuraghi, sempre più complessi ed elaborati, aumenta il numero delle capanne e vi è un ampio incremento demografico. La trasformazione dei Nuraghi, indica che ormai il centro della comunità è diventato il villaggio. Cambia, anche, l’assetto dei villaggi preistorici, con il passaggio dalla capanna circolare, a un complesso di diversi ambienti delimitati da un unico perimetro murario. Si tratta dei cosiddetti isolati, che tendono ad affermarsi con la comparsa della cultura fenicia. Le case sorgono spesso a ridosso, o sopra, i resti delle cinte antemurali di quelle che erano le regge nuragiche, e sono costituite da isolati formati da più ambienti, in genere da sei ad otto, disposti intorno a un cortile centrale. Già dall’inizio del periodo Geometrico, i villaggi sardi tendono all’urbanizzazione, ma non è chiaro quanto sia sviluppato questo processo. Gli isolati abitativi sono costituiti da vani a sviluppo prevalentemente rettilineo, con tetti lignei a spiovente. Le case sono relativamente semplici e modeste, con i muri di mattoni di fango o di pietre di media e piccola pezzatura, che vengono poi intonacate con la calce, mentre nel Campidano sono realizzati con muri di mattoni di fango chiamati làdiris, ed i pavimenti sono in terra battuta. Le case possono essere con il solo piano terreno o a un piano, hanno spesso un cortile su cui si affacciano le varie stanze. I vani hanno diverse destinazioni, ossia per la preparazione dei pasti, per il pernottamento, i laboratori, ed a volte alcuni isolati comprendono anche un piccolo ambiente circolare provvisto di bacile e vasca, con adiacente un forno, destinato ai lavacri con acqua fredda e calda, ad uso termale. Le case sono, spesso, provviste di una cisterna per raccogliere l’acqua piovana. Sono presenti i primi forni per la ceramica con colonnina centrale, forni per il pane, oltre a resti di fornaci per fonderia, ed anche torchi per la vinificazione. Si notano anche i primi segni di viabilità, e nell’abitato di San Sperate si trova una larga strada lastricata. Frequenti nei villaggi sono i pozzi idrici, ed a volte si trovano anche canalette per il deflusso dell’acqua. Nel periodo Orientalizzante Antico sono ancora in uso gli ambienti circolari con bacile e vasca, e nel Campidano continua l’uso di case ad ambienti rettangolari con muri di mattoni di fango. Ma i principali segni dell’evoluzione del villaggio verso la città, è la presenza, in essi, della sala del consiglio, uno o più templi ed il Santuario, che sorgeva sull’Acropoli. Sono le sedi, rispettivamente, dei rappresentanti politici e religiosi della comunità. C’è, inoltre, spesso una palestra, funzionale alla crescita dei giovani. É scarsa la conoscenza dell’edilizia abitativa nel periodo Orientalizzante Medio-Evoluto, così come di quello Arcaico, a causa dei pochi scavi effettuati in aree abitative, e dell’assenza di contesti funerari relativi a questo periodo. Le case sono, comunque, a vani quadrangolari, realizzate con basamenti in muratura, sul quale si alzano i muri in mattoni di fango. In questo periodo gli insediamenti diminuiscono in numero, ma in compenso si nota la tendenza all’inurbamento anche nelle aree campidanesi. Delle città e delle fortezze fenicie ci restano, oggi, solo le Necropoli ed i Tophet, dato che, sui loro centri abitati, verranno edificate le città puniche; e, successivamente, su queste, le città romane. Le ceramicheLa lavorazione della ceramica da parte della popolazione locale, nell’Età del Ferro, è la logica prosecuzione di quella che si era effettuata nell’ultima Età del Bronzo. La ceramica, che era caratterizzata da decorazioni in stile geometrico, con l’Età del Ferro si caratterizza ancora per l’ornato di tipo geometrico, ma anche per un trattamento delle superfici a volte molto più curato. Le produzioni ceramiche tornano, infatti, ad essere riccamente decorate, con caratteristiche orientalizzanti. Le principali forme dei vasi del periodo Geometrico I, sono le brocche con bocca a taglio obliquo, con il corpo che tende al globulare; anfore con il collo alto e con l’ansa a gomito rovescio; ed anche scodelloni lenticolari biansati e scodelline a calotta sferica; ciotole decorate con simboli in rilevo; e molte altre forme. Nelle ceramiche, la decorazione si limita a motivi simbolici in rilievo, a isolate fasce orizzontali impresse a stecca sulla spalla delle brocchette askoidi, e a grossi punti impressi sulle anse a bastoncello schiacciato inferiormente dei vasi potori. Forme tipiche del Geometrico II sono i vasi piriformi, tipici dell’Età del Bronzo, con falso beccuccio, a volte decorati con figure umane e con disegni di Nuraghi, brocche a collo largo, brocche Askoidi; anfore ad alto collo con anse a gomito, fiasche, lucerne cuoriformi a spalla carenata, e poi lucerne a contorno piriforme con protome zoomorfa e Pintaderas a disco. Nella ceramica, la decorazione geometrica occupa tutta la superficie delle brocche e delle anfore, con fasce anche verticali disegnate a impressioni superficiali della stecca, o a incisione, o stampigliate. Nel periodo Orientalizzante Antico, le forme più comuni dei vasi sono le brocche Askoidi a collo largo, a volte con anelli in rilievo sul collo; e le brocchette Askoidi dal collo stretto a corpo ellissoide. Non si trovano più i vasi piriformi. La ceramica d’impasto è sovradipinta. In particolare un secchiello, con una serie di linee piegate a gomito dette Chevrons tra serie di tratti verticali dipinti, e la brocca Askoide con la bocca trilobata, risentono del gusto della ceramica euboica e cicladica. Nell’età Orientalizzante Medio-Evoluta, nella produzione dei vasi prevale la ceramica sub-geometrica, spesso con un decoro metopale inciso e impresso, che comprende brocche e brocche Askoidi a bocca trilobata, secchielli, attingiti, fiasche ed altro. Si trova la ceramica d’impasto tornita sub-geometrica sovradipinta, e la ceramica tornita con decorazione geometrica dipinta. Iniziano ad arrivare sull’isola numerosi vasi in bucchero, un tipo di ceramica nera fine e leggerissima prodotta dagli Etruschi, e ceramiche italo-Corinzie. Notevole anche la presenza di vasellame fenicio. La metallurgia del ferro e l’oreficeriaIn precedenza per produrre utensili veniva utilizzato il bronzo, dato che il suo punto di fusione è più basso di quello dell’acciaio, ma con l’Età del Ferro inizia lo sviluppo di tecniche di fusione a temperature più alte. Durante l’Età del Ferro, i migliori utensili e armi sono fatti d’acciaio, una lega costituita da ferro e carbonio. Le armi in acciaio e gli strumenti sono pressappoco dello stesso peso di quelli in bronzo, ma più robusti. Tuttavia, l’acciaio era difficile da produrre con i metodi allora disponibili. Perciò, molti utensili in ferro vengono forgiati in ferro battuto. Si è arrivati rapidamente all’adozione del ferro per la fabbricazione di utensili ed armi, continuando ad usare il bronzo per oggetti decorativi. Sono molte le armi di questo periodo, soprattutto le lunghe spade a nervatura che sono state rinvenute sugli altari dei templi, alcune delle quali sono provviste d’elsa e risultano essere state utilizzate. Non mancano le spade di varia foggia, spesso simili a quelle impugnate dai guerrieri dell’Età del Bronzo, ed anche, sul finire del periodo, le spade ad antenne come quella rinvenuta a Ploaghe. Si trovano, inoltre, i pugnali, dei tipi con manico ad elsa gammata, che spesso sono rappresentati fissati alla bandoliera di vari personaggi rappresentati nei bronzetti. Una delle forme d’artigianato artistico più tipiche della cultura fenicia è certamente l’oreficeria. Diventa quindi più consistente l’utilizzo dell’oro e dell’argento, utilizzati per la realizzazione di monili e di diversi oggetti d’ornamento. Gli orafi fenici praticano con particolare maestria le tecniche della filigrana e della granulazione, non a caso ancora oggi tipiche delle oreficerie tradizionali sarde. Difficile determinare la provenienza degli oggetti in oro, che potrebbero essere stati importati dai Fenici e dai Greci, ma anche prodotti dagli stessi sardi. I bronzetti in stile Abini-Serri ed i colossi in calcare di Mont ’e PramaAnche la produzione dei bronzetti da parte della popolazione locale, nell’Età del Ferro, è la logica prosecuzione di quella che si era effettuata nell’ultima Età del Bronzo. Comunque, a questo periodo da alcuni sono attribuiti i Bronzetti in stile popolaresco o mediterraneo quello che viene chiamato anche Stile Abini-Serri di cui abbiamo visto diversi esemplari nella pagina dedicata all’Età del Bronzo ed agli Shardana. Ed anche le sculture dei Colossi in calcare di Mont ’e Prama rinvenute vicino a Cabras, anch’esse descritte nella pagina dedicata all’Età del Bronzo ed agli Shardana. La cronologia è sostenuta dai confronti stilistici con i bronzetti dello stile Abini-Serri, datata in base all’utilizzo della necropoli a pozzetti, simili a quella di Antas, oltre che dalle ceramiche rinvenute nel corso degli scavi, ed infine da uno scarabeo ellittico di tipo Hyksos rinvenuto nella tomba T 25, simile a un esemplare rinvenuto in una tomba di Tiro databile intorno al 760-740 avanti Cristo. La loro datazione è, comunque, estremamente incerta, ed oscilla dall’ottavo al nonno o addirittura al decimo secolo avanti Cristo. Al Geometrico I, ossia nell’settimo secolo, è attribuita la realizzazione della statuina di un eroe o una divinità nuda itifallica, ossia con un evidente fallo in erezione, rinvenuta nel corso dei lavori di scavo effettuati nel tempio di Antas, a Fluminimaggiore. Alcuni attribuiscono alla fase del Geometrico II, ossia ai decenni intorno alla metà del settimo secolo avanti Cristo, il bronzetto, connotato dagli occhi cerchiati, chiamato, secondo una definizione di Giovanni Lilliu, bronzetto del sacerdote pugilatore, rinvenuto a Dorgali. La definizione di pugilatore appare, presumibilmente, impropria, dato che più che uno scudo, di solito rigido, tiene in testa qualcosa di floscio, e pugno ed avambraccio sono inguainati e rigidi. Quindi il bronzetto di Dorgali potrebbe raffigurare un fedele che, accostandosi alla divinità, si mette sul capo un panno in segno di deferenza alla divinità stessa. Nel periodo Orientalizzante Antico, la produzione bronzea inizia a risentire fortemente dell’influenza fenicia. Si diffondono diverse varianti di lucerne e diversi contenitori pregiati, come una brocchetta askoide in bronzo con palmetta, di imitazione fenicia, ed una brocca Askoide con protome bovina. Nell’Orientalizzate Medio-Evoluto, prosegue la produzione di bronzi figurati e di navicelle in stile orientalizzante, piuttosto manieristiche, in prevalenza a scafo trapezoidale, provviste di maniglia con un anello. L’artigianato dell’epoca feniciaL’artigianato dell’epoca fenicia produce ceramiche raffinate e strumenti sempre più elaborati, mentre aumenta la qualità delle armi. Di questo periodo della storia dell’isola ci resta soprattutto un’arte a carattere sacro, con piccole sculture dedicate alle divinità, cippi e steli votive. Ci restano, poi, raffinate ceramiche e vasetti per la conservazione dell’olio profumato. In questo periodo i santuari diventano le banche dei villaggi, che conservano le riserve comunitarie in metallo e di altro tipo, ed accumulano consistenti ricchezze. Per misurare le ricchezze si ricorre ai pesi da bilancia, che si presentano in forme diverse, discoidale, a botticella, parallelepipeda, a campana. Risultano realizzati in pietra, in bronzo ed in piombo, con segni numerali che ne indicano il valore. I segni numerali, ora geometrici ora letterari, appaiono oltre che nei lingotti in rame a pelle di bue, detti Ox-hide, e si trovano incisi o impressi su recipienti fittili e su elementi architettonici. Tra gli attrezzi più diffusi citiamo le asce a margini rialzati e le asce bipenni e piatte, scalpelli con immanicatura a cannone, e altri strumenti usati nella lavorazione del legno. Questo è il periodo in cui si diffondono nell’isoI grandi calderoni derivanti da esperienze metallurgiche cipro-fenicie, prima con attacchi a spirale e poi, verso la fine del periodo, con attacchi a fiore di loto. Come i tripodi ed altri manufatti in bronzo legati ai cerimoniali nei templi. Nei templi si trovano, con grande frequenza, i bottoni conici e le navicelle in terracotta e in bronzo, offerte alle divinità. La religiositàNella religione dei Fenici sono personificate le forze della natura, che variano da regione a regione oltre a variare nel tempo. La cosmologia fenicia ha inizio con l’unione del Caos primitivo con una divinità chiamata El, un dio del pantheon dell’area semitica siro: il palestinese e della Mesopotamia, spesso presentato con caratteristiche del dio supremo. I Fenici credono che da questa unione nasce un uovo, il Mot ossia l’Uovo cosmico, e che una sua rotazione violenta abbia separato terra e acque. Poi vengono creati gli dei e viene fatto l’uomo, da cui hanno origine la vita animali e quella vegetale. I Fenici non hanno mai sviluppato il concetto di un dio solo, di una divinità suprema. Sono sempre stati politeisti. Nella loro religione esiste una trinità: El, Baal e Astarte. Il dio El è, come già detto, il padre degli dèi, un dio inafferrabile, lontano dall’uomo. Ma, oltre ad esso, anche i Fenici come i Sardi adorano i due principi della vita, quello maschile e quello femminile. La principale divinità maschile è Baal, padre di tutte le cose, che ogni anno a febbraio muore e poi risorge, richiamando il ciclo delle stagioni, ossia si sacrifica per l’uomo morendo e risorgendo per lui. Il termine Baal si trova anche nella bibbia, ed in ebraico vuol dire signore, possessore o marito. La divinità femminile è Astarte o Ashtart, che verrà chiamata Tanit a Cartagine, è la grande Madre, la dea della fecondità e del piacere, colei che dà calore, che dà fertilità ed anche sicurezza all’uomo. E, come auspicio per la fertilità, presso i Fenici si celebra il rito della Prostituzione sacra, per il quale ogni donna, solo una volta l’anno, in occasione di particolari feste, concede all’uomo il proprio corpo, per consentirgli di corrispondere direttamente con la divinità. Oltre a questi dei, nelle varie città ne sono presenti altri, come soprattutto Melqart o Melkart, una divinità maschile di Tiro che rappresenta un punto di contatto nella mitologia di culture adiacenti, protettore dei naviganti, il cui nome significa re della città. La religiosità popolare si avvale di ulteriori divinità, ciascuna preposta a tutelare da un singolo male, per cui ad esempio il dio Bes, nano deforme di origine egizia cui sono dedicate la Sardegna e le isole Baleari, ha la fama di proteggere dai morsi dei serpenti velenosi o degli scorpioni, che infatti non esistono in queste isole. Inoltre i Fenici hanno in comune con i Sardi il culto dei betili, cioè le pietre o pilastri sacri nei quali si crede scendano ad abitare la divinità. Già dal periodo Geometrico, fanno la loro comparsa i santuari. In alcuni villaggi, di grande rilevanza politica e religiosa e da considerare come fossero i capoluoghi distrettuali, i templi dell’Età del Bronzo recente e Finale, vengono inseriti in grandi aree sacre che comprendono nuovi edifici sacri. Continuano ad essere utilizzati anche i templi dedicati al culto delle acque, e forse ancora costruiti nella primissima fase dell’Età del Ferro. I luoghi di culto delle città fenicie si trovano sempre in un luogo sacro, in posizione elevata, l’Acropoli, un luogo dove sorge il Santuario, e dove si prega e si offrono agli dei pani, frutta, fiori, profumi, e si effettua pure il sacrificio degli animali. Il culto dei morti con la realizzazione delle necropoli e dei TophetAllo stato attuale sono poche le aree sepolcrali del Geometrico investigate, ma di grande rilevanza. Le sepolture non sono più collettive, ma individuali. Si tratta di una vera rivoluzione per la Sardegna, che era stata una delle patrie dei sepolcri collettivi. Già all’avvio del primo Ferro le tombe sono caratterizzate da pozzetti, in cui gli inumati sono deposti seduti, forse nella posizione del banchetto. In questo periodo sono note anche altre tipologie di tombe individuali: a fossa ed in tafoni. Si mantiene, comunque, in alcune Tombe di giganti l’antico rito dell’inumazione collettiva. Nel periodo Orientalizzate inizia la costruzione delle città. Ogni città fenicia ha una Necropoli La città dei morti, che sorge al di fuori delle mura cittadine. La sepoltura è per incinerazione, cioè la cremazione del corpo le cui ceneri vengono raccolte e sistemate in vasi di terracotta e quindi seppellite. L’inumazione, cioè la sepoltura semplice nella nuda terra, si viene ad affermare solo successivamente, per i contatti con i Cartaginesi. Sono stati rinvenuti diversi tipi di sepoltura, che variano probabilmente a seconda del rango sociale del defunto: semplici fosse di incinerazione, urne cinerarie sepolte nella terra, sarcofaghi scavati nella pietra calcarea e ricoperti da tegole in terracotta o da una lastra in pietra calcarea. Nell’area sulcitana ha inizio un intenso processo di osmosi tra la cultura locale e quella fenicia, e non è da escludere che sia stata adottata la sepoltura ad incinerazione anche da parte della popolazione sarda. Caratteristica delle città fenicie sono inoltre i Tophet luoghi sacri per i sacrifici alle divinità, dove vengono bruciate le salme dei defunti che, non avendo ancora affrontato i riti di iniziazione, non possono venire sepolti nella necropoli. Si tratta quindi delle sepolture dei bambini. In Sardegna resti di un Tophet si vedono tra le rovine di Tharros e sul monte Sirai, ma il più noto è il Tophet di Sant’Antioco, dove sono stati trovati vasi di terracotta contenenti le ceneri di oltre cinquemila bambini, spesso in compagnia di piccoli animali domestici, e molti altri sono ancora sepolti. In base ai resoconti degli antichi Romani, che però ne erano avversari e quindi ne davano un giudizio non sempre imparziale, si è ritenuto che si trattasse di Cruenti sacrifici dei primogeniti delle più alte classi sociali, questo per dimostrazione che gli avversari dei Romani erano incivili e crudeli. Oggi una interpretazione storica più attendibile fa escludere questa interpretazione, dato che si ritiene improbabile che, in un’epoca nella quale solo una minima percentuale dei bambini sopravvive alle malattie della prima infanzia ed arriva alla maggiore età, vengano offerti in sacrificio i primogeniti, e soprattutto quelli delle famiglie più abbienti. Da analisi effettuate in questi ultimi anni proprio sui reperti del Tophet di Sant’Antioco, si è infatti visto che molti erano feti, per cui oggi si tende a ritenere che in gran parte si sia trattato proprio di Aborti o di Morti premature avvenute prima delle cerimonie di iniziazione. I corpi dei neonati o di piccoli animali sacrificati, venivano bruciati, e le loro ceneri venivano collocate in un’urna di terracotta che, coperta con un piattino, veniva sistemata negli anfratti naturali del terreno. Lì vicino si trova un altare, che alcuni studiosi hanno ipotizzato come il luogo dove avvenivano i sacrifici, e dal quale, poi, partiva la processione che portava i resti dei defunti al Tophet. I piccoli animali domestici venivano probabilmente sacrificati alla divinità per scongiurare il ripetersi di un simile luttuoso evento. Ed una stele funeraria veniva posta sul luogo dove era sepolta l’urna con le ceneri del defunto, per ringraziare la divinità, probabilmente dopo la nascita di un nuovo figlio. Lo scontro tra Fenici e CartaginesiL’incontro nell’Isola, avvenuto intorno alla metà del sesto secolo avanti Cristo, tra Fenici e Cartaginesi, dunque tra due culture che si riconoscono nello stesso modello politico, economico e sociale, provoca un conflitto che non si era manifestato all’arrivo nell’isola dei Fenici, che erano stati ben accolti dalla popolazione locale. L’esito finale di questo scontro, è il passaggio della Sardegna sotto il controllo di Cartagine. Le principali città fenicie in SardegnaNel periodo Orientalizzante, i Fenici passano dagli insediamenti e depositi costieri alla edificazione di vere e proprie città. La nascita del concetto di città costituisce una organizzazione della comunità per la popolazione del tutto nuova, rispetto a quella che era la vita dei villaggi. Le principali città realizzate dai Fenici sono Sulki, con più all’interno la città fortificata di Monte Sirai e la fortezza di Pani loriga, e di San Giorgio, vicino a Portoscuso, tutti nel Sulcis. Sorgono, poi, le installazioni di Tharros e di Othoca, nell’Oristanese, quelle di Bythia, di Nora, e di Karalis, nel Cagliaritano; e probabilmente anche di Olbia. Vengono realizzati anche diversi centri minori. I resti della città fenicia Tharros che oggi è San Giovanni del SinisNel comune di Cabras, vicino a San Giovanni del Sinis, sul promontorio che chiude verso nord l’ampio golfo di Oristano, si trova la laguna di Mistras. Durante uno scavo in questa laguna, è stato rinvenuto un muro sommerso lungo circa cento metri, che sembra facesse parte di una struttura portuale molto antica, e, dato che solo nel 1200 avanti Cristo il livello del mare è salito inghiottendo tutte le pre-esistenti costruzioni, si ritiene oggi che fosse collocato fra gli insediamenti costieri degli Shardana. Su questo insediamento, viene fondata dai Fenici, a partire dalla seconda metà dell’ottavo secolo avanti Cristo, la città di Tharros sulla quale è stata successivamente edificata la città punica ed in seguito quella romana. I Fenici trovano, nelle caratteristiche della penisola, le condizioni ideali per linsediamento di una città portuale, grazie ai due possibili approdi naturali alternativi, a nord ed a sud del promontorio. della Tharros fenicia resta assai poco, e quel che resta è legato soprattutto all’ambito funerario e votivo. Sono stati rinvenuti i resti di due necropoli a incinerazione di epoca fenicia, la necropoli sud, situata a capo San Marco, e la necropoli nord, a San Giovanni del Sinis, vicino ai resti dell’abitato fenicio. Proprio accanto a quest’ultima, nell’area di Murru Mannu, si trovano i resti del Tophet fenicio, circondato da un recinto sacro e contenente all’interno le urne con i resti ridotti in cenere dei bambini e degli animali sacrificati. I resti della città fenicia rinominata dai Cartaginesi Othoca che oggi è Santa GiustaDove sorge l’odierna Santa Giusta, situata sulla riva dell’omonimo stagno poco a sud di Oristano, nella seconda metà dell’ottavo secolo avanti Cristo i Fenici, più o meno contemporaneamente a Tharros, hanno costituito un emporio commerciale del quale ignoriamo il nome fenicio, ma che verrà successivamente denominato dai Cartaginesi Othoca. Il geografo Claudio Tolomeo, nel secondo secolo dopo Cristo, menziona la città nella forma alterata Othaia, indicandone le coordinate geografiche. L’attribuzione dell’origine di Othoca ai Fenici è frutto degli scavi archeologici degli ultimi centotrenta anni, ed è noto che il centro sorgesu un precedente insediamento sardo del Bronzo recente e della prima Età del Ferro. È molto significativo, a tale proposito, il fatto che in una tomba a fossa nella necropoli, qualche decennio fa, è stata rinvenuto un defunto, nel cui corredo c’erano pure due stiletti in ferro, che potrebbero costituire le insegne di rango di un personaggio sardo. Nell’insediamento, al quale se ne è sovrapposto uno successivo punico, sono stati rinvenuti importanti materiali di produzione fenicia della seconda metà dell’ottavo e dei primi decenni del settimo secolo avanti Cristo. La necropoli fenicia di Othoca, che si sviluppava a sud dell’abitato, documenta il rito della cremazione, ed ha restituito materiali dalla seconda metà del settimo secolo agli inizi del sesto secolo avanti Cristo, che è quello prevalente, ed anche dell’inumazione. I corredi funebri presentano anche vasi d’importazione etrusca e greca, il che sta a documentare l’apertura commerciale dell’insediamento. I resti della città fenicia Sulki o Sulci che oggi è Sant’AntiocoNell’estremo sud occidentale dell’Isola, nell’isola di Sant’Antioco presso la città omonima, sono stati rinvenuti i resti della città fenicia di Sulki chiamata anche Sulci. La più antica ceramica fenicia trovata, quella più arcaica, anche di fattura orientale, è associata a vasellame greco realizzato in stile tardogeometrico. In base a questi ritrovamenti, si ritiene che la realizzazione di Sulky sia iniziata nella prima ondata della colonizzazione fenicia, verso la metà del settimo secolo avanti Cristo, nel periodo Geometrico II. A favore di questa ipotesi gioca anche il ritrovamento di recipienti di chiara fattura libanese. Dei resti di Sulki, è stata rinvenuta solo una sovrapposizione di ambienti rettangolari e quadrangolari, disposti come in tutte le città fenicie secondo uno schema ortogonale, edificati con pietre di piccole e medie dimensioni, legato con malta di fango, con un alzato in mattoni in terra cruda, ed i piani di calpestio sono in terra battuta ed in argilla. In uno di questi ambienti è stato rinvenuto un silos contenente i resti di derrate alimentari, probabilmente di cereali. É stata rinvenuta anche una cisterna di forma quadrangolare, nella quale sono state rinvenute diversse ceramiche, riferibili a varie epoche, ma per la maggior parte riconducibili al periodo cartaginese. Per quanto riguarda la necropoli fenicia, la si può localizzare probabilmente sulla costa, sotto l’area portuale. Ma più importante è, invece, il Tophet, situato all’estremità settentrionale dell’abitato, in località Guardia de Is Pingiadas, da sempre indicata dalla gente del posto con il nome di Vedetta delle Pignatte. Nel Tophet di Sant’Antioco, sono presenti sepolture a Enchytrismos, ossia all’interno di anfore; sono stati trovati infatti vasi di terracotta contenenti le ceneri di oltre cinquemila bambini, spesso in compagnia di piccoli animali domestici, e molti altri sono ancora sepolti. È stato attivo dall’ottavo al primo secolo avanti Cristo ed è il più importante Tophet di tutta la Sardegna ed uno dei principali al mondo, dato che solo quello di Cartagine è superiore come numero di urne e steli funerarie. L’impianto del Tophet risale al primo periodo di vita dell’insediamento fenicio, dato il rinvenimento di tegami monoansati di chiara fattura fenicia ma di derivazione nuragica, sintomo di un’integrazione pacifica dei nuovi venuti con le popolazioni locali. I resti della città fortificata di Monte SiraiProprio di fronte alla città di Carbonia, in posizione dominante a 194 metri sul mare in modo da controllare dall’alto tutta la costa sottostante, dagli abitanti di Sulki o forse da quelli dell’Emporio commerciale di Portoscuso, ove è stata rinvenuta di recente una necropoli fenicia, viene edificata intorno al 725 avanti Cristo la città fortificata di Monte Sirai. L’abitato di Monte Sirai si sviluppava attorno ad un vecchio Nuraghe, ed era costruito intorno a un luogo sacro chiamato Mastio, poiché si era pensato che avesse scopo militare e difensivo, ma che in realtà era un luogo di culto chiamato Tempio di Astarte o Ashtart. Qui è stata rinvenuta la statua della dea Ashtart, oggi conservata nel Museo nazionale di Cagliari, oltre ad arredi culto, statuette in bronzo e placchette di osso, tra l’altro una rappresentante il dio Bes, maschere in terracotta, ed altro materiale. Le abitazioni si trovavano sulla dorsale rocciosa dal Mastio, verso sud ovest, poi occupato dagli edifici punici, tra i quali emerge solo piccola parte delle strutture murarie fenicie. Si può ipotizzare, comunque, che le abitazioni di epoca fenicia fossero formate da più ambienti raccolti attorno ad un cortile centrale. I resti della città fortificata di Pani lorigaPiù all’interno, nel comune di Santadi, viene edificata in posizione dominante, in modo da controllare dall’alto tutta la zona circostante, la fortezza di Pani loriga. L’insediamento sorgesu un rilievo isolato all’incrocio tra due vie al centro della piana Su Pranu, la prima verso il Campidano e l’altra lungo il corso del fiume rio Mannu verso il Cagliaritano. È evidente l’importanza strategica del sito, che si trova in rapporto visivo con l’abitato di Sulki, i collegamenti con il quale erano facilitati dal corso del rio Palmas, che era allora navigabile. La città fortificata è stata fondata nel settimo secolo avanti Cristo da coloni fenici insediatisi lungo la costa sud occidentale, e l’insediamento si sviluppa a partire dai primi anni del sesto secolo avanti Cristo, e successivamente nell’età punica. La struttura dell’abitato doveva avere una forma interna che prevedeva, fin dalla prima concezione, una griglia di abitazioni, intervallate da un sistema di vie rettilinee perpendicolari. Oltre all’abitato, è presente una necropoli, il Tophet fenicio ed un Santuario. La necropoli comprende circa centocinquata tombe di due diverse tipologie, essendo stata frequentata in epoca fenicia e successivamente in età punica. Le tombe fenicie sono tipiche tombe a fossa, che documentano il rito dell’incinerazione. Da esse provengono corredi funebri che hanno restituito bocchette con orlo a fungo o con orlo bilobato, orecchini a cestello, scarabei, piatti e tazze, e che appartengono ad epoche che hanno inizio nel settimo secolo avanti Cristo. I resti della necropoli di San Giorgio di PortoscusoIn frazione San Giorgio vicino a Portoscuso, a solo sette chilometri verso nord ovest rispetto all’insediamento fortificato di Monte Sirai, è stata rinvenuta una piccola necropoli fenicia, che comprende undici sepolture databili intorno alla metà del settimo secolo avanti Cristo. Le sepolture sono ad incinerazione, con le tombe del tipo a cassetta litica, ed i resti cremati dei defunti sono deposti all’interno di anfore commerciali, normalmente adibite al trasporto marittimo di derrate alimentari. Il corredo funerario è composto da brocche rivestite di vernice rossa, coppe a un’ansa, in alcuni casi anche gioielli d’argento e armi di bronzo. Non è stato ancora rinvenuto il centro abitato cui apparteneva la necropoli, ma è verosimile che sia localizzato verso nord, nell’area di Portovesme. I resti della città fenicia Bythia che oggi è ChiaA Chia, in territorio di Domus de Maria, sono stati rinvenuti i resti della città fenicia di Bythia che è conosciuta soprattutto grazie ai rinvenimenti effettuati nell’area della necropoli e del Tophet. Sull’isolotto Su Cardolinu, l’isolotto del fungo, che chiude a sinistra la spiaggia de su Portu, si trovava il Tophet fenicio, di cui non è però più visibile praticamente nulla. Sull’isolotto sono presenti anche poche tracce delle mura a pseudo-telaio, che delimitavano l’area sacra della citta. alla destra della spiaggia di Chia, sul promontorio sul quale si trova la Torre di Chia, sono presenti alcuni altri resti. Ma le necropoli, databili tra la fine del settimo secolo e l’ultimo quarto del sesto secolo avanti Cristo, sono localizzate nella fascia sabbiosa del litoraneo, ad ovest del promontorio, a ridosso della chiusura a sinistra della spiaggia di Sa Colonia, dove aveva sede anche l’abitato. La tipologia degli interramenti attesta la predominanza delle incinerazioni, sia in fossa scavata nel terreno sia in cista litica, ma si trova, sia pure in misura inferiore, anche la pratica dell’inumazione, che è stata probabilmente introdotta dai Cartaginesi. I resti dell’antica città sono molto difficili da individuare, sia perché è rimasto molto poco, sia per la particolare struttura della città, priva di un centro urbano vero e proprio. Gli scavi svolti in diverse aree hanno comunque permesso di localizzare le aree più importanti della città e hanno portato alla luce grandi quantità di reperti dell’età fenicia. I resti della città fenicia NoraIl primo insediamento abitativo fenicio in Sardegna è stata Nora situata vicino a Pula, nel comune di Domus de Maria, lungo la costa meridionale dell’Isola. Sono numerose le testimonianze storiche sull’origine di Nora. Lo scrittore greco Pausania racconta che gli Iberi, sotto la guida di Norace, vennero in Sardegna e vi fondarono Nora, la prima città dell’Isola; tradizione poi ripresa dallo scrittore romano Solino, che specifica la loro provenienza da Tartesso. Si è, comunque, interpretato che gli Iberi guidati da Norace fossero invece i Fenici. A Nora è stata rinvenuta la famosa Stele di Nora, che abbiamo già descritta. I primi scavi effettuati hanno fornito solo poche indicazioni relative alla fase fenicia della città. Nelle case sul litorale è stata rinvenuta ceramica protocorinzia e rodia, e all’inizio del secolo è stata appena sfiorata una necropoli ad incinerazione fenicia, da cui provengono reperti databili tra la fine del settimo e l’inizio del sesto secolo avanti Cristo. Altre testimonianze sono stati pavimenti in terra battuta nella zona a mare, dove si sono trovati di recente materiali della prima metà del sesto secolo avanti Cristo. Gli scavi eseguiti a partire dal 1990 hanno permesso di acquisire nuovi importanti dati archeologici, infatti dalle indagini condotte sulle pendici del Coltellazzo e nel foro romano provengono numerosi frammenti fittili databili tra la fine dell’ottavo e la prima metà del sesto secolo avanti Cristo. Sono state poi rinvenute alcune strutture riferibili alla tarda età fenicia: un importante complesso sacro nell’area del Coltellazzo, e un quartiere abitativo e produttivo sotto il foro. Testimonianza dell’età fenicia sono anche i suoi tre porti, posti nelle insenature di nord est, nord ovest e sud est, che risultano, comunque, oggi in massima parte sommersi. I resti della città fenicia Karalis o Càralis oggi CagliariDove successivamente sorgerà la città di Cagliari, viene realizzato nel decimo o nel nonno secolo avanti Cristo un primo scalo fenicio, forse improvvisato. Lo scalo si trova nella zona di San Paolo, all’interno della laguna di Santa Gilla, che allora era navigabile e facilmente difendibile, e diventa col tempo un approdo stabile per la flotta fenicia, ma non doveva avere strutture permanenti. In seguito, lo scalo si rende autonomo, viene denominato Karalis chiamato anche Càralis e si pensa che venga spostato al di fuori dello stagno, all’interno della città, dove si trova adesso la banchina di via Roma. La fondazione urbana risale presumibilmente tra la fine del settimo e l’inizio del sesto secolo avanti Cristo, quando, da semplice emporio e scalo per merci in transito, diventa il porto naturale della Karalis fenicia, diventando successivamente di importanza primaria e insostituibile per gli scambi commerciali con il Mediterraneo orientale. I resti della città fenicia OlbiaIl maggior numero di resti del periodo punico hanno fatto supporre, sino a un decennio fa, la fondazione di Olbia nel quarto secolo avanti Cristo, ma la presenza di materiali risalenti alla seconda metà del settimo secolo, fa ipotizzare un primo insediamento realizzato già dai Fenici. Dalla seconda metà dell’ottavo alla prima metà del settimo secolo avanti Cristo, ad Olbia si assiste, infatti, all’insediamento dei Fenici, dimostrato dal rinvenimento di un frammento di anfora, di un frammento d’ansa di anfora dipinta, e da una statuetta lignea. Non è provata, ma è possibile, la presenza sull’Acropoli di un Santuario dedicato a Melqart, divinità maschile fenicia nume tutelare della città di Tiro, corrispondente all’Eracle greco; e presso il porto di un Santuario dedicato ad Ashtart o Astarte, la Grande Madre fenicia legata alla fertilità, alla fecondità ed alla guerra. Ma dalla metà del settimo fino al sesto secolo avanti Cristo provengono solo materiali di origine greca, prodotti corinzi ed anche materiali ionici. Dalla presenza nella zona di una colonia greca sarebbe derivato il nome Olbia, da Olbiòs ossia felice, ad indicare la sua felice posizione geografica, poi mutato, per i fonemi della prima lingua sarda, in Ulbia. Nel 535 avanti Cristo nelle acque tra il golfo di Olbia e la Corsica, una flotta di sessanta navi dei greci focesi stanziati nella colonia di Alalia in Corsica, si scontrano con una flotta di navi etrusche e cartaginesi, coalizzate per bloccare la penetrazione greca nel Tirreno. Lo scontro, detto la battaglia di Alalia o battaglia del Mare sardonio, viene ritenuto da molti studiosi la prima battaglia navale avvenuta nei mari dell’occidente. Altri centri minoriProbabilmente, oltre alle città già descritte, i Fenici costruiscono diversi altri empori commerciali e centri abitati di più piccole dimensioni, lungo le coste centro e sud occidentali dell’Isola. Secondo lo storico romano Tito livio ed il geografo greco Claudio Tolomeo, sulle coste di Cuglieri approdano i Fenici, che vi costituiscono un emporio commerciale, probabilmente in prossimità di S’Archittu, dove sorge quello che verrà in seguito denominato il Coracodes Portus. All’interno, nella zona denominata Campu ’e Corra, sorge la città di Cornus che successivamente diviene cartaginese. Del periodo fenicio rimangono, nei resti della necropoli, alcune sepolture ad incinerazione. Secondo Esichilo nella località era fiorente l’industria della porpora, ed il nome Campu ’e Corra deriva dalla parola Corra, che è il nome che danno al mollusco della famiglia dei gasteropodi, dal quale essa veniva estratta. Nei dintorni del sistema lagunare formato dagli stagni di Marceddì, San Giovanni e Santa Maria, nella parte Sud del golfo di Oristano, si trovano le rovine della città di Neapolis il cui centro portuale fondato alla popolazione locale ha visto la frequentazione di genti orientali già in una fase precoloniale, ma la componente etnica di queste genti non è fenicia, bensì filistea. L’ipotesi della presenza di filistei residenti in quest’area è basata, principalmente,su un frammento di sarcofago antropomorfo rinvenuto in quella che probabilmente era la necropoli, a nord ovest della città. Vicino a Villasimius, su quattro colline che si distendono parallele alla costa, nella parte Est del golfo di Carbonara, nella metà del settimo secolo avanti Cristo Viene realizzato il porto fenicio di Cuccureddus, con un magazzino commerciale e con un Santuario probabilmente dedicato alla dea Astarte. Le caratteristiche del territorio circostante erano di forte interesse per i Fenici, infatti l’estuario del rio Foxi costituiva l’unico porto naturale della Sardegna Sud orientale, e in breve costituiràì una tappa fondamentale sulle rotte da e per l’Etruria, la penisola iberica, la Sicilia e la costa africana. In territorio di Villaputzu, sulla sommità di un rilevo denominato Cuccuru Santa Maria, situato presso una larga ansa del fiume Flumendosa a circa tre chilometri dalla foce, è stato fondato l’abitato fenicio di Sarcapos. L’abitato, del quale restano le successive costruzioni puniche, si trova in una posizione rispetto al Flumendosa che induce a ipotizzare la presenza di un porto fluviale, per consentire alle navi di trovare un rifugio sicuro. Il porto poteva venire utilizzato per l’imbarco del minerale d’argento, proveniente dalle miniere del medio corso del Flumendosa. Forse risale ad epoca fenicia anche l’abitato di Bosa nell’Oristanese, dato che vi è stato trovato un frammento di una iscrizione fenicia, incisa su una lastra di roccia effusiva compatta. Il frammento è stato rinvenuto nel diciannovesimo secolo, ma è poi andato perduto, per cui non se ne hanno troppe certezze. La grafia del testo sarebbe stato confrontabile con quella della stele di Nora, e l’iscrizione, secondo alcuni, avrebbe contenuto il poleonimo B S’N ad indicare Bosa, ma recentemente è stata proposta in sua vece la lettura BM'N. La prossima paginaNella prossima pagina apriremo le porte sull’età storica, e vedremo come, dal sesto al terzo secolo, si sviluppa in Sardegna la colonizzazione cartaginese. I Cartaginesi verranno chiamati in latino Phoenici, con riferimento alle loro origini fenicie, e da questo termine deriva la loro denominazione di Punici. |