La preistoria con diversi reperti del Paleolitico compresi quelli che erano stati un tempo attribuiti all’uomo di Nur
In questa pagina inizieremo a descrivere la preistoria in Sardegna, partendo dal Paleolitico con i diversi reperti che sono stati rinvenuti, relativi alla presenza ed all’evoluzione dell’uomo sull’isola. La preistoria in SardegnaViene indicata con il nome di Preistoria quella fase della storia dell’uomo, nella quale non è ancora stata inventata la scrittura. I reperti archeologici rinvenuti sono, quindi, l’unica fonte di informazioni, che ci consente di fare luce sulle abitudini di vita dell’uomo in questo periodo. Gli studiosi articolano questa lunga epoca della storia dell’uomo in diverse Fasi cronologiche. Si tratta del Paleolitico, il Mesolitico, il Neolitico, l’Eneolitico, l’Età del Bronzo. Ciascuna di queste fasi viene, poi, divisa in Sottofasi cronologiche. Si tratta, ad esempio, del Paleolitico Inferiore, il Paleolitico Medio, il Paleolitico Superiore, ecc. Nelle varie sottofasi cronologiche si sviluppano le diverse Facies culturali, termine utilizzato per descrivere oggetti facenti parte di un orizzonte omogeneo, che sostituisce un uso troppo generico del concetto di cultura. Il termine Facies è stato introdotto dal geologo svizzero Amanz Gressly nel 1838, e descrive l’associazione di alcune caratteristiche fisiche, chimiche o biologiche che permettono di differenziare, e quindi distinguere, un corpo roccioso da un altro; ed è stato poi mutuato dall’ambito della stratigrafia, fino ad assumere rilievo anche in archeologia. Il termine Cultura viene, comunque, utilizzato ancora oggi, nell’ambito degli studi relativi alla preistoria, per identificare un insieme di manufatti, costituiti da oggetti ed anche da edifici, che presentino caratteristiche tali, da poterle interpretare come espressione della vita sociale, materiale e spirituale, di una certa popolazione o di un certo gruppo etnico, ossia come quel bagaglio di conoscenze e di pratiche acquisite, ritenute fondamentali, e che vengono trasmesse di generazione in generazione. Per la datazione delle diverse culture preistoriche in Sardegna, siamo partiti dalla tabella che è stata elaborata nel 1994 dall’antropologo americano Robert Tykot, basata sulle Datazioni assolute ottenute col metodo del Carbonio 14 e con la successiva calibrazione con diverse tecniche, che hanno dato origine alla cosiddetta Archeometria. Queste datazioni assolute hanno anticipato di molto le diverse fasi culturali, rispetto ai tempi nei quali esse venivano posizionate dalle Datazioni tradizionali basate su considerazioni strettamente Tecnologiche o Etnologiche, che appaiono ad oggi completamente superate. La datazione con il radiocarbonio è stata proposta nel 1945 dal chimico statunitense Willard Frank libby, che, per tale scoperta, ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 1960. È il più importante metodo di datazione per gli ultimi cinquantamila anni, ma ha due limiti, dato che si può applicare solo a materiale di origine organica, e che lascia fuori della sua portata gran parte della preistoria. Quindi le datazioni del C14 nel tempo richiedono la calibrazione dei risultati, ossia la loro correzione in base ad altre modalità di datazione. Il termine Archeometria è stato coniato verso la fine degli anni cinquanta del Novecento a seguito delle scoperte scientifiche che stavano rivoluzionando le possibilità di datazione in archeologia. Sono nati in quegli anni nuovi istituti di ricerca e riviste scientifiche, una delle quali, fondata nel 1958 dal research laboratory for Archaeology and the History of Art di Oxford, prese appunto il nome di Archaeometry. E quindi nel 1966 il chimico statunitense di origine austriaca Hans Eduard Suess ha presentato un diagramma sperimentale di correzione delle datazioni al C14 da cui si ricavava che le date dovevano essere corrette, o meglio calibrate, sulla base di una curva piuttosto complessa, non si trattava cioè di aggiungere una quantità fissa di anni indifferentemente a tutte le date determinate con il C14, ma di correggerle in misura variabile a seconda dei periodi. Le diverse procedure di calibrazione possono essere oggi ottenute con la termoluminescenza e con la risonanza da spin elettronico, mentre i periodi più remoti della storia dell’uomo possono essere datati ricorrendo al potassio-argo, all’uranio-torio-piombo e alle tracce di fissione. Il secondo gruppo raccoglie metodi eterogenei quali la dendrocronologia, la tecnica basata sull’idratazione dell’ossidiana, la racemizzazione degli amminoacidi, il metodo del rapporto tra cationi, il metodo archeomagnetico. La calibratura su base dendrocronologica è stata definita la seconda rivoluzione del radiocarbonio, perché non può essere ridotta alla semplice correzione di alcune date, ma varia le relazioni cronologiche fra importanti avvenimenti della preistoria. Le date relative all’Europa e ad altre regioni vengono infatti spostate all’indietro, mentre rimangono stabili quelle relative all’Egitto e al Vicino Oriente, basate su una cronologia storica disponibile dal 3000 avanti Cristo in poi. In alcuni casi la correzione necessaria è molto alta, ad esempio la datazione dei monumenti megalitici della Bretagna tanto simili a quelli sardi vanno riportate all’arco di tempo tra il 4600 ed il 3350 avanti Cristo. Facendo riferimento a queste considerazioni, noi abbiamo corretto sostanzialmente la tabella di Robert Tykot in base agli ultimi studi, ormai quasi universalmente accettati, che considerano le diverse culture in modo più dettagliato; spostano l’età nurgica dall’Età del Bronzo, dove era stata posizionata dalla datazione tradizionale, al periodo del Megalitismo, nel quale è attualmente più probabile posizionarla; e vedono la comparsa, nell’Età del Bronzo, degli Shardana in Sardegna. La datazione delle culture in Sardegna qui proposta è, quindi, la più significativa ed affidabile, almeno allo stato attuale delle ricerche effettuate sui reperti rinvenuti. |
Nella prima parte del Neozoico o Era Quaternaria, dal 450 al 10mila avanti Cristo, si sviluppa il Paleolitico o età della pietra anticaIl Paleolitico si sviluppa nella prima parte dell’era geologica denominata Neozoico o Era Quaternaria ossia nel periodo che viene chiamato Pleistocene caratterizzato da frequenti eruzioni vulcaniche ed anche da numerose glaciazioni. Durante i periodi Glaciali si ha una notevole espansione dei ghiacciai, con il conseguente abbassamento del livello marino; e le glaciazioni pleistoceniche si alternano a periodi più caldi, denominati Interglaciali, caratterizzati da un generale sollevamento del livello marino. Queste fasi, glaciali ed interglaciali, vengono facilmente riconosciute, in uno strato geologico sedimentario, dalla presenza dei fossili di forme di vita marine, tipicamente adattate a climi freddi o a climi caldi. Nel Pleistocene si sviluppa il PaleoliticoIl termine Paleolitico nasce dall’unione delle parole greche Paleos, ossia antico, e Lithos, ossia pietra, e designa l’Età della pietra antica. È il periodo in cui sulla terra è comparso l’uomo, ed in cui si è avuta l’evoluzione umana. Il Paleolitico, che si sviluppa tra circa il 450mila e il 10mila avanti Cristo, viene comunemente distinto in: Paleolitico Inferiore a sua volta distinto in Arcaico ed Evoluto; Paleolitico Medio; Paleolitico Superiore. L’industria litica nel PaleoliticoCon l’espressione Industria litica, si intende l’insieme delle tecniche e delle attività attraverso le quali un gruppo umano trasforma le pietre, per ottenere degli oggetti utili per la sua attività quotidiana. Il Paleolitico è l’epoca è in cui compaiono le prime attestazioni certe di manufatti litici prodotti dall’uomo. La religiosità nel PaleoliticoL’arte religiosa del Paleolitico, come quella del successivo Mesolitico, è caratterizzata prevalentemente dalla realizzazione di sculture, quasi sempre di piccole dimensione, tra le quali le più diffuse erano le statuette femminili, conosciute con il nome di Vèneri Preistoriche, trovate in moltissime zone dell’Europa e persino in Siberia, nei pressi del lago Baikal. Di particolare interesse artistico sono alcune delle principali Veneri trovate in Europa: in Germania, nel Baden-Württemberg, la Venere di Hohle Fels, in avorio di mammut; in Austria, la Venere di Galgenberg, in serpentino; nella repubblica Ceca, in Moravia, la Venere di Dolní Věstonice, in ceramica; in Francia, nei Pirenei Francesi, la Venere di lespugue, in avorio; nella Bassa Austria, la Venere di Willendorf, in calcare, essendo scolpita su pietra tenera raffigura le braccia sottilissime ripiegate sul petto; in Russia, ad Oblast’ di Irkutsk, la Venere di Mal’ta, in avorio; in Slovacchia, a Záhorie, la Venere di Moravany, in avorio; in Francia, in Aquitania, la Venere di Brassempouy, in avorio; in Francia, in Dordogna, la Venere di laussel, un bassorilievo su calcare; in Svizzera, a Monruz nel Cantone Neuchâtel, la Venere di Monruz o Venere di Neuchâtel, pendente in giaietto, una varietà di lignite. Ne sono state trovate anche alcune in Italia: in liguria, la Venere dei Balzi Rossi, in staetite, senza neanche un accenno di braccia; a Savignano sul Panaro, la Venere di Savignano, in serpentino, anch’essa senza un accenno di braccia; vicino a lecce presso i laghi Alimini, la Venere degli Alimini, in osso animale; a Chiozza, frazione Scandiano vicino a reggio Emilia, la Venere di Chiozza, in ciottolo di arenaria; a Raffadali, in Provincia di Agrigento, le due Veneri di Busonè, ricavate da pietre fluviali. La caratteristica comune a molte Veneri preistoriche è l’esagerata accentuazione di alcuni attributi femminili, quali i seni, le vulve, il ventre o le natiche, a indicare i punti legati alla capacità della procreazione, e la quasi mancanza di altri attributi quali le braccia, le mani, il volto o i piedi. Le donne opulente di queste statuette erano utilizzate come simboli della fertilità e dell’abbondanza, ed erano, probabilmente, legate alle divinità femminili riferibili al concetto di Dea Madre. In Sardegna, la più antica statuetta rinvenuta è la cosiddetta Venere di Macomer, riferibile forse al Paleolitico o al Mesolitico, anche se alcune interpetazioni la attribuiscono al Neolitico Antico. La descriveremo nella prossima pagina. Nel Paleolitico Inferiore, tra il 450 ed il 120mila avanti Cristo, la prima presenza dell’uomo in SardegnaNell’era Quaternaria, alle diverse glaciazioni corrispondono le regressioni marine, e l’abbassamento del livello del mare determina l’emersione di terre che vengono a costituire veri e propri ponti di collegamento tra le isole e con i continenti, ponti che permettono il passaggio di flora, di fauna, e delle popolazioni umane. L’uomo, infatti, è costretto a seguire la stessa strada, in quanto gli animali rappresentano la sua unica fonte di cibo. L’uomo raggiunge la SardegnaProbabilmente è in questo periodo che l’uomo raggiunge la Sardegna, dato che le emersioni portano a un collegamento dell’isola con i continenti, ed alla saldatura delle masse più antiche. Si ritiene che i primi uomini siano arrivati in Sardegna nel Paleolitico Inferiore che si sviluppa tra circa il 450mila ed il 120mila avanti Cristo, provenendo da una terra vicina: il probabilmente dall’Africa, forse dalla penisola italiana o dalla penisola iberica. L’ipotesi più verosimile è quella di una migrazione umana al seguito dei grandi carnivori, che avrebbe portato nell’isola un ominide con le caratteristiche dell’Homo Erectus o anche forse con caratteristiche intermedie fra quelle dell’Homo Erectus e quelle dell’Homo Sapiens. É certo che i Tratti somatici della prima popolazione sarda della quale si hanno certezze, forse non ancora nel Paleolitico ma, comunque, in epoche di poco successive, sono di tipo negroide. Hanno, infatti, caratteristiche del cranio di tipo dolicocefalo, e, solo in una fase molto successiva, nell’Età del Bronzo, a queste popolazioni si affiancheranno, ed in parte si sostituiranno, altre popolazioni di origine semitica o indo-europea, con le caratteristiche brachicefale. Caratteristiche dell’uomo del Paleolitico InferioreL’uomo del Paleolitico Inferiore è nomade, cacciatore e raccoglitore, che abita in grotte ed in ripari sotto la roccia, e la sua vita è brevissima. L’uomo inizia a lavorare la pietra, forse anche l’osso e il legno, per produrre armi da caccia e strumenti per la lavorazione delle pelli, che costituiscono il suo unico abbigliamento per difendersi dal freddo. Già conosce il fuoco. La sua economia è basata soprattutto sulla caccia, ed è, quindi, un’economia di tipo essenzialmente predatorio. La tecnica della caccia si basa sul colpire l’animale con armi di pietra, o a catturarlo con trappole. L’economia è basata, anche, sulla pesca e sulla raccolta dei prodotti spontanei, soprattutto di vegetali e di molluschi. I reperti litici del Paleolitico InferioreSi viene a sviluppare l’iniziale tecnologia, con l’introduzione dei primi strumenti in pietra. Il materiale litico finora recuperato in Sardegna e relativo al Paleolitico Inferiore, è costituita da un’enorme quantità di manufatti di selce. Oltre seicento oggetti, sono stati trovata nella parte settentrionale dell’Isola, nella regione dell’Anglona, in Provincia di Sassari, e sono oggi conservati soprattutto nel Museo Archeologico e Paleobotanico di Perfugas. Per le loro caratteristiche tecnologiche, gli strumenti in selce recuperati in questa regione sono stati fatti risalire a due distinte Facies culturali del Paleolitico inferiore: la fase culturale del Clactoniano, riconducibili al 450-200mila avanti Cristo; e la fase culturale del Tayaziano, riconducibile al 200-120mila avanti Cristo. Successivamente, nella regione del Nuorese, sono stati individuati oltre tremila reperti litici provenienti da varie località nell’agro di Ottana, che sono stati esposti la prima volta al pubblico dal 16 ottobre 2012, presso il Museo Archeologico Nazionale di Nuoro, nella mostra Dai Vulcani ai manufatti: il paleolitico di Ottana. Si tratta di manufatti in riolite, pietra vulcanica che ha avuto origine nell’Oligocene, e si tratta di schegge, grattatoi e altri utensili che utilizzavano per cacciare animali, lacerarne la pelle e la carne, scorticare frutti e radici, fabbricare qualcosa con cui ripararsi dalle intemperie e proteggere le grotte in cui vivevano. Quasi assoluta assenza di altri tipi di repertiRisultano, comunque, comprensibilli le difficoltà di reperire, oltre al materiale litico, altri tipi di oggetti, come gli strumenti realizzati in legno o in osso, che sono destinati a venire distrutti in un breve arco di tempo. La stessa cosa si può dire per i reperti umani, animali e vegetali. Quindi la quasi assoluta assenza di reperti di flora e fauna, ed anche di reperti ossei umani, rende particolarmente difficile la ricostruzione di questa fase della preistoria sarda. Sono state, comunque, rinvenute una falange umana e resti di una tibia di cervo, delle quali parleremo più avanti. Nel Paleolitico Inferiore Arcaico, tra il 450 ed il 200mila avanti Cristo, si sviluppa la fase del ClactonianoLa prima fase culturale si sviluppa nel Paleolitico Inferiore Arcaico, tra il 450 ed il 200mila avanti Cristo, ed è denominata Clactoniano con un termine definito nel 1932 dal paleontologo francese Henri Breuil, detto Abate Breuil, sulla base degli studi effettuati sui materiali rinvenuti nel sito di Clacton-on: sea, nella conte dell’Essex, in Gran Bretagna. Il sito è stato scavato a più riprese tra il 1910 e il 1970. La glaziazione del Mindel e la fase interglaciale Mindel-RissLa fase culturale più arcaica, quella del Clactoniano, è riferibile alla Glaciazione del Mindel, La seconda glaciazione in Europa avvenuta nel Pleistocene, che è iniziata verso il 450mila ed è durata fino al 240mila avanti Cristo. Le frequentazioni umane dell’isola sono certamente iniziate durante questa glaciazione, dato che l’uomo dovrebbe avervi trovato condizioni ideali di vita, con una fauna priva di predatori, che forniva abbondante cacciagione. La fauna sarda era molto povera di specie. Dopo la graciazione si è avuto un periodo interglaciale chiamato del Mindel-Riss, durato circa 40mila anni, nel quale il clima si dovrebbe essere avvicinato a quello sub-Tropicale, con piogge abbondanti e grande umidità. I reperti attribuiti alla fase del Clactoniano, rinvenuti in AnglonaI primi reperti che testimoniano la presenza umana in Sardegna nel Paleolitico Inferiore, sono state numerose Schegge in selce e quarzite lavorate, ritrovate tra il 1979 e il 1983 lungo il Basso corso del rio Altana, tra i comuni di Laerru e Perfugas, nella regione storica dell’Anglona, non lontano da Sassari. A questo periodo si riferiscono anche i reperti rinvenuti nella vicina località Sa Coa de Sa Multa, all’interno del comune di Laerru. Si tratta di manufatti litici, realizzati in gran parte su schegge, staccate da pietre più grandi con il sistema della percussione su incudine con l’uso del percussore, con un piano di percussione obliquo, ma senza traccia di lavorazione bifacciale. Nel Meilogu sono stati rinvenuti quelli che sono stati per molto tempo ritenuti i resti di Nur, il primo uomo sardoOltre ai reperti litici precedentemente descritti, è stato rinvenuto nel 1996 quello che per molto tempo è stato ritenuto il primo reperto attestante la vita dell’uomo in Sardegna, in fondo alla Grotta Nurighe di Cheremule. Si tratta di una grotta-Sorgente costituita da un budello stretto e fangoso, di circa settecento metri, quasi inaccessibile, a circa 40 chilometri da Sassari, nella regione storica del Meilogu. Si è ritenuto il primo sardo del quale si è avuta certezza, ed è stato chiamato Nur in memoria di un primo mitico abitante della Sardegna, e si era ritenuto che fosse vissuto in un periodo compreso tra il 300mila ed il 250mila avanti Cristo, ancora nel periodo Clactoniano. A lui è stata attribuita quella che era stata ritenuta una falange umana completa del pollice della mano. Si tratta di un ossicino sottile, perfettamente conservato, annerito dalle incrostazioni di manganese, lungo più o meno quattro centimetri. Ma successivamente i resti sono stati ritenuti non appartenenti a un ominide. Nel 2011, nel volume Sardinia, Corsica et Baleares antiqvae, Luciano Trebini, della Sopraintendenza archeologica per le province di Sassari e Nuoro, scrive che Accurate misure e confronti con altri resti umani e di altri organismi più o meno coevi, portava però alla sorprendente scoperta che il reperto non appartiene affatto al genere Homo e neppure a un primate, nè ad un altro mammifero. Le conclusioni degli studi effettuati con il conforto di analisi incrociate e fitti scambi di informazioni tra studiosi diversi, inducono senza meno a riconsiderare la falange di Nurighe come appartenente ad un grosso uccello della famiglia degli avvoltoi accipitridi. Nel Paleolitico Inferiore Evoluto, tra il 200 ed il 120mila avanti Cristo, si sviluppa la fase del TayazianoLa seconda fase culturale si sviluppa nel Paleolitico Inferiore Evoluto, tra il Duecento ed il 120mila avanti Cristo, ed è denominata del Tayaziano con un termine definito sempre nel 1932 dal paleontologo francese Henri Breuil, detto Abate Breuil, sulla base degli studi effettuati nel sito di La Micoque, e prende il nome dalla città dove si trova questo sito, ossia Les Eyzies-de-Tayac, in Dordogna, in Francia. Il sito era conosciuto dal 1895 ed è stato scavato tra il 1926 ed il 1932. La glaciazione del Riss e la fase interglaciale Riss-WürmLa fase culturale più evoluta, quella del Tayaziano, è riferibile alla Glaciazione del Riss, la terza glaciazione in Europa avvenuta nel Pleistocene, che è iniziata verso il 200mila ed è durata fino al 130mila avanti Cristo. Le frequentazioni umane dell’Isola, già iniziate durante la glaciazione del Mindel, si sviluppano ulteriormente durante la glaciazione del Riss. Dopo la glaciazione si ha una lunga interglaciazione denominata del Riss-Würm, durata circa 10mila anni, nella quale il clima si dovrebbe essere avvicinato di nuovo a quello sub-Tropicale, con piogge abbondanti e grande umidità. I reperti attribuiti alla fase del Tayaziano e reinvenuti in AnglonaNon molto lontano da dove sono stati rinvenuti i reperti del Clactoniano, è stato rinvenuto altro materiale, nel sito di Sa Pedrosa: il pantallinu, a Codrovulos, sulla terrazza soprastante il rio Altana, a pochi chilometri a sud di Perfugas. Qui è stato scoperto, soprattutto nello spartiacque tra i corsi dei Torrenti Altana e Anzos, il più antico laboratorio di manufatti in selce dell’Isola. A questa fase si riferiscono anche i materiali litici trovati a Serra Preideru, presso Martis, sempre nella regione storica dell’Anglona. alla stessa fase culturale si riferiscono, inoltre, i reperti rinvenuti nei siti di Interiscias e di Juanne o Giuanne Malteddu. La fase culturale del Tayaziano viene caratterizzata, come la precedente, dalla assenza di lavorazione bifacciale, ma con un taglio un poco più sviluppato rispetto al Clactoniano, ottenuto con l’uso di lame, raschiatoi corti e denticolati, grattatoi, bulini, becchi, raschiatoi lunghi, e rimangono anche moltissimi nuclei. Compaiono anche le prime rare forme di lavorazione bifacciale, però si tratta di lavorazioni del tutto atipiche. Nel Paleolitico Medio, tra il 120 ed il 35mila avanti Cristo, compare l’Homo SapiensSono assai pochi, ad oggi, i resti della presenza umana in Sardegna durante il Paleolitico Medio che si sviluppa tra il 120mila, quando ha inizio l’ultima glaciazione detta Glaciazione del Würm, ed il 35mila avanti Cristo Durante il Paleolitico Medio compare l’Homo Sapiens ed in particolare l’Homo Neanderthalensis, di cui sono stati rinvenuti in Europa meridionale e centrale, ma anche nel Vicino e nel Medio Oriente, resti scheletrici riferibili ad oltre 300 individui. Caratteristiche dell’uomo del Paleolitico MedioL’Homo Sapiens è ancora un cacciatore nomade, cacciatore e raccoglitore, e continua ad abitare soprattutto in grotte ed in ripari sotto la roccia. La sua economia è basata soprattutto sulla caccia, ed è, quindi, ancora un’economia di tipo essenzialmente predatorio; ed è basata, anche, sulla pesca e sulla raccolta dei prodotti spontanei, soprattutto di vegetali e molluschi. Di questo periodo, allo stato attuale delle ricerche, sono stati rinvenuti solo pochi reperti, e non si hanno resti sicuri che forniscano maggiori informazioni sulla presenza umana in Sardegna. I reperti litici del Paleolitico MedioGli strumenti dell’industria litica del Paleolitico Medio sono rappresentati da utensili per il taglio, seghettati, denticolati e lamierine, compaiono raschietti per la lavorazione della pelle e per i vestiti, ed anche punte in pietra utilizzate insieme ad un manico di bastone come una sorta di lancia. Ma di questi reperti, in Sardegna non è stato rinvenuto, finora, nulla. Labili indizi della presenza umana in Sardegna, rinvenuti in grotte sulla costa di DorgaliGli unici indizi noti della presenza umana in Sardegna nel Paleolitico Medio provengono dai due ritrovamenti di alcuni frammenti di piccole dimensioni, ossia di Frustoli di carbone, rinvenuti insieme a residui di ossa di cervo bruciate, ma senza la presenza di alcuno strumento litico, ne di ossa umane. I ritrovamenti sono stati effettuati nella Grotta di Ziu Santoru, a poca distanza dalla grotta del Bue Marino, e nella Grotta di Cala Ilune, chiamata solitamente Cala Luna, sulla costa di Dorgali, vicino a Nuoro. Si tratta, in ogni caso, di indizi estremamente labili. L’espansione demografica in Sardegna durante il Paleolitico MedioIn uno studio di Giuseppe Vona, dell’Università di Cagliari, si afferma che l’archeologia e l’antropologia molecolare dispongono, comunque, già di indicazioni precise sulle origini dei Sardi e sulla loro espansione demografica. Lo studio del DNA mitocondriale, ereditato per via materna, dai Sardi e dai Corsi, porta a ritenere che l’Espansione demografica in Sardegna sia avvenuta tra 78mila e 27mila anni fa. Da qui poi la popolazione si sarebbe trasferita anche in Corsica, quando le due isole erano ancora unite, tra 42mila e 14mila anni fa. Nel Paleolitico Superiore, tra il 35 ed il 10mila avanti Cristo, si afferma l’Homo Sapiens SapiensIl Paleolitico Superiore inizia circa nel 35mila avanti Cristo, durante la fase finale della Glaciazione del Würm, l’ultima glaciazione, e termina secondo la cronologia calibrata nel 10mila avanti Cristo, in coincidenza con il riscaldamento del clima che segna la fine dell’epoca glaciale. Questo periodo è segnato dalla comparsa, e dalla successiva diffusione anche nell’isola, della specie denominata Homo Sapiens Sapiens cioè dalla comparsa di gruppi umani con caratteristiche fisiche simili a quelle dell’uomo attuale, ossia dell’uomo moderno, che in breve tempo sostituisce del tutto l’Homo Sapiens Neanderthalensis. Sull’origine di questa nuova specie gli studiosi si dividono su due ipotesi. La prima attribuisce all’Homo Sapiens Sapiens un’origine africana abbastanza recente, ed una sua successiva migrazione verso nord est, che lo avrebbe portato a popolare tutto il resto del pianeta. La seconda ipotesi spiega, invece, l’origine di questa specie con una sua evoluzione indipendente, in Africa, in Asia e in Europa, a partire dalle specie umane già precedentemente esistenti in queste aree geografiche. Caratteristiche dell’uomo del Paleolitico SuperioreL’uomo del Paleolitico Superiore è ancora nomade, cacciatore e raccoglitore, che continua a vivere in grotte o ripari sotto la roccia. La sua economia è basata soprattutto sulla caccia, ed è, quindi, ancora un’economia di tipo essenzialmente predatorio; ed è basata, anche, sulla pesca e sulla raccolta dei prodotti spontanei, soprattutto di vegetali e di molluschi. In questo periodo, comunque, accanto all’evoluzione nella lavorazione della pietra, appare anche la lavorazione sistematica dell’osso, e compaiono i primi elementi ornamentali e le prime manifestazioni artistiche. reperti risalenti al Paleolitico Superiore, rinvenuti nella grotta Corbeddu presso OlienaVengono fatti risalire a questo periodo alcuni reperti rinvenuti nella Grotta Corbeddu, nella valle di Lanaitto, presso Oliena, non lontano da Nuoro. La caverna prende il nome dal famoso bandito sardo Giovanni Battista Salis detto Corbeddu, di Oliena, dato che fu il suo rifugio nei 19 anni di latitanza, finche non venne ucciso nel 1898, in un conflitto a fuoco con i Carabinieri fra Oliena e Orgosolo. Si tratta di una cavità a sviluppo pressoche orizzontale, lunga circa 130 metri, che si contraddistingue per le sue specificità in campo paleontologico, archeologico ed antropologico. I reperti qui rinvenuti sono oggi conservati soprattutto nel Museo Archeologico di Nuoro. La grotta è stata abitata a partire da 25mila e fino a 8mila anni fa, partendo dal Paleolitico Superiore e sconfinando, quindi, anche nel successivo Mesolitico. Del suo preiodo iniziale di frequentazione, restano frustoli di carbone assieme ad ossa di animali selvatici con segni di combustione, la cui datazione radiometrica è appunto di 25mila anni fa. Tra i reperti significativi vanno citati resti di ossa di cervo con evidenti segni di combustione, che presentano singolari scalfitture, incisioni e lisciature, che portano ad ipotizzare un intervento umano. Si tratta di un cervo di grandi dimensioni, della specie Megaceros Cazioti, animale endemico dell’isola ormai estinto, che all’interno della valle non sembra aver subito il fenomeno del nanismo, che si verifica fra le stesse specie animali nelle altre isole del Mediterraneo. Il cervo costituiva certamente la preda più ambita da quei primitivi cacciatori, dato che poteva fornire carne per sfamarsi, ossa per fabbricare utensili e pelli per difendersi dal freddo. Non stupisce, quindi, l’estinzione di questa unica specie di taglia grossa esistente in Sardegna. Sono stati, poi, rinvenuti i resti scheletrici di un canide sardo, il Cynoterium sardous, che aveva la dimensione di una piccola volpe, ritrovamento estremamente strano, data l’assenza di grossi carnivori nell’ambito delle faune insullari. Ma i reperti più significativi sono stati quelli relativi alla dimostrazione della presenza dell’uomo nel sito, durante il Paleolitico Superiore. Nello strato più profondo, sono stati identificati, infatti, un Osso temporale ed uno Mascellare umani appartenenti ad uno stesso individuo, ai quali la datazione radiometrica attribuiva un’età di circa 14mila anni or sono. É stata successivamente rinvenuta una porzione di un’Ulna umana assegnata ad un individuo diverso da quello a cui appartenevano le parti di cranio di cui abbiamo parlato. E successivamente è stato rinvenuto un altro singolare resto fossile umano, consistente in parte della Prima falange di una mano, datata circa 20mila anni fa. Si tratta dei più antichi ritrovamenti di ossa umane in Sardegna. Ma la loro specificità è rappresentata dal fatto che tutte queste ossa hanno caratteristiche morfologiche che non si possono attribuire all’Homo Sapiens Sapiens europeo. Esse presentano, infatti, chiari segni di endemismo, ossia del fenomeno per cui alcune specie sono esclusive di un dato territorio. Si tratta di un endemismo dovuto, con ogni probabilità, al prolungato isolamento geografico, di una popolazione umana comparsa nell’Isola in associazione all’altra fauna endemica del Paleolitico. Sono stati rinvenuti anche rozzi strumenti come raschiatoi, lame e bulini, alcuni in osso, ma per la maggior parte in selce e quarzo, datati anch’essi fra 14mila e 12mila anni or sono. Alcuni reperti litici del Paleolitico Superiore, rinvenuti nel Medio CampidanoNel 2011 si è avuto il rinvenimento più recente di manufatti inquadrabili nel Paleolitico Superiore, in località Santa Maria Is Acquas, una località agricola del Medio Campidano, situata tra Sardara e Mogoro. Si tratta di due reperti in selce databili intorno al 13mila avanti Cristo. Le tecniche di lavorazione della pietra adoperate sui reperti sono tipiche degli uomini del Paleolitico Superiore. L’ipotesi più probabile è che gli uomini che hanno scolpito le selci facessero parte di un insediamento stabile, in una zona che probabilmente era ricca di selvaggina. La prossima paginaNella prossima pagina proseguiremo la descrizione della preistoria in Sardegna. Descriveremo la prima statuetta della Dea madre, la cosiddetta Venere di Macomer, con la sua incerta datazione. Vedremo, quindi, il Mesolitico con i diversi reperti che sono stati rinvenuti, relativi alla presenza ed all’evoluzione dell’uomo sull’isola. |