Pattada paese del Coltello, con il Museo Internazionale del Coltello di Pattada, e nei dintorni il lago di lerno
In questa tappa del nostro viaggio, da Ozieri ci recheremo a visitare Pattada nota come la città del coltello, che visiteremo con i suoi dintorni, tra i quali il lago di lerno. La regione storica del Monteacuto, chiamata anche Logudoro MonteacutoIl Logudoro è stato, nel periodo medioevale, uno dei quattro Giudicati che ha avuto come capoluogo prima Porto Torres, in seguito Ardara, ed infine Sassari. Oggi possiamo dividere questa regione in tre parti: Logudoro Turritano, il cosiddetto Sassarese, a nord; il Logudoro Meilogu a ovest; ed il Logudoro Montacuto a est. Più in particolare, il Monteacuto comprende la piana di Chilivani e le propaggini dei monti del Goceano, di Alà dei Sardi e del limbara. Il nome deriva da quello del Castello giudicale edificato a Berchidda nel tredicesimo secolo. Il paesaggio del Monteacuto è caratterizzato dall’alternarsi di alture e zone pianeggianti. Oggi il Monteacuto si trova economicamente diviso in due zone, il cui confine è segnato dal fiume Coghinas. I comuni che fanno parte del Monteacuto orientale sono Alà dei Sardi, Berchidda, Buddusò, Monti, Oschiri e Padru. Quelli che fanno parte, invece, del Monteacuto occidentale sono Nughedu San Nicolò, Ozieri, Pattada e Tula. Nel Monteacuto si parla il logudorese, a ovest nell’arcaica variante settentrionale nuorese, mentre a est in quella comune. L’altopiano di Buddusò, a sud est, è la zona di convergenza tra queste due varianti linguistiche. In viaggio verso PattadaUsciamo da Ozieri verso sud lungo la SS132 e, dopo poco più di un chilometro, alla rotonda prendiamo l’uscita verso est sulla SS128bis. Le Chiese di San Nicola e San Michele nell’antico borgo medioevale di BiduvèPercorsi otto chilometri e mezzo, dalla SS128bis parte, sulla sinistra, la SP109, che ci porterà alla frazione Pattada denominata Bantine. alla destra della strada, nella campagna, si trovano i resti dell’insediamento medioevale di Biduvè, ormai scomparso. Il villaggio apparteneva alla Curatoria di Nughedu nel Giudicato del Logudoro, poi, abbandonato definitivamente nel diciassettesimo secolo, è rientrato nella diocesi medievale di Bisarcio, mentre a partire dal 1503, dopo il riordino delle diocesi deciso da papa Giulio II, è passato a quella di Alghero. All’interno dei resti dell’antico villaggio, si trovano le Rovine della chiesa di Santa Caterina. Procedendo sulla SS128 subito prima della deviazione sulla SP109, una deviazione sulla destra porta alla chiesa di San Michele o Santu Miali. La chiesa è stata edificata in forme romaniche intorno al tredicesimo secolo, inglobando probabilmente una chiesa funeraria di epoca bizantina, poi nel 1600 ha subito restauri ed ampliamenti con la costruzione di una nuova navata, poi crollata. L’edificio, a pianta rettangolare, presenta copertura esterna a doppio spiovente. Il piccolo abside di forma semicircolare è orientato ad est. Il 29 settembre, giorno della sua ricorrenza, vi si celebrava la Festa di San Michele durante la quale i cavalieri di Pattada, in processione con le bandiere, erano soliti recarsi in questa piccola chiesa prima di sciogliere l’antico voto e andare in pellegrinaggio verso il Santuario della Madonna del Miracolo nel paese chiamato Bitti. Passata la deviazione sulla SP109 e proseguendo sulla SS128bis, proprio sulla destra della strada si trova la chiesa di San Nicola o Santu Nigola. L’edificio ha pianta rettangolare e presenta una copertura esterna a doppio spiovente, sormontata da una piccola croce in ferro battuto. L’orientamento della chiesa ad ovest, contrario rispetto alla vicina chiesa di San Michele, porta ad ipotizzare che l’edificio sia stato costruito su una preesistente struttura paleocristiana di cui però non restano tracce. Conserva all’interno una statuina del Santo, presumibilmente seicentesca, nonche un altare probabilmente settecentesco. Un’antica usanza voleva che alla chiesa si recassero in pellegrinaggio le donne nubili nella speranza di maritarsi al più presto. La frazione Bantine con le Chiese di San Pietro e San GiacomoPrendiamo la SP109 e la seguiamo per poco meno di tre chilometri, poi la strada arriva a un bivio nel quale si immette sulla SP37. Prendiamo, seguendo le indicazioni, la SP37 sulla sinistra, che in trecento metri ci porta a un altro bivio dove lasciamo la SP37 e prendiamo a sinistra la strada che ci fa entrare nella frazione Bantine (nome in lingua sarda Bantìna o Antìna, altezza metri 637, distanza 3.5 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 105). L’abitato di questa frazione è adagiato sul fondo di una rigogliosa valle, dominata da Pattada. Nel 1875 lo storico piccolo comune di Bantine, che era un comune indipendente, è stato aggregato al comune di Pattada, del quale è diventato una frazione. Entriamo nell’abitato di Bantine con la via Pisurci, che lo attraversa interamente, e che, poco prima di uscire ad est, termina sulla via San Giacomo. Prendiamo la via San Giacono verso sinistra edarriviamo alla caratteristica chiesa principale presente all’interno del centro abitato, che è la chiesa di San Giacomo. Uscendo, invece, dal paese la via San Giacomo ci portain direzione est, e ci fa arrivare vicino al Cimitero, dove si trova l’altra piccola chiesa di Bantine, che è la chiesa di San Pietro. Personaggi storici nati a BantineLa frazione Bantine ha dato i natali al poeta sardo Pedru Pisurzi o Pesutzu. Bantine ha dato i natali, nel 1707, al poeta sardo Pedru Pisurzi o Pesutzu il cui nome è stato italianizzato in Pietro Pisurci o Pesuciu, che viene indicato come il padre dei poeti sardi, e che vive sempre a Bantine, dove muore nel 1796. Tra le sue composizioni più importanti si ricordano Cantone de su Cabaddareddu, ossia Canzone del cavalluccio; S’abe, ossia L’ape; S’anzone, ossia L’agnella; Cantone de sos ballos, ossia Canzone sui balli; Cantone de Sas festas, ossia Canzone sulle feste; Cando nos semus Amados, ossia Quando ci siamo amati. |
Proseguendo arriviamo a PattadaDalla frazione Bantine, dove eravamo arrivati on una deviazione dalla SP109, torniamo indietro per cinquecento metri, e ci ritroviamo al bivio che avevamo incontrato arrivando con la SP109. Qui prendiamo, a destra, la SP37, che passa attraverso il parco pineta di Pattada, un bel bosco ricco di abeti, pini castagni e altre specie arboree, di grande valore naturalistico e paesaggistico, oltre che ricreativo, in quanto luogo di ritrovo durante il periodo primaverile ed estivo per la popolazione locale. La strada ci porta, in un paio di chilometri, alle prime case dell’abitato di Pattada. Il comune chiamato Pattada noto anche come il paese del coltelloIl comune chiamato Pattada (nome in lingua sarda Pathada, altezza metri 778 sul livello del mare, abitanti 2.880 al 31 dicembre 2021) è il decimo paese più alto della Sardegna, il più alto di tutta la Provincia di Sassari, situato sul versante meridionale della catena del limbara, immerso nell’incantevole paesaggio del Montacuto. Il territorio Comunale, ricco di boschi di lecci, querce da sughero e roverelle, ha un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate, che vanno da un minimo di 232 a un massimo di 1.093 metri sul livello del mare. All’interno del territorio di Pattada si trova il lago lerno, che prende il nome dalla sovrastante montagna, il monte lerno, che con gli oltre mille metri di quota costituisce il punto più alto del territorio Comunale. Origine del nomeIl suo nome è documentato dalle forme Patzada, Pathada e Bossada, e corrisponde alla voce logudorese settentrionale Pattàda, che indica un piccolo altopiano o un luogo eminente dal quale lo sguardo spazi in un ampio orizzonte. Potrebbe riferirsi alla posizione geografica del paese e avrebbe il significato di altopiano, già utilizzato in periodo anteriore a quello romano. La sua economiaL’agricoltura è basata sulla coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, viti e frutta, ed, accanto al lavoro dei campi, si pratica anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. Il settore industriale, discretamente sviluppato, si compone di realtà produttive che operano nei comparti lattiero caseario, alimentare, tessile, della lavorazione del legno, della produzione di articoli in plastica, dei laterizi, edile e metallurgico. Interessante l’artigianato, con la produzione del tradizionale coltello sardo, la lavorazione del legno, dai mobili agli infissi per la casa, e la realizzazione di splendidi strumenti musicali ad arco, ossia violoni, viole, violoncelli e contrabbassi, degni della migliore tradizione liutaia. Altre attività artigianali sono quelle della fabbricazioni dei tascas, rustici zainetti per allevatori, del tipico miele amaro e della cosiddetta spianata, pane a sfoglia di semola di grano duro. Nel suo territorio si producono formaggi come Sas peritas, ossia le perette, gustose ricotte e formaggi ovini, tra cui il fiore sardo, il pecorino romano ed il pecorino sardo. Discreta è anche la presenza del terziario. Le bellezze naturali che la circondano, quali il monte lerno dove è stata creata un’oasi di ripopolamento per mufloni e cervi sardi, e l’omonimo lago artificiale, rappresentano una delle principali attrazioni della zona. Rilevante è, oltre il turismo naturalistico, anche l’afflusso di visitatori desiderosi di entrare a contatto con la tradizione artigiana locale, produttrice del tipico coltello a serramanico con manico in corno di montone o muflone, e delle forbici per la tosatura delle pecore. L’apparato ricettivo offre possibilità di ristorazione e di soggiorno. Il coltello tradizionale sardoI coltelli tradizionali sardi si suddividono in tre categorie di base, che sono Sa leppa, ovvero il coltello a manico fisso ancora oggi in uso sopratutto presso pastori e contadini, il coltello a serramanico chiamato nel nord Sa resolza e nel sud S’Arresoja, e Sa Còrrina, che è il coltello più semplice e antico, che presenta una lama fissa a foglia d’ulivo e manico in corno di capra, ed è usato tipicamente dai pastori. Esistono tantissime varietà di Sa leppa, a seconda della zona geografica di produzione e della struttura morfologica del coltello stesso. I principali tra quelli ad oggi sono ancora realizzati sono la Pattadese, l’Arburese, la Guspinese, ai quali la regione Sardegna, per tutelare la produzione artigianale dell’Isola, ha conferito il marchio Doc. Altri centri di eccellenza sono Tempio Pausania, Dorgali, Alghero, Santu Lussurgiu e Assemini. Abitudine diffusa in Sardegna, soprattutto tra gli uomini, è di ricevere in regalo uno di questi coltelli che gli artigiani realizzano in manico d’osso e lama in acciaio, ma non è un regalo come gli altri, dato che ha un significato molto profondo. Oltre a essere un gesto di grande amicizia, è un auspicio di un felice futuro, poiché serve a tagliare tutti i rami secchi del passato e concentrarsi sul futuro. Ma tecnicamente il coltello non si regala, chi lo riceve è obbligato, secondo la tradizione, a regalare una moneta, anche di pochissimo valore, alla persona da cui lo riceve. In questo modo il coltello non servirà mai a separare l’amicizia. Il coltello tipico di Pattada che è Sa PattadesaImportante è, a Pattada, la lunga tradizione legata ai metalli, di cui ora Pattada si fa portavoce nel mondo, per la produzione del tipico coltello a serramanico. Il coltello Sa Pattadesa, ossia il Pattadese, è un coltello da scanno, con la punta particolarmente acuminata che veniva utilizzato per scannare gli animali, ed è un coltello animato, ossia con impugnatura ferrata, realizzata con due placchette di corno che sono giustappostesu un archetto in ferro mediante ribattini. Famoso per la lama di ottima fattura e per la lavorazione artistica dell’impugnatura, costituita da un manico tratto dalla lavorazione di corna di muflone, bovine, caprine, ovine. È dotato di una lama a foglia di mirto a serramanico in acciaio o in damasco imperniata su un anello in metallo. Viene realizzato in differenti lunghezze a seconda dell’uso a cui è destinata. Frutto di secolari trasmissioni di generazione in generazione, questo importante elemento della cultura sarda è mantenuto ancora vivo oggi e mostrato fieramente in periodiche esposizioni locali. Il coltello di Pattada è divenuto, così, assai ricercato, non solo per gli usi comuni, ma come prezioso oggetto da collezione. Vedremo numerosi esempio del coltello Sa Pattadesa quando visiteremo il Museo Internazionale del Coltello di Pattada. Brevi cenni storiciIl territorio è stato abitato fino dalla preistoria, come attesta il sito nuragico, tra Pattada e Buddusò, in cui le pietre del Nuraghe lerno si specchiano sulla superficie del lago omonimo, in una conca pittoresca. Inoltre, nel territorio è possibile osservare una trentina di altri Nuraghi ed alcune interessanti Tombe di giganti. Si trovano anche resti del periodo dell’occupazione romana. Nella vicina frazione Bantine, si trova ancora un tratto di strada di epoca romana che collegava Castro, centro sorto vicino a dove oggi sorge Oschiri, alla stazione romana di Aquae lusitanae, oggi Benetutti. Durante il periodo medievale, Pattada fa parte della curatorìa di lerron, nel Giudicato del Logudoro, che in seguito viene conquistata dai giudici d’Arborea. Durante il periodo medioevale nel territorio di Pattada, secondo la tradizione, esistono molti centri abitati, di cinque dei quali si hanno testimonianze certe: Biduvè, Bidducara, Bunne, lerno, Bantine. Bunne e lerno sono abitate fino alla fine del trecento, Bidducara e Biduvè, di cui rimangono ancora le Chiese di San Nicola e di San Michele e i ruderi di quella di Santa Caterina, fino alla fine del seicento. Nella parte settentrionale del territorio Comunale di Pattada si trovano i resti del Castello di Olomene, nelle cui vicinanze sono state rinvenute, in un ripostiglio, monete risalenti al periodo medioevale. Quando l’isola viene invasa dai catalano aragonesi, Pattada passa sotto la signoria della famiglia Oliva, che la tengono fino al 1843. In seguito entra a fare parte delle diocesi di Castro. Personaggi storici nati a PattadaPattada è sempre stata considerata Culla della Poesia, perché ha dato i natali a illustri esponenti della poesia sarda. Tra essi spiccano Pedru Pisurzi, nato a Bantine nel 1707, che viene indicato come il padre dei poeti sardi, di cui abbiamo già parlato quando abbiamo visitato Bantine; ed inoltre Padre Luca Cubeddu, e Giovanni Maria Asara, detto limbudu. Il poeta sardo Padre Luca Cubeddu nasce a Pattada nel 1748, e viene mandato a Sassari dove vive con i padri Scolopi e prende i voti. Qualcuno gli dà la colpa di una morte in chiesa, si da, perciò, alla macchia tra le campagne di Pattada e Bitti. Si dice che peranni, ogni domenica, dicesse messa sotto una quercia, dopo aver chiamato a raccolta tutti i banditi della zona. Negli ultimi anni ritorna alla vita religiosa e muore a Oristano nel 1828. Tra le sue composizioni si ricordano Su Cuccu e Sa Rondine, ossia Il gufo e la rondine; Su Leone e S’Ainu, ossia Il Leone e l’asino; Protesta de Amore, ossia Protesta d’amore; Sa Femina Onesta, ossia La donna onesta. |
Molto importante nello sviluppo della poesia sarda è anche Giovanni Maria Asara Sanna. Nasce a Pattada nel 1823, e, fino dalle sue prime composizioni, si nasconde sotto lo pseudonimo Limbudu ossia Linguacciuto. Sua è la creazione e l’utilizzo dell’Undighina, una forma poetica di undici versi, settenari ed endecasillabi, che è stata, in seguito, molto usata in tutta la Sardegna. Vive tutta la vita a Pattada, dove muore nel 1907. Tra le sue composizioni si ricordano Su Barantinu, ossia La quarantina; Su 'izadolzu ’e Canemalu, ossia La veglia di Canebrutto. |
Le principali feste e sagre che si svolgono a PattadaSempre in agosto si svolge la Sagra Pattada produce con l’esposizione di tutti i prodotti dell’artigianato pattadese nelle vie e nelle piazze del paese. É possibile vedere all’opera i fabbri nella loro produzione più famosa, i meravigliosi coltelli a serramanico chiamati resolzas. È inoltre possibile degustare le specialità alimentari del paese. In estate si svolge la Sagra de Sas Pellizzas con la possibilità di degustare il tradizionale piatto povero pattadese. Ogni anno la piazza principale del paese diventa Teatro di una suggestiva Sagra che attira centinaia di curiosi. Il 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, secondo un’antica tradizione che si perde nella notte dei tempi si svolge una manifestazione chiamata Su Moltu Moltu, durante la quale i bambini e i ragazzi di Pattada vanno di casa in casa chiedendo appunto Su Moltu Moltu, e gli adulti allora regalano loro dolcetti e frutta di stagione. Visita del centro di PattadaL’abitato, interessato da forte espansione edilizia, mantiene, nel suo nucleo storico, le caratteristiche stradine ripide e tortuose e le case in granito, ed il suo andamento altimetrico è quello tipico delle modalità di montagna. Le abitazioni del centro storico si trovano affiancate lungo le strade che seguono la morfologia del terreno, e si affacciano su due vie pubbliche che attraversano tutto l’abitato, da nord est a sud ovest. Si tratta di via Regina Margherita, e, un poco più a sud, via Vittorio Emanuele II. Le abitazioni sono costruite in modo molto semplice, in granito o in trachite poco lavorata, messa in opera a secco o con malta, il che determina l’ampio spessore dei muri. Il loro schema era lo stesso, sia per le case dei poveri che per quelle dei ricchi, le abitazioni avevano, infatti, due ambienti al piano terra e due al piano superiore, collegati da una scala, ed erano prive di cortili o di giardini. Sono caratteristiche le persiane in legno, con le finestrelle chiamate Isperaglias, ed i fregi e gli stemmi che si possono ammirare sopra le porte. La chiesa di San GavinoArrivati nell’abitato di Pattada con la SP37, al primo bivio prendiamo, seguendo le indicazioni, a sinistra la via Istria, che costituisce la continuazione nell’abitato della SP37. Dopo circa cento metri, prendiamo una deviazione sulla sinistra, che si chiama anch’essa via Istria, e che in meno di duecento metri, ci porta nel il punto più alto del paese, nella sua periferia nord ovest, dove si trova il colle di San Gavino, che raggiunge un’altezza di 828 metri. Il colle era stato occupato già in periodo nuragico, come indicano i diversi reperti ritrovati, probabilmente per la sua posizione strategica. Sulla sommità del colle, in un ampio recinto chiamato piazzale caduti in Guerra, si trova la chiesa di San Gavino detta anche di Santu Ainzu. La tradizione narra che su questo colle sarebbe stato fondato un monastero da Frati Benedettini originari di Pisa, e che di esso facesse parte la chiesa dedicata al Martire turritano San Gavino. In seguito, nel 1200, sarebbe stato occupato dai monaci Camaldolesi, ed in questa occasione sembra siano state rubate dai Pisani le campane. Sembra che, sul lato sinistro della chiesa, vi fossero le celle dei monaci, ed al centro del complesso vi fosse un pozzo. Agli inizi dell’ottocento una donna incinta è caduta in una fessura nel pavimento della chiesa semidistrutta perdendo la vita, ed ha rivelato l’esistenza di una Cripta, nella quale sono state rinvenute alcune tombe. Nel 1838 i ruderi della chiesa ormai distrutta sono stati utilizzati per costruire le mura del Cimitero. La chiesa è stata, successivamente, ricostruita, ed è divenuta un sacrario dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Dall’alto del colle di San Gavino, lo sguardo spazia in tutto il circondario, da settentrione dove spicca la massa del Monte limbara, alle campagne di Ozieri, fino al sottostante abitato di Pattada con sullo sfondo la vallata ed il lago di lerno. Il Cimitero di PattadaTorniamo indietro i duecento metri che abbiamo percorso sulla deviazione dalla via Istria che ci ha portato sul colle di San Gavino, e prendiamo a sinistra, per rimanere sulla via Istria, che costituisce la continuazione della SP37 e rappresenta la circonvallazione nord occidentale di Pattada. Percorsi circa cinquecento metri, svoltiamo leggermente a sinistra ed imbocchiamo la via Enrico Fermi, dopo poco più di duecento metri, invece di proseguire dritti, prendiamo a sinistra, verso est, la strada che assume anch’essa il nome di via Enrico Fermi, la seguiamo per poco più di cento metri, poi, a un bivio, prendiamo a sinistra la via del Cimitero. Questa strada, in circa duecento metri, ci porta all’ingresso del Cimitero di Pattada. Lo stadio Bruno FoisTornati indietro lungo la via del Cimitero, arriviamo ad incrociare la via Enrico Fermi, la superiamo e prendiamo la continuazione verso sud ovest, che ci porta a svoltare a destra su via papa Giovanni tredicesimo, alla sinistra della quale si vede l’ingresso del Campo da Calcio di Pattada, il cui nome è Stadio Bruno Fois che si trova nella regione Sa Raga. Si tratta di un campo con manto in erba ed un’ampia tribuna coperta, nella quale si trovano oltre 2.000 posti a sedere, e nel quale gioca il Pattada Calcio. La casa ComunaleSeguiamo quasi tutta la via papa Giovanni XXIII, poi svoltiamo a destra ed ancora a destra prendiamo la via Vittorio Emanuele II, dopo meno di cento metri prendiamo a sinistra la via Roma. Nel centro del paese, in via Roma al civico numero 10, alla destra della strada, si trova il Palazzo Municipale detto Casa Comunale edificato in stile liberty, che in passato era detto Su Palattu ’e Manuelle in quanto era l’abitazione di un ricco possidente che aveva portato in paese maestranze piemontesi, ed è stato acquisito come patrimonio Comunale nel 1882. L’esterno del palazzo si presenta molto armonioso, ed alla sua impostazione classica si vanno a mescolare tendenze successive. La facciata è caratterizzata da tre piani, quello inferiore separato dai due superiori con cornici in cemento. Le finestre sono più semplici al piano terra ed elaborate nei piani superiori. L’elemento più significativo è il portale di ingresso realizzato da maestranze piemontesi, con la sua imponenza, sovrastato da un bovindo, ossia una finestratura nella quale gli infissi e le ante non sono allineate al muro ma risultano seguire un percorso aggettante dalla muratura, nella cui finestre compaiono elementi floreali. La chiesa di Nostra Signora del RosarioDa via Roma, dove si trova il palazzo Municipale, raggiungiamo la piazza centale di Pattada, che è la piazza d’Italia, chiamata anche piazza del Rosario. Sulla destra della strada si trova una fiancata della chiesa della Nostra Signora del Rosario detta anche di Nostra Segnora ’e su Rosariu La cui facciata si affaccia su una stretta via che si muove dalla piazza verso destra, in direzione di via Francesco Crispi. La chiesa risale al cinquecento ed è realizzata in stile è tardo gotico aragonese. Gli stemmi che si trovano all’interno della chiesa risalgono alla famiglia che ne ha favorito la costruzione, quella dei Centelles, che per secoli ha governato il Monteacuto. Inizialmente la chiesa era dedicata a San Salvatore, e da essa aveva preso il nome il convento domenicano che vi si era insediato nel 1616. Ed in seguito, nel settecento, i Frati Domenicani, che erano incaricati della diffusione del culto della Madonna e della pratica della recita del rosario, hanno cambiato il suo nome da chiesa di San Salvatore in chiesa della Madonna del Rosario. L’antico campanile era cilindrico, ed è crollato a causa di un fulmine, sostituito da un campanile a canna quadrangolare. La chiesa di San GiovanniPassati davanti alla chiesa della Nostra Signora del Rosario, arriviamo sulla via Francesco Crispi, che prendiamo verso destra, e ci porta in piazza Francesco Crispi, dove prima c'’era la periferia nord del paese e una serie di orti. Qui si trova la piccola chiesa di San Giovanni Battista detta anche di Santu Juanne La cui parte più antica è la trecentesca navata realizzata in stile gotico. San Giovanni è considerato il patrono degli allevatori e la statue lignea del Santo veniva portata in processione nei periodi siccità. Il 24 giugno, in occasione della ricorrenza della nascita di San Giovanni, vi si svolge la Festa dedicata al Santo, che inizia la sera precedente. Secondo una tradizione diffusa in molte località dell’Isola, anche a Pattada, nella notte tra il 23 e 24 giugno, si accendevano nei vari rioni i fuochi di San Giovanni, SOs fogos de Santu Juanne anticamente connessi al ciclo dell’anno agrario, e durante la notte venivano preparate le medicine tra le quali la più famosa era quella per l’ernia, e raccolte erbe per preparare gli infusi benefici. Da qualche anno è stata ripristinata l’antica usanza, con un grande falò nella piazza vicino alla chiesa di San Giovanni la sera del 23 giugno. Il giorno successivo, poi, si svolge la Festa di San Giovanni Battista, nella quale dopo la celebrazione della messa, viene offerto a tutti i partecipanti un rinfresco a base di prodotti tipici locali, come formaggi, salsicce, e dolci vari tra cui le tipiche Origliettas ammerradas, i tipici dolci che qui vengono saltati nel miele. Il Museo Internazionale del Coltello di PattadaProvenendo da via Roma, nella piazza d’Italia, passata la chiesa della Nostra Signora del Rosario e proprio di fronte alla sua facciata, si trova, nei locali di un ex cinema, la sede del Museo Internazionale del Coltello di Pattada realizzato allo scopo di valorizzare la produzione del coltello internazionale fatto a mano, e la sua storia fin dalle origini. L’esposizione comprende anche altri utensili in ferro, ed oggetti che permettono di inquadrare meglio l’ambiente in cui l’uomo ha prodotto le sue lame, dal Neolitico fino ai giorni nostri. La sezione principale è riservata al coltello tipico di Pattada. In rare occasioni capita di identificare un luogo con il prodotto per antonomasia, che lì, e soltanto lì, viene confezionato, e Pattada è uno di questi luoghi, dato che può vantare un primato pressoche assoluto nella fabbricazione dei coltelli. E questo grazie alle prodigiose mani dei Frailalzos, ossia dei suoi fabbri artigiani, che producono il famoso coltello a serramanico, chiamato in logudorese Sa resolza, O anche in Barbagia Sa leppa, Parola che deriva dal greco Lepis o Lepos e che significa Lamina di metallo. Il coltello è caratterizzzato da una lama in acciaio inossidabile temperato, di ottima fattura, e quello di Pattada presenta la lama A foll’e murta, ossia a foglia di mirto. È dotato di un manico in corno di muflone, il più pregiato, oppure di bufalo, capra, montone, legno. Possiede, inoltre, un collarino, in ottone o in metallo prezioso, a volte anche in oro, argento e pietre preziose, spesso finemente lavorato. Secondo la tradizione, sono stati i fratelli Mimmia e Giuseppe Bellu, nell’ottocento, a dare vita alla produzione, portata avanti da Zintu canale Minore, dei coltelli pattadesi, ora famosi in tutto il mondo. Per la semplicità e la bellezza della forma, la robustezza delle lame e la perfezione delle finiture dei manici, il coltello di Pattada è diventato, nel tempo, assai ricercato dai collezionisti di tutto il mondo. Il coltello è considerato un oggetto soprattutto maschile, essendoanni compagno inseparabile del pastore, del contadino, del minatore, ed essendo stato anche, nel corso dell’ottocento, fedele compagno del bandito sardo. Ma era usato anche da parte delle donne, portato un tempo sempre addosso, insieme alle chiavi, ditale, spille ed altri oggetti. Durante il parto, un coltello aperto si metteva sotto il letto per ridurre il dolore; e, per altro verso, immerso nell’acqua Santa, sfregato con il sale e unto con l’olio, veniva usato contro il malocchio. Per diffondere la Cultura di questo prestigioso oggetto artistico, viene organizzata, nel mese di agosto, la Biennale del coltello di Pattada che prevede l’esposizione di quello che è ormai diventato l’oggetto simbolo del paese, e si svolge nel periodo che coincide con la Festa patronale di Santa Sabina, nella cui ricorrenza si fa sfoggio dei costumi locali, di cavalli e delle tipiche Banderas da parte dei giovani del paese. È anche possibile assaggiare Sas Pellizzas, un piatto tipico a base di semola di grando duro, acqua e sale. La manifestazione attira migliaia di turisti ed appassionati da tutte le parti del mondo. La chiesa parrocchiale di Santa SabinaDa via Roma prendiamo via Regina Margherita, che, in circa quattrocento metri, ci porta alla chiesa di Santa Sabina che è la chiesa parrocchiale di Pattada, dedicata alla patrona del paese. La leggenda narra che, nel periodo romano, una donna, che aveva smarrito una gallina, si sarebbe recata per trovarla nella zona di Rueddu, sulla destra dell’attuale chiesa, e che lì, dove c'’era una pianta di fico selvatico, le sarebbe comparsa la Santa, che le avrebbe Chiesto di far edificare in quel punto una chiesa in suo nome. Dato che il fico ed i volatili sono due simboli legati alla cultura pagana, è possibile che in quel luogo sorgesse un luogo di culto pagano. Eretta in stile gotico aragonese nel cinquecento, è stata rparzialmente rifatta più volte, tra il 1789 e il 1811, e nel 1929 quando era crollata la volta principale, e la chiesa è stata rifatta completamente e riconsacrata nel 1941. Il campanile cilindrico eretto in stile tardo aragonese nel 1558, è crollato diverse volte, l’ultima nel 1907 per un fulmine, e dell’antico campanile rimane il troncone inferiore di forma cilindrica. All’interno custodisce l’altare maggiore, in marmo, di fine ottocento, nel quale si conserva la cinquecentesca statua di Santa Sabina. Di particolare pregio è la Cappella della Trinità che ospita una pala d’altare in stile barocco, importante opera recentemente restaurata. recenti interventi hanno portato all’inserimento, nella facciata della chiesa, di un massiccio portone di bronzo con scene evangeliche, che rende la facciata ancora più maestosa ed elegante. Presso la chiesa parrocchiale il 29 agosto, giorno a lei dedicato, si celebra la Festa patronale di Santa Sabina, caratterizzata nel mattino dalla celebrazione della messa, tradizionalmente seguita dalla benedizione dei cavalli e dei cavalieri. Segue, nel pomeriggio, la processione guidata dalla statua lignea della Santa, mentre i cavalieri in costume percorrono le strade del paese con i loro cavalli bardati a festa. Su tutto l’insieme spiccano Sas banderas, una quarantina di bandiere che ogni cavaliere tiene con la parte terminale tenuta avvolta nella spalla. alla Festa religiosa si aggiungono i festeggiamenti civili, che si protraggono generalmente per 3 o 4 giorni e che animano il fine agosto dei pattadesi e di molti turisti, con serate che vanno dal folk alla musica leggera e alle tradizionali gare di poesia in sardo. Fino a qualche tempo fa, in occasione della Festa di Santa Sabina si usava mangiare pasta con una salsa di galletti. La chiesa di Nostra Signora del CarmeloSulla destra della chiesa di Santa Sabina, parte la via monte Zebio, che ci porta, dopo un paio di deviazioni, sulla via Guglielmo Marconi, che prendiamo verso sinistra, ed arriviamo alla periferia sud ovest dell’abitato, dove vediamo, alla sinistra della strada, l’attuale chiesa di Nostra Signora del Carmelo detta anche Nostra Segnora ’e su Garminu che risale agli anni ’80 ed è stata realizzata in stile moderno, sostituendo la settecentesca piccola chiesa precedente che aveva una struttura simile a quella della chiesa di San NicoI cui resti si trovano nell’antico borgo medioevale di Biduvè. Dallo spiazzo si può ammirare la parte Meridionale del territorio di Pattada. Ogni anno una diversa famiglia di Pattada, attraverso la figura del Priore, ha l’incarico di organizzare gli aspetti religiosi ed i festeggiamenti civili della Festa dellla Madonna del Carmelo, che ha luogo il 16 luglio. Le celebrazioni comprendono la tradizionale processione nella quale, preceduti dal Priore, i cavalieri di Pattada vestiti con il costume tradizionale e con gli stendardi dedicati ai vari Santi, precedono un carro che porta la statua della Madonna del Carmelo, seguita dalla processione religiosa. Il corteo si conclude, con i cavalli disposti a semicerchio, davanti alla chiesa dove viene celebrata la messa. Al termine della cerimonia viene offerta a tutti i presenti una cena tradizionale a base di carne di pecora bollita, patate, accompagnate da buon vino locale, e invitanti vassoi di immancabili Origliettas e altri dolci tipici locali. Visita dei dintorni di PattadaVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Pattada, sono stati portati alla luce i resti del Nuraghe complesso lerno; ed anche dei Nuraghi Anzu, Badde Sinara, Bisella, Campus, Coloras, Crabilis, donnigheddu, Elvanosu, littu Pedrosu, Malzanittu, Mandrana, Muzzone, Norchetta, Ortusanu, Oruvule, Pabarile, Pira, Puzzonina, Sa Cadrea, Sa Pattada, Sa Pedra ’e S’Abba, Sa Terra, Salambrone, Sant’Elia, Sas Giobadas, su Carru, su Casteddu, su Nelo, su Saucco, tutti di tipologia indefinita. Il lago di lerno ai piedi del monte lernoPresa la circonvallazione di Pattada a nord, in via Enrico Fermi, svoltiamo a destra lungo la via che viene dal Cimitero passando accanto allo stadio Bruno Fois, poi a destra in via Duca d’Aosta, che esce dall’abitato come SS128bis, nota anche come strada provinciale Ozieri-Tirso. Percorsi circa 1,3 chilometri su questa strada, arriviamo a una rotonda, alla quale prendiamo la deviazione sulla destra in direzione del Lago di lerno. Si tratta di un lago artificiale noto anche come Lago del rio Mannu che si estende ai piedi del monte lerno che raggiunge i 1.094 metri di altitudine. L’acqua del lago viene utilizzata per uso irriguo e idroelettrico, e di essa usufruiscono dal punto di vista idrico i vari comuni della zona. La diga di Monte lernu, sul rio Mannu di Pattada, che da origine al lago lernoPercorsi circa 750 metri sulla strada che abbiamo preso alla rotonda e che ci porta in direzione del lago di lerno, arriviamo a un bivio, dove prendiamo a destra, verso il lago, ed, in poco più di un chilometro e mezzo, arriviamo alla diga. La Diga di Monte lerno sul rio Mannu di Pattada, è una diga a gravità ordinaria, in calcestruzzo, alta circa 61 metri. È stata realizzata negli anni dal 1971 al 1980, su progetto degli ingegneri Dino Malossi e Francesco Sensidoni. I resti del Nuraghe lernoTornati al bivio, prendiamo invece a sinistra, una strada che sale sulla collina, e, in quattro chilometri e mezzo, ritornata al livello del lago, ci porta al Nuraghe lerno che si trova affacciato sull’omonimo lago, ai piedi dell’importante massiccio montuoso da cui prende il nome. Il suo ritrovamento è abbastanza recente. Il sito è composto da un Nuraghe principale, varie costruzione intorno che farebbere presupporre la presenza di un villaggio, e infine una costruzione che potrebbe essere stata adibita a Santuario nuragico. Presso il Nuraghe sono stati riportati alla luce alcuni oggetti appartenenti alla Cultura di Ozieri. La ex stazione ferroviarie di Buddusò e quella di PattadaFino al 1969 il territorio pattadese era attraversato dalla linea ferroviaria a scartamento ridotto che collegava la stazione di Tirso con quella di Ozieri Cilivani, della quale sono rimasti in territorio di Pattada i ruderi di due stazioni, dei caselli, e due ponti. Dal lago di lerno torniamo indietro alla rotonda, dove avevamo presa sulla sinistra la strada che ci ha portato, appunto, a visitare il lago. Prendiamo verso sinistra, ossia verso sud, la continuazione della SS128bis, proveniente da Pattada. Percorsi poco più di due chilometri, questa strada si immette sulla SP85, che prendiamo verso sinistra, ossia verso est. La seguiamo per un paio di chilometri, poi arriviamo a un bivio, dove contnuando dritti ci si immette sulla SS389 di Buddusò e del Correboidif, invece la seguiamo svoltando a destra per arrivare, dopo poco più di cento metri, di fronte ai resti della Ex Stazione ferroviaria di Buddusò, che abbiamo già descritto quando abbiamo visitato Buddusò. La linea ferroviaria scorreva un poco più a sud della SP85, che prendiamo tornando indietro, ossia verso ovest. Molto interessanti sono, lungo di essa, due ponti della linea che sono ancora in piedi. Si tratta del Ponte donna Teresa, di una altezza di dieci metri, con tre arcate; e del Ponte di Sa Corra Chervina, ossia Su ponte ’e Sa Corra Chervina, anch’esso di una altezza di dieci metri, con cinque arcate, nel quale, nel pilone centrale, è visibile la targa con inciso l’anno di costruzione, il 1890, ed il nome dell’ingegnere che lo ha progettato, ossia Ferruccio Ferrero. Seguendo la SP85 in direzione ovest, che poi continua immettendosi sulla SS128bis, passata la zona industriale di Pattada, a poco meno di sette chilometri dalla stazione di Buddusò, arriviamo ai resti della Ex Stazione ferroviaria di Pattada un’altra stazione sulla vecchia linea a scartamento ridotto che collegava Tirso a Chilivani. Il Castello di OlomenePer raggiungere il Castello di Olomene, che si trova a nord di Pattada, quasi ai limiti del suo territorio Comunale, dobbiamo partire dalla frazione Bantine. Da qui, presa la SP37 in direzione est, si segue per tre chilometri e si arriva a un bivio, dove si prende la strada a sinistra. Percorsi circa nove chilometri e mezzo, si prende una strada a traffico limitato verso destra, e, dopo poco meno di cinquecento metri, si prende una sterrata sulla destra. La si segue per qualche chilometro in mezzo alla boscaglia, e si arriva ai pochi ruderi di quello che è stato l’imponente Castello di Olomene noto anche come Su Casteddu ’e Olomene edificato dai giudici del Logudoro sul finire del dodicesimo secolo. Presso i ruderi di questo Castello, è stato ritrovato un importante ripostiglio contenente monete risalenti al periodo medioevale. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima, che è la prima tappa del nostro viaggio nel Goceano, partendo da Pattada andremo a Benetutti dove visiteremo il centro del paese ed i suoi dintorni, con le sue sorgenti termali ed i suoi resti archeologici. |