Nel Guicer a Paulilatino sull’altopiano di Abbasanta con il villaggio nuragico di Santa Cristina e il suo pozzo sacro
In questa tappa del nostro viaggio, entreremo nel Guilcer e ci recheremo a visitare l’altopiano di Abbasanta, dove visiteremo Paulilatino e vedremo il villaggio nuragico ed il pozzo sacro di Santa Cristina, e ci recheremo poi a visitare i diversi siti archeologici in territorio di Paulilatino. La regione storica del GuilcerIl Guilcer è un’area geografica situata al centro dell’isola ed è, da secoli, crocevia di attività e commerci, comprende un altopiano basaltico e la sottostante pianura dove scorre il fiume Tirso e si trova l’invaso artificiale del lago Omodeo. L’Unione dei comuni del Guilcier è stata istituita nel 2008 quando i Sindaci di Abbasanta, Aidomaggiore, Boroneddu, Ghilarza, Norbello, Paulilatino, Sedilo, Soddì, e Tadasuni, hanno sottoscritto l’Atto Costitutivo, convalidando la costituzione del nuovo ente. Prima di allora i comuni venivano considerati appartenenti alla regione storica del Barigadu. Il Guilcier raccoglie numerosi tesori archeologici, tra i quali ricordiamo per importanza il Nuraghe Losa di Abbasanta, la chiesa di San Pietro di Zuri, la torre Aragonese a Ghilarza, il complesso archeologico di Santa Cristina a Paulilatino, la foresta pietrificata a Soddì e la chiesa dei templari a Norbello. In viaggio verso PaullilatinoUsciamo da Oristano sulla SP55, dopo circa cinque chilometri prendiamo a sinistra la SS131 di Carlo Felice. Su questa strata statale passiamo le uscite per Tramatza e Bauladu che abbiamo già visitato, e dopo poco più di venti chilometri troviamo l’uscita verso destra per Paulilatino, presa la quale imbocchiamo la SP11, che ci fa raggiungere il centro del paese. Dal Municipio di Oristano a quello di Paulilatino si percorrono 29.2 chilometri. Il comune chiamato PaulilatinoIl comune chiamato Paulilatino (pronuncia Paulilàtino, nome in lingua sarda Paule, altezza metri 280 sul livello del mare, abitanti 2.087 al 31 dicembre 2021) è un comune situato nella parte settentrionale della Provincia di Oristano, nella media valle del Tirso, alla destra del rio Pitzu, ed occupa la parte più meridionale del vasto altopiano basaltico di Abbasanta, delimitato a nord dalla Campeda e a ovest dal Montiferru e dalla Planargia. È facilmente raggiungile mediante la SS131 di Carlo Felice, il cui tracciato ne attraversa il territorio, e la linea ferroviaria che collega Cagliari con Ozieri Chilivani ha uno scalo sul posto. Il territorio Comunale, che presenta un profilo geometrico irregolare con variazioni altimetriche accentuate, offre un panorama di indiscutibile fascino. Con la visita di Paulilatino, importante per i numerosi siti archeologici che si trovano nel suo territorio, concludiamo la nostra visita della regione del Montiferru. Ci recheremo poi nella regione del Barigadu, della quale inizieremo la visita da Abbasanta. Origine del nomeIl nome Paulilatino molto probabilmente deriva dalla palude vicina al paese, prosciugata nel 1827, che in primavera si ricopriva di una patina biancastra che la rendeva lattiginosa, ossia Latina, cioè Chiara in dialetto paulese. La sua economiaSi tratta di un comune di pianura di origine prenuragica, che basa la sua economia soprattutto sulle attività agro pastorali e industriali. Per quanto riguarda il settore economico primario, l’agricoltura produce foraggi, vite, olivo, agrumi e frutteti, e si pratica anche l’allevamento di bovini, ovini, caprini, equini, suini e avicoli. Per il settore secondario, l’industria è costituita da aziende che operano nei comparti del tessile, dell’abbigliamento, della produzione lattiero caseario, dell’edilizia e della produzione alimentare. Il terziario non assume dimensioni rilevanti. Significativa è la produzione del pane locale caratteristico, tra il quale vi è quello chiamato Su pistoccu, una sfoglia di pasta sottile e croccante che dura a lungo e si consuma dopo averla inumidita con l’acqua. Interessante è l’artigianato, caratterizzato dalla produzione di coperte, tovaglie, tappeti, ed altro, teso alla salvaguardia e alla tutela di antiche tradizioni, in particolare quello specializzato nella confezione di tessuti con lavorazione a grani, chiamati Pibiones, che vengono lavorati con telai orizzontali. Meta frequentata dagli amanti dell’archeologia e della storia, offre una sintesi delle maggiori civiltà che hanno vissuto nella zona. L’apparato ricettivo, comprendente un agriturismo, offre possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. Brevi cenni storiciIl territorio viene abitato fino dalla preistoria, come testimoniano i numerosi siti archeologici presenti, che comprendono circa Duecento Nuraghi, decine di Tombe di giganti, Dolmen e pozzi sacri. L’abitato nasce in periodo medioevale, e viene a far parte del Giudicato d’Arborea facendo parte della curatoria del Guilcier. Con la fine del Giudicato e la conquista aragonese nel 1416, tutti i territori della curatoria vengono concessi in feudo a Valore di ligia, un arborense che aveva tradito il giudice di Arborea Ugone III nel corso delle guerre tra Aragona e Arborea. Quando però Valore e suo figlio Bernardo si recano a prendere possesso del feudo, vengono uccisi insieme alla loro scorta a Zuri. Nel 1417 i territori della curatoria vengono dati in feudo a Giovanni Corbera che li vende nel 1426 al marchese di Oristano. Nel 1479 i suoi cittadini chiedono di essere amministrati direttamente da funzionari reali, e non più da signori feudali. Il Marchesato nel 1478 viene confiscato a Leonardo de Alagon e il territorio viene identificato con il nome di Parte Ocier real, divenendo quindi un feudo regio per tutto il periodo aragonese e spagnolo. Agli inizi dell’ottocento il paese, dopo essere passato insieme all’intera Isola sotto la dominazione piemontese dei Savoia, nel 1827 vede la bonifica della zona paludosa che occupava una parte del suo territorio. Nel 1821 Paulilatino viene incluso nella Provincia di Oristano, e nel 1838 viene riscattato al demanio, a cui apparteneva, per costituire un comune amministrato da un sindaco e da un consiglio Comunale. In seguito all’abolizione delle province nel 1848, fu incluso nella divisione amministrativa di Cagliari, e nel 1859 nell’omonima ricostituita provincia. Il comune di Paulilatino nel 1974, dopo la creazione della Provincia di Oristano, viene trasferito dalla Provincia di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, a quella di Oristano. Le principali feste e sagre che si svolgono a PaulilatinoA Paulilatino sono attivi l’Associazione Turistica Pro Loco e l’Associazione di cultura Popolare Guilcier real, i cui componenti si esibiscono nelle manifestazioni che si svolgono nel comune ed anche in altre località. Tra le principali feste e sagre che si svolgono a Paulilatino, vanno citati il 16 gennaio la Festa di Sant’Antonio Abate, per la quale la vigilia si accende in piazza San Teodoro un enorme falò con grande partecipazione popolare, segue la Festa che segna l’inizio del Carnevale, attorno al fuoco si beve e si fa Festa per buona parte della notte; il 20 gennaio, la Festa di San Sebastiano, con accensione di falò nella piazza del Cimitero dove si trova la chiesa dedicata al Santo; in occasione della Pasqua suggestivi sono i riti della Settimana Santa che iniziano il giovedì con la lavanda dei piedi, il venerdì si prosegue con S’Iscravamentu, ossia la deposizione di Cristo dalla croce, il sabato si celebra la messa della mezzanotte, la domenica le celebrazioni culminano con la processione che termina con S’Incontru tra Gesù e la Madonna e la messa solenne; a fine aprile o a inizio maggio, la Festa della Madonna d’Itria; a maggio, la Festa di Santa Cristina; a luglio, la Festa di Santa Maria Maddalena; a settembre, la Festa di San Costantino; ad ottobre, la Festa di San Serafino; il 9 novembre, si festeggia il Patrono, nella Festa di San Teodoro Martire. Il Carnevale di PaulilatinoA Paulilatino, a febbraio si festeggia il Carnevale, Con sfilate di maschere e Su Carrudzu, una sfilata di carri allegorici che si snoda per le vie del paese, e con la manifestazione Sas Cursas de Carrasegae, che rappresenta il carnevale storico di Paulilatino. Immersa nella splendida coreografia del centro storico, la competizioni sui cavalli scorrono tra le magnifiche case in basalto, dove le pariglie si lanciano in un folle corsa ed in spettacolari coreografie. Il Carnevale ha il suo culmine nella piazza principale, chiamata Su Pangulieri, dove tra suoni e balli si gustano i prelibatissimi dolci tipici di questo periodo, zippole, fatti fritti, chiacchere e bugie. Al termine si dà fuoco al pupazzo di pezza chiamato Randaceddu, a simboleggiare la fine del Carnevale. Visita del centro di PaulilatinoL’abitato, caratterizzato dalle case costruite in basalto, è interessato da una forte crescita edilizia. Il tessuto urbano del paese mantiene intatto lo schema caratteristico dei paesi interni dell’Isola, le abitazioni più antiche del centro conservano ancora i bassi pilastri, utilizzati un tempo per legare i cavalli, e le piccole fonti pubbliche, chiamate Cantareddos. Vediamo, ora, che cosa si trova di importante nel centro dell’abitato di Paulilatino. Il Municipio di PaulilatinoEntriamo nell’abitato di Paulilatino da nord ovest con la SP11, che, all’interno del paese, assume il nome di viale della Libertà, e che lo attraversa tutto da nord ovest a sud est. Percorsi appena quattrocento metri, vediamo alla destra della strada, al civico numero 33 del viale della Libertà, l’edificio nel quale si trova il Municipio di Paulilatino, che ospita la sua sede e tutti gli uffici in grado di offrire i loro servizi ai cittadini. Si tratta dell’Ufficio Affari Generali, l’Ufficio Polizia locale, l’Ufficio Protocollo, l’Ufficio Ragioneria, l’Ufficio Servizi Culturali, l’Ufficio Servizi Demografici, l’Ufficio Servizi Sociali, l’Ufficio SUAP, l’Ufficio Tecnico, l’Ufficio Tributi, e l’Ufìtziu limba Sarda. La fontana monumentale chiamata su Cantaru MannuProseguiamo lungo il viale della Libertà per quattrocentocinquanta metri ed arriviamo a vedere, alla sinistra della strada, l’ampia piazza Indipendenza, che è la piazza principale del paese, chiamata in lingua sarda Su Pangulieri, nome il cui significato dovrebbe essere quello di panca o banco, e che identificava i banchi del mercato. Poteva essere anche il luogo in cui i contravventori della legge venivano sottoposti a pubblica punizione, come viene descritto nella Carta de logu. In questa piazza si erge una fontana chiamata Su Cantaru Mannu La grande fontana costruita nel 1868 per approvvigionare di acqua il paese. Sulla sommità della fontana si trova una statua che raffigura un giovane che indica, con il braccio alzato, la sorgente che alimenta le sei bocche della fontana. La fontana viene alimentata dalla sorgente di Sa Bubulica, una delle molte sorgenti d’acqua che hanno permesso la realizzazione di numerosi mulini ad acqua, detti Krakeras, che sono stati utilizzati fino agli anni ’60 del novecento. Il bellissimo palazzo Atzorialla fine del viale della Libertà, prima di arrivare nella piazza Indipendenza, si incrocia la via Nazionale. Presa verso destra e percorsa per centocinquanta metri, si vede alla destra della strada, al Civico 127 della via Nazionale, il bellissimo Palazzo Atzori che viene chiamato dai paulesi come sU pallazzu de su Tzori. Si tratta di un edificio quadrato il cui primo impianto dovrebbe risalire al diciottesimo secolo, ed è un’imponente ed antica costruzione di pietre e mattoni cotti legati insieme con malta ed argilla, che si eleva su tre livelli, ornato da una loggia. L’eleganza e austerità di questo edificio è accentuata dal colore scuro della pietra, il basalto, materiale caratteristico del Guilcer. Il palazzo era la residenza della famiglia di Giovanni Antonio Atzori, personaggio molto influente non solo a Paulilatino ma in tutto il territorio circostante, ed essendo un notaio a lui ci si riferiva per risolvere le faccende giuridiche, come liti e controversie. Il Museo Archeologico EtnograficoAttualmente il palazzo Atzori è adibito ad ospitare il Museo Archeologico Etnografico. Si tratta di un museo archeologico e delle tradizioni popolari, disposto su tre livelli e composto da quattordici sale espositive. Il piano terra presenta diversi ambienti con volte a botte e pavimenti realizzati in lastroni di basalto ben squadrati, ed è collegato agli altri piani per mezzo di scale costruite utilizzando anch’esse la tipica pietra locale, molto suggestive. Questi ambienti si affacciano sulla loggia coperta, ampia e luminosa, ideale per ospitare conferenze e mostre. Attualmente la struttura museale ospita una notevole e interessante raccolta etnografica locale iniziata negli anni ’80 del novecento, ed ospita al piano terra una sezione archeologica multimediale in attesa dell’allestimento di alcuni ambienti dove saranno esposti i reperti provenienti dal ricco patrimonio archeologico esistente nel territorio di Paulilatino. Il Teatro Comunale Grazia DeleddaAl termine del viale della Libertà, passata la piazza Indipendenza, la SP11 prosegue attraversando in centro da nord ovest a sud est con il nome di via Roma. Percorsa per un centinaio di metri, alla sinistra della strada, al civico numero 19, si trova l’ingresso dell’edificio che ospita il Teatro Comunale Grazia Deledda il cui ingresso pricipale si trova, però,su una trasversale alla quale si arriva prima dell’edificio, prendendo la via Pietro Carboni e svoltando a destra seguendo le indicazioni nel vicolo Angioy, al civico numero 5. Gestito fino dal 1986 dall’Associazione Teatro Instabile, il Teatro è in grado di ospitare 470 spettatori, e costituisce un punto di riferimento per le attività di spettacolo di tutto il territorio regionale. Dal 1987 svolge un’intensa attività di produzione dei propri spettacoli e di programmazione di rassegne rivolte al pubblico dell’Infanzia e della Gioventù, oltre a rassegne serali di prosa, danza e concerti. La chiesa parrocchiale di San Teodoro MartireProseguendo per una cinquantina di metri lungo la via Roma, si apre alla destra della strada la piazza San Teodoro, alla sinistra della quale si affaccia la chiesa parrocchiale di San Teodoro Martire. Se ne ha notizia a partire dal dal 1342, quando nel numero 396 delle Rationes Decimarum Sardiniae risulta che il canonico Giovanni Capra, rettore della parrocchiale di Paule latina, avrebbe versato al Vescovo di Santa Giusta lire XXV in alfonsini. L’edificio attuale presenta, comunque, strutture più tarde, probabilmente cinquecentesche secondo la tipologia sardo catalana con la Capilla mayor voltata a crociera, costolonata e gemmata, cappelle laterali, copertura a capriate che fra il 1814 e il 1816 venne sostituita con le volte in mattoni. Ha un bel portale che risale al 1642, composto da due semicolonne lisce appoggiate su alti plinti, che sorreggono una doppia trabeazione dentellata e il timpano triangolare, decorato all’interno da un elegante rilievo a girali d’acanto, e da una nicchia centinata con catino valviforme rinserrata entro un’edicola a timpano spezzato. Sul medesimo asse si trova un rosone inscritto entro una cornice quadrangolare a punte di diamante, che dà luce alla navata principale. Risale al sedicesimo secolo, anche il campanile a canna quadra con paraste angolari in rilievo e slanciate specchiature, attualmente coperte da intonaco. È sormontato da una torretta ottagonale con copertura a cipolla, rivestito da coppi maiolicati policromi, di gusto settecentesco. La cella campanaria ha quattro finestre archiacute, ed archetti pensili ogivali segnano la cornice superiore. Il 9 novembre a Paulilatino si svolge la Festa patronale di San Teodoro Martire, con cerimonie religiose e con manifestazioni civili, che si svolgono in piazza e nel Teatro Comunale. Prima della messa si svolge l’Ardia intorno alla chiesa parrocchiale, subito dopo la messa Su Preore Invita tutti i cittadini a un rinfresco allietato da balli e canti. La piccola chiesa di San Giovanni chiamata anche chiesa delle AnimeProseguendo lungo la via Roma, vediamo alla destra della strada il fianco sinistro ed i retro della chiesa parrocchiale, e, una quarantina di metri più avanti, si vede la facciata della piccola chiesa di San Giovanni chiamata anche chiesa delle Anime che fa parte dello stesso isolato della chiesa parrocchiale. Vi si può accedere sia dalla via Roma che dalla sagrestia della chiesa di San Teodoro, dalla quale è separata da un cortile. La chiesa delle Anime è citata per la prima volta in un documento d’archivio, della prima metà del diciassettesimo secolo, e si ritiene risalga anch’essa al sedicesimo secolo, cioè allo stesso periodo della chiesa di San Teodoro. La chiesa è costruita interamente in pietra, la facciata è a capanna, con due laterali rinforzanti, con un semplice portoncino d’ingresso in trachite. La chiesa presenta un’unica navata, con pavimentazione in pietra basaltica lavorata e levigata, ed il tetto a capanna poggiante su archi a tutto sesto presenta una semplice travatura in legno. L’altare è costruito in muratura di pietra. Ai lati dell’unico altare, due porte collegano la navata alla sagrestia della chiesa parrocchiale. L’interno è attualmente intonacato e tinteggiato. Sia all’interno che all’esterno vi sono degli archi di pietra lavorati a fregi diversi che ci ricordano quello stile rinascimentale a cui si sono rifatti i progetti del tempo. Presso questa chiesa, il 24 giugno si celebra la Festa di San Giovanni Battista. I festeggiamenti iniziano con le novene e culminano con i vespri preceduti dall’Ardia intorno alla chiesa. Nei vicinati si accendono dei piccoli falò di canne e fave, che vengono saltati dai giovani in segno di devozione. La chiesa di Santa Maria MaddalenaDalla via Roma, presa a destra la piazza San Teodoro, proseguiamo con la via Santa Maria Maddalena, la seguiamo per una sessantina di metri, e girando a destra per una quarantina di metri arriviamo alla facciata della chiesa di Santa Maria Maddalena che i paulesi familiarmente chiamano Santa Maria. É una chiesa del seicento, anche se probabilmente è stata costruita molto tempo prima. Allo stato originario era senz’altro più piccola dell’attuale in quanto nell’ottocento c’è stato un accrescimento sul retro, che ha creato l’attuale sagrestia, ed infatti in questa parte troviamo una nicchia dove forse c'’era una fontanella. La chiesa ha un ingresso principale e due ingressi laterali da uno dei quali oggi non si accede più all’esterno ma ad un cortiletto interno. L’interno è costituito da un’unica navata con pavimento in cotto e con un tetto a due falde, che originariamente era in legno. In un secondo momento la copertura lignea è stata trasformata in un solaio di laterizio armato, struttura che ha struttura ha imposto la realizzazione di contrafforti laterali. Attualmente la chiesa è stata restaurata ed è stato rifatto il tetto ligneo. Durante il restauro è stato anche smantellato l’unico altare in marmo che c’era in fondo alla navata ed è stato riportato alla luce l’altare originale in muratura composto da tre nicchie. Se possibile, si consiglia di partecipare il 22 luglio alla Festa di Santa Maria Maddalena, chiamata Sa Festa Manna, che è la più sentita della manifestazioni festive di Paiulilatino, dato che, pur non essendo la patrona, questa è la Santa più onorata dai paulesi. I festeggiamenti iniziano dieci giorni prima con le novene e culminano nel giorno della Festa con la celebrazione della messa e la processione accompagnata dai cavalieri. I festeggiamenti civili prevedono esibizioni canore, di Cantadores a chitarra e di Poesia, ed intrattenimenti di vario genere. Tra le manifestazioni che fanno da contorno alla Festa troviamo l’Ardia, una corsa condotta a velocità sostenute dai cavalieri attorno alla chiesa. E, dal fatto che l’abilità e il coraggio dei cavalieri, sulle quali S’appunta l’attenzione degli spettatori, finiscono quasi sempre con il far passare in secondo piano l’occasione religiosa della manifestazione, deriva l’ipotesi sulle origini pagane di questo rito. La chiesa di Nostra Signora d’ItriaRitornati sulla via Santa Maria Maddalena, seguiamo la sua continuazione che è la via Piave, dopo cnetosettanta metri svoltiamo a destra ed in una ventina di metri raggiungiamo la piazza Itria. Su di essa si affaccia la chiesa della Madonna d’Itria Sa Ittiri per i cittadini, che è forse la chiesa più antica del paese, dato che il primo documento scritto si trova nel registro dei matrimoni del 1516. La costruzione originaria è, quindi, precedente, ma la chiesa ha subito nel tempo vari interventi, modifiche e aggiunte, e la sua struttura attuale dovrebbe risalire al settecento. La chiesa presenta una pianta rettangolare ad una navata con tre altari, uno centrale e due laterali. La copertura originaria era costituita da due falde in legno, che in seguito sono state sostituite da un solaio in laterizio, che ha riChiesto a realizzazione dei contrafforti. Durante la fase di restauro della volta dell’abside, è stato riportato alla luce un affresco, probabilmente antecedente al periodo di restauro, ed anche le pareti mostrano qualche residuo di affreschi che sono stati successivamente ricoperti da intonaco. Il nome d’Itria è la contrazione di Odigitria, parola che significa Mostra la Via. Veniva così chiamato il tempio che si trovava a Costantinopoli, eretto per custodire ed onorare un quadro che raffigurava la Madonna. Non si sa come la venerazione della Madonna d’Itria sia giunta in Italia, ma si ritiene che il suo culto possa essere legato a un quadro della Vergine dipinto da San Luca Evangelista. Il culto della Vergine d’Itria a Portoscuso sembra risalire al periodo dell’attività della tonnara, ed è attestato fino dal 1630, ed il sito attuale nel quale sorge la chiesa dovrebbe corrispondere a quello, dove, nel 1655, il marchese Vivaldi Pasqua fece costruire una piccola chiesa col medesimo titolo. Il quadro raffigurante la Madonna d’Itria, secondo una tradizione popolare, era stato portato nella chiesa dove, durante un’incursione saracena, venne colpito da alcuni proietili. Dopo molti anni, il proprietario della tonnara lo portò a Genova per farlo restaurare, ma da dove il quadro non fece più ritorno a Portoscuso, ed in sua sostituzione, vi venne portato il simulacro che riproduceva la Santa. |
A Paulilatino, a fine aprile o a inizio maggio, si celebrano i festeggiamenti in suo onore, nella Festa della Madonna d’Itria, che si svolge con le cerimonie religiose nella omonima chiesa, alle quali fanno seguito anche manifestazioni civili. Il Cimitero di PaulilatinoIl Cimitero di Paulilatino si trova nella parte orientale dell’abitato, e lo possiamo raggiungere dalla piazza Indipendenza, ossia dalla piazza Su Pangulieri. In questa piazza, arrivando dal viale della Libertà, prendiamo, un poco più a sinistra della via Roma, la via Pietro Carboni, la seguiamo per duecento metri, poi svoltiamo a sinistra e prendiamo la via Goffredo Mameli, dopo una novantina di metri prendiamo a destra la via San Sebastiano che, in centocinquanta metri, ci porta di fronte all’ingresso del Cimitero Comunale di Paulilatino. La chiesa di San Sebastiano MartireAll’interno del Cimitero è ubicata la chiesa di San Sebastiano Martire che è stata costruita come atto di devozione in ricordo della grande pestilenza che aveva colpito l’isola dal 1652 al 1656, e che aveva decimato la popolazione del paese. A Paulilatino si erano registrati fino a 27 morti in un solo giorno. Nel periodo della peste era molto viva la devozione a San Sebastiano, per cui è probabile che la chiesa sia stata edificata in segno di ringraziamento al Santo dopo la fine della pestilenza. La chiesa, a pianta rettangolare, è costituita da una sola navata, in fondo alla quale è posto un altare dedicato a San Sebastiano. Nell’abside è presente un affresco le cui immagini sono poco riconoscibili, dato che si trova in uno stato di grave degrado, per cui non si può risalire all’epoca della sua realizzazione. Il pavimento della chiesa è in pietra basaltica. Sul lato destro della facciata si erge una piccola torre campanaria. A Paulilatino ogni anno, il 20 del mese di gennaio, si celebra la Festa di San Sebastiano, che prevede l’accensione di un grande falò nella piazza del Cimitero, all’interno del quale si trova la chiesa dedicata al Santo. Gli impianti sportiviDalla piazza Indipendenza, ossia dalla piazza Su Pangulieri, prendiamo verso sud est la via Roma, dopo circa centocinquanta metri arriviamo alla piazza San Teodoro, superiamo questa piazza e proseguiamo lungo la via Roma. Percorsa per ottocento metri, all’uscita dall’abitato in direzione sud est, si vede alla sinistra della strada l’ingresso degli impianti sportivi di Paulilatino. Questi impianti comprendono in Campo Sportivo Comunale, un Campo da Calcio dotato di tribune in grado di ospitare 500 spettatori, sul retro del quale si trova un Campo da Tennis con tribune per 200 spettatori, ed, alla sua sinistra, un Campo da basket. Visita dei dintorni di PaulilatinoPer quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Paulilatino, sono stati portati alla luce i resti dei pozzi sacri Carducca, Santa Cristina che è il più bello di tutta l’Isola, e Zendero; delle Tombe di giganti Atzara, Atzara II, Atzara III, Bartaramu, Battizzones, Bidil ’e Pira I, Bidil ’e Pira II, Carducca, Funtana Aurras, Goronna I, Goronna II, Goronna III, Goronna IV, Goronna V, Mura Cuada, Mura Filighes, Nussiu, Oschina, Pardulette, Perdosu, Perdu Pes, Sa Minda, Sas Losas, Trudumeddu, Tuppa ’e Porro; degli insediamenti di Bena Screfada, Berenale, Funtana Pudida, Paulilatino, riu Canale; dei Protonuraghi Fruscos, Goronna, Perdosu, Pitzu, Ponte Etzu, Pranu Iscrocca II, S’Ena e Santu Juanne, Ziringonis, Zroccu; dei Nuraghi complessi di tipo misto Abbaia, Galla, liori, Pranu Maiales; dei Nuraghi complessi Arbore Cuccuru, Atzara, Battizzones, Connighe, lugherras, Mura Cuada, Mura Passada, Nussiu, Onnella, S’Arrerosos, su Cuzzu, Trudumeddu; dei Nuraghi semplici ’e Sa Fraiga, Abbaullare, Arbiddera, Bauvenu, Bianco, Bidda Noe, Bruncu, Bubolica, Busauru, Buzzas, Campischeddu, Campu ’e Ponte, Carducca, Chighinzolas, Codas, Cogotti, Columbos, Coridrotta, Coronzu Fenugu, Crastu ’e Varru, Forreddos, Funtana Aurras, Medade, Meddaris, Melizzana, Mellaghe, Micchiri, Monte Urunnui, Monte Utturu, Montigu, Mulinu ’e Pera, Mura ’e lauros, Mura ’e Ramini, Mura Mandra, Mura Olia, Mura Urpia, Murajos, Muriscroa, Orchere, Orre, Ortei, Oschina, Pardulette, Petito, Pirinferta, Pranu de Cabras, Pranu Edere, Pranu Iscrocca, Putzu lardunis, Putzu Pili, Putzu Tornu, Quau, Ruju, Sa Menga, Sa Pruna, Santa Cristina, Sas Losas, Scovaera, Sonnu, Sos Baos, Sos Olieddos, su Idighinzu, Surzagas, Toroleo, Trinchi, Trontile, Zendero; ed anche dei Nuraghi Criccos Cannarzos, Perdu Oe, Pranu ’e Pera, Putzu Mannu, Sa Minda, Trinzas II, tutti di tipologia indefinita. Vediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. La località Santa Cristina con il suo SantuarioDal centro di Paulilatino, prendiamo verso nord ovest il viale della Libertà, che, in poco più di un chilometro di riporta sulla SS131 di Carlo Felice. La prendiamo in direzione di Oristano e la seguiamo per quattro chilometri e duecento metri, fino al chilometro 114.3, dove usciamo seguendo i cartelli che indicano l’area archeologica. In circa quattrocento metri, raggiungiamo la località Santa Cristina (altezza metri 213, distanza in linea d’aria circa 3.73 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti). Qui si trova l’antico Santuario preistorico, luogo di culto degli antichi sardi fino dall’undicesimo secolo avanti Cristo, al quale si affianca il villaggio cristiano sviluppatosi intorno al Santuario di Santa Cristina, edificato intorno al 1200 dai monaci Camaldolesi. L’impianto architettonico della chiesa è modesto, con navata singola a pianta rettangolare. La facciata si presenta molto lineare senza decorazioni o lesene. La porta di ingresso è sormontata da un rosone, il campanile a vela si affaccia sul lato sinistro della struttura. All’interno del Santuario si venera la statua di Santa Cristina posta di fianco all’altare della chiesa, opera di recente fattura anche se un tempo era qui presente un’altra statua probabilmente riottenuta da privati che l’avevano donata. Sempre nella chiesa si conserva un’altra statua lignea della Madonna del Rimedio, risalente all’ottocento. In una nicchia sulla destra dell’altare si trova la statua di San Raffaele. Attorno al Santuario si trovano più di una trentina di Muristenes, i vani chiusi ossia le piccole casette dalla costruzione semplicissima costruite in pietra basaltica, utilizzate come abitazioni dei monaci e per ospitare i pellegrini durante le feste che si celebrano in essa. La loro copertura originaria era realizzata con Sa Cannizzada, ossia con fasci di canne accostati e uniti insieme, che sono appoggiati su travi di legno sormontate da tegole in laterizi. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla statua di Santa Cristina posta di fianco all’altare al suo interno. Presso questo Santuario, la seconda domenica di maggio si svolge la Festa in onore di Santa Cristina, che è preceduta dalle novene, ed il novenario situato nella zona archeologica di Santa Cristina si anima di novenanti, in occasione dei suoi festeggiamenti. E la quarta domenica di ottobre, nel novenario di Santa Cristina, si svolge anche la Festa in onore di San Raffaele Arcangelo, anch’essa preceduta dalle novene. Il Santuario preistorico di Santa Cristina con il suo Nuraghe sempliceIn un’area di un ettaro attorno alla chiesa si collocano numerosi affioramenti che testimoniano la continuità dell’insediamento legato al culto delle acque. Eccezionale è l’area archeologica di Santa Cristina, costituita da un Santuario di età preistorica, formato da un tempio a pozzo, dai resti di una torre nuragica e da un villaggio di capanne. L’area archeologica si estende per circa un ettaro. Poco distante dall’area archeologiva si trova il villaggio cristiano con la Santuario di Santa Cristina, con le Cumbessias che ospitano i pellegrini in occasione di feste. Entrati tra i resti dell’antico villaggio nuragico che si intravedono sotto olivastri pluricentenari, raggiungiamo il bel Nuraghe di Santa Cristina che conserva la tholos integra. Il Nuraghe è un monotorre, edificato a 197 metri di altezza, circondato da un villaggio di capanne circolari e allungate, delle quali se ne conserva una in ottime condizioni. Accanto al Nuraghe si tovano due Grandi capanne a pianta rettangolare, di incerta datazione, forse del medioevo, delle quali si ignora la funzione, ma che si presume potessero essere usate come ricoveri notturni per il bestiame. La prima non è ben conservata, mentre la seconda è rimasta, invece, intatta fino ai nostri giorni. Il famoso e bellissimo pozzo sacro di Santa Cristina nel quale si verifica il fenomeno della luce dal foro apicaleIl monumento principale presente in questo Santuario preisotirico è lo Splendido pozzo sacro di Santa Cristina dedicato al culto delle acque, che è l’esempio più mirabile di architettura religiosa preistorica nell’isola. Si tratta di un pozzo sacro in basalto datato 1300 avanti Cristo circa. All’esterno ha un recinto a forma di toppa di chiave, un’ellisse di pietra di be ventisei metri per venti. Come altri pozzi sacri, dal centro del recinto una scalinata molto ben conservata porta al pozzo sacro coperto da una volta a tholos, con un foro centrale dal quale la luce entra direttamente sulle acque del pozzo. La scala, forse la più grande fra quelle conosciute, è composta di 25 gradini ed è a sezione trapezoidale. La cella ha una pianta circolare del diametro di due metri e mezzo, ed ha un’altezza di sette metri. Il pavimento è stato ottenuto spianando la roccia viva e al centro si trova la vasca circolare. L’acqua che filtra dalle pareti raggiunge ancora oggi il primo gradino della scala. Scoperto nel diciannovesimo secolo, è stato descritto da Alberto Ferrero della Marmora come «Una specie di sotterraneo conico, largo in fondo e stretto in cima, formato di grosse pietre basaltiche ben tagliate. Vi si entra da un passaggio composto di pietre accuratamente lavorate e disposte l’una sull’altra in forma di gradini; l’interno del cono è costruito nello stesso modo: è un sistema che ricorda i primi tentativi delle volte. Esso si solleva per quattro metri dal fondo attuale (colmo di terra) all’apertura superiore che somiglia a quella di un pozzo». In alcuni pozzi sacri, nei solstizi o negli equinozi si verifica il fenomeno della Luce dal foro apicale, per il quale il sole penetra nel pozzo dal foro presente alla sommità della tholos, e va a riflettersi in questo specialissimo specchio sacro. La teoria, inoltre, afferma che ogni diciotto anni e mezzo, nel momento della sua massima declinazione, sarebbe la luna a specchiarsi nell’acqua del pozzo, facendo filtrare la sua luce. |
Alcuni studiosi ritengono che i pozzi sacri siano, in generale, frutto di un raffinato calcolo teso a determinare l’orientamento astronomico. Uno spettacolo luminoso di grande efficacia si verifica presso questo pozzo sacro durante l’Equinozio di primavera alle ore undici, e durante quello d’autunno alle dodici per effetto dell’ora legale. Il sole penetra nel pozzo dal foro presente alla sommità della tholos e lo illumina facendo passare i suoi raggi attraverso la gradinata. La scala del tempio viene illuminata fino al fondo, dove si vede l’acqua brillare. Durante questo evento, è possibile ammirare il fenomeno dell’ombra capovolta, data dal fatto che la persona che scende la scala vede comparire davanti a sè la propria ombra, che risulta capovolta per effetto della riflessione. Un altro spettacolo luminoso di grande efficacia, inoltre, si verifica il giorno del solstizio d’estate. In questo giorno la luce del sole entra dal foro presente alla sommità della tholos e progressivamente scende fino a raggiunge, al mezzogiorno esatto, il livello della parte superiore del nono cerchio, computato a partire dal livello dell’acqua. contemporaneamente, nella scalinata, la parte illuminata sale, lasciando in ombra, progressivamente, i gradini che, partendo dal livello dell’acqua, arrivano fino al nono gradino, il quale, al mezzogiorno esatto, viene illuminato per la metà della sua larghezza. Si consideri, comunque, che all’epoca nuragica, la luce del sole al momento del solstizio oltrepassava ampiamente il filare nel quale si trova questo gradino, per cui si ritiene che fossero lasciati in ombra tutti i gradini. Nel pozzo sacro di Santa Cristina, inoltre, si potrebbe verificare un altro spettacolare fenomeno luminoso. Infatti, secondo la teoria dell’archeoastronomo francese Arnold lebeuf, docente di storia delle religioni presso l’università di Cracovia, ogni diciotto anni e sei mesi, in occasione del lunistizio maggiore settentrionale, quando la luna raggiunge la sua maggiore altezza, dal foro della tholos interrata penetrerebbe il suo raggio che, passando dal meridiano, si rifletterebbe sulla superficie del pozzo. Si tratta di un altro fenomeno che aggiunge mistero ai tanti misteri di questa terra e che ha appassionato numerosi studiosi. L’ultima volta questo evento si sarebbe verificato nel 2006. Proseguiamo la visita del Santuario prestorico di Santa CristinaIntorno al pozzo sacro si sviluppa un villaggio di capanne molto compromesso nelle strutture. Accanto al pozzo sacro troviamo la cosiddetta Capanna delle riunioni molto ampia, utilizzata per riunioni fra capi tribù. Lungo tutto il recinto delle riunioni è presente una panca, la capanna è dotata, quindi, di sedili in pietra per accogliere i partecipanti alle riunioni. Accanto alla capanna, è presente un grande recinto a forma ellittica, con basamento in pietra, che forse nell’epoca era affiancato da paletti verticali in legno, con gli estremi impiantati a terra, intrecciati con ramaglie e frasche. Probabilmente il suo uso era di accogliere il bestiame da sacrificare, donato dai fedeli in onore delle divinità delle acque. Dopo aver passato la capanna, si incontrano i resti delle altre abitazioni della parte nord del villaggio, e delle botteghe nella quali, durante le feste che si svolgevano nel villaggio, gli abitanti commerciavano ogni genere di merce approfittando del notevole afflusso di persone. La maggior parte delle capanne fino ad oggi visibili è il risultato di diverse campagne di scavo, che hanno messo in luce le fondazioni e numerosi materiali ceramici, i quali permettono di considerare che il villaggio ed il pozzo sacro siano stati abitati fino all’Età del Ferro. Tra i ritrovamenti effettuati all’interno del villaggio, sono estremamente significative quattro statuine in bronzo figurato fenicio, che sono state rinvenute sui gradini del pozzo sacro, e la figura in bronzo di una divinità in trono. Significativa anche una navicella a scafo fusiforme, con fondo piatto e fiancate caratterizzate da coppie di volatili rivolte verso prua e poppa, sul bordo si imposta un ponte a listello arcuato sormontato da anello di sospensione, una piastra unisce lo scafo alla protome bovina dal muso allungato e squadrato rivolto all’insù, le orecchie ellittiche e le corna ampie e ricurve all’indietro. I resti del Nuraghe semplice Toroleo con il fenomeno della luce del ToroDopo la visita all’area archeologica di Santa Cristina, torniamo sulla SS131 di Carlo Felice che riprendiamo in direzione sud ovest, la seguiamo per quasi due chilometri, e vediamo, alla sinistra della strada statale, dietro un rinforzo in cemento a sostegno della collina che si trova subito dopo il cartello indicatore del chilometro 113, il Nuraghe Toroleo. Per recarci a visitarlo, si deve proseguire fino a Bauladu, dove è possibile effettuare l’inversione di marcia, e tornare verso Paulilatino lungo l’altra corsia della SS131, dove si può parcheggiare poco più avanti del cartello indicatore del chilometro 113, e quindi arrampicarsi sulla collina. Il Nuraghe è di tipologia semplice, ossia un monotorre. È stato edificato in materiale indeterminato a 157 metri di altezza, ed è stato documentato per la prima volta da Torquato Taramelli nel 1929. Il fenomeno della Luce del Toro, così definito dal Gruppo Ricerche Sardegna, si presenta sopratturro nelle torri più arcaiche dei Nuraghi semplici provvisti di un finestrino di scarico al di sopra della porta di ingresso, ed è prodotto dall’allineamento del sole che genera, al’interno del Nuraghe, un fascio luminoso che percorre la sala, ed arriva al massimo quando si realizza l’impatto della luce sulla parete, o dentro una nicchia posizionata di fronte, dove viene realizzata visivamente una forma di testa taurina nitida ed inconfutabile, oppure, in altri casi, una fisionomia soltanto stilizzata. Riportiamo qui accento il testo di un articolo del Gruppo Ricerche Sardegna sul fenomeno della Luce del Toro. |
Nel corso delle sue ricerche sulla Luce del Toro, il Gruppo Ricerche Sardegna ha scoperto che, nel Nuraghe Toroleo di Paulilatino, il fenomeno luminoso si verifica il 21 giugno, alla data del solstizio d’estate, anziche il 21 di dicembre, data del solstizio d’inverno come negli altri casi documentati, essendo la finestrella orientata proprio nel punto astronomico dove il sole comincia il suo declino ciclico verso l’Equinozio d’autunno e quindi verso il solstizio invernale. Quando il raggio del sole entra all’interno della cella del Nuraghe, la forma di testa taurina molto più grande risulta rovesciata, in antitesi rispetto alla forma dei tori tradizionali che si vericano al solstizio d’inverno, in un perfetto parallelismo tra il moto del sole e la forma prodotta dal suo passaggio sopra il Nuraghe. Lo studioso Gigi Sanna, che si è occupato della storia della scrittura in Sardegna e della sua evoluzione, ha fatto notare come nel Nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu si verifichi la proiezione del Torello luminoso che nasce, mentre nel Nuraghe Toroleo quella del Toro, non più del torello, viene proiettato capovolto, che muore, ossia che inizia la sua corsa verso la morte. Nel primo, e in numerosi altri Nuraghi, evidentemente si festeggiava il natale dell’astro taurino, mentre nel secondo, e forse in altri, si celebrava in qualche modo il suo declino, la vecchiaia e infine la morte apparente. I resti della Tomba di giganti di Perdu Pes con i suoi tre betiliDal centro di Paulilatino usciamo verso nord ovest percorrendo il viale della Libertà, che, esce dall’abitato con il nome di SP11. Passato il viadotto sopra la SS131 di Carlo Felice, arriviamo a un bivio dove la SP11 prosegue verso sinistra per Bonarcado, mentre dritti diventa la SP65 in direzione di Santu Lussurgiu. La seguiamo per esattamente tre chilometri e quattrocento metri, prima di una curva a destra, svoltiamo a sinistra in una strada bianca, proseguiamo lungo questa sterrata per circa duecento metri, sino a trovare sulla sinistra un sentiero lungo il quale troviamo, indicata da un cartello, la Tomba di giganti di Perdu Pes, edificata in materiale indeterminato a 317 metri di altezza. Non è in buono stato di conservazione, nella posizione originaria possiamo vedere solo i filari di base della camera funeraria e dell’esedra, mentre un gran numero di pietre lavorate sono state riutilizzate per i vicini muretti a secco. Tra esse, si trova anche un grosso blocco di forma semicircolare presumibilmente appartenente all’abside. Molto interessanti sono, sul fianco destro della tomba, i tre Betili di Perdu Pes, di forma tronco conica alti circa un metro e mezzo, con un diametro tra i sessanta e gli ottanta centimetri. Il gruppo dei tre betili è conosciuto dal secolo scorso per le indicazioni di Alberto della Marmora di Giovanni Spano, e in questo secolo per le indicazioni di Antonio Taramelli e per lo studio di essi effettuato da Giovanni Lilliu. I tre betili integri, in basalto, situati a sud della tomba giganti, vicino all’esedra, ravvicinati in fila, erano infissi sul terreno, i laterali inclinati ma eretti. Il betilo a sinistra è di forma tronco conica, rigonfio nella parte inferiore, la sommità è incompleta con scheggiature. A circa quindici centimetri dalla rottura del coronamento, e intervallati tra di loro, sono stati praticati cinque incavi, tondeggianti e oblunghi. Il betilo centrale, che era il meglio conservato, attualmente si trova abbattuto al suolo e scavato lateralmente per tutta la lunghezza per farne una vasca per contenere liquidi. Il betilo a destra, di forma conica con sommità arrotondata, si conserva per intero per tutta la sua altezza, ma sfaccettato da un lato, e presenta quattro incavi di forma quasi rotonda. Vicino al Nuraghe semplice Surzagas si trovano i resti delle due Tombe di giganti di Bidil ’e PiraPassati i resti della Tomba di giganti e dei betili di Perdu Pes, proseguiamo lungo la SP65 verso Santu Lussurgiu per altri ottocento metri, troviamo una stradina sulla sinistra che seguiamo per circa un chilometro e mezzo, fino ad arrivare di fronte a un cancello. Giriamo a sinistra e continuiamo per cento metri, poi parcheggiamo l’auto e proseguiamo a piedi. Percorsa una cinquantina di metri raggiungiamo i resti delle due Tombe di giganti di Bidil ’e Pira, che vanno considerata all’interno di un’unità archeologica della quale fa parte il Nuraghe Surzagas, un Nuraghe monotorre edificato in materiale indeterminato a 332 metri di altezza, il quale si trova a crca duecentocinquanta metri di distanza a nord ovest. Nei dintorni del Nuraghe si trovano i resti di un insediamento abitativo e delle due Tombe di giganti, le quali si trovano purtroppo in un pessimo stato di conservazione. A giudicare dai resti della stele e della camera, le due Tombe di giganti di Bidil ’e Pira dovevano essere di notevoli dimensioni. della prima Tomba di giganti, edificata in materiale indeterminato a 330 metri di altezza, non resta quasi nulla. Di essa affiorano solo alcune lastre della camera funeraria e, non vi è più alcuna traccia della stele. La seconda Tomba di giganti è stata edificata anch’essa in materiale indeterminato a 331 metri di altezza, ad una distanza di una cinquantina di metri a sud ovest rispetto alla prima, ed è una tomba con struttura ad ortostati e con la stele trapezoidale, che si sviluppa con una lunghezza totale di circa diciotto metri, e termina con un contorno semicircolare. Il vano funerario, che chiude con un lastrone ortostatico, è di pianta rettangolare e di sezione trapezoidale, costituito da filari di lastre ben lavorate nella parte interna, in posizione verticale su cui poggiano blocchi, di varie dimensioni, aggettanti a sostegno della copertura a piattabanda di cui si conserva solo il lastrone della parte terminale della camera. Al centro dell’esedra si conserva perfettamente intatta la stele, che è monolitica, ben lavorata, di forma trapezoidale, marginata dalla cornice in rilievo. Nel sito archeologico di Goronna si trova il Protonuraghe GoronnaDal centro di Paulilatino usciamo verso nord ovest percorrendo il viale della Libertà, che, esce dall’abitato con il nome di SP11. Passato il viadotto sopra la SS131 di Carlo Felice, arriviamo a un bivio dove dritti diventa la SP65 in direzione di Santu Lussurgiu, mentre la SP11 prosegue verso sinistra per Bonarcado. Proseguiamo sulla SP11 per un chilometro e mezzo, poco prima del cartello segnaletico del chilometro 26, e vediamo alla sinistra della strada un cartello che indica il Sito archeologico di Goronna. L’area archeologica di Goronna comprende il Protonuraghe Goronna, un Nuraghe a corrodoio edificato in materiale indeterminato a 311 metri di altezza, con il villaggio nuragico annesso. L’archeologo scozzese Duncan Mackenzie che ha condotto quattro campagne di scavo in Sardegna, tra il 1906 e il 1909, interessandosi ai suoi aspetti preistorici, descrive questo Nuraghe come facente parte di un muro, con un’altra torre a poca distanza. Le cinque Tombe di giganti di GoronnaVicino al Nuraghe si trovano le Tombe di giganti di Goronna, delle quali le prime due sono attualmente visibili, ma che in origine probabilmente erano cinque. Nelle due sepolture attualmente visibili sono stati ritrovati numerosi resti di scheletri. La prima Tomba di giganti, che è la più importante ed è stata scavata da Ferruccio Quintavalle nel 1892, è situata ad una quarantina di metri a sud ovest dall’omonimo Nuraghe, ed è, per le sue dimensioni, probabilmente il monumento del genere più grande di tutta l’Isola, misura quasi venticinque metri di lunghezza, e poteva contenere fino a duecento inumazioni. La facciata si presenta ben conservata, con la grande esedra, formata da lastre infisse nel terreno, che aveva un’ampiezza di dieci metri e nella quale dovevano probabilmente svolgersi i riti funebri in onore dei defunti. La stele monolitica centinata in origine raggiungeva un’altezza di circa tre metri e mezzo, è spezzata tanto che di essa manca la parte superiore, ed alla sua base è presente l’apertura che porta al vano sepolcrale. La camera funeraria misura ben diciotto metri di lunghezza, con copertura a piattabanda, anche se si conservano solo due delle lastre di copertura originarie, e termina posteriormente con un’abside. Davanti al monumento si trovano alcuni betili. Alcuni studiosi ritengono che, oltre ai Nuraghi ed ai pozzi sacri, anche le Tombe di giganti siano frutto di un raffinato calcolo teso a determinare l’orientamento astronomico. La maggior parte delle Tombe di giganti hanno l’esedra orientata a sud est, cioè la direzione del sorgere del sole all’alba del solstizio d’inverno. Ci sono, poi, tombe che guardano verso est, in relazione al sorgere del sole nel periodo degli equinozi, e tre tombe sono orientate a sud verso la stella Aldebaran, della costellazione dei Toro. La prima Tomba di giganti di Goronna è orientata verso est, con un azimut di 87°. Gli studiosi l. Marchisio, Alessandro Manara e Adriano Gaspani, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica dell’Osservatorio Astronomico di Brera, hanno ipotizzato un allineamento verso Aldebaran, la stella più luminosa della costellazione del Toro, e questo potrebbe essere una conferma per chi sostiene che l’arco dell’esedra delle tombe rappresentasse le corna taurine. |
La seconda tomba di giganti è situata anch’essa a una trentina di metri a sud ovest dei ruderi del Nuraghe, un poco più a nord rispetto alla prima tomba, è più piccola e più arcaica della precedente, presenta il corpo tombale con la camera funeraria e l’esedra ben distinti. Di essa sono chiaramente distinguibili i resti della camera funeraria, di tipo Dolmenico, che conserva al loro posto anche alcune lastre della copertura. Più a sud si trovano quelli che forse sono i resti della terza Tomba di giganti. I resti di altre due tombe si trovano sul pendio settentrionale del tavolato, più a nord rispetto ai ruderi del Nuraghe, ma sono molto difficili da raggiungere a causa dell’alta vegetazione e delle recinzioni da superare. Le due tombe sono in pessimo stato di conservazione, quasi sommerse dalla vegetazione. Più a nord ovest rispetto al Nuraghe si trovano pochi resti di quella che forse era la quarta Tomba di giganti, più piccola, che presenta in parte un vano funerario di tipo Dolmenico, coperto da lastre a piattabanda. Più lontana, ad ovest rispetto a questa, si trovano i resti della quinta Tomba di giganti, che è praticamente distrutta e sul terreno si legge ben poco del suo schema planimetrico, a rafforzare comunque l’esistenza di questa tomba sono presenti, nel muretto a secco adiacente, alcuni frammenti della parte superiore della stele centinata. I resti del Nuraghe complesso BattizzonesProseguendo lungo la SP11 per Bonarcado, dopo novecento metri, passato un cancello, vediamo sulla destra una deviazione in una strada bianca che collega la SP11 con la SP65 per Santu Lussurgiu, con le indicazioni per raggiungere la Tomba di giganti di Perdu Pes, che abbiamo già visitata arrivandoci con la SP65. Percorsi altri trecento metri, troviamo un’altra deviazione sulla destra, con un cartello che indica il Nuraghe Battizzones ed il Nuraghe lugherras. Parcheggiamo l’auto nella piazzola prima della deviazione e proseguiamo a piedi lungo il viottolo indicato dal cartello. Continuiamo fino alla seconda deviazione a destra e dopo qualche centinaio di metri arriviamo ad un cancello da cui si accede all’area dove sorge il Nuraghe Battizzones. Si tratta di un Nuraghe complesso edificato in basalto a 303 metri di altezza, trilobato, con un mastio e con tre torri esterne unite fra loro da un antemurale che forma un cortile interno nella parte anteriore. Il cortile e le torri laterali sono completamente invase dai crolli, che rendono impossibile l’accesso alla torre principale. I resti del Nuraghe complesso lugherrasAl cartello, continuiamo sulla strada bianca per circa un chilometro e mezzo fino a trovare, alla fine del sentiero, alla sinistra della strada il Nuraghe lugherras. Si tratta anche in questo caso di un Nuraghe complesso edificato in basalto a 329 metri di altezza, quadrilobato, formato da un mastio più antico centrale, con quattro torri esterne in parte interrate e sommerse dalla vegetazione, collegate da un bastione che racchiude un cortile. L’antemurale è difficile da individuare in quanto ridotto al solo filare di base. Il Nuraghe è in discrete condizioni. A sinistra dell’ingresso si trova una delle torri esterne, di pianta ellittica di grandi dimensioni, con una camera che in origine era coperta a tholos, ed all’interno la scala quasi del tutto crollata che portava al terrazzo. Questa torre è collegata tramite due porte al cortile interno, semicircolare. Dal cortile si può entrare nel mastio, ben conservato, e, nel breve corridoio d’ingresso, si trova sulla sinistra la scala che portava al piano superiore, oggi crollato. La camera del mastio ha volta a tholos, ancora ben conservata, e due profonde nicchie, una delle quali forma quasi una piccola camera. Nel cortile dal quale siamo entrati nel mastio, a sinistra dell’ingresso, c’è un pozzo con un diametro di circa mezzo metro, profondo più di dieci metri, e da questo cortile si accedeva, tramite due corridoio coperti, alle torri laterali. La torre a sinistra del mastio è crollata, mentre l’altra torre è parzialmente crollata e interrata sul lato esterno. Una nicchia, nella parte opposta all’ingresso della torre, poteva essere in realtà l’inizio di un corridoio che portava alla torre più lontana, attualmente non praticabile. Infine, intorno a tutta la costruzione, si trovavano altre quattro torri con muraglie. Tutto intorno al Nuraghe complesso si trovano i resti del villaggio nuragico, formato da capanne circolari. Questo Nuraghe è stato abitato sino al periodo punico, quando è caduto in mano ai Cartaginesi, che prima hanno cercato di distruggerlo, ed in seguito lo hanno trasformato in un Santuario dedicato a Kore nel periodo punico. Durante la dominazione romana, sulla cima della torre centrale è stato realizzato un piccolo tempio dedicato a Demetra, la dea della rinascita, di cui ora non si trova quasi più traccia. Nel luogo ed all’interno del Nuraghe sono state trovate tante lucerne votive di epoca romana, e da questi ritrovamenti il Nuraghe ha preso il nome di lugherras. Scavi per poratre alla luce questo Nuraghe sono stati effettuati nel 1906 sotto la guida di Torquato Taramelli, ed in seguito, nel 2006 e 2007, sotto la guida di Anna Depalmas e Carla Del Vais. I resti del Nuraghe complesso Atzara con le sue tre Tombe di gigantiTorniamo sulla SP11, proseguiamo per un chilometro ed ottocento metri, e, subito prima del cartello indicatore del chilometro 23, svoltiamo a sinistra nel viottolo che porta in direzione della località Pran ’e Crabas. Dopo cinquecento metri arriviamo al Nuraghe Atzara un Nuraghe edificato in materiale indeterminato a 292 metri di altezza. Si trattava di un Nuraghe complesso trilobato, con una torre principale slanciata caratterizzata da un’ampia base e con la tholos integra, e tre torri esterne, antemurale e tracce di un insediamento abitativo. La camera centrale è marginata da due nicchie e ha la volta a tholos ancora intatto, alta sette metri. Le mura che le collegavano sono ancora in buono stato. recentemente è stato ripulito ma si attende un’opera di scavo per comprenderne in modo più approfondito la struttura. Vicino al Nuraghe, circa trecento metri di distanza, si trovano pochi resti di tre Tombe di giganti delle quali, attualmente distrutte, sono visibili solo alcuni conci lavorati. Questi pochi conci portano a ritenere che le tombe fossero costruite in materiale indeterminato, e come la tipologia di queste Tombe di giganti fosse a filari in opera isodoma. La prima tomba si trova a sud est rispetto al Nuraghe, ed è edificata a 284 metri di altezza. La seconda si trova ad est, ed è edificata a 296 metri di altezza. La terza si trova a nord est, ed è edificata a 302 metri di altezza. I resti del Nuraghe semplice OrteiDalla piazza Indipendenza prendiamo verso sud ovest la via Nazionale, la seguiamo per circa duecento metri, poi prendiamo a destra la via Carlo Alberto, che, dopo trecentocinquanta metri, passato l’incrocio con la via San lucifero, diventa la SP17 ed esce dall’abitato in direzione di Milis. Percorsa per tre chilometri e quattrocento metri, vediamo sulla destra della strada il Nuraghe Ortei un Nuraghe di tipo semplice monotorre, edificato in materiale indeterminato a 263 metri di altezza. Si trattava, probabilmente, di un Nuraghe complesso, formato da un mastio centrale e da due torri laterali, i cui resti sono quasi completamente interrati e invasi dalla vegetazione. Il mastio è abbastanza ben conservato. Dall’ingresso principale si entra nella camera, a pianta circolare con tre profonde nicchie alle pareti. Il soffitto a tholos è perfettamente conservato. La scala ricavata nella muratura porta alla terrazza ora impraticabile perché invasa dalla vegetazione. I resti della Tomba di giganti di Mura CuadaDalla piazza Indipendenza prendiamo verso sud ovest la via Nazionale, la seguiamo per settecento metri ed arriviamo all’indicazione verso destra della strada Comunale per Santa Cristina, che noi non abbiamo seguita, dato che ci siamo arrivati con la strada statale. Proseguiamo lungo la via Nazionale che, uscendo dall’abitato, diventa la vecchia SS131 di Carlo Felice che porta verso Bauladu, percorsi circa cinque chilometri troviamo sulla sinistra il cartello indicatore di una stradina in salita che porta alla Tomba di giganti. Prendiamo la stradina in salita e dopo poco più di un chilometro passiamo la linea ferroviaria. Proseguendo, si trovano sulla sinistra della linea ferroviaria a una cinquantina di metri di distanza i pochi resti del Nuraghe Mura Cuada, che era un Nuraghe complesso edificato in materiale indeterminato a 151 metri di altezza, descritto dall’archeologo scozzese Duncan Mackenzie nel 1910. Passati, alla sinistra della linea ferroviaria, i resti dell’insediamento abitativo di riferimento della vicina Tomba di giganti, arriviamo ai resti della Tomba di giganti di Mura Cuada, costruita a 171 metri di altezza con grossi blocchi in basalto con struttura a filari di grosse pietre sovrapposti, ed appartiene quindi ad una tipologia tipica del sud e del centro dell’Isola, non testimoniata nella Sardegna settentrionale. La tomba, con il prospetto frontale orientato a sud est, si trova in ottimo stato di conservazione, sia internamente che esternamente. La facciata è costruita con blocchi di medie dimensioni ben squadrati e disposti in modo accurato, e presenta al centro il basso portello d’accesso. La camera funeraria, che raggiunge nel punto più alto circa un metro e ottanta di altezza, ha le pareti a filari di blocchi aggettanti uno sull’altro ed è coperta con lastre di pietra disposte a piattabanda. Le pareti esterne sono costruite con pietre di varie dimensioni e non sempre ben squadrate, più grosse quelle dei filari inferiori, più piccole quelle che stanno più in alto. Molto ben conservato anche l’abside che chiude posteriormente la camera. Questa tomba si caratterizza inoltre per le dimensioni, decisamente inferiori alla media. La tomba è stata oggetto di studio da parte dell’archeologo scozzese Duncan Mackenzie nel 1910, ed in seguito intorno agli anni settanta Enrico Atzeni ne ha documentato le caratteristiche ed effettuato uno scavo e un restauro conservativo nella parte absidale. A una cinquantina di metri di distanza a sud ovest, sempre lungo la linea ferroviaria, si trovano anche i pochi resti della Fonte Sacra di Mura Cuada. La casa cantoniera di PaulilatinoProseguendo lungo la vecchia SS131 di Carlo Felice ancora per un chilometro e mezzo, arriviamo in località Cantoniera di Paulilatino (altezza metri 99, distanza in linea d’aria circa 7.8 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti), dove, alla sinistra della strada, si può vedere la Casa cantoniera di Paulilatino. La Stazione ferroviaria di PaulilatinoDal centro di Paulilatino usciamo verso sud est con la via Roma, che, uscendo dall’abitato, prende il nome di SP11 in direzione di Ula Tirso. La seguiamo per poco più di un chilometro, e, passato il cartello segnaletico che indica l’uscita dall’abitato di Paulilatino, prendiamo verso sinistra la stretta via della Stazione. Seguita la via della Stazione, in duecento metri arriviamo di fronte alla Stazione ferroviaria di Paulilatino una stazione di categoria Bronze posta sulla linea ferroviaria a scartamento ordinario denominata Dorsale Sarda, dopo la stazione di Solarussa e prima di quella di Abbasanta. Inaugurata nel 1880 dalla Compagnia reale delle Ferrovie Sarde, in coincidenza con quella del tronco ferroviario tra Oristano e Giave della Dorsale Sarda, passa alla gestione delle Ferrovie dello Stato nel 1920, le quali dal 2001 passano le competenze alla controllata RFI. Dal punto di vista degli edifici, il maggiore è il fabbricato viaggiatori, chiuso al pubblico, realizzato su due piani con tetto a falde, avente pianta rettangolare e sei luci di apertura sui lati maggiori al piano terra. Lo scalo si compone di due binari, tuttavia, sino agli anni 2010, era presente un terzo binario tronco che serviva lo scalo merci. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, proseguiremo la visita del Guilcer sull’altopiano di Abbasanta, dove visiteremo il paese di Abbasanta nei cui dintorni andremo a vedere il grande Nuraghe Losa, uno dei quattro siti nuragici più importanti di tutta la Sardegna. |