Sardara con il tempio a pozzo di Santa Anastasia e nei dintorni le terme ed il Castello giudicale di Monreale
In questa tappa del nostro viaggio, proseguiremo la visita della Marmilla. Da Collinas ci recheremo a Sardara una delle cittadine in Sardegna a cui il Touring Club Italiano ha assegnato la Bandiera Arancione ossia il marchio di qualità turistico ambientale, dove vedremo il tempio a pozzo di Santa Anastasia ed il Castello di Monreale. La regione storica della MarmillaNella Sardegna centro meridionale, a cavallo del confine che separa la Provincia di Oristano da quella del Sud Sardegna, c’è una zona chiamata Marmilla della quale qui visiteremo la parte settentrionale. I comuni che fanno parte della Marmilla Settentrionale, in Provincia di Oristano, sono: Albagiara, Ales, Assolo, Asuni, Baradili, Baressa, Curcuris, Gonnoscodina, Gonnosnò, Gonnostramatza, Masullas, Mogorella, Mogoro, Morgongiori, Nureci, Pau, Pompu, Ruinas, Senis, Simala, Sini, Siris, Usellus, Villa Sant’Antonio, Villa Verde. I comuni della Marmilla Meridionale, in Provincia del Sud Sardegna, sono: Barumini, Collinas, Furtei, Genuri, Gesturi, las Plassas, lunamatrona, Pauli Arbarei, Sardara, Segariu, Setzu, Siddi, Tuili, Turri, Ussaramanna, Villamar, Villanovaforru, Villanovafranca. Nella Marmilla meridionale spicca incontrastato il colle di las Plassas, famoso per la sua forma mammellare, che a quanto pare avrebbe dato il nome al territorio circostante. Questo colle aveva in antichità al suo apice un capezzolo gigante attraverso il quale Madre Natura dava nutrimento a tutti i Sardi. Il paesaggio è prevalentemente collinare e comprende la Giara di Gesturi, la Giara di Siddi, la Giara di Serri, l’altopiano di Genoni ed il bacino del rio Mannu d’Isili. Le attività principali della zona sono l’agricoltura ed il turismo. In viaggio verso SardaraDa centro di Collinas prendiamo verso sud ovest la via De Castro, che sbocca sulla via Vittorio Emanuele III ed esce dall’abitato con il nome di SP69. La percorriamo tra molte curve per circa tre chilometri e mezzo, e raggiungiamo l’abitato del paese di Sardara. Dal Municipio di Collinas a quello di Sardara si percorrono 4.7 chilometri. A Sardara saremmo potuti arrivare anche da Oristano, percorrendo la SS131 di Carlo Felice verso sud, dopo 41 chilometri. Oppure Sanluri, percorrendo la SS131 di Carlo Felice verso nord, dopo aver percorso 11 chilometri. Il comune chiamato SardaraIl comune chiamato Sardara (pronuncia Sàrdara, nome in lingua sarda Sàrdara, altezza metri 155 sul livello del mare, abitanti 3.824 al 31 dicembre 2021) è un centro agricolo che si estende nella parte nord occidentale della Provincia del Sud Sardegna, a confine con quella di Oristano, all’estremità meridionale della Marmilla al centro della piana del Campidano. È un centro famoso per le acque termali di Santa Maria Acquas, apprezzate sin dal tempo dei romani, ed interessante per i suoi monumenti. L’abitato è facilmente raggiungibile tramite la SS131 di Carlo Felice che ne attraversa il territorio. Il territorio Comunale presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche accentuate, dato che si raggiungono i 372 metri di quota. Il comune ha ottenuto il riconoscimento della Bandiera Arancione ...Il 22 luglio 2005 questo è uno dei paesi che vengono insigniti del riconoscimento della Bandiera Arancione, ossia il marchio di qualità turistico ambientale, da parte del Touring Club Italiano. Si tratta di un riconoscimento che viene attribuito ai paesi che si sono distinti per un’offerta di eccellenza e un’accoglienza di qualità. Sono cinque le località eccellenti della Sardegna coinvolte, ossia Aggius, Galtellì, Gavoi, Laconi e Sardara. Si tratta di località che si trovano nella parte settentrionale e centrale della Sardegna, dal Sassarese e dall’Oristanese al Nuorese. Inoltre Sardara nel 2009 ha ricevuto la Certificazione Herity per la qualità della gestione del suo patrimonio culturale. ... E fa parte dell’Associazione nazionale delle città della Terra CrudaQuesto paese, inoltre, fa parte dell’Associazione nazionale delle città della Terra Cruda, nata per promuovere il recupero delle tradizioni e del patrimonio edilizio, naturalistico, artistico e storico delle comunità. Questa associazione comprende, in Sardegna, i comuni di Decimoputzu, donori, Fluminimaggiore, Furtei, Gonnosfanadiga, Guspini, Musei, Nuraminis, Pabillonis, Samassi, Samatzai, San Gavino Monreale, San Sperate, Sardara, Segariu, Selargius, Serramanna, Serrenti, Settimo San Pietro, Solarussa, Soleminis, Ussana, Ussaramanna, Vallermosa, Villa San Pietro, Villacidro, Villamassargia, Villasor. Origine del nomeIl toponimo, attestato nell’anno 1341 come De Sardata, non ha chiara origine ed è probabilmente di origine paleosarda, derivando forse da S’Ardara, che sta ad indicare l’altare da sacrificio. La sua economiaSi tratta di un grosso centro di pianura che, accanto alle tradizionali attività agricole, ha sviluppato un modesto tessuto industriale e incrementato il turismo. Il settore primario è presente con la coltivazione di cereali, frumento, ortaggi, foraggi, vite, olivo, agrumi e frutta. È presente anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini ed equini. Il settore economico secondario è costituito da imprese che operano nei comparti alimentare, tessile, della produzione di mangime, dei materiali da costruzione, dei laterizi, metallurgico, della gioielleria e oreficeria, della consulenza informatica ed edile. Interessante è l’artigianato, impegnato nei lavori di tessitura e nell’intaglio del legno. Il terziario si compone di una sufficiente rete distributiva. Il paese, immerso nel verde dei dolci colli del Monreale, al centro di un folto bosco di eucalipti, registra un consistente movimento turistico grazie anche alla presenza dello stabilimento termale. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione e di soggiorno. Brevi cenni storiciIl suo territorio è stato abitato sin da tempi antichi come dimostra la presenza del tempio a pozzo di Sant’Anastasia e di diversi siti archeologici nei dintorni dove si trova una ventina di Nuraghi. In vari siti sono venute alla luce emergenze fenicio puniche, ma è all’epoca romana che risalgono le testimonianze più rilevanti, come il centro termale Aquae Neapolitanae, presso il quale sorse un grosso borgo che viene citato col nome di villa Santa Maria de Is àcuas nel trattato di pace stipulato nel 1388 fra Eleonora d’Arborea e Giovanni I d’Aragona. L’abitato si sviluppa nel periodo giudicale, come dimostra la presenza del Castello di Monreale, e dall’undicesimo secolo entra a fare parte della curatoria di Bonorzuli, nel Giudicato di Arborea. Il la Marmora scrive che nel 1324 Ugone II d’Arborea, accampato nei pressi di Pabillonis, affronta in battaglia i Pisani nel territorio di Sardara e Sanluri, sbaragliandoli sanguinosamente. Nel 1328, dopo la battaglia d’Iglesias, nella quale gli Arborensi gli erano stati alleati, il re Alfonso d’Aragona conferma Ugone II, giudice di Arborea, nel possesso di molte fortezze, tra le quali il Castello di Sardara. Nel 1470 il marchese di Oristano Leonardo de Alagon entra in possesso dell’importante centro strategico sconfiggendo gli Aragonesi ad Uras, ma l’occupazione è di breve durata in quanto 1'Alagon viene battuto nella battaglia di Macomer del 1478, e da allora Sardara passa definitivamente agli Aragonesi, viene compresa nella Baronia di Monreale e quindi incorporata nella conte di Quirra, divenendo feudo prima dei Centelles e poi degli Osorio della Cueva. Passa poi ai Savoia, al regno d’Italia ed infine alla repubblica. In periodo repubblicano, del comune di Sardara nel 2001, con la riorganizzazione delle province della Sardegna, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, a quella nuova del Medio Campidano, ed in seguito, con la sua abolizione, nel 2016, passa alla nuova Provincia del Sud Sardegna. A Sardara nasce Benvenuto Pinna detto frà Lorenzo da SardaraA Sardara è nato Benvenuto Pinna religioso italiano conosciuto come frà Lorenzo da Sardara. Nasce a Sardara nel 1936 Benvenuto Pinna, che entra nel convento dei Cappuccini di Cagliari e viene accolto da fra Nicola da Gesturi, di cui diventa collaboratore come aiuto cuoco. Dopo dieci mesi trascorsi a Cagliari, viene inviato a Fiuggi e poi a Poliano per completare il noviziato, dopo di che si mette al servizio dei malati al convento infermieri di Roma come Frà Lorenzo da Sardara. Nel 1946 rientra a Cagliari dove opera come infermiere e, per venire incontro ai numerosi poveri, organizza una fornita farmacia di campioni di medicinali. Nel 1948 costruisce il presepe meccanico, invenzione che tutt’oggi, attira migliaia di visitatori. Dal 1976 al 2000, un mese all’anno soggiorna come eremita nel monte Arcuentu, dove, a contatto con la natura, trascorre le giornate in preghiera e meditazione. Nelle ultime ore di vita, non riuscendo più a parlare, lascia scritto su un foglio Amo tutti, e muore a Cagliari, nel convento di Sant’Ignazio, nel 2016. fra Lorenzo è il riferimento spirituale per migliaia di persone, e viene considerato in Sardegna il continuatore della missione spirituale del beato fra Nicola da Gesturi e di fra Nazareno da Pula. |
Le principali feste e sagre che si svolgono a SardaraA Sardara è attiva l’Associazione Culturale Gruppo Folk Santa Mariaquas Sardara, i cui componenti si esibiscono nelle principali feste e sagre che si svolgono sia nel comune che anche in altre località, e nelle cui esibizioni è possibile ammirare il costume tradizionale. Tra le principali principali feste e sagre che si svolgono a Sardara, si segnalano a febbraio i festeggiamenti per il Carnevale, con l’organizzazione de Sa Cursa de Sa Coga, ossia la corsa della strega, durante la quale i cavalieri tentano di infilzare un anello sospeso; il 12 marzo la Festa di San Gregorio Magno; il penultimo lunedì di maggio, si svolge la prima Festa di Santa Maria de Is Aquas; sempre a maggio, nella località delle Terme di Santa Maria Aquas, si svolge la Sagra della pecora, con degustazioni a base di carne di pecora; a metà maggio, la Festa di Sant’Isidoro, il Santo protettore degli agricoltori, che culminano con la benedizione dei campi, sfilata dei trattori e degustazione di vitello arrosto; il 13 giugno, la Festa di Sant’Antonio da Padova; ad agosto, la Festa del’Emigrato ai piedi della statua di Cristo redentore; il 15 agosto, la Festa patronale dedicata alla Beata Vergine Assunta; la prima domenica di settembre, la Festa di San Gregorio Magno, con la Sagra del grano; il penultimo lunedì di settembre, si svolge la Sagra in onore di Santa Maria di Is Acquas, che è la principale Festa del paese, che segue quella della terza domenica di maggio; il 12 novembre, la Festa di Sant’Anastasia; L’8 dicembre, la Sagra de su Biu Nou, in occasione della presentazione della nuova annata vinicola e per la valorizzazione turistica del centro storico, canti, balli, degustazioni e mostre. Per tutte queste feste si tengono festeggiamenti sia di carattere religioso che civile. Visita del centro di SardaraL’abitato, interessato da crescita edilizia, mostra l’andamento altimetrico tipico delle località pianeggianti. Molto suggestivo è il centro storico con le strade in selciato e le tipiche case campidanesi in pietra, spesso realizzate con alti muri in trachite inframmezzati da inserti in mattoni in argilla di colore rossastro, ossia làdiri, dotate di pregevoli portali, molti dei quali conservano ancora inciso sull’architrave il simbolo d’appartenenza corporativa come fabbri, sellai vignaioli. Le strade, linde ed ordinate, acciottolate o lastricate, ci restituiscono atmosfere d’altri tempi. In centro si possono ammirare alcuni edifici storici di pregio e ville padronali, come la villa Diana e la casa Pilloni, inserite nell’itinerario delle ville e delle dimore di pregio in Sardegna. La chiesa parrocchiale della Beata Vergine AssuntaProvenendo da Collinas arriviamo a Sardara con la SP69 che arriva da nord, poi compie un’ampia svolta a destra, e troviamo in cartello indicatore dell’ingresso nell’abitato subito prima di un ampio svincolo, dove prendiamo verso sinistra la via Umberto I, che porta verso il centro. Dopo centosettanta metri arriviamo a un bivio, dove la strada prosegue con il nome di viale dei Platani, mentre verso destra prosegue la via Umberto I, che, seguiamo per quattrocentocinquanta metri, poi svoltiamo a destra ed arriviamo a vedere alla destra della strada la piazza della Libertà. Entrati, in una cinquantina di metri, nella piazza, vediamo alla destra la facciata della chiesa della Beata Vergine Assunta che è la principale parrocchiale del paese. La chiesa, posta al culmine di una scenografica scalinata, è stata edificata nei primi decenni del seicento, probabilmentesu una preesistente chiesa romanica, ed è dotata di torre campanaria a canna quadrata, costruita tra il 1634 e il 1639, demolita e poi ricostruita nel 1706. Il prospetto è alquanto semplice, ornato da un piccolo rosone in asse col portale e da una nicchia con statua. L’impianto presenta una copertura voltata a sesto acuto, spezzata da sottarchi. Al suo interno sono presenti un pregevole altare marmoreo, un retablo con altare ligneo della Madonna d’Itria del diciottesimo secolo, alcune pregevoli sculture come le statue di San Bartolomeo di bottega romana della prima metà del diciassettesimo secolo, tra le più belle della Sardegna, e i busti lignei di San Pietro e di San Paolo di bottega napoletana di metà del diciassettesimo secolo, ed anche un antico organo a canne del 1758. A Sardara presso questa chiesa ogni anno il 15 agosto si svolge la Festa patronale dedicata alla Beata Vergine Assunta, con i festeggiamenti in onore della Santa Patrona di Sardara caratterizzara da celebrazioni religiose e manifestazioni civili. Il Museo Archeologico Villa AbbasNella piazza della Libertà, alla sinistra, proprio di fronte alla chiesa parrocchiale, si trova il Museo Archeologico Villa Abbas allestito in una pregevole costruzione del primo decennio del secolo scorso, che era stato utilizzato come Municipio, caserma e Scuola elementare, interamente restaurato nel 1981. L’esposizione si articola sui due piani e comprende otto sale, corredate da vetrine e pozzetti. Il percorso museale ha inizio con I sala che ospita la sezione didattica; la II sala è dedicata all’area archeologica di Sant’Anastasia; il lungo corridoio che immette alla III sala è fiancheggiato da un pozzetto espositivo nel quale sono ricostruite due tombe di epoca romana ad inumazione in terragna pertinenti alla necropoli di Terr ’e Cresia, con gli scheletri collocati nella stessa posizione in cui vennero rinvenuti dagli archeologi nel corso degli scavi; la III, IV e parte della V sala sono dedicate alla esposizione dei ricchi corredi funerari ritrovati nella necropoli di Terr ’e Cresia ed alle ricostruzioni di tombe ad incinerazione ed inumazione situate in cinque pozzetti espositivi; la V sala mostra i ritrovamenti più significativi come gli arcieri bronzei; la sesto sala ospita la sezione tardo medievale dedicata interamente al Castello di Monreale; le ultime due sale sono dedicate alla comunità Montana ed ai siti più importanti scavati in anni recenti. È uno dei pochi musei presenti nell’isola nei quali l’itinerario museale visivo è affiancato da un analogo percorso tattile corredato da didascalie, catalogo in braille ed audioguida, mirato a favorire gli ipovedenti ed i non vedenti. L’area archeologica in località Sa CostaSul retro dell’edificio che ospita il Museo Archeologico Villa Abbas si trova l’Area archeologica situata in località Sa Costa alla quale si arriva prendendo, alla destra della chiesa parrocchiale della Beata Vergine Assunta, indietro la via Umberto I, seguendola per una settantina di metri, fino all’incrocio con alla destra la via Giuseppe Mazzini, ed alla sinistra la via Sa Costa. Prendendo la via Sa Costa, la seguiamo per centocinquanta metri, passando accanto alla piazza della Libertà, ed arriviamo e vedere alla destra della strada l’area nella quale, nel 1913, in una tomba a fossa megalitica, sono stati rinvenuti i due bronzetti noti come i famosi arcieri in bronzo con gonnellino orientalizzante, oggi conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Oggi quella che era l’area archeologica è del tutto abbandonata. La chiesa di Santa AnastasiaEvitando la deviazione nella piazza della Libertà, proseguiamo per una ventina di metri lungo la via Umberto I, poi prendiamo a destra la via Eleonora d’Arborea, che, seguita per duecentocinquanta metri, compie un’ampia curva verso destra, e subito dopo, alla destra della strada, si vede la facciata della chiesa di Santa Anastasia. L’uso per finalità religiose dell’area nella quale sarebbe stata in seguito edificata questa chiesa, è proseguito durante ed anche dopo l’età nuragica, come documentato da una ceramica punica rinvenuta, e soprattutto dai resti di un edificio bizantino sottostante alla chiesa, che è stata costruita sopra di esso nel quindicesimo secolo. Nel 1913, durante il primo scavo archeologico condotto nell’area da Antonio Taramelli, la facciata della chiesa, per la cui costruzione è stato utilizzato anche materiale proveniente dagli edifici nuragici, viene smontato e arretrato di qualche metro, dove si trova ancora oggi, per riportare all’esterno della chiesa l’ingresso dell’importante tempio a pozzo sacro. La chiesa presenta due navate separate da archi a sesto acuto poggianti su pilastri, con l’abside in corrispondenza della navata destra. Al suo interno, a destra della navata centrale c’è un fonte battesimale del 1585. Sull’altare si trova una statua della Madonna, ed alla sua sinistra una seicentesca del Cristo risorto. La statua lignea seicentesca di Santa Anastasia è collocata in fondo alla parete destra. Lungo la parete sinistra, in fondo, si trova inglobato un pozzetto votivo nuragico utilizzato per attingere l’acqua per usi comuni, che originariamente si trovava all’interno della capanna del consiglio dei capi villaggio, oggi parzialmente visibile all’esterno della chiesa. Nata a Roma da padre pagano e madre cristiana, Santa Anastasia di Sirmio dopo la conversione al Cristianesimo, si dedica all’assistenza dei poveri e dei diseredati. Ostacolata in questa sua attività dal marito Publio, viene segregata in casa. Dopo la morte di Publio, giunge a Sirmio in Illiria, che oggi è Sremska Mitrovica in Serbia, dove si dedica ad assistere i Cristiani perseguitati, in modo particolare curando quelli in carcere. Scoperta la sua fede, viene processata e, avendo rifiutato di abiurare il cristianesimo, viene arsa viva, secondo la tradizione, il 25 dicembre 304, durante l’ultima persecuzione dei Cristiani ad opera di Diocleziano. Il corpo di Anastasia viene dapprima seppellito a Zara, e poi, nel 460, portato a Costantinopoli. Il suo culto è ancora oggi vivissimo nella chiesa ortodossa, ed anticamente veniva invocata nel mondo cristiano per sciogliere i malefici, per guarire dalle malattie fisiche e psichiche e dagli avvelenamenti, e come protettrice delle partorienti. |
A Sardara ogni anno il 12 novembre si svolge la Festa patronale di Sant’Anastasia, che è una Festa patronale essendo la Santa Anastasia la copatrona del paese. Si tratta di una Sagra di crescente interesse, che si svolge presso la chiesa omonima, presso l’antico tempio a pozzo nuragico, e gli scavi archeologici adiacenti. La Festa prevede festeggiamenti religiosi con anche uno spettacolo pirotecnico, diverse manifestazioni civili con la degustazioni di prodotti tipici sardi, ed anche un mercato dell’artigianato. Il tempio a pozzo sacro di Santa AnastasiaDavanti ed alla sinistra della chiesa di Santa Anastasia, si trova l’area archeologica di Santa Anastasia, che sorge attorno al bel Tempio a pozzo sacro di Santa Anastasia. Il tempio a pozzo sacro, costruito in pietra di basalto scura e pietra calcarea chiara, è di struttura molto simile a quella del tempio a pozzo sacro di Santa Cristina a Paulilatino, solo che qui si vede una costruzione meno raffinata, costruita usando pietre grezze al posto di massi squadrati. Questo suggerirebbe, anche se non è stato accertato, che la struttura sia di epoca precedente. È stato portato luce durante le indagini di scavo condotte da Antonio Taramelli nel 1913. Il tempio a pozzo veniva chiamato Funtana de Is Dolus, ossia la fonte dei Dolori, perché veniva ritenuta salutare l’acqua della vicina sorgente Sa Mitzixedda, che scaturisce alimentata da falde sotterranee e vi arriva attraverso un canaletto in muratura a fior di pavimento. realizzato forse nel Bronzo finale, della struttura esterna restano pochi filari di pietre, con la tipica pianta a buco di serratura. Una scalinata di dodici gradini porta alla grande camera sotterranea, a pianta circolare del diametro di quattro metri. La camera è pavimentata con lastre di pietra e colpisce per la precisione e la perizia tecnica con cui è costruita. Ha una copertura a tholos dell’altezza di cinque metri, tutt’ora intatta. La profondità del pozzo è tale che il punto più alto della tholos coincide con il livello del terreno. Grazie a un meccanismo che lo prosciuga, è possibile entrare all’interno del pozzo ed ammirarne la solida architettura, scendendo sino al fondo. La parte dell’area archeologica portata alla luceNel 1913 viene scavato da Antonio Taramelli il tempio a pozzo di Santa Anastasia, e viene scavato anche il più piccolo pozzetto votivo nuragico conservato all’interno della chiesa. Negli scavi, che portano alla luce gran parte dell’Area archeologica sono stati rinvenuti alcuni conci ornati con motivi incisi, uno in forma di protome taurina, che sono stati in seguito murati nella facciata della chiesa, ed anche numerosi vasi dell’Età del Ferro. Gli scavi effettuati attorno alla chiesa per allargare le conoscenze archeologiche sul pozzo, hanno messo in luce un grande recinto curvilineo fiancheggiato da un camminamento di lastre di pietra, all’interno del quale si trovano le capanne di un villaggio che si sviluppa in gran parte sotto le attuali case di Sardara. Sono i resti di un vasto insediamento nuragico, non solo religioso ma anche civile, protrattosi da Bronzo recente a prima Età del Ferro, frequentato anche in tempi successivi. Il recinto ingloba un’ampia capanna circolare, forse la sala del Consiglio, con un sedile che corre lungo il muro perimetrale, nella quale sono stati rinvenuti, oltre a elementi di arredo tra cui spicca una base d’altare, un piccolo altare di pietra modellato a foggia di torre nuragica, numerosi reperti unici nel contesto nuragico, ossia matrici di fusione di terracotta, lingotti in piombo, ed anche un orcio contenente pregevoli manufatti in bronzo. Gli scavi più recenti hanno rivelato che un altro edificio, la capanna del Capo, era dotata di acqua corrente portata con un condotto che parte dalla base della camera del pozzo sacro. In questa capanna è stato inoltre trovato un contenitore in ceramica contenente numerosi lingotti di rame della forma detta a pelle di bue. La gran parte dei reperti rinvenuti si possono ammirare nel Museo Archeologico Villa Abbas. L’antica casa PilloniSul retro dell’area archeologica, a ridosso e in comunicazione diretta con gli scavi archeologici, si trova l’antica Casa Pilloni una dimora storica di pregio il cui impianto principale risale verosimilmente al diciassettesimo secolo, anche se non vi sono documenti che attestino la data precisa di costruzione. Presenta uno stile campidanese, con tutti gli ambienti tipici delle case rurali, come le stalle, il pagliaio o il granaio. L’intera corte, prima proprietà degli eredi della famiglia di Emilio Pilloni, è stata acquisita nel 2003 dall’Amministrazione Comunale, ed oggi la struttura, raggiungibile da via Eleonora d’Arborea e da Vico Santa Anastasia, comprende un centro servizi, uno spazio polivalente finalizzato alla valorizzazione e fruibilità del sito archeologico, nonché un centro culturale che ospita mostre sul territorio sardarese e sulle sue tradizioni. Sono infatti disponibili spazi espositivi, spazi per la multimedialità e la didattica, la biglietteria con bookshop e gli uffici del personale. La piazza Emilio Lussu con la bellissima villa DianaProseguiamo verso sud ovest lungo la via Umberto I dopo il punto dove avevamo preso a destra la via Eleonora d’Arborea, e, dopo centosettantra metri, prendiamo a sinistra la via Regina Margherita, la seguiamo per una quarantina di metri, e vediamo alla sinistra della strada la Piazza Emilio Lussu una bella piazza quadrata lunga poco più di trenta metri lungo la via Regina Margherita, e larga altrettanto alla sinistra di questa strada. É una piazza attrezzata che è stata arricchita da diverse opere di Pinuccio Sciola, l’importante scultore di San Sperate, morto nel 2016. Affacciata sulla piazza, appena si entra sulla sinistra, ad angolo con la via Regina Margherita, si trova, all’interno di un giardino, la bellissima Villa Diana un edificio storico di pregio che in passato è stata una residenza privata, ed attualmente è la sede del Consiglio Comunale, la cui visita, da sola, potrebbe costituire un itinerario a sé stante. L’antica casa DianaSulla piazza Emilio Lussu, sul lato di fronte alla via Regina Margherita, si trova l’Antica casa Diana una storica residenza nobiliare risalente al diciottesimo secolo. Edificata nel 1740, è stata ristrutturata una prima volta nel 1854, poi nel 2008 e può essere a tutti gli effetti considerata una delle più rappresentative abitazioni padronali di Sardara e del Medio Campidano. Casa Diana oggi ospita un Hotel a 4 stelle con 8 camere, centro benessere e ristorante. L’antica casa Diana è un luogo ricco di fascino e suggestione, che riporta i suoi ospiti indietro nel tempo. La chiesa gotica di San Gregorio MagnoDalla via Umberto I abbiamo preso a sinistra la via Regina Margherita, passata la piazza Emilio Lussu proseguiamo lungo questa strada, dopo centosettanta metri prendiamo a sinistra per proseguire sulla via Regina Margherita, e, dopo un’altra sessantina di metri, arriviamo nella piazza San Gregorio. alla destra si vede la facciata della chiesa di San Gregorio Magno realizzata nel primo quarto del quattordicesimo secolo, esempio di transizione dal romanico al gotico, che costituisce uno dei monumenti gotici più integri e significativi in Sardegna. Questa chiesa è stata la parrocchiale in periodo medievale, quando Sardara ebbe notevole rilievo ed era cinto da una cerchia di mura difensive. I paramenti murari esterni sono in pietre calcaree e vulcaniche, la facciata a capanna è divisa in tre specchi da lesene a fascio e da due paraste d’angolo. Nello specchio centrale si apre il portale architravato, sormontato da un arco a sesto acuto, ed in asse con il portale si apre un grande rosone gotico, sopra il quale si rova una serie di archetti su peducci. La facciata è sormontata da un campanile a vela a due strette. La pianta interna è ad una sola nonava, con copertura in legno. Caratteristico di questa chiesa è l’abside che, pur avendo profilo semicircolare all’interno, risulta esternamente con una forma squadrata. La prima domenica di settembre si tiene la Festa di San Gregorio Magno. I festeggiamenti iniziano il sabato sera con una processione con il simulacro del Santo per le vie del Paese, ed a seguire la messa in piazza San Gregorio, e la domenica si tiene la messa solenne. Si svolgono anche numerose manifestazioni civili. Questa Festa in passato ricopriva un importante ruolo sociale, dato che in tale periodo di chiudeva l’annata agraria ed i proprietari terrieri sfruttavano l’evento per stipulare nuovi contratti con i braccianti agricoli che per l’occasione accorrevano da tutto il circondario. Da qualche anno nei giorni della Festa oggi si svolge la Sagra del grano, chiamata Su Trigu Ariseu Oi e Cras, che prevede l’apertura dei cortili delle tipiche case campidanesi del rione di San Gregorio, all’interno dei quali si svolgono le attività di lavorazione e preparazione dei prodotti tipici del grano. È possibile visitare mostre di manufatti e attrezzi agricoli d’epoca, e si possono degustare i prodotti tipici locali. Gli impianti sportivi comunali di via CampaniaPassata la piazza San Gregorio, prendimo alla sinistra della chiesa la via San Gregorio, che si dirige verso est. Seguita per centotrenta metri, la strada attraversa il viale dei Platani, e prosegue con il nome di via Campania. Seguita per trecento metri, arriviamo a vedere alla sinistra gli impianti sportivi comunali di via Campania. In essi sono ospitati un Campo da Calcio con fondo in erba, ed intorno al campo, si sviluppa la Pista anulare da atletica, nella quale si possono effettuare prestazioni d’atletica leggera, ossia corse su pista, salto in alto, salti in estensione, salto con l’asta, lancio del disco, lancio del peso. Il Campo da Calcio e la pista sono dotati di tribune in grado di ospitare fino a 500 spettatori. La piazza Antonio Gramsci con il Monumento ai Caduti ed il Municipio di SardaraArrivando con la via Umberto I, passato dove abbiamo preso a sinistra la via Regina Margherita, proseguiamo invece dritti, e si apre sulla destra la grande Piazza Antonio Gramsci una bella piazza alberata. Entrando nella piazza, che si sviluppa per una trentina di metri lungo la via Umberto I, sulla destra si vede il Monumento ai Caduti Di tutte le guerre di Sardara. Si tratta di un monumento realizzato nell’ultimo quarto del ventesimo secolo, tra il 1975 ed il 1999, costituito da un cippo in marmo sopra il quale si trova una statua in bronzo che rappresenta una allegoria della Vittoria come figura di donna alata vestita all’antica posta sopra un globo. alla sinistra del monumento, si vede il retro dell’edificio che ospita il Municipio di Sardara con la sua sede e gli uffici che offrono i loro servizi ai cittadini, la cui facciata si trova più avanti, proseguendo lungo la via Umberto I e prendendo a destra la prima traversa che è la via Principe Amedeo. La chiesa parrocchiale di Sant’Antonio da Padovaalla destra della via Umberto I prendiamo la via Principe Amedeo, che ci ha portato all’ingresso del Municipio di Sardara. Seguita la via Principe Amedeo per duecentocinquanta metri arriviamo a un incrocio, con a destra la via Vittorio Emanuele III, che si dirige verso est, ed a sinistra la via Giaime Pintor, che si dirige verso ovest. Presa la via Giaime Pintor, dopo cento metri vediamo alla sinistra la fiancata della chiesa di Sant’Antonio da Padova La cui facciata si trova nella piazza omonima, che si trova sulla sinistra dove parte la via Birocchi. Questa chiesa è stata, più di una quarantina di anni fa, eretta al rango di seconda parrocchiale del paese. L’edificio risale alla seconda metà del seicento, edificata in corrispondenza con la ristrutturazione del Palazzo Baronale, che si trova di fronte, e per il quale è probabile fungesse da Cappella gentilizia. La facciata si presenta con lo schema tipico delle architetture barocche, il disegno del fronte principale combina, con interessanti effetti pittoreschi, il terminale a doppia inflessione ed il pseudo colonnato tetrastilo, ma non mancano alcune significative personalizzazioni, come il timpano triangolare, le tre finestre in successione orizzontale, i tre portali d’accesso e i campanili gemelli ai lati del prospetto. La chiesa ha una pianta basilicale a tre navate, ed ha copertura con tetto a doppio spiovente interrotto dalla cupola, che svetta sopra la zona presbiteriale. Custodisce al suo interno un altare ligneo policromo settecentesco intagliato dall’artista Medinas e recentemente restaurato, nel quale sono presenti in tre nicchie le statue di San Francesco, Sant’Antonio e della Madonna della Difesa. Ci si trova, inoltre, il sepolcro ottocentesco dell’ingegnere piemontese Mareschal, funzionario del Genio Civile, impiegato nei cantieri della strada di collegamento tra i due capi della Sardegna, alla cui realizzazione, per il tratto sviluppato nella zona, ha dato ampio sostegno la famiglia Orrù di Sardara. Presso questa chiesa, il 13 giugno si tiene la Festa patronale di Sant’Antonio da Padova, che è una Festa patronale essendo la Sant’Antonio il copatrono del paese. La Festa prevede tre giorni di festeggiamenti e lo svolgimento di una Sagra in onore del Santo patrono della omonima parrocchia. I fedeli lo festeggiano animando la piazza di fronte all’omonima chiesa, che da oltre quarant’anni ha dignità di parrocchia. La casa del Balillaalla destra della via Umberto I prendiamo la via Principe Amedeo, che ci ha portato all’ingresso del Municipio di Sardara. Seguita la via Principe Amedeo per una sessantina di metri, prendiamo a sinistra la via Giuseppe Manno, che, dopo centoventi metri, incrocia la via Oristano. Ad angolo tra le due strade, alla destra, si trova l’edificio che ospitava la Casa del Balilla che, come tutte le sedi istituzionali del regime fascista, era stata realizzata per godere della massima cura ed importanza. L’edificio, che risale al 1937, è stato realizzato su progetto dell’architetto Salvatore Rattu, secondo i criteri di semplicità, essenzialità, efficacia e funzionalità propri dell’architettura razionalista. Una Torre dai volumi netti e squadrati affianca un corpo laterale su due livelli, dove la torre che fa cerniera ad angolo è interrotta soltanto su un fronte da una finestra, che la attraversa per quasi tutta la lunghezza. Anche il porticato con semplici archi, e le bucature strombate, rivelano la svolta dell’architetto, che ha abbandonato le architetture passate per adottare linee semplici ed essenziali. Il Campo Sportivo Comunale di via TemoPassato l’incorcio con la via Oristano, la via Giuseppe Manno prosegue con il nome di via Temo. Seguita per una cinquantina di metri, si vede alla destra il Campo Sportivo Comunale di via Temo, un impianto nel quale si trova il Campo da Calcio con fondo in terra battuta, che non è dotato di tribune. Il Cimitero di SardaraPassato l’incorcio con la via Oristano, la via Giuseppe Manno prosegue con il nome di via Temo. Seguita la via Temo per duecento metri, incrociamo la via Adda e, superato l’incrocio, alla sinistra della strada si trova il Cimitero di Sardara. L’ingresso del Cimitero si trova lungo la via Adda, una trentina di metri più avanti dopo l’incrocio, alla destra della strada. Visita dei dintorni di SardaraVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Sardara è assai ampia la densità di siti nuragici, la più alta di tutta la Marmilla, se ne contano infatti una trentina. Nei dintorni di Sardara, sono stati portati alla luce i resti di una tomba della Cultura di Bonnannaro del tipo domus de janas individuata casualmente nel 1932 nelle colline di Pedralba; di una Tomba di giganti nei pressi del confine con il territorio Comunale di Sanluri; del tempio a pozzo sacro di Santa Anastasia con il villaggio circostante, che abbiamo già visto; dei Nuraghi semplici Arigau, Arrubiu, Jana, Otzi, Pibizziri, Santa Maria Is Acquas, Santu Domini, Serretzi; ed anche dei Nuraghi complessi Arbici, Axiurridu, Barumeli, Camparriga, Colombus, Nuratteddu, Ortu Comidu, Sa Perra. La statua del Cristo redentoreDal centro di Sardara prendiamo verso sud la via Principe Amedeo, la seguiamo per duecento metri, superiamo l’incrocio con la via Oristano e proseguiamo dritti lungo la via San Gavino, dopo quasi trecento metri arriviamo ad uno svincolo subito dopo il cartello segnaletico che indica l’uscita dall’abitato. Qui prendiamo a destra la Complanare est, strada che esce dall’abitato in direzione nord ovest e diviene parallela alla SS131 di Carlo Felice, la seguiamo per circa tre chilometri e mezzo, arrivando fino all’altezza del chilometro 56 della SS131, e vediamo alla destra della strada la Statua del Cristo redentore chiamata anche Cristo della Strada o degli Emigrati. È una statua di colore bianco alta quattro metri e mezzo, realizzata dallo scultore Barbarino Iannucci, professore di disegno all’università di Roma, ed il pilastro sul quale è posta la statua è alto sette metri e mezzo. Il monumento al Cristo redentore è stato eretto in occasione del Giubileo dell’anno 2000, e la sua inaugurazione è avvenuta il 30 giugno 2002 presenti circa 6.000 pellegrini. Ad agosto in questa località si celebra la Festa dell’Emigrato, una manifestazione che si tiene ai piedi della statua del Cristo redentore, caratterizzata dal raduno di tutti gli emigrati sardi, e contemporaneamente si svolge anche il raduno degli autisti dei mezzi pesanti. Il luogo dell’incontro non è casuale, la statua del Cristo redentore, infatti, è stata realizzata come dono grazie al generoso contributo di due famiglie di Sardara emigrate nel sud America. Il motivo della donazione è stato quello di ricordare l’anno giubilare del 2000. I pochi resti del Nuraghe complesso Sa Perra mai scavatoDal centro di Sardara prendiamo verso sud la via Principe Amedeo, la seguiamo per duecento metri, superiamo l’incrocio con la via Oristano e proseguiamo dritti lungo la via San Gavino, dopo quasi trecento metri arriviamo ad uno svincolo subito dopo il cartello segnaletico che indica l’uscita dall’abitato. Qui prendiamo a destra la Complanare est, strada che esce dall’abitato in direzione nord ovest e diviene parallela alla SS131 di Carlo Felice, seguita per un chilometro e trecento metri arriviamo ad una rotonda dove prendiamo la terza uscita, che porta sulla SP69 la quale si dirige verso la frazione Santa Maria de Is Acquas. Percorsi novecento metri arriviamo a un’altra rotonda, dove prendiamo la prima uscita che ci porta sulla Complanare ovest, la seguiamo per un chilometro e trecento metri, e vediamo, alla sinistra della strada, i resti del Nuraghe Sa Perra che si trova vicinissimo alla SS131. Il Nuraghe, il cui nome più propriamente significa Una parte, ossia Non intero, come appunto è stato ridotto il nostro, non è stato mai scavato, ed è completamente ricoperto dalla terra e dalla vegetazione. Si trattava di un Nuraghe complesso, sconosciuto, edificato a 100 metri di altezza, che è stato in seguito riutilizzato in epoca punica. I ruderi della chiesa campestre di San Domino ed il Nuraghe semplice Santu DominiDa dove avevano preso la Complanare est, strada che esce dall’abitato in direzione nord ovest e diviene parallela alla SS131 di Carlo Felice, seguita per un chilometro e trecento metri arriviamo ad una rotonda dove prendiamo la terza uscita, che porta sulla SP69 la quale si dirige verso la frazione Santa Maria de Is Acquas. Percorsi novecento metri arriviamo a un’altra rotonda, dove prendiamo la prima uscita che ci porta sulla Complanare ovest, dopo trecentocinquanta metri svoltiamo a sinistra e prendiamo la Strada Vicinale di Balloi. La percorriamo per due chilometri e cento metri, e prendiamo un sentiero sulla destra che ci porta in mezzo ai campi, dove si trovano i ruderi della chiesa campestre di San Domino o di Santu Domini della quale non rimangono che parte del pavimento e delle murature esterne. Non lontano, un poco più ad est, si possono anche vedere i resti del Nuraghe Santu Domini un Nuraghe semplice, monotorre, situato a 93 metri di altezza. La frazione Santa Maria de Is Acquas con le terme di SardaraDa dove avevano preso la Complanare est, strada che esce dall’abitato in direzione nord ovest e diviene parallela alla SS131 di Carlo Felice, seguita per un chilometro e trecento metri arriviamo ad una rotonda dove prendiamo la terza uscita, che porta sulla SP69 la quale si dirige verso la frazione Santa Maria de Is Acquas. Percorsi novecento metri arriviamo a un’altra rotonda, dove proseguiamo dritti sulla SP69 in direzione di Pabillonis, e, in circa un chilometro, arriviamo all’interno della frazione Santa Maria de Is Acquas (altezza metri 79, distanza in linea d’aria circa 3.7 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 5), nella quale sono state realizzate le terme di Sardara. Nella frazione si trovano le Terme di Sardara che fino dal 1898 costituiscono il primo centro termale della Sardegna. Le acque termali hanno origine dalle acque meteoriche, scendono a migliaia di metri di profondità, e riemergono mineralizzate, ad una temperatura che varia da 45 a 60°C, come acque bicarbonato alcalino sodica. In Italia acque di questo tipo sono molto rare, ed in Europa le più note sono quelle di Vichy. Il fango naturale si presenta argilloso, di colore bruno cenere. Le cure disponibili in queste terme sono correlate a problemi cutanei, intestinali e di deambulazione. Oltre alle cure termali è possibile dedicarsi alla bellezza ed al fitness, grazie agli impianti presenti sul territorio. Si tratta, comunque, di un sito poco conosciuto, dove il turismo di massa non è ancora arrivato con i suoi grandi numeri. Nel parco delle Terme si trovano resti del Nuraghe Arigau un Nuraghe monotorre situato a 87 metri di altezza, classificato però dall’archeologo Giovanni Ugas come Nuraghe complesso, che è stato riutilizzato in epoca punica. La sua presenza attesta l’esistenza di insediamenti protosardi già nel sedicesimo secolo avanti Cristo, segno di un’antichissima utilizzazione dell’acqua termale, probabilmente a scopi votivi. I primi riferimenti storici su questa stazione termale risalgono al terzo secolo avanti Cristo, quando i Romani costruiscono le Thermae neapolitanae delle quali rimangono però solo pochi resti che dovrebbero trovarsi all’interno dei due edifici delle Antiche Terme. Il loro nome deriva dalla vicina colonia fenicio punica di Neapolis, che sorgeva all’estremità sud del golfo di Oristano. In periodo medioevale, in una grotta viene rinvenuta una statua della Madonna, che viene chiamata Madonna del Rimedio, delle Grazie o del latte Dolce, per alcune caratteristiche del simulacro, e nella località termale, intorno al 1200, viene edificata la chiesa gotica che verrà descritta più avanti, e che costituisce il cuore del culto verso la Madonna. In questo periodo, il giudice di Arborea Ugone III è un ospite fisso di questa stazione termale, che utilizza l’immersione nelle sue acque per curare la gotta. Per sfuggire alle incursioni barbaresche, gli abitanti di Villa Abbas si rifugiano a Sardara, ma prima nascondono una statua della Madonna nei ruderi degli antichi bagni romani. alla fine delle incursioni, il simulacro della Vergine viene ritrovato vicino ad una fonte termale, e per questo alla Madonna viene cambiato il nome, e viene chiamata Santa Maria ad Aquas. All’interno della frazione si trovano anche i resti di un forno di calcinazione chiamato Su Forru de Sa Cracia, che risale all’epoca romana ed è stato utilizzato fino in periodo medievale, ed un Vecchio lavatoio. Ci si trova anche un Teatro all’Aperto. Oggi nella zona sono presenti stabilimenti termali originari dell’ottocento. Negli ultimi anni le strutture ricettive stanno aumentando di numero, nella zona è oggi disponibile un ampio parco termale, dove è possibile godere di moltissimi diversi trattamenti, ed il sito sta diventando sempre più conosciuto. All’interno dell’area termale si trovano due significative strutture turistiche, l’Hotel Antiche terme di Sardara, e l’Hotel Sardegna Termale, già Hotel Is Aquas Terme e prima detto Hotel Terme Eucalipti. |
Il Santuario di Santa Maria de Is AquasAll’interno dell’area delle antiche Thermae Neapolitanae si trova il Santuario di Santa Maria de Is Aquas. La chiesa edificata in stile gotico nei primi secoli del millennio, chiamata anche Nostra Sennora de su latti Dulci, e l’attuale impianto è il risultato di ampliamenti e rimaneggiamenti di quello sorto probabilmente intorno all’anno Mille, che doveva essere il nucleo religioso della villa medievale di Santa Maria de Is Aquas, documentata nel 1388 e sorta nella località romana di Aquae Neapolitanae, che ha preso il nome dalle acque termali. Nel 1921, grazie ad offerte popolari, viene allargato il presbiterio, e vengono costruiti una Cappella laterale e l’altare in marmo. Durante i festeggiamenti del settembre 1927, un incendio sprigionato dalle candele dei pellegrini, lasciate accese durante la notte, la devasta completamente, però viene ricostruita l’anno successivo, con l’aggiunta della seconda cappella. In seguito, viene realizzata la nicchia in marmo che sovrasta l’altare, nella quale è stata riposta per alcuni decenni, la monumentale statua della Vergine delle Acque, risalente al 1870, che successivamente è stata trasferita a Sardara, nella chiesa parrocchiale, per evitare eventuali furti. Nello stesso periodo viene ripulita la facciata, demolito l’atrio che aveva un accesso tramite un arco a tutto sesto, ed il sagrato viene recintato con un basso muro che la delimita dal perimetro stradale. Durante i lavori della ripavimentazione, nel 1984, vengono alla luce le fondamenta dell’antica piccola chiesa, ed anche alcune tombe che, secondo la tradizione, sarebbero le sepolture dei soldati Efisio, Chisiano e Passo, martirizzati e divenuti poi Santi. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla statua in legno d’olivo scolpito che raffigura la Vergine che si venera al suo interno, nella quale la Madonna è rappresentata con il Bambino Gesù sul lato sinistro e con la mano destra a scoprire il seno, opera che si può ricondurre a un artista di bottega napoletana. La Madonna qui venerata nel 1981 è stata eletta patrona della diocesi di Ales. Presso questa chiesa si svolgono durante l’anno due feste in onore di Santa Maria de Is Aquas. Il penultimo lunedì di maggio, si svolge la prima Festa in onore di Santa Maria de Is Aquas, con processione e pellegrinaggio alle terme. Il penultimo lunedì di settembre, si svolge la Sagra in onore di Santa Maria di Is Acquas, ossia di Santa Mariaquas, che viene chiamata Sa Festa Manna ed è la principale Festa del paese, la più partecipata della diocesi e della provincia. Le celebrazioni si svolgono, nella borgata delle Terme e prevedono un’imponente processione del sabato, che accompagna il simulacro, dalla parrocchia al Santuario. La domenica le Messe vengono celebrate durante tutto il giorno e così il lunedì, ossia il giorno solenne, che si conclude con la processione intorno alla chiesa e la messa dedicata agli ammalati. Il martedì in serata, il rientro della processione in paese. Numerose sono le manifestazioni civili a corollario, tra cui la Rassegna dei Gruppi Folk del Medio Campidano e la Fiera dell’Artiginanato Agroalimentare. La Festa è una delle più grandi e suggestive di tutta l’isola e nei quattro giorni della festività vede la partecipazione di decine di migliaia di devoti e visitatori. I resti del Nuraghe ArrubiuL’importanza che ha rivestito il territorio sardarese in epoca nuragica è testimoniata anche dalla presenza di nomerosi Nuraghi situati sia sui colli che nelle aree pianeggianti, tra i quali va ricordato il Nuraghe Arrubiu lungo la strada non lontano dalle terme. Dal Santuario proseguiamo verso ovest sulla SP69 per poco più di un chilometro, e prendiamo una deviazione verso destra, che seguiamo per circa un altro chilometro e si vede sulla destra, abbastanza lontano, il Nuraghe, raggiungibile prendendo uno dei sentieri che si incontrano lungo la strada. Si tratta di un Nuraghe semplice, di tipo monotorre, singolare per via del suo colore rossiccio da cui deriva il nome, edificato a 74 metri di altezza, quasi totalmente intatto, che emerge dalla vegetazione circostante, con un’altezza residua che raggiunge i quattro metri. Al suo interno è ancora visibile una nicchia, mentre colpisce la grandezza dell’architrave, con la presenza di due finestrelle di scarico che sorreggono il peso dei massi. Risulta essere il Nuraghe più intatto del territorio Comunale di Sardara tra i quindici presenti nel territorio, ed è stato edificato in posizione strategica, in quanto a metà strada tra il Nuraghe Fenu, che si trova più ad ovest in territorio di Pabillonis, e la vicina zona termale, nella quale sorgono altri tre Nuraghi, di cui uno, il Nuraghe Arigau, presente nello stesso complesso termale. L’area dove sono stati rinvenuti i resti della necropoli romana di Terr ’e CresiaDal centro di Sardara prendiamo la via Umberto I, la seguiamo, proseguiamo con la via San Gavino, ed usciamo dall’abitato in direzione sud ovest con la SP62 in direzione di San Gavino Monreale. Percorso appena un centinaio di metri, prendiamo a destra la Complanare est che passa lasciando sulla destra l’area Industriale ed Artigianale di Sardara. çaercorsi quattrocentocinquanta metri, a sud dell’area Industriale ed Artigianale, si vede sulla destra una zona di erbe e sterpi, la zona nella quale anni fa sono stati rinvenuti i resti di una necropoli romana, la Necropoli di Terr ’e Cresia che era costituita da oltre cento tombe con sepolture sia a inumazione che ad incinerazione, ed in esse sono stati rinvenuti reperti ossei umani e di animali, oltre a ricchi corredi funebri risalenti al periodo che va dal primo secolo avanti Cristo al terzo secolo dopo Cristo. I resti rinvenuti nella necropoli sono oggi esposti nel Museo Archeologico Villa Abbas. Oggi quella che era l’area archeologica è del tutto abbandonata. Tra Sardara e San Gavino Monreale troviamo la miniera di SardaraDa Sardara, prendiamo la SP62 che prosegue verso sud ovest in direzione di San Gavino Monreale, lungo la quale si vede la conica altura isolata su cui sorgono i resti del Castello di Monreale. La seguiamo per poco più di un chilometro, poi prendiamo verso destra una carrareccia, la seguiamo per un chilometro e mezzo, e deviamo a destra in una sterrata che porta alla Vecchia miniera di fluorite di Sardara. La miniera era divisa in due cantieri, Perda lai e Monreale, e la sterrata porta ai due cantieri in successione. La testimonianza più evidente della passata attività mineraria è certamente la torre metallica del pozzo principale della miniera di Monreale, il pozzo Nuovo, mentre esistevano altri pozzi minori, di cui però non è rimasta traccia. Adiacente alla torre c'’era la sala argani con le pompe dell’aria compressa. La miniera di Monreale era servita da due laverie, una più antica gravimetrica, che utilizzava i crivelli meccanici, una più recente che utilizzava il sistema della flottazione. Nella miniera di Monreale sono ancora presenti anche i ruderi di una serie di edifici di servizio necessari all’amministrazione della stessa, ossia la direzione, le officine, l’infermeria, ed altro. La miniera di Sardara è stata chiusa verso il 1980. Il Castello di Monreale con i ruderi della chiesa di San Michele ArcangeloPrendiamo dal centro di Sardara la via Oristano che ci porta in direzione sud ovest. alla rotonda prendiamo la prima uscita che è la via San Gavino, dopo quasi trecento metri alla successiva rotonda prendiamo la prima uscita che ci fa imboccare la SP4.7 che conduce verso San Gavino Monreale. Percorso un chilometro e duecento metri prendiamo una deviazione sulla destra e seguiamo questa strada per un chilometro e mezzo, poi prendiamo a sinistra la strada bianca che in cinquecento metri ci porta alla base del Castello. Lungo la strada che conduce da Sardara a San Gavino Monreale si vede la conica altura isolata su cui sorgono i resti del Castello giudicale di Monreale a 274 metri di altezza, dal quale si domina tutto il territorio circostante, dal Campidano al golfo di Oristano. Secondo alcuni studiosi, il Castello sarebbe stato edificato sopra precedenti insediamenti nuragici da Mariano II d’Arborea, e risalirebbe probabilmente a poco dopo l’anno 1000, quando le influenze politiche pisane e Genovesi hanno determinato, nell’Isola, una situazione di competitività fra i Giudicati di Cagliari, di Torres, di Gallura e di Arborea, nella quale la Sardegna era divisa. Come conseguenza di queste tensioni politiche le fortificazioni non vengono più costruite per la difesa dei litorali, ma sono rivolte alla salvaguardia dei confini interni, ed il Castello fortificato di Monreale risponde proprio a questa esigenza, dato che, insieme al Castello di Monte Arcuentu ad Arbus ed a quello di Marmilla a las Plassas, costituisce la cinta difensiva meridionale del Giudicato di Arborea, e controlI confini tra questo Giudicato e quello di Cagliari. Considerando che dal 1282 al 1310 ha lavorato in Sardegna l’architetto Giovanni Capula, che a Cagliari ha edificato le torri di San Pancrazio, dell’Elefante e dell’Aquila, c’è motivo di credere che anche il Castello di Sardara sia opera del medesimo architetto. Per quanto riguarda la denominazione di Monreale, molti sostengono, stando a un antico documento, che già nel 1309 esso venisse denominato di Castrum Montis realis. In questo Castello hanno soggiornato importanti personaggi della storia del medioevo sardo, come, ad esempio, i giudici di Arborea Ugone II, Mariano IV e la famosa Eleonora. Stando alle fonti documentarie, viene menzionato per la prima volta nel 1309, quando risulta concesso dal re Giacomo II d’Aragona a Mariano e Andreotto de Bas, giudici di Arborea, e per loro conto amministrato dal comune di Pisa. Nel 1324 si ha la prima attestazione dell’utilizzo di questo Castello come residenza regale, nei documenti relativi al soggiorno di Teresa di Entenza, moglie dell’Infante don Alfonso d’Aragona, impegnato nell’assedio di Cagliari. A testimonianza della sua importanza e sicurezza, ricordiamo che nel 1353 il giudice Mariano IV, temendo un nuovo scontro con gli Aragonesi, ordina ai suoi sudditi di accumulare la maggior quantità di grano possibile, portandolo ad Oristano, capitale del Giudicato di Arborea, o nel Castello di Monreale. La fortezza viene, poi, utilizzata come rifugio dalle truppe arborensi guidate da Guglielmo III di Narbona, sconfitto nel 1409 nella battaglia di Sanluri dall’esercito di Martino il Giovane. Dopo la caduta del Giudicato di Arborea, il Castello passa agli Aragonesi, e viene compreso nella conte di Quirra. Nel 1470 venne conquistato da Leonardo de Alagon, marchese di Oristano, che sconfigge nella battaglia di Uras gli Aragonesi guidati dal vicere di Sardegna Nicolò Carroz. Nel 1478 Leonardo de Alagon viene sconfitto nella battaglia di Macomer, ed il Monreale torna in possesso degli Aragonesi. La fortezza viene, in seguito, smantellata ed abbandonata. Quello di Monreale è un Castello unico nel suo genere in Sardegna, perché è il solo ad avere il mastio centrale, otto torri laterali, ed una cinta muraria lunga circa un chilometro, che racchiude abitazioni del borgo medioevale. Fuori dalle mura del Castello, nella collina che degrada verso Sardara, era insediato parte del borgo intorno alla chiesa di San Michele Arcangelo ossia Santu Miali, principe delle Celesti Milizie, al quale si rivolgevano devotamente i soldati di Arborea per beneficiare della sua protezione, e della quale non rimagono oggi altro che pochi ruderi. Il Castello è stato di recente parzialmente restaurato, ed oggi sono ben visibili, sulla cima del colle, le possenti mura del mastio e parte dei resti dell’antico borgo medievale. I resti del Nuraghe complesso di Ortu ComiduDa Sardara, prendiamo la SP62 che prosegue verso sud ovest in direzione di San Gavino Monreale, la seguiamo per cinquecento metri e prendiamo il raccordo che ci porta sulla SS131 di Carlo Felice, che si dirige verso Sanluri. Seguita per quasi due chilometri e mezzo, prendiamo l’uscita seguendo le indicaziono per Villanovaforru, che ci porta sulla Strada Vicinale di San Gavino. Percorsa per circa duecento metri, prendiamo la deviazione tutta a destra, la seguiamo per seicentocinquanta metri e prendiamo una sterrata sulla destra che, in circa settecento o ottocento metri, ci fa vedere sulla destra i resti del Nuraghe di Ortu Comidu un Nuraghe complesso trilobato, sito a 138 metri di altezza all’interno di una proprietà privata. Si tratta di un Nuraghe complesso con la torre centrale del diametro di dodici metri, un cortile con un pozzo, ed almeno tre torri laterali collegate con quella centrale. Lo scavo di questo Nuraghe è stato effettuato dall’archeologo Antonio Taramelli nel 1918, ed è, in seguito, ripreso da Michael Balmuth nel 1975, nel 1976 e nel 1978, come parte di un progetto che aveva lo scopo di esplorare le prime lavorazioni dei metalli sardi. Alcuni manufatti recuperati, soprattutto ceramiche, che provengono sia dall’interno che dall’esterno del Nuraghe, sono esposti nel Museo Archeologico Villa Abbas. La frazione Cantoniera di Sardara con l’omonima casa CantonieraRipresa la SS131 di Carlo Felice, proseguiamo per due chilometri e trecento metri, e vediamo, all’altro lato della strada, la casa Cantoniera di Sardara, che si trova all’interno della frazione Cantoniera di Sardara (altezza metri 140, distanza in linea d’aria circa 12.8 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti), situata ai confini tra la Provincia di Sardara e quella di Sanluri. Dato che ci troviamo su una strada statale a due corsie, non è possibile attraversare, e quindi, per raggiungere la casa Cantoniera, dobbiamo proseguire per poco più di tre chilometri, dove si trova lo svincolo che permette l’inversione di marcia, edeffettuare il ritorno in direzione di Sardara. I ruderi della chiesa campestre di Santa Caterina di AlessandriaDal centro di Sardara prendiamo la via Campania, che porta agli impianti sportivi comunali di via Campania, e, passati gli impianti, questa strada esce dall’abitato. Percorso un chilometro ed ottocento metri, la strada incrocia la SP52, passiamo l’incrocio e proseguiamo dritti sulla strada che assume il nome di Strada Comunale Sardara Villamar. La percorriamo per due chilometri e quattrocento metri, dove la strada diventa bianca, e troviamo un sentiero sulla sinistra che, dopo meno di un centinaio di metri porta a vedere alla sinistra, sul prato, un’area cespugliosa, che si trova proprio sopra i pochi ruderi della chiesa campestre di Santa Caterina di Alessandria. Dell’antica chiesa non rimane quasi nulla. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, proseguiremo la visita dell’interno della Marmilla. Ci recheremo a Villanovafranca per visitare il centro abitato ed i suoi dintorni dove si trova l’importante complesso nuragico su Mulinu. |