Aritzo famosa per il commercio della neve e per aver dato i natali al poeta barbaricino Bachisio Sulis
In questa tappa del nostro viaggio proseguiamo la visita della Barbagia di Belvì recandoci ad Aritzo paese reso famoso dal commercio della neve e per il sorbetto al limone chiamato Sa Carapigna, oltre che per avere dato i natali al poeta barbaricino Bachisio Sulis, che viene chiamato Bachis Sulis. La regione storica della Barbagia di BelvìLa Barbagia di Belvì (nome in lingua sarda Barbàgia de Brevìe), chiamata anche Barbagia centrale, è una regione storica della Sardegna centrale. Corrisponde alla parte centrale della Barbagia e si trova tra le regioni del Mandrolisai a nord, il Sarcidano e la Barbagia di Seulo a sud. In periodo giudicale ha fatto parte del Giudicato d’Arborea del quale costituiva una Curatoria, che veniva chiamata Curatoria della Barbagia di Meana, da nome dell’omonimo paese. È una delle regioni della Barbagia che fu meno sottoposto all’egemonia dei feudatari, a parte qualche tentativo sfociato in insurrezioni popolari. Fino alla metà del 1700 il paese chiamato Belvì era, infatti, governato da un rappresentante scelto tra i capifamiglia. della Barbagia di Belvì fanno parte i comuni di Aritzo, Belvì, Gadoni e Meana Sardo. In viaggio verso AritzoDa Belvì prendiamo via Roma, è questo il nome che assume all’uscita dal paese la SS295, verso Aritzo. Procediamo in un paesaggio di folte foreste, lungo le falde del Gennargentu. Dal Municipio di Belvì a quello di Aritzo abbiamo percorso solo 2,4 chilometri. Il comune chiamato Aritzo che è il paese del commercio della nevePochi chilometri separano Belvì da Aritzo (nome in lingua sarda Aritzu, altezza metri 800 sul livello del mare, abitanti 1.223 al 31 dicembre 2021), l’ottavo paese più alto della Sardegna, il più importante centro della Barbagia di Belvì che sorge nella parte meridionale della Provincia di Nuoro, alle pendici della Punta Funtana Congiada, una punta che si trova sui monti di Gennargentu, ed è attraversato dalla SS295 proveniente da Tonara. Aritzo è molto conosciuto in Sardegna e nel continente soprattutto come centro di villeggiatura montana sia estivo che invernale, vista la posizione strategica ai piedi del monte Gennargentu, a 800 metri sul livello del mare. Origine del nomeIl nome del paese si caratterizza per il digramma TZ, ossia per la sequenza di due lettere che identificano graficamente il fonema indipendente dal valore fonologico singolarmente assunto dalle lettere che lo compongono, che si trova frequentemente nella lingua sarda, il quale viene interpretato come una Z sorda. L’origine del nome del paese è poco chiara, probabilmente preromana, e sono da escludere le interpretazioni che vedono il nome derivato della voce fenicia Haratz, ossia Forte, Sicuro, oppure Arutz, ossia Fosso, Valle. Secondo il linguista Massimo Pittau il nome proEd è, infatti, da osservare come Aritzo sia tuttora circondato da castagneti, per cui sarà stata notevole in origine l’abbondanza di ricci di castagne in tutto il sito. La sua economiaL’economia di Aritzo è basata sulla coesistenza delle attività agricole, industriali e commerciali. Il settore primario dell’economia di Aritzo è dato dalla coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, ulivi, viti e altri alberi da frutta. Nell’economia locale è presente anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’industria fa registrare una discreta produttività, ed interessa i settori estrattivo, dei materiali da costruzione, edile e della produzione e distribuzione di energia elettrica. Interessante è l’artigianato, in particolare quello specializzato nella produzione di cassapanche intagliate. La produzione locale comprende soprattutto il torrone sardo, del quale con Tonara e Desulo anche Aritzo è considerata una delle patrie, i formaggi caprini ed i tipici biscotti, che costituiscono una variante sarda dei savoiardi. Il terziario si compone di una buona rete distributiva. Nel paese si possono inoltre ammirare una collezione di cascie, cassapanche in legno, prodotte con il legno di castagno dai famosi maestri di Aritzo, adibite a conservazione di pane e biancheria. Nel passato ad Aritzo si commerciava anche la neve che, dopo essere stata raccolta nelle neviere, appositi contenitori, veniva utilizzata dai cosiddetti niargios, gli uomini della neve, durante l’estate per produrre un caratteristico sorbetto al limone denominato in lingua sarda Sa Carapigna. Gli Aritzesi sono stati a lungo famosi come venditori ambulanti, oltre che di neve, anche di castagne, che giravano in tutta l’Isola. Aritzo , infatti, conosciuta in territorio regionale anche per la grande produzione di castagne, e celebra questo primato con una sagra annuale. Le creste frastagliate del Gennargentu, formate da caratteristiche scisti, costituiscono una forte attrazione per numerosi turisti, sia d’inverno sia d’estate. Aritzo è stata ed è, ancora oggi, il principale centro del turismo interno della Sardegna, il paese viene, infatti, invaso da un esercito di turisti, sia nei mesi estivi per visitare gli splendidi dintorni, che d’inverno. I suoi paesaggi montani presentano, infatti, un notevole valore naturalistico, con la presenza di foreste di lecci, roverelle, aceri, agrifogli, ginepri e tassi, nonche di una ricca fauna, con numerosi esemplari di mufloni. Brevi cenni storiciIl suo territorio è abitato fino dall’età preistorica, come è testimoniato dalla presenza sul territorio di alcune domus de janas e di una tomba dei giganti del successivo periodo nuragico. Diventa poi un centro punico, dato che in regione Gidilau sono stati trovati dei depositi con monete puniche e una tomba con oggetti in bronzo, che sono oggi custoditi nel Museo Nazionale Archeologico di Cagliari. In epoca medievale appartiene al Giudicato di Arborea, nella curatoria della Barbagia di Meana. Nel 1420, alla caduta del giudicato, passa sotto il dominio aragonese in seguito alla guerra sardo-Catalana. Nel 1478 viene inglobata nella contea di Santa Sofia, di cui segue le vicende storiche. Sotto gli Aragonesi viene incorporato nel marchesato di Oristano, che fa parte della signoria della Barbagia di Belv , feudo regio. Vivide testimonianze di questa dominazione Aritzo le conserva nell’edificio chiamato la Bovida, un antica prigione spagnola del seicento, tanto inquietante quanto ricca di fascino. Rimane feudo regio fino al 1840 quando viene riscattato alla famiglia Lostia che erano gli ultimi feudatari, per diventare un comune amministrato da un sindaco e da un consiglio Comunale. Durante il regno d’Italia, del comune di Aritzo nel 1927, dopo la creazione della Provincia di Nuoro, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. In età recente vi si svolge il commercio della neve, che serve per produrre gelati, e viene trasportata da Aritzo in tutta l’Isola. Alcuni dei principali personaggi che sono nati ad AritzoAd Aritzo sono nati diversi banditi ottocenteschi, primo fra tutti Giuseppe Manca detto Ballellu; in seguito Bachisio Sulis detto Bachis, chiamato il bandito poeta; e, successivamente, il bandito Liberato Onano, detto Liberau, inseparabile compagno di Michele Moro detto Tottacorte, un altro grande fuorilegge di Gadoni. Nel novecento, invece, il paese non è più salito alla ribalta della cronaca nera dimostrandosi, in alcuni periodi, una vera e propria eccezione nella zona, tormentata da problemi legati alla piaga dell’abigeato e della violenza del mondo pastorale. Ad Aritzo è nato anche Antonio Mura, apprezzato ritrattista e incisore tra i migliori artisti sardi del novecento. Nell’ottocento Aritzo era paese di banditi famigerati, primo fra tutti Giuseppe Manca detto Ballellu, il quale, terrorizzando le regioni montane, dominava e si imponeva alle popolazioni locali. Catturato alla fine della sua latitanza, egli verrà impiccato sulla piazza principale del paese di fronte a tutti gli uomini della sua banda, i quali dovranno baciare il piede della forca prima di essere condotti al carcere a vita. |
Il poeta Bachisio Sulis detto Bachis e chiamato il bandito poeta, nasce ad Aritzo nel 1795. Di corporatura snella, veste signorilmente ed usa come copricapo la berretta sarda. regolatissimo nel vivere, temperante e quasi astemio, il Sulis apre per tre anni la Scuola elementare di Aritzo per salvare i bambini dalla strada e dallo stato di ignoranza nel quale si trovavano, coltivando contemporaneamente la sua passione per la poesia. Le sue disavventure hanno inizio nel 1818 quando, a soli 23 anni, viene ingiustamente accusato di un attentato di cui era rimasto vittima un signorotto locale. Abbandonato il paese che già lo apprezza come poeta, si dà a dodici anni di latitanza, ed in questo periodo viene in contatto con i numerosi banditi. Proprio tra queste solitarie montagne e foreste egli entra in contatto con le formidabili bande dei banditi capitanate dal famigerato Giuseppe Manca detto Ballellu. Tra i banditi, vigeva in quel tempo, la regola che ogni bandito dovesse avere coscienza ed umanità verso i loro fratelli qualunque fossero le imputazioni che su ciascuno pesavano, ed è per questo, che spesse volte il Sulis nella sua latitanza ha numerosi incontri con il Ballellu, che gli chiede consiglio sul modo di poter liquidare i loro conti, essendo il Bachis un uomo di studi. Malgrado i prudenti consigli, raccomandandogli prudenza per non lasciasi cogliere all’improvviso, il Sulis assiste non direttamente alla cattura del Bellellu e dei suoi compagni proprio per la troppa fiducia che egli aveva concesso a quelle persone che gli stavano accanto, ed è per questo che Bachis Sulis ci ha lasciato una poesia sulla storia di questi banditi che nell’ottocento popolavano le campagne di Aritzo. Solo nel 1830 i suoi familiari riescono a farlo prosciogliere dalle false accuse, ed egli, a 35 anni, torna nel paese per riprendere la vita consueta. Probabilmente però alcune frequentazioni del periodo di latitanza riemergono, e in una notte del maggio 1838, a soli 43 anni, viene freddato da un colpo di fucile esploso per vendetta nel cortile delCasa Devilla da due acerrimi nemici, che la voce popolare ha additato in due desulesi, Frucone e Orbada, arrestati qualche anno prima proprio a causa del Sulis. Per lunghi anni, compresi quelli della latitanza, aveva coltivato la poesia ed aveva raccolto in un volume le sue composizioni. Molti versi erano diretti contro il potere ed anticlericali, ma c’erano anche poesie d’amore delicatissime, come Barigada si ch’est S’istella mia, ossia tramontata è la mia stella. Dopo la sua morte, la sorella Anna Vincenza si lascia subdolamente circuire ed intimidire dai preti che Bachis chiamava corvos, i quali, criticati nelle poesie per i loro rilassati costumi, le fanno pensare che se non avesse bruciato l’intera raccolta delle poesie autografate e datate, la sua vita sarebbe stata terribilmente minacciata dalla Santa chiesa. Anna Vincenza, purtroppo analfabeta perch , a quel tempo i governi non provvedevano all’istruzione femminile, dà in fiamme quella ricchezza che avrebbe meglio e pienamente chiarito le varie fasi della sua vita ma soprattutto avrebbe messo in luce lo stato morale e sociale di Aritzo e dei suoi tempi. Soltanto alla fine del secolo un suo nipote, Sebastiano Devilla, raccoglie quanto rimane dei suoi versi nella memoria di parenti e compaesani, e li fa pubblicare nel 1906, con il titolo Poesie Sarde di Bachisio Sulis. Nel 1995 con il contributo del comune di Aritzo per il bicentenario della sua nascita viene pubblicato il volume Bachis Sulis bandito poeta di Barbagia a cura di Tonino Mameli, dal quale sono tratte le poesie qui pubblicate. |
Ad Aritzo nasce nel 1848 Liberato Onano detto Liberau, un bandito di grosso calibro che rimane latitante per ben 21 anni. La sua carriera criminale ha inizio il 27 aprile del 1878, quando viene accusato di aver partecipato a una grassazione in banda armata. Il 12 marzo del 1881 gli viene contestato un tentato omicidio e dopo tre giorni un’altra grassazione in banda armata. Il 13 aprile 1882 gli viene attribuito uno stupro, ed, il 9 ottobre del 1883, un furto aggravato. Risale al 5 giugno del 1884 la prima accusa di omicidio, mentre il 7 giugno del 1886 una rapina in banda armata. Dopo sette anni viene accusato di un furto aggravato. Sulla sua testa viene posta una taglia di 5mila lire. Negli ultimi anni della sua latitanza Liberato Onano, mentre erra alla macchia nei salti fra la Barbagia di Belvì e il Sarcidano, diventa inseparabile compagno di Michele Moro detto Tottacorte, un altro grande fuorilegge di Gadoni, entrambi impegnati a sottrarsi ai diversi mandati di cattura emessi dai pretori di Aritzo, Isili e Seui, e con lui commette una lunga serie di crimini. Si consegnano tutti e due il 26 agosto del 1899, su consiglio del loro amico don Antonio Arangino di Aritzo, il più grande proprietario della regione, nella località dei salti di Aritzo chiamata Gardesi, ai Carabinieri del capitano Manai e dei tenenti Carnesecchio e Meloni. Il primo processo, celebratosi a Cagliari l’1 ottobre del 1900, si conclude con una condanna a 9 anni di reclusione per una serie di furti, ricettazione e associazione a delinquere, ed il 17 novembre dello stesso anno viene condannato all’ergastolo per concorso, insieme a Michele Moro, nell’omicidio di Salvatore Boi Poddi. Liberau morirà in carcere. La loro vicenda ispirerà le poesie di Giovanni Filippo Pirisi Pirino e di Sebastiano Satta, versi che ebbero larga fama e indubbiamente servirono a perpetuarne l’aura leggendaria e il ricordo popolare anche dopo la loro scomparsa. |
Ad Aritzo nasce nel 1092 Antonio Mura, pittore, apprezzato ritrattista e incisore tra i migliori artisti sardi del novecento. Dopo aver frequentato il Liceo Classico a Cagliari, si trasferisce a Roma, dove frequenta la reale Accademia di Belle Arti e i corsi liberi del nudo all’Accademia Inglese. Gli anni romani sono significativi nella sua formazione anche per la frequentazione di alcuni luoghi fondamentali dell’arte, dai Musei Vaticani al Museo di Valle Giulia, dal Museo Borghese a Villa Torlonia. Successivamente compie viaggi e soggiorni di studio a Firenze, Venezia, Milano. Artista completo, sia per preparazione professionale che per adeguata cultura, si distingue nell’esecuzione di opere sacre, seguendo la sua ispirazione profondamente religiosa. Tra le sue opere più importanti si ricordano le grandiose pale d’altare realizzate in un arco temporale di ventotto anni, dal 1942 al 1970, e si trovano oggi in varie Chiese, otto a Cagliari, cinque ad Oristano, tre ad Aritzo, due a Roma, e le rimanenti in altre Chiese della Sardegna. muore a Firenze nel 1972, a seguito di un’operazione chirurgica eseguita in condizioni ormai disperate. |
Le principali principali feste e sagre che si svolgono ad AritzoAd Aritzo è attivo il Gruppo Folk Texile nato intorno alla fine degli anni sessanta del novecento, composto da numerosi giovani del paese desiderosi di riprendere le vecchie tradizioni popolari ormai perdute, che prende il nome da un tacco calcareo posto frontalmente all’abitato diventato ormai simbolo del paese, e nelle principali feste e sagre che si svolgono ad Aritzo e negli altri paesi alle quali partecipa, è possibile assistere all’esibizione del costume tradizionale del posto. È, inoltre, attivo il Coro Polifonico Bachis Sulis nato nel 1985 ed intitolato appunto a questo poeta assai importante nella storia del paese, autore di bellissime poesie ancora oggi cantate a cuncordu ed a tenore, che si presenta oggi con un organico di una trentina di elementi ed è diretto dal maestro Michele Turnu. Alle feste aritzesi accorre da ogni parte della Barbagia e dell’isola un grandissimo numero di visitatori. Tra le tradizionali principali feste e sagre che si svolgono ad Aritzo si segnalano, il 17 gennaio, la Festa di Sant’Antonio Abate, con l’accensione la sera della vigilia del grande falò in piazza de S’Erriu; a marzo, la festa per il Carnevale con la pentolaccia per i bambini, e alla fine dei festeggiamenti la zeppolata finale; l’8 maggio la Festa di San Michele, che è il Santo patrono del paese; il 24 giugno, la Festa di San Giovanni con i riti della notte di San Giovanni propiziatori della buona sorte tra scienza e tradizione; il 5 agosto la Festa di Santa Maria della Neve. Sono da segnalare, inoltre, la prima domenica di settembre la Festa di San Basilio; dal venerdì all’ultima domenica di ottobre la rinomata Sagra delle Castagne e delle Nocciole alla quale accorrono oltre tremila visitatori; e la seconda domenica di agosto la Festa di Sant’Isidoro con la Sagra de Sa Carapigna, con degustazione del tipico sorbetto sardo. La Festa di San BasilioLa tradizionale Festa di San Basilio, che accomuna al ricordo di questo Santo anche il ricordo di San Demetrio e di San Nicola, si celebra ogni anno ad Aritzo nella prima domenica di settembre. Fino alla fine degli anni cinquanta del novecento è stata la più grande Festa veramente popolare, con la quale si dava l’addio ai pastori in procinto di affrontare le fatiche della transumanza verso il Campidano. Ancora oggi, in piazza de S’Erriu, si organizza Su Pinnone, ossia l’albero della cuccagna, al quale seguono molti altri giochi come ad esempio, la corsa nei sacchi. Seguono la processione in costume, i gosos che sono gli antichi canti sacri di origine spagnola, oltre ad esibizioni di musica tradizonale e moderna. La Sagra delle Castagne e delle NoccioleOgni anno, dal sabato all’ultima domenica di ottobre, ad Aritzo si tiene la Sagra delle Castagne e delle Nocciole, che è una vera e propria fiera dei prodotti della montagna di Aritzo, conosciuto da sempre come il paese dei parchi e delle castagne. La manifestazione arriva a contare fini a quasi 50mila visitatori nei due giorni festivi. Durante questa sagra vengono cucinate ed offerte le castagne, accompagnate dalla degustazione di vini novelli e dolci tipici. Durante la sagra, è anche possibile assistere a mostre dell’artigianato tipico locale, esposizioni di opere d’arte, spettacoli di musiche tradizionali e sfilate dei gruppi folkloristici. Il commercio della neve e la preparazione di Sa CarapignaAritzo è stata famosa, fino alla fine del novecento, per il commercio della neve e per la produzione del suo famoso sorbetto, chiamato Sa Carapigna. Nei suoi dintorni, in località Funtana Cungiada ossia fontana chiusa, nei canaloni dove d’inverno la neve si ammassava per effetto del vento formando le cosiddette Bigas, venivano edificate le Domos de su Nie, ossia le case della neve. Erano le neviere, pozzi profondi diversi metri sovrastati da muretti a secco. La neve veniva raccolta dai nevieri, i Niargios, con secchi e ceste, veniva pressavano nella neviera con appositi pali e ricoperta di paglia, felci e terra. Poi d’estate veniva raccolta, sotto forma di blocchi di ghiaccio, e trasportata nelle feste paesane di tutta la Sardegna, destinata principalmente alla produzione di un sorbetto al limone, antenato dell’attuale gelato, chiamato Sa Carapigna. Era tale l’importanza di questa attività che persino il pascolo del bestiame era proibito entro una certa distanza dalle neviere. alla fine dell’ottocento la raccolta della neve venne sostituita dall’importazione del ghiaccio dalla Norvegia e poi, dal 1920, dall’acquisto direttamente dalla prima fabbrica di ghiaccio che era stata aperta a Cagliari. La Carapigna viene prodotta utilizzando Su Barrile, un piccolo contenitore di legno riempito di ghiaccio e sale, nel quale viene inserita una sorbettiera contenente acqua, limone e zucchero. La sorbettiera viene fatta girare alternativamente in un senso e nell’altro, e dopo un’ora e mezzo o due ore il sorbetto è pronto... Il sabato che la precede e la seconda domenica di agosto, nel centro dell’abitato si tiene la Festa di Sant’Isidoro con la Sagra de Sa Carapigna, per la quale è prevista la preparazione e la degustazione dell’antico e famoso sorbetto al limone ottenuto con una particolare tecnica di conservazione della neve, ed anche la degustazione del torrone caldo e del miele di Aritzo. Durante la Festa si tiene anche l’esposizione dei diversi prodotti tipici dell’artigianato locale. Visita del centro di AritzoEntriamo in Aritzo provenendo da Belvì, e la SS295 entra nel paese da ovest. La strada statale assume, all’interno del centro abitato, il nome di corso Umberto I, un tempo chiamata via Centrale che è la principale via del paese, e che si sviluppa all’interno del suo centro storico, lungo tutto l’abitato, prima da ovest verso est, poi verso sud, fino a piazza S’Erriu. Dopo aver passato questa piazza, la strada statale assume il nome di via John Fitgerald Kennedy, e da qui in avanti si dirige verso sud ovest fino ad uscire dall’abitato. Nella descrizione che segue, vedremo tutte le principali caratteristiche del paese, e vedremo anche uno dei principali torronifici che hanno fatto di Aritzo una delle patrie del torrone sardo. Il Torronificio MaxiaArrivati poco dopo il cartello del chilometro 15.6 e passato il cartello di Benvenuti ad Aritzo, la SS295 prosegue lasciandosi a sinistra la collina sulla quale sorge la parte più moderna dell’abitato. Percorsi circa duecento metri dal cartello, prediamo tutta a sinistra una strada bianca in salita che prosegue con ampie curve e, percorsi circa duecentocinquanta metri lungo questa strada che ha assunto il nome di via Grazia Deledda, si trova sulla sinistra la breve deviazione, nella quale dopo appena una trentina di metri, al civico numero 7A, si trova la sede del Torronificio Maxia di Antonio Maxia. Nel 2014 è morto Michele Maxia, noto come Pippo Maxia, uno dei decani degli ambulanti aritzesi, che nei suoi quasi novant’anni di vita ha girato tutte le principali piazze della Sardegna contribuendo a diffondere il nome del torrone di Aritzo. Ed ancora oggi il figlio Antonio continua la tradizione familiare, che ha creato il Torronificio Maxia un torronificio ereditato da due generazioni, e quindi molto antico. Le macchine del torrone adoperate per la produzione sono infatti degli anni sessantotto e settanta, con i contenitori in rame e cottura a bagnomaria, come si usava una volta. Antonio prosegue anche nell’attività ambulante del padre, ed il suo torrone viene venduto specialmente al minuto. Oltre ai torroni, il torronificio Maxia produce anche croccanti e praline. |
Il Cimitero Comunale di AritzoPassata la deviazione che ci ha portati al Torronificio Maxia, percorso un altro centinaio di metri la via Grazia Deledda continua sulla via Sebastiano Satta, mentre prendiamo a destra la via Antonio Mura e la seguiamo trovando sulla sinistra le prime abitazioni di Aritzo. Percorsi altri circa settecentocinquanta metri lungo la via Antonio Mura, arriviamo alla piazza della pace, dove parte verso sinistra una strada in cemento in salita che si chiama via Is Alinos, mentre la via Antonio Mura proseguirà con il nome di via Nuova e con lo stesso nome parte subito prima della piazza una strada che si dirige tutta a destra. Qui, subito prima della partenza a sinistra della via Is Alinos, si affaccia alla sinistra della via Antonio Mura il cancello di ingresso del Cimitero Comunale di Aritzo. La Palestra ComunalePrima di arrivare con la via Antonio Mura nella piazza della pace, prendiamo tutta a destra la via Nuova e la seguiamo per circa duecento metri, fino ad arrivare all’ingresso dell’Istituto Tecnico Commerciale Antoni Maxia. All’interno di questo complesso scolastico è presente la Palestra Comunale di Aritzo, dotata di tribune in grado di ospitare 150 spettatori, nella quale è possibile praticare come discipline le attività ginnico motorie, il calcetto ossia il calcio a cinque, la pallacanestro, e la pallavolo. Lungo il corso Umberto I si incontano le prime case di AritzoPercorsi circa duecento metri dal cartello di Benvenuti ad Aritzo, dopo aver visto partire tutta a sinistra la strada bianca in salita che assumerà il nome di via Grazia Deledda, la SS295 assume il nome di corso Umberto I. Percorsi circa trecento metri lungo il corso Umberto I, subito dopo il cartello del chilometro 16.1 si incontrano le prime case del centro abitato di Aritzo. Caratteristica del Centro storico del paese sono, nelle viette interne, le antiche case realizzate in scisto. Nel corso e nelle vie trasversali possiamo vedere alcune abitazioni tipiche, quasi mai intonacate, senza cortile nè pozzo. Hanno scalette esterne in legno per salire al primo piano, e larghi ballatoi di legno di castagno che circondano la facciata principale. Le case, molte delle quali costruite con le pietre di scisto, si affacciano le une sulle altre e formano stretti vicoli percorribili solamente a piedi. Gli impianti sportivi delle Scuole primarieDopo altri circa cinquecento metri lungo il corso Umberto I, svoltiamo leggermente a destra e prendiamo la via Guglielmo Marconi, alla destra della quale si trova l’edificio che ospita le Scuole primarie di Aritzo, un caseggiato degli anni cinquanta del novecento. Dietro l’edificio che ospita le Scuole primarie, si trova un Campo da Calcetto con fondo in erba artificiale, senza tribune per gli spettatori, nel quale è possibile praticare come discipline il calcetto, ossia calcio a cinque, e la pallavolo. È presente, inoltre, un Campo di pallacanestro con fondo in materiali sintetici vari, anch’esso senza tribune per gli spettatori, nel quale è possibile praticare come disciplina la pallacanestro. Il Municipio di AritzoEvitata la deviazione nella via Guglielmo Marconi, proseguiamo lungo il corso Umberto I per un’ottantina di metri, fino a trovare alla sinistra della strada, al civico numero 43, l’edificio che ospita il Municipio di Aritzo, nel quale si trovano la sede e gli uffici in grado di fornire i loro servizi agli abitanti del paese. Si tratta degli uffici presenti nell’Area Amministrativa e Sociale, che comprende l’Ufficio Servizi Sociali, l’Ufficio Demografico, l’Ufficio Elettorale, l’Ufficio Segreteria, e l’Ufficio Protocollo; nell’Area Finanziaria e Tributi, che comprende gli Uffici Finanziari, l’Ufficio Entrate Tributarie, e l’Economato; e nell’Area Tecnica, che comprende l’Ufficio Vigilanza, e l’Ufficio Tecnico. Casa Devilla che oggi ospita il Museo del castagno e della cassa intagliataPassato il Municipio, subito dal corso Umberto I parte sulla sinistra una scalinata che porta a un imponente ingresso il quale immette alla via Caserma, ed al civico numero 1 della via Caserma, arriviamo a visitare la Casa Devilla. Si tratta di una settecentesca casa padronale con all’interno importanti arredi e oggetti, che era appartenuta ad una famiglia che era stata molto influente dato che aveva in esclusiva la produzione del ghiaccio nei nevai del Gennargentu. Casa Devilla è un complesso architettonico che conserva intatto il nucleo originario, nonostante sia il risultato di varie fasi costruttive ed è impreziosito dalla ricchezza dell’intera casa, volta ad evidenziare il ruolo sociale dei Devilla nella comunità aritzese. L’edificio si affaccia un cortile a forma di trapezio, intorno al quale si posizionano i tre corpi di fabbrica componenti l’abitazione, sviluppata su tre livelli per una superficie totale di circa trecentocinquanta metri quadrati. La struttura è introdotta da un imponente ingresso in muratura costruito nel 1889. Da qui si accede ad un cortile la cui forma trapezoidale accentua l’effetto scenico, favorito dalla particolare percezione prospettica dello spazio. Nel cortile è apprezzabile il selciato di pietrame calcareo, attorniato da una serie di arcate a sesto ribassato, e struttura muraria superiore che chiudono lo spazio aperto della precedente balconata. All’interno si conservano gli orizzontamenti lignei, solai a cassettoni o a orditura semplice e, al piano più basso, vi è la presenza della neviera: un’ambiente ricavato nella roccia, al di sotto del solaio ligneo, con una grande botola, nel quale veniva gettato il ghiaccio nel periodo invernale, che serviva poi per la preparazione della granita da commercializzare in tutta l’Isola. Casa Devilla è stata il teatro dell’omicidio del poeta bandito aritzsese Bachisio Sulis, il quale è stato freddato per vendetta la notte del 13 maggio 1838 con un colpo di fucile nel cortile della casa. Attualmente Casa Devilla viene adibita ad ospitare il Museo del castagno e della cassa intagliata in legno di castagno, finemente intarsiata dagli artigiani locali, e che ospita inoltre una mostra permanente dell’artigianato e, occasionalmente, eventi di carattere letterario culturale. Le vecchie carceri spagnole Sa Bovida con la mostra dedicata alle BruxasA metà del corso Umberto I, a centocinquanta metri di distanza a sud del Municipio, tra il civico numero 44 ed il numero 46, partono in discesa le scalette di Sa Bovida, conosciute anche come via delle Carceri, che conducono tra le viuzze alle vecchie Carceri spagnole di Sa Bovida. Si tratta di un vecchio e massiccio edificio seicentesco di origine spagnola, interamente realizzato in pietra di scisto e legno di castagno, tanto inquietante quanto ricco di fascino, che è stato adibito a carcere fino agli anni quaranta del novecento. È caratterizzato da un sottopassaggio a volta a sesto acuto, appunto Sa Bovida, ed ha nel cortile interno una bella antica meridiana. Comprende un piccolo locale utilizzato come postazione di sorveglianza, due celle per le donne ed una terza cella, priva di qualunque apertura, per i prigionieri maschi. All’interno di queste carceri furono detenuti anche ufficiali francesi di Napoleone. All’interno delle vecchie carceri è custodita la Mostra dedicata alle Bruxas ossia alle streghe sarde, con inquietanti xilografie, alcune delle quali disegnate da Goya, che illustrano scene di sabba e sacrifici cruenti. Nella mostra sono esposti i classici strumenti della strega, ossia la bambola di stoffa per lanciare fatture a distanza, i falcetti, gli scapolari, i fili di lana usati per curare S’istriadura, ossia l’itterizia, la riproduzione della civetta, animale totemico della strega, il sanbenito ossia l’abito penitenziale che le condannate erano costrette a portare, le pozioni, i veleni, i medicamenti, le erbe, i calderoni, i mortai, e numerosi altri piccoli oggetti. Grande importanza è stata data agli strumenti di tortura che gli inquisitori usavano per estorcere la confessione agli imputati. La chiesa campestre di Sant’Antonio da PadovaDalle antiche carceri prendiamo verso nord ovest la via Guglielmo Marconi, che porterebbe fino alla Scuola elementare che ospita il Museo della Montagna Sarda o del Gennargentu che abbiamo già visitato. Percorsi centocinquanta metri lungo questa strada, arriviamo in piazza Sant’Antonio da Padova, ossia Pratza e Sant’Antoni e Jaria, da dove prendiamo a sinistra la via Sant’Antonio, il cosiddetto Carrone, che ci porta verso ovest fuori dall’abitato, di fronte alla chiesa campestre di Sant’Antonio da Padova. La chiesa, che è stata costruita nel quindicesimo secolo nella parte bassa di Aritzo, è un edificio dalle linee piuttosto semplici. Presenta, nella larga facciata, un modesto portone in legno sormontato da una finestra rettangolare con cornice. Al centro del tetto a capanna, con copertura in tegole, si trova un campanile a vela ad una sola luce dotato di campana. All’interno della chiesa si trovano un bell’altare in legno e diverse belle nicchie. La chiesa parrocchiale di San Michele ArcangeloNella visita del centro storico non può mancare, a metà di corso Umberto I, a centottanta metri di distanza a sud del Municipio, una puntata all’imponente chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo, che si trova al civico numero 143 del corso Umberto I, nella piazzetta chiamata Pratz ’e Cresia che si trova alla sinistra della scaletta Marianna Arangino. La parte più antica, risalente all’undicesimo o al dodicesimo secolo, è stata oggetto dl numerosi interventi, tanto che la struttura attuale si ritiene sia stata realizzata tra il quattordicesimo ed il quindicesimo secolo in stile tardo-gotico, e più volte rimaneggiata. La chiesa viene citata per la prima volta nel 1610, nei Quinque Libri, registri dei defunti presenti nell’Archivio Storico Diocesano di Oristano. Ma l’intervento che ne ha cambiato sostanzialmente lo stile risale agli anni tra il 1915 ed il 1919, che ha lasciato intatte le parti più antiche, ma ha conferito alla struttura eleganza e maestosità. Le parti più antiche, realizzate in trachite di Fordongianus, sono evidenti, all’esterno, sia nella torre campanaria sia nella facciata principale. Nella torre campanaria sono presenti la campana grande del 1605, la campana de S’Iscola del 1651, la campana de Sa Piedade del 1736, la campana de Sa Cheda del 1855. La chiesa parrocchiale di Aritzo si presenta, oggi, estremamente sobria ed elegante nelle sue linee architettoniche, la composta facciata e le finestre strombate distribuite lungo le navate, ed il suo bel campanile. La facciata principale, modificata e realizzata in stile neoromanico, presenta un paramento murario in trachite rosa locale faccia a vista e un grande rosone, in trachite lavorata che, sovrasta la porta principale. Sopra il portale d’ingresso, si può ancora vedere, sbiadito dal tempo e dalle intemperie, l’affresco di San Michele Arcangelo a cui è stata dedicata la chiesa nel 1745, opera del pittore Antonio Ghisu di Cagliari, eseguito nel 1919. La chiesa è a navata unica con tre cappelle laterali per lato. La struttura portante in pietra locale e cemento armato e la copertura è sorretta da pilastri e archi. Ad oggi solo l’arco della Cappella del Battistero ha la pietra a vista, mentre le campiture murarie sono intonacate e pitturate senza elementi decorativi. L’ampio presbiterio, sopraelevato, è voltato a crociera con costoloni lapidei, e presenta anch’esso due grandi cappelle laterali. Sul presbiterio l’altare maggiore in marmi misti policromi, opera di Domenico Franco di Cagliari, realizzato fra il 1812 e il 1816, con basamento formato da mensa più tre ripiani a gradinata sovrapposti, che nella nicchia centrale ospita la statua in marmo policromato di San Michele Arcangelo, titolare della chiesa, fiancheggiata da due colonnine e da putti. In alto sopra l’altare e ai lati del medesimo, l’arco e i capitelli a fregi del quattrodicesimo secolo, mentre dietro l’altare l’abside con volta a crociera, costoloni e chiave della volta con bassorilievo di San Michele Arcangelo. Nell’area del presbiterio è attualmente collocato il pregevole organo a canne del 1739, restaurato di recente. All’interno, superata la bussola, realizzata nel 1934, sulla sinistra la prima cappella, dedicata in antico a Sant’Antonio Abate, ospita ora le tombe di Antonio Arangino e della moglie Marianna Vargiu, i quali hanno provveduto a sostenere le spese del restauro della chiesa del 1914. Segue, sempre sulla sinistra, la Cappella del Sacro Cuore nella quale, sotto la mensa dell’altare, è visibile il simulacro della Beata Vergine Dormiente, Nostra Segnora ’e Mesaustu. La terza Cappella ospita la statua di San Francesco. Più nascosta la Cappella di San Giuseppe, che chiude la navata. Nella navata di destra, a fianco del presbiterio, si incontra per prima la Cappella di San Cristoforo, con la statua di San Cristoforo con il Bambino, alta un metro e novanta, che colpisce per la sua forte carica espressiva. È opera in legno policromo datata 1606, attribuita al napoletano Antonio Gallo, e viene considerata una delle più belle statue del seicento in Sardegna, che veniva portata in processione per propiziare la pioggia, ed il rito consisteva, oltre alle preghiere, nella immersione della statua nell’acqua. Si trova poi la Cappella del Rosario. La Cappella successiva è dedicata alla Pietà, nella quale si trova il gruppo ligneo policromo della Pietà, opera di un ignoto intagliatore probabilmente napoletano del diciottesimo secolo e appartenente alla scuola di Giuseppe Sanmartino, che rappresenta la Beata Vergine Maria nell’atto di accogliere sulle sue ginocchia il Figlio appena deposto dalla croce. Questa Cappella viene indicata anche come Cappella dei Caduti, per via delle due lapidi posizionate sulle pareti, una a sinistra ed una a destra, che fanno memoria dei compaesani morti nelle due guerre mondiali. Dalla Cappella dedicata alla Pietà si accede anche alla torre campanaria. Per ultima si inconta la piccola Cappella del Fonte Battesimale, con la bella pila dell’acqua benedetta del sedicesimo secolo. In alto sopra la pila una lapide marmorea, in latino, ricorda l’anno della Dedicazione della chiesa avvenuta Solemni Ritu, con rito solenne. La chiesa ospita al suo interno anche diverse opere sacre del pittore aritzese Antonio Mura. Nella parete destra della Cappella del Sacro Cuore vi è una una tela del raffigura l’incontro di Gesù e Maria sulla via del calvario; nella Cappella di San Francesco la bellissima tela di Antonio Mura raffigurante Sant’Ignazio da Laconi, il francescano cappuccino, fratello laico; nella Cappella di San Giuseppe è collocata la pala d’altare raffigurante il crocifisso, altra opera insigne di Antonio Mura del 1944; nella Cappella del Rosario è presente un’altra grande tela di Antonio Mura del 1968 nella quale rivive la bellezza e la maestà del volto della Beata Vergine Maria e in quella dei Santi Domenico e Caterina e di papa Giovanni XXIII, mentre arricchiscono la Cappella altre due opere minori del Mura, sul lato sinistro la Cena di Emmaus e sul lato destro una drammatica Deposizione dalla croce. Nella sacrestia si trovano interessanti arredi lignei ed anche altre statue di notevole pregio. L’8 del mese di maggio a Belvì si celebra la Festa di San Michele Arcangelo, che è il Santo patrono del paese, con riti religiosi e con le manifestazioni civili che coinvolgono tutta la popolazione. Le due laste marmoree con i nomi dei Caduti della Prima Guerra MondialeAll’interno di un cortile adiacente alla chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo è oggi conservata la coppia di semplici lastre marmoree sul cui corpo sono incisi i nomi e il grado militare dei soldati caduti. Mancano le cornici originarie che contenevano le lastre, e soltanto una di esse accoglie un elemento decorativo in bronzo, una lampada votiva con serto di quercia. Le due lastre marmoree erano collocate, originariamente, sulle pareti della Cappella dedicata alla Pietà nella chiesa parrocchiale di Aritzo, come risulta da una foto d’epoca. Nel 1965 sono state rimosse dalla Cappella della Pietà, e sono state sostituite da più moderne lastre in travertino con lettere applicate in bronzo, che oggi sono posizionate sulle pareti della cappella. Il murale che rappresenta la figura leggendaria di Bachisio SulisPassata la chiesa, alla sinistra del corso si trova la piazzetta nella quale sbocca la via Antonio Arangino, nota un tempo come Pratza' è Dagheddhu, che è la prosecuzione della via Bachis Sulis. Nella piazza, sul lato sinistro si trova l’abside posteriore della chiesa, mentre sul lato destro possiamo ammirare il notevole murale realizzato nel 1995 del pittore Mauro Angiargiu, di Sanluri ed oggi residente a Lanusei, che rappresenta la figura leggendaria di Bachisio Sulis, bandito poeta che morì nel 1838 dopo una breve vita leggendaria e travagliata. La piazza Bastione e BelvedereA destra della piazzetta nella quale sbocca la via Arangino, al lato destra del corso Umberto I, si trova la bella Piazza Bastione e Belvedere, nota anche come Pratza ’e su Bastione, nella quale si svolgono numerosi eventi e manifestazioni, e dalla quale si possono ammirare tutti i dintorni di Aritzo, con lo sguardo che spazia fino al Tacco su Texile, che descriveremo più avanti. Il Monumento ai CadutiPartiamo dalla piazza Bastione e Belvedere e proseguiamo verso sud lungo il corso Umberto I per circa una ventina di metri e, subito dopo il civico numero 52, si apre alla destra della strada la piazza dei Caduti, un’ampia piazza nella quale è presente il Monumento ai Caduti di Aritzo nelle due guerre mondiali. Il monumento è rappresentato da una statua in marmo, che rappresenta un soldato che sostiene un compagno caduto. Ogni anno in occasione dei festeggiamenti del 4 Novembre la sezione dei Combattenti e Rduci di Aritzo commemora i Caduti in guerra. Dopo la Santa Messa celebrata nella chiesa parrocchiale e la deposizione di due piccole corone di alloro sulle lapidi presenti nella Cappella dedicata ai Caduti, ci si reca in corteo nella piazza presso il Monumento ai Caduti, dove viene deposta una corona di alloro per ricordare il sacrificio dei compaesani ed i valori della pace. Il Museo dedicato ad Antonio MuraPassata la piazza dei Caduti, proseguiamo per un centinaio di metri verso sud lungo il corso Umberto I finché, arrivati poco di fronte al civico numero 72, prendiamo alla sinistra la deviazione nella via Alberto Lamarmora, che è una stretta strada in salita che porta nella parte alta del paese di Aritzo. Presa la via Alberto Lamarmora, la seguiamo per una cinquantina di metri e, subito dopo che parte a destra la via Funtana Tolu, si apre sempre sulla destra della strada uno slargo chiamato Pratz ’e Iscola. Nello slargo, alla sinistra al civico numero 14 della via Alberto Lamarmora che è anche il numero 1 della Pratz ’e Iscola, all’interno di un edificio che un tempo ha ospitato dopo la Scuola anche il vecchio Municipio di Aritzo, si trova il Museo dedicato ad Antonio Mura, l’apprezzato ritrattista e incisore di Aritzo che viene oggi considerato uno tra i migliori artisti sardi del novecento. Il cosiddetto Castello AranginoSubito dopo la via Alberto Lamarmora, lungo il corso Umberto I al civico numero 78, si trova l’ingresso principale del cosiddetto Castello Arangino, fatto costruire in stile medioevale nel 1917 dal cavalier Vincenzo Arangino, ed appartenente alla famiglia estintasi nel 1954 per un tragico fatto di sangue. Circa quattro anni prima, il 15 gennaio 1950, Vincenzo e suo figlio sono caduti vittime di un agguato, dato che mentre si trovavano su un auto di ritorno verso Aritzo, i due sono stati attaccati da alcuni uomini armati di moschetto. Dopo aver archiviato l’ipotesi di rapina, le autorit hanno decretato come unica pista possibile quella di una vendetta. Si tratta di un imponente ed elegante palazzo in pietra che rientra nel modello del Castello di tipo medioevale in stile neogotico, esempio di eclettismo architettonico, con eleganti interni arricchiti di splendidi arredi e decorazioni ornamentali. L’edificio presenta una forma a L, con un prospetto principale sul corso Umberto I, ed è a pianta asimmetrica. L’edificio è alleggerito grazie alle aperture e alla loggia, sostenuta sui lati da mensole e piccole colonne. L’ingresso dell’edificio, sulla cui parte destra svetta un elegante balcone con copertura tegolata, sovrastato da un arco a sesto acuto e consente di accedere all’atrio scoperto. Quest'ultimo è delimitato da un cancello in ferro battuto realizzato da artigiani locali, dominato da una piccola tettoia in tegole sorretta, a sua volta, da 2 colonnine decorative, ed arricchito da archi a sesto acuto con aperture rettangolari. Una volta entrati all’interno del cortile, una scalinata permette di entrare nel palazzo, sostenuto da archi a sesto acuto decorati da merlature alle estremità . Dentro la struttura, sono presenti decorazioni ornamentali a stucco e arredi di straordinaria ricchezza. In passato, il complesso ospitava anche un parco con vari esemplari botanici. La piazza de S’ErriuPassato il Castello Arangino, proseguiamo verso sud lungo il corso Umberto I che, dopo un centinaio di metri dall’incrocio con la via Alberto Lamarmora, termina per poi proseguire con il nome di viale John Fitzgerald Kennedy. Proprio al termine del corso Umberto I, alla destra della strada ed un poco più in basso rispetto ad essa, si sviluppa l’ampia Piazza de S’Erriu, molto importante per gli abitanti del paese dato che è la piazza nella quale si svolgono le principali feste e manifestazioni di Aritzo. Tra l’altro, è proprio in piazza S’Erriu che la prima domenica di settembre viene piantato Su Pinnone, ossia l’albero della cuccagna, durante la celebrazione della Festa di San Basilio. Il Parco Comunale Pastissu con i suoi impianti sportiviDalla piazza de S’Erriu prendiamo la prosecuzione del corso Umberto I che diventa il viale John Fitzgerald Kennedy, lo seguiamo per circa settecentocinquanta metri e vediamo, alla sinistra della strada al civico numero 25, l’ingresso del Parco Comunale Pastissu, un parco urbano che racchiude una porzione di bosco originario di questa zona della regione storica della Barbagia, al cui interno si trovano piante di castagno, roverella, leccio, agrifoglio e pino. Il parco è attrezzato con fontanelle e tavoli, è inoltre presente un’area giochi per bambini. All’interno dell’area del Parco Comunale Pastissu si trovano gli impianti sportivi Pastissu, che comprendono un Campo da Tennis, che non è dotato di tribune per gli spettatori; ed anche un Campo da Calcetto presente all’interno di una tensostruttura contenitiva, con fondo in erba sintetica, che è dotato di tribune in grado di ospitare 150 spettatori, nel quale è possibile praticare come disciplina il calcetto, ossia il calcio a cinque. Nel Parco Comunale Pastissu si trova l’Ecomuseo della Montagna Sarda o del GennargentuAll’interno dell’area del Parco Comunale Pastissu si trova l’Ecomuseo della Montagna Sarda o del Gennargentu, che ospita un patrimonio straordinariamente ampio e variegato delle attività più rappresentative della cultura barbaricina. Il percorso museale si articola in due sezioni. La prima ospita una Rassegna di costumi tradizionali maschili e femminili e una collezione di maschere ferine locali quali Su Mamutzone, S’Ulzu ossia l’orso, Sa Maltenica ossia la scimmia, e Su Boe ossia il bove, tutte realizzate con pelli di capra o di pecora. Nell’altro spazio è esposto il materiale che racconta tutta la cultura agricola e pastorale di un popolo, ed in esso troviamo gli attrezzi del contadino, del boscaiolo, del falegname, del pastore, del fabbro e del bottaio, ma anche gli oggetti relativi alla tessitura, all’artigianato ed alla sfera magica e religiosa. All’interno sono presenti oltre tremila reperti, che ci fanno conoscere la cultura artigianale, la lavorazione del ferro battuto, del legno e delle cassapanche, la tessitura della lana, i campanacci. E soprattutto il commercio itinerante, dato che vi sono conservate le botti, i mastelli, le sorbettiere in stagno o zinco, necessari per preparare la Carapigna, l’antico sorbetto di Aritzo. Uscendo da Aritzo verso sudPassato in Parco Comunale Pastissu, la via John Fitgerald Kennedy esce dall’abitato e riprende il nome di SS295, per muoversi verso sud ovest e, dopo tredici chilometri, va ad immettersi sulla SS128 Centrale Sarda che collega Meana Sardo con Laconi. Visita dei dintorni di AritzoVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Aritzo di trova il Tacco su Texile, la chiesa campestre di Santa Maria della Neve, e diversi siti archeologici, tra i quali la domus de janas di Seilatzu; la Tomba di giganti di su Carraxione, e quella di Talanusè; il Protonuraghe o Nuraghe a corridoio di Sa Mecure, e quello di Sa Perda ’e su Costiu; il Nuraghe di su Carraxione. Il Tacco su TexileDal centro di Aritzo, seguiamo il corso Umberto I verso sud che, passata la piazza de S’Erriu, assume il nome di via John Fitgerald Kennedy e si dirige verso sud ovest assumendo il nome di SS295. A due chilometri e duecento metri dalla piazza de S’Erriu, troviamo la deviazione sulla sinistra per la strada Cossatzu-Tascusì, la evitiamo e proseguiamo dritti. Percorso un altro chilometro e cento metri, troviamo la deviazione sulla destra, indicata per l’oasi naturalistica Texile, e dopo poco più di un chilometro e mezzo arriviamo alla base del monumento naturale denominato Tacco su Texile. I tacchi sono aridi ed isolati altopiani che contribuiscono con il loro aspetto a rimarcare il carattere aspro del territorio, e da qualsiasi punto del paese si può vedere sopra una collina il Tacco su Texile, chiamato in lingua Meseddu de Texile, uno dei più noti tacchi che caratterizzano il paesaggio del sud della Barbagia e dell’Ogliastra. Il Tacco su Texile è un roccione calcareo di tipo dolomitico, che si trova a un’altezza di 975 metri sul livello del mare, con una caratteristica forma larga in alto e stretta alla base che lo rende simile ad un enorme fungo, che si erge solitario con pareti a strapiombo, in una zona fittamente ricoperta di boschi. La larghezza massima del tacco è di 70 e la minima di 50 metri, con una altezza relativa di 24 metri. Con la legge regionale numero 31 del 7 giugno 1989, il Tacco di Texile è stato riconosciuto monumento naturale. Per quanto rifuarda l’origine del suo nome, secondo il geografo Osvaldo Baldacci il termine Texile starebbe ad indicare un cocuzzolo isolato, e secondo Max Leopold Wagner deriverebbe da una voce certamente preromana. Ad avviso del linguista Massimo Pittau, invece, probabilmente aveva ragione Alberto la Marmora, che spiegava il nome come derivato da Setzili ad indicare un sedile, spiegazione questa accettata anche da Giovanni Spano. Dal popolo viene chiamato anche Sa Trona de Sant’Efis, ossia il pulpito di Sant’Efisio, dal quale il Santo avrebbe predicato la fede cristiana alle popolazioni barbaricine, con la conseguenza che, al momento della conversione, le valli e i colli circostanti si sarebbero ricoperti dei fitti castagneti che costituiscono tuttora una delle ricchezze della zona. La posizione del Tacco su Texile ha destato l’attenzione dell’uomo a partire dalla preistoria. recenti movimenti di terra hanno portato alla luce resti di muri incassati in una depressione naturale nel versante orientale del tacco, che delimitano un ambiente irregolare all’interno del quale sono stati rinvenuti frammenti ceramici riferibili all’Età del Bronzo e all’Alto e Basso Impero, che testimoniano una continuità d’uso del sito, punto di controllo di tutto il territorio circostante. Nell’area non mancano tracce di insediamenti dall’età neolitica a quella nuragica, e si ha notizia anche del rinvenimento presso di esso di una navicella bronzea nuragica. Nella località Gidilao, tra Aritzo e Belvì, è stato ritrovato un tesoretto di monete puniche, mentre presso il tacco ne è stato ritrovato uno di monete romane del I e II secolo dopo Cristo, attualmente conservato nel Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico Giovanni Antonio Sanna di Sassari. La fonte di Is AlinosDal centro di Aritzo, seguiamo il corso Umberto I verso sud che, passata la piazza de S’Erriu, assume il nome di via John Fitgerald Kennedy e si dirige verso sud ovest. A centoventi metri dalla piazza de S’Erriu, prendiamo sulla sinistra la via Marginigola, una stretta strada in salita che, dopo poco meno di un chilometro, si immette sulla strada Cossatzu-Tascusì, che prendiamo verso sinistra, ossia verso est. In novecento metri, subito prima della deviazione verso destra in direzione della chiesa campestre di Santa Maria della Neve, arriviamo a vedere, in una rientranza alla destra della strada, la Fonte di Is Alinos, che si trova vicino all’omonimo ruscello, ed è visitatissima sia per le proprietà diuretica delle sue acque che per la sua felice posizione panoramica. Potevamo arrivarci anche dal centro di Aritzo, seguendo il corso Umberto I verso sud che, passata la piazza de S’Erriu, assume il nome di via John Fitgerald Kennedy e si dirige verso sud ovest assumendo il nome di SS295. Proseguendo lungo la SS295 a due chilometri e duecento metri dalla piazza de S’Erriu, prendiamo la deviazione sulla sinistra nella strada Cossatzu-Tascusì, e dopo due chilometri e cento metri arriviamo a vedere, in una rientranza alla destra della strada, la fonte. Passata la fonte Is Alinos raggiungiamo il Campo Sportivo di AritzoSubito dopo la fonte di Is Alinos, passata le deviazione sulla destra in direzione della chiesa campestre di Santa Maria della Neve, in appena una cinquantina di metri arriviamo a vedere alla sinistra della strada il cancello che porta al Campo Sportivo di Aritzo. Si tratta di un Campo da Calcio con fondo in erba naturale, dotato di tribune in grado di ospitare circa cinquecento spettatori. La chiesa campestre di Santa Maria della NeveTra la fonte di Is Alinos ed il cancello di ingresso al Campo Sportivo di Aritzo, si trova la deviazione sulla destra in una stradina in salita che muove in direzione sud ovest, e che, dopo meno di un chilometro e mezzo, porta, in località di Serra Santa Maria, a vedere alla destra della strada la piccola chiesa di Santa Maria della Neve ossia Santa Maria ’e su Nie. Non si hanno notizie certe riguardo l’origine dell’antica chiesa che probabilmente risale al seicento, ma si sa che, alla fine dell’ottocento, il viaggiatore francese Gaston Vuiller la menziona nel suo itinerario in Barbagia. Col tempo la chiesa cade in rovina, ma la popolazione rimane legata a questo luogo, che si trova lungo il sentiero percorso sino al secolo scorso dai Niargios, i raccoglitori della neve. Perciò, in occasione del pellegrinaggio del 5 agosto del 1919, il Vescovo concede la ricostruzione dell’edificio, che viene benedetto nel 1925. Anche la chiesa ricostruita subisce l’abbandono, ma la popolazione non si rassegna e la fa ricostruire nella sua forma attuale. La nuova chiesa, realizzata interamente in pietrame locale di scisto, viene costruita tra il 2000 e il 2005 quale scioglimento di un voto, e viene benedetta il 5 agosto del 2007. Ha una struttura a capanna, con un porticato sul fianco sinistro, al quale in tempi recenti ne è stato aggiunto un altro analogo sul fianco destro, entrambi poggianti su pilastri realizzati in pietra locale. Sovrasta la facciata della chiesa, sempre sul fianco sinistro, un campanile a vela dotato di campana bronzea. Sul retro si trova una sacrestia costruita in tempi recenti. L’interno è improntato alla massima semplicità, ed è a navata unica. Le murature sono di pietra locale, i contorni degli infissi in mattoni di terracotta, ha una copertura a capriate di legno, e sul presbiterio, che è un semplice spazio rettangolare soprelevato di un gradino rispetto all’aula, si trova un massiccio altare in legno. Presso questa chiesa campestre si svolge, il 5 agosto di ogni anno, la Festa di Santa Maria ’e su Nie, che prevede un lungo pellegrinaggio della popolazione, dal paese di Aritzo fino alla chiesa campestre, presso la quale si svolgono le cerimonie religiose. I resti della Tomba di giganti di TalanusèSubito dopo aver visitato la chiesa di Santa Maria della Neve, prendiamo alla sinistra della strada una deviazione in una sterrata che seguiamo per poco più di due chilometri, fino ad arrivare in località Perda Istanagialoi, nelle vicinanze del rio Bau Alasi, in una zona interessata al pascolo e alla coltivazione. Qui, presa una stradicciola sulla destra, si arriva alla Tomba di giganti di Talanusè, edificata in granito a 873 metri di altezza, che conserva ancora la camera funeraria, di pianta rettangolare, costituita da conci ben sagomati disposti in filari regolari. Nelle immediate vicinanze, invece, sono visibili ancora dei blocchi che dovevano appartenere all’esedra. I resti della domus de janas di SeilatzuDopo i resti della Tomba di giganti di Talanusè, proseguiamo in direzione nord est per quattrocentocinquanta metri, a un bivio mantieniamo la sinistra, dopo quattro chilometri ed ottocento metri svoltiamo a sinistra, proseguiamo per un chilometro e duecento metri, fino ad arrivare in località Seilatzu, nei pressi del rio Corruda, nel punto dove, a destra della strada, si trova quello che resta della domus de janas di Seilatzu. Scavata su di una parete scistosa, si presenta in pessimo stato di conservazione. È molto semplice, con l’apertura a circa cinquanta centimetri da terra, nella parte sinistra completamente corrosa dagli agenti atmosferici. L’interno della cella, monocellulare, si presenta con una pianta irregolarmente ellittica e con andamento curvilineo. I resti del Protonuraghe Sa MecureProseguendo per altri cinque chilometri e duecento metri, arriviamo ancora più a sud est, quasi ai limiti del territorio Comunale di Aritzo al confine con quello della Barbagia di Seulo, dove si trova il Protonuraghe Sa Mecure, un Nuraghe a corridoio ascrivibile al tipo arcaico, edificato in granito a 903 metri di altezza. Il materiale per la sua costruzione, prevalentemente granitico, sembra essere stato scavato dallo stesso sperone roccioso a strapiombo sul Flumendosa, da cui si gode una visione eccezionale sugli altri Nuraghi presenti nella zona, che sono localizzati tutti verso ovest. I resti della Tomba di giganti di su CarraxioneA circa trecento metri in direzione nord dal Protonuraghe Sa Mecure, si trova la Tomba di giganti di su Carraxione, che si trova in buono stato di conservazione, ed è edificata in granito a 973 metri di altezza, posta più in alto rispetto allo sperone roccioso in cui è situato il Nuraghe. L’ingresso da accesso alla tomba rettangolare, lunga circa dieci metri e alta circa un metro e venti, costituita da conci ben sagomati e disposti a filari regolari. Sa Perda ’e su Costiu interpretati come i resti del Protonuraghe omonimoDi estrema importanza, su tale formazione, è possibile rilevare un singolo masso di granito di forma pressoché ellittica, di due metri e ottanta centimetri per due metri e venti, con uno spessore medio di circa quaranta centimetri, apparentemente non lavorato, e di forma schiacciata, a somiglianza di uno spesso lastrone. Questo macigno, apparentemente naturale, risulta invece essere stato portato sino all’attuale posizione, e stabilizzato mediante l’inserimento su uno dei lati di un piccolo concio, come una zeppa, per bloccarlo in posizione pressoché orizzontale. Secondo una prima interpretazione, si tratterebbe dei resti di un più imponente muro ciclopico, con evidente presenza in un breve tratto di un autentico paramento murario e di altre sparute tracce, che possono essere osservate anche tra i massi naturali del costone roccioso su cui è stato insediato questo masso. Doveva presumibilmente trattarsi dei resti di un Nuraghe, ipoteticamente del tipo arcaico, ossia del Protonuraghe Sa Perda ’e su Costiu, realizzato con massi di granito a 915 metri di altezza, ora prevalentemente crollati verso il basso, ad est del monumento. Il facile accesso della strada, quasi a ridosso del presunto Nuraghe, come la sua vicinanza ad una fonte d’acqua, sicuramente frequentata sin dall’antichità, deve aver contribuito al lento ma inesorabile smontaggio del monumento. Ma Sa Perda ’e su Costiu era forse una pietra sacrificale o un masso per la scarnificazioneSecondo un’altra più recente interpretazione, invece, avendo eseguito più accurate misure mediante metro laser della Tomba di giganti di su Carraxione, oltre che alcune efficaci foto dall’alto, è stato possibile determinare che la zona archeologica nella quale si trova questa Tomba di giganti risulta essere molto più ampia di quanto ipotizzato in passato, con la strada che attraversa addirittura il cerchio di pietre che diparte dalle due ali dell’esedra, e che tange il perimetro esterno di una formazione rocciosa naturale disposta di poco più a nord. L’estrema vicinanza del masso chiamato Sa Perda ’e su Ciostiu alla tomba, la sua posizione poco discosta dal sopracitato circolo di pietre e il suo aspetto di spessa lastra pianeggiante, rialzata ed elevata rispetto al suolo circostante, fanno presumere che si potrebbe trattare di un altare per le offerte, o addirittura di una pietra sacrificale. Si ritiene che queste pietra sacrificali venissero utilizzate per compiere riti sacrificali con lo scopo propiziatorio. Su queste pietre, venivano sgozzati gli animali offerti in sacrificio alle divinità, ed il loro sangue, fatto scolare nel canaletto in qualche recipiente, veniva usato per fare le unzioni culturali e probabilmente anche per essere cucinato e mangiato dai fedeli nei loro pasti rituali. La lavorazione di queste pietre, che è sempre molto accurata, esclude l’ipotesi che esse potessero avere una qualsiasi funzione pratica. Le misure di queste tavole sacrificali sono tali che si è indotti a ritenere che vi venissero sacrificati con sgozzamento, al massimo ovini e suini. Il ritrovamento di altre tavole sacrificali, rinvenute in Sardegna, questa volta di piccole dimensioni, ci fa pensare che tra gli animali sacrificati nei santuari nuragici, vi fossero anche i volatili. Con grande probabilità, si tratta di colombe oppure galli e galline poiché, venivano frequentemente rappresentate nei bronzetti nuragici. Quindi il masso chiamato Sa Perda ’e su Ciostiu potrebbe essere stato una pietra sacrificale, o forse anche un masso per la scarnificazione, ipotesi che trova ampia conferma negli scritti di Giovanni Manca, in particolare riguardo l’uso di tale rituale vicino alle tombe dei giganti, presso cui volatili saprofagi come corvi, cornacchie e avvoltoi procedevano alla rimozione dei tessuti molli dalle carcasse. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio proseguiamo la visita della Barbagia di Belvì recandoci a Gadoni il paese più a sud di questa regione, che visiteremo con la sua frazione Funtana Raminosa. |