Cargeghe con le tombe a prospetto architettonico di Pescialzu e le necropoli di S’Elighe Entosu e di Pedras Serradas
In questa tappa del nostro viaggio, da Muros ci recheremo a Cargeghe che visiteremo con i suoi dintorni e le sue zone archeologiche comprese le domus de janas di Pescialzu e la necropoli di Pedras Serradas. La regione storica del Sassarese chiamata anche Logudoro TurritanoIl Logudoro è stato, nel periodo medioevale, uno dei quattro Giudicati che ha avuto come capoluogo prima Porto Torres, in seguito Ardara, ed infine Sassari. Oggi possiamo dividere questa regione in tre parti: Logudoro Turritano, il cosiddetto Sassarese, a nord; il Logudoro Meilogu a ovest; ed il Logudoro Montacuto a est. Più in particolare, il Sassarese (nome in lingua sarda Su Tataresu) è tutta un’area con una forte impronta agropastorale, con splendidi panorami, dominati da rilievi d’origine vulcanica, ampi tratti pianeggianti, scarse foreste che interrompono le grandi distese di pascoli. L’antico popolamento della zona, territorio ideale per i popoli preistorici dal punto di vista ambientale, è testimoniato dai cospicui resti archeologici, cui si aggiungono alcuni notevoli monumenti medioevali. I comuni che fanno parte del Sassarese sono Cargeghe, Codrongianos, Florinas, Ittiri, Monteleone Rocca Doria, Muros, Osilo, Ossi, Ploaghe, Putifigari, Romana, Sassari, Tissi, Uri, Usini, Villanova Monteleone. Oggi alcuni considerano in questa ragione anche Porto Torres, che però attribuiamo alla Nurra. Si parla il Sassarese o Turritano, una lingua romanza nata intorno al dodicesimo secolo da una base toscano corsa, evolutasi poi autonomamente con influenze liguri, iberiche e soprattutto sardo logudoresi. In viaggio verso CargegheDa Muros, seguendo la SP3 che in Muros prende il nome di via Brigata Sassari, procediamo verso sud e dopo qualche centinaio di metri arriviamo all’ingresso del borgo agricolo di Cargeghe. Subito prima di entrare nell’abitato si trova il Cimitero Monumentale consortile di Muros e Cargeghe. Il Cimitero Monumentale consortile di Muros e CargegheDal centro di Muros, proseguendo verso sud con la via Brigata Sassari fino all’uscita dal paese in direzione di Cargeghe, arrivati in località Baiolu Mannu prendiamo la deviazione a sinistra che, in una trentina di metri, porta agli ingressi storici del nuovo Cimitero monumentale consortile di Muros e Cargeghe. Dopo la dismissione del piccolo Cimitero vicino alla chiesa parrocchiale di Muros, a metà degli anni trenta del novecento è stato edificato il nuovo Cimitero Monumentale consortile. Il progetto per la sua costruzione risale al 1923 ad opera dell’ingegner Gavino Canalis, ma nel tempo ha subìto diverse modifiche prima dell’attuale realizzazione. Del progetto originale si conserva il fronte principale, con le cappelle cimiteriali disposte secondo uno stringente criterio di simmetria e caratterizzate da quattro finestre rastremate. Il comune chiamato CargegheIl borgo agricolo Cargeghe (nome in lingua sarda Carzeghe, altezza metri 333 sul livello del mare, abitanti 585 al 31 dicembre 2021) è un comune collinare di origine medievale della provincia di Sassari nella regione storica del Logudoro, con un economia di tipo prettamente agricolo. Si tratta di un piccolo paese che si erge sulle pendici del Pizzo ’e Adde, affacciandosi sulla vallata di Campomela, e che mostra edifici di culto e testimonianze archeologiche di grande valore. Il territorio Comunale presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche accentuate, che vanno da un minimo di 153 a un massimo di 513 metri sul livello del mare. A Cargeghe e nelle campagne circostanti è stato girato, nel 1977, il film Padre padrone, tratto dal romanzo autobiografico di Gavino Ledda, diretto dai Fratelli Taviani con Saverio Marconi, Omero Antonutti, Marcella Michelangeli, Fabrizio forte, Nanni Moretti, Stanko Molnar, Marino Cenna, e con la partecipazione di Gavino Ledda che interpreta se stesso. Il film è stato premiato con la Palma d’Oro come miglior film al 30° Festival di Cannes, ed è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. |
Origine del nomeIl nome del paese è probabilmente d’origine preromana e di etimologia oscura. Il canonico Spano, nel suo Vocabolario sardo Geografico Patronimico ed Etimologico, senza indicare da quale radice provenga il nome di Cargeghe, partendo dalle denominazioni, riscontrate in documenti medievali, di Cariequi, Cargeque e Cargeco, scrive che tale parola è da rintracciare nelle voci fenicie Car che indica la città, e Chag, ossia la città allegra, Secondo l’interpretazione più recente, invece, partendo da una delle grafie più antiche del nome Carjèghe, che può essere riportata al termine Cariàsgia o Cariasa che in logudorese indica la ciliegia, il nome del paese Cargeghe starebbe ad indicare un sito ricco di ciliegi. La sua economiaNella sua economia, il settore agricolo conserva tuttora un ruolo di primaria importanza, dato che nel suo territorio si coltivano cereali, frumento, ortaggi, foraggi, viti, ulivi e frutta. Accanto al lavoro dei campi si pratica anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’industria, scarsamente sviluppata, fa registrare delle realt produttive che operano nei soli comparti alimentare, edile e metallurgico. Il terziario si compone di una piccola rete commerciale, in grado di soddisfare sufficientemente le esigenze primarie della popolazione. Sebbene non figuri tra le mete turistiche pi ambite della zona, offre a quanti vi si rechino la possibilitàdi godere delle bellezze dell’ambiente naturale ed effettuare interessanti escursioni nei dintorni, tra cui le spettacolari domus de janas di Pescialzu, scavate in grotticelle naturali, e della necropoli di S Elighe Entosu e di Pedras Serradas. Le strutture ricettive offrono possibilitàdi ristorazione ma non di soggiorno. Brevi cenni storiciLa presenza umana nel territorio di Cargeghe in epoca preistorica è documentata dai Nuraghi che sono presenti e da alcune domus de janas. Vi si trovano inoltre le necropoli di Pascialzu, di S’Elighe Ento su e di Pedras Serradas. Non sono molte le tracce relative ai periodi successivi. Più chiari e abbondanti sono i documenti riguardanti il villaggio di Cargeghe durante il periodo dei Giudicati, nel quale sappiamo che appartiene a quello di Torres, nella curatoria di Figulinas, oggi Florinas. Nel 1255 la curatoria viene conquistata dai Doria e, successivamente, dalla signoria dei Malaspina e degli Aragonesi. In periodo aragonese, nel 1353, il territorio di Cargeghe e il salto detto dei Cavalli vengono concessi in feudo a Giovanni Metge, ed alla sua morte a Berengario Fillel. Dopo la guerra tra gli arborensi e gli Aragonesi, la curatoria di Figulinas viene divisa e i villaggi di Cargeghe e Urgeghe vengono concessi a Bernardo Centelles. Intorno al 1420 un certo Serafino Montañans ottiene in feudo i villaggi di Ploaghe e di Florinas, e, nel 1425, per rettificare i confini dei loro feudi, il Centelles e il Montañans scambiano alcuni territori, il primo ottiene una parte dei territori di Montes ed il secondo ottiene i villaggi di Cargeghe e di Urgeghe. Una nipote di Serafino Montañans sposa un Castelvì, ed essi li conservano fino al 1723. Durante il periodo sabuado, nel 1723 Maria Caterina Castelvì vedova Aymerich entra in possesso del feudo, e alla sua morte passa alla famiglia Aymerich che lo tiene fino al momento del riscatto. Cargeghe viene riscattato al demanio unitamente al feudo di Laconi con sentenza dell’agosto del 1838. Dal 1928 in periodo fascista viene aggregato al comune di Cargeghe anche quello di Muros, che nel perido repubblicano da esso si stacca, ottenendo la piena autonomia amministrativa, nel 1950. Le principali feste e sagre che si svolgono a CargegheA Cargeghe è attiva l’Associazione Culturale Tradizioni Popolari Gruppo Folk Nostra Signora De Contra, i cui componenti si esibiscono nelle principali feste e sagre che si svolgono nel comune ed anche in altre località, e nelle cui esibizioni è possibile ammirare il bel costume tradizionale di Cargeghe. È inoltre attivo il Coro di Cargeghe, un gruppo di amici e amanti del canto corale sardo. Tra le principali principali feste e sagre che si svolgono a Cargeghe va citata a fine marzo, la manifestazione Calici di Promavera, con degustazione di vini locali e pietanze tradizionali per la vie del paese; a fine maggio o aprile, la manifestazione Ballende Tottu Umpare, ossia ballando tutti insieme, organizzata dal Gruppo Folk Nostra Signora De Contra; il 13 giugno la Festa di Sant’Antonio; da inizio luglio a fine agosto, gli eventi dell’Estate Cargeghese; il 15 luglio, la Festa patronale dei Santi Quirico e Giulitta; l’8 settembre, la celebrazione della Festa della Natività di Maria Vergine. Visita del centro di CargegheL’abitato, interessato da forte espansione edilizia, si estende su un suolo calcareo mosso, fortemente discontinuo. Provenendo da Muros, passato il Cimitero Monumentale consortile di Muros e Cargeghe, entriamo nel paese chiamato Cargeghe con la SP3, che all’interno del centro abitato assume il nome di via Brigata Sassari ed attraversa tutto il paese da nord a sud. L’oratorio di Santa CrocePercorrendo la via Brigata Sassari, dopo circa seicento metri a sinistra, al civico numero 36, si trova l’oratorio di Santa Croce risalente al sedicesimo o alla prima metà del diciassettesimo secolo. La facciata, molto semplice, è caratterizzata da una finestra rettangolare e da un campanile a vela sormontato da una croce in pietra. L’oratorio è strutturato in modo molto semplice, con un’unica navata, senza cappelle laterali né abside, e possiede arredi sacri di pregevole fattura, come l’altare ligneo, il retablo forse risalente al diciottesimo secolo recentemente restaurato, ed il bel crocifisso settecentesco in legno snodabile, che veniva utilizzato nei riti della Settimana Santa. Dopo un lungo periodo di abbandono, i lavori di restauro, avvenuti tra il 2003 e il 2006, hanno permesso di recuperare gran parte della struttura originaria, e ciò ha reso possibile, dopo dieci anni, la sua riapertura al culto. L’antico oratorio citato dalle fonti parrocchiali gi dalla fine del cinquecento come sede dell’antica Confraternita della Santa Croce, oggi non pi operante, che curava le toccanti rappresentazioni della Settimana Santa. Il riconoscimento formale della Confraternita è avvenuto nel 1646, come risulta dalla Bolla firmata dal cardinale Francesco Barberini, e conservata presso l’archivio storico della parrocchia. La Confraternita, che ha operato fino alla metà del ventesimo secolo, era composta da un gruppo maschile e da uno femminile, e si occupava della gestione dell’oratorio e del suo patrimonio. I murales di Vincenzo Ganadu e Antonello Nuvoli nella piazzetta di fronte all’oratorio di Santa CroceAll’altro lato della strada, ossia alla destra della via Brigata Sassari, troviamo una piazzetta recentemente realizzata nell’ambito del progetto di riqualificazione del centro storico, con al centro un albero, sotto la cui ombra trovano spesso refrigerio gli anziani del paese seduti sulle panchine in legno, e dalla quale parte sulla destra la via Trieste. Sui muri dell’edificio affacciato su questa piazzatta è stato realizzato un bel murale che rappresenta Architetture con attrezzi agricoli e figure femminili, realizzato da Vincenzo Ganadu e Antonello Nuvoli. Il Monumento ai Caduti e Memoriale della CostituzioneProseguendo verso sud con la via Brigata Sassari, dopo una sessantina di metri arriviamo a un bivio, dove a sinistra prosegue la via Brigata Sassari mentre a destra parte la via Roma. Qui, all’incrocio tra le due strade, al civico numero 25 della via Brigata Sassari, si trova un edificio sul quale è situato il Monumento ai Caduti e Memoriale della Costituzione. Il Monumento è stato eretto per commemorare il novantesimo anniversario della conclusione della prima guerra mondiale ed il sessantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione. Lo spazio su cui il monumento stato realizzato è stato intitolato a tutti i caduti dato che anche Cargeghe, come la gran parte dei paesi sardi, ebbe i suoi caduti nel corso dei due conflitti mondiali. Il murale di Cristian lubinu lungo la via Brigata SassariIl centro di Cargeghe si recentemente arricchito di due nuove opere d’arte, realizzate da Cristian lubinu, l’artista di Muros che è gi autore dei murali che campeggiano su alcune facciate delle case del vicino centro di Muros. La prima delle due nuove opere d’arte la si può vedere proseguendo verso sud dal Monumento ai Caduti con la via Brigata Sassari. Dopo una settantina di metri la strada si allarga con una passeggiata pedonale sulla sinistra e, proprio sull’ultima facciata dove la strada si allarga, si può vedere il murale intitolato Architettura con figure maschili e femminili, che rappresenta una scena di vita del paese, con personaggi locali, alcuni scomparsi altri ancora in vita. Quella che era la principale fonte di Cargeghe chiamata Sa FuntanaProseguendo verso sud dal Monumento ai Caduti con la via Brigata Sassari, percorsi circa centoquaranta metri troviamo, alla sinistra della strada, una scalinata che, superando un dislivello di alcuni metri, in una quarantina di metri conduce alla parte terminale del pi antico viottolo, digradante fino all’antico lavatoio che era la principale fonte di approvvigionamento idrico di Cargeghe, chiamato Sa Funtana poich non vi era bisogno, tra i cargeghesi, di altre specificazioni per comprendere a quale fonte ci si riferisse, ed il cui nome seicentesco era Sa Funtana de Runache. La storica fonte di Sa Funtana oggi è posta al di sotto dell’odierno, e antiestetico, muraglione del belvedere che, in epoca moderna, ha tagliato il pi antico accesso alla medesima, che dalla via Brigata Sassari vi conduceva per mezzo di un viottolo. alla fonte si arriva anche risalendo in una cinquantina di metri dalla sottostante via Sebastiano Satta. Il Municipio di CargegheLa via Brigata Sassari attraversa tutto il paese da nord a sud, e, dove termina, a circa duecentoquaranta metri dal Monumento ai Caduti, si trova alla destra della strada, al civico numero 1, l’edificio che ospita il Municipio di Cargeghe. Nel Municipio si trovano la sede del Comune e gli uffici in grado di fornire i loro servizi agli abitanti del paese, ossia l’Ufficio Demografico e Protocollo, l’Ufficio Amministrativo, il Segretario Comunale, l’Ufficio Socio assistenziale Culturale Scolastico e Sport, l’Ufficio Tecnico Manutentivo e Vigilanza, l’Ufficio Tributi, l’Ufficio Finanziario e Personale gestione economica, e l’Ufficio del Vigile Urbano. Nel centro di Cargeghe l’artista murese Cristian lubinu ha realizzato, sulla facciata del Municipio, un bassorilievo raffigurante lo stemma del Comune. Le sue due opere lungo la via Brigata Sassari vanno ad aggiungersi ad altri scorci che abbelliscono alcuni angoli caratteristici del paese. In piazza Grazia Deledda il complesso scultoreo di Pinuccio SciolaUna ventina di metri prima di arrivare al Municipio, prendiamo a destra la via Gioacchino Rossini, poi dopo una settantina di metri, al bivio, prendiamo verso destra via Vincenzo Bellini, che in un’ottantina di metri ci porta nell’ampia e solare Piazza Grazia Deledda, su cui si affaccia la chiesa parrocchiale. Ad essa si poteva arrivare anche dalla via Brigata Sassari dove, quando eravamo arrivati al Monumento ai Caduti, avevamo trovato il bivio dove a destra era partita la via Roma, che in trecentocinquanta metri porta appunto alla piazza. In questa piazza, nel settembre 2012, è stato inaugurato il complesso scultoreo di Pinuccio Sciola, voluto da Valentino Tanca dopo una vita da emigrante, fortunata e ricca di successi col pensiero fisso del proprio paese, prima di morire per una scelta determinata dalla grande ammirazione per l’estro artistico del maestro cui era legato da profonda amicizia e lunga frequentazione. Lo aveva conosciuto nel suo lungo girovagare da una citt all’altra, in Spagna, dopo aver prima avuto l’opportunitàdi ammirare alcune delle sue opere. La chiesa parrocchiale di San Quirico e Santa GiulittaArrivando con la via Vincenzo Bellini, sulla destra della piazza Grazia Deledda si affaccia la chiesa parrocchiale di San Quirico e Santa Giulitta, che occupa quella che, fino alla fine del ventesimo secolo, era la parte più alta dell’abitato. Le prime fonti storiche la menzionano a partire dalla seconda met del sedicesimo secolo, e si ritiene sia stata costruita tra il quindicesimo ed il sedicesimo secolo in stile tardo gotico. Secondo alcuni studiosi, pare notarsi un precedente impianto romanico alla base del campanile, anche se l’edifico ha subito diverse modifiche fino alla met del novecento. La chiesa sorge su un area che era gi stata utilizzata come necropoli in epoca romana. La facciata principale presenta nel registro superiore una struttura curvilinea di stile tardo barocco e risale nelle sue forme attuali probabilmente alla fine del diciottesimo secolo. Il campanile stato sostituito alla fine dell’ottocento a causa di un crollo dovuto a un fulmine e di quello originario si conserva solo la base. L’edificio, a navata unica, presenta il presbiterio sollevato rispetto al piano dell’aula, con abside semicircolare orientata ad est, su cui si affacciano quattro cappelle per lato, delle quali la prima sul lato sinistro ospita il fonte battesimale e costituisce l’attuale ingresso laterale al tempio. Le cappelle pi antiche conservano le caratteristiche originarie nella struttura delle volte e sono quelle del transetto e quelle che si affacciano sul lato destro. Le cappelle laterali riportano decorazioni tardo gotiche mentre gli altari in origine lignei e poi marmorei, sono di epoche posteriori. Di particolare interesse la statua dei Patroni, opera attribuibile alla scuola napoletana del diciottesimo secolo, che viene rivestita con ornamenti preziosi in occasione della festa patronale. All’interno della chiesa si possono ammirare opere d’arte molto pregiate, dipinti databili dalla fine del sedicesimo secolo alla prima met del ventesimo secolo. Tra le opere d’arte presenti all’interno della chiesa, del ventesimo secolo è la pala d’altare raffigurante i Santi titolari con gli strumenti del martirio, un’opera giovanile del pittore sassarese Costantino Spada. La Madonna tiene in braccio il Bimbo che indossa una vestina e tiene in mano la palma della pace e del martirio, mentre gli angeli porgono al Bimbo gli strumenti della Passione, quello di destra le catene, quello di sinistra il flagello e la spada. Ma il dipinto pi prezioso presente nella chiesa un opera della fine del cinquecento realizzata dal maestro fiorentino Baccio Gorini, traferitosi in Sardegna probabilmente a Florinas, dove divenuto pittore di riferimento per le Confraternite della Santa Croce della provincia di Sassari. Il dipinto raffigura La Sacra Famiglia con San Giovannino, nel quale sono rappresenti Maria giovane madre premurosa e melanconica, Ges bambino, dolce e ricciuto, e San Giuseppe, un pò in disparte e gi avanti con gli anni, ma comunque protettivo, figure alle quali si aggiunge quella di San Giovannino, che si porta l’indice sulle labbra ad indicare il religioso e sacrale silenzio verso il sonno del giusto. Questa opera menzionata da tutti i visitatori del diciannovesimo secolo come Alberto la Marmora, Antoine Claude Pasquin noto come Valery, e Giovanni Spano che ne ricorda la grande devozione da parte dei fedeli, che invocavano la Madonna al centro del dipinto come Nosthra Segnora de Sos Isconsolados. Durante la persecuzione di Diocleziano ad Iconio, città della licaonia in quella che oggi è la Turchia, si trova Giulitta, donna ricca e nobile, la quale era rimasta vedova con un figlio in tenera età, Quirico. Lasciata la sua città e i suoi averi, per sfuggire alla persecuzione, scende con le sue ancelle verso la Seleucia e prosegue per Tarso, in Cilicia, dove è raggiunta e arrestata col suo bambino dal governatore romano Alessandro, con l’accusa di essere cristiana. Sottoposta a lunghi interrogatori per farla abiurare, rifiutandosi di sacrificare agli dei, confessa la sua fede. Una leggenda narra che Alessandro tiene il fanciullo sulle sue ginocchia. Quirico, vista la madre sofferente e sentite le sue parole, si dichiara anch’egli cristiano e muore scaraventato a terra dal governatore. La madre, pur impietrita dal dolore, resta ferma nella fede e, dopo strazianti torture, viene consegnata al boia per essere decapitata. |
La Festa dei Santi Quirico e Giulitta, che è la Festa patronale di Cargeghe, si svolge il 15 luglio, con manifestazioni religiose e civili. In questa occasione l’intero paese viene adornato con bandierine colorate e ripopolato dai Cargeghesi che ritornato nel proprio paese per rendere il loro omaggio ai Santi patroni. La Casa parrocchialeNella piazza Grazia Deledda, alla sinistra della chiesa parrocchiale, parte la via Roma lungo la quale dopo una cinquantina di metri, alla destra della strada, si trova la Casa parrocchiale, di grande interesse, una seicentesca dimora signorile con affreschi e stucchi settecenteschi. Attualmente gli interni e le pregevoli decorazioni si trovano, però, in uno stato di forte degrado. Gli impianti sportivi di CargegheNella piazza Grazia Deledda alla sinistra, di fronte alla facciata della chiesa parrocchiale, di trova l’edifico che ospita le Scuole secondarie ed, alla sua destra, si trova il cancello che immette al complesso degli impianti sportivi di Cargeghe. Questi impianti contengono un Campo da Calcio, con fondo in terra battuta, dotato di tribune in grado di ospitare un centinaio di spettatori. È presente, inoltre, una Palestra all’interno della quale si trova un campo polivalente dotato di tribune per una cinquantina di spettatori, nel quale si possono praticare come discipline l’handball’ossia la pallamano, ed il tennis. Il Cimitero vecchio di CargegheArrivando da via Vincenzo Bellini, sulla destra si trova la piazza Grazia Deledda e, di fronte alla piazza, la strada che assume anch’essa il nome di via Vincenzo Bellini prosegue verso sinistra, e ci porta in poco più di un centinaio di metri all’ingresso di quello che era il Cimitero vecchio, ossia di Su Campusantu ’ezzu, di Cargeghe. Inaugurato nel 1858, il primo Cimitero civile del comune di Cargeghe è stato costruito al di fuori dell’abitato in base alle indicazioni dell’epoca napoleonica, in sostituzione degli antichi luoghi di sepoltura, dato che precedentemente a tale data i corpi dei defunti venivano inumati in altri due cimiteri presenti all’interno dell’abitato del paese, e denominati Su Cimitoriu de Santu Ch rigu, gi menzionato nei registri a partire dal sedicesimo secolo e attiguo alla chiesa parrocchiale, e il Cemeterio Sancte Crucis, di epoca posteriore e attiguo all’oratorio di Santa Croce, nato probabilmente come luogo di sepoltura dei confratelli della locale confraternita. I nobili del luogo invece venivano inumati all’interno della chiesa parrocchiale, ai piedi delle cappelle patronate. Questo Cimitero ha conservato la sua funzione fino alla costruzione, a metà degli anni trenta del novecento, in località Baiolu Mannu, del nuovo Cimitero Monumentale consortile di Muros e Cargeghe, condiviso con il vicino paese Muros. Da questo momento è stato lasciato in stato di abbandono, divenendo ricovero per animali e deposito di rifiuti, condizione che ha portato alla sua sconsacrazione. In seguito, l’interno del vecchio Cimitero è stato adibito a teatro all’aperto. Visita dei dintorni di CargeghePer quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate, nei dintorni di Cargeghe sono stati portati alla luce tra l’altro i resti delle due tombe a prospetto architettonico di Pescialzu; della importante necropoli a domus de janas di S’Elighe Entosu, e la necropoli a domus de janas di Pedras Serradas; ed anche dei Nuraghi Cherchizzos, Santa Maria, Pala de Sa Rughe e del Nuraghe di Pedras Serradas vicino alle omonime domus de janas, tutti di tipologia indefinita; mentre il Nuraghe Nieddu, segnato sulla mappa del catasto del comandante Carlo De Candia, sembra sia stato completamente demolito e non ne rimane più alcuna traccia. Vediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. La frazione Stazione di CampomelaDal Municipio di Cargeghe, seguiamo la via Brigata Sassari verso nord, in direzione di Muros, ed arriviamo all’oratorio di Santa Croce dove, invece di proseguira lungo la via Brigata Sassari, prendiamo sulla destra la via Sebastiano Satta che esce a est dall’abitato e, in circa tre chilometri, ci porta, nella piana di Campomela. Qui svoltiamo a destra seguendo le indicazioni per la Zona Industriale di Codrongianos e per la Stazione di Campomela sul viadotto che passa sopra la SS131 di Carlo Felice, passato il quale la strada svolta a sinistra e corre parallela alla strada statale. Percorsi quattrocento metri, raggiungiamo la frazione Stazione di Campomela (altezza metri 161, distanza in linea d’aria circa 3 chilometri sul livello del mare, non è noto il numero di abitanti). A destra della strada che porta alla frazione, si trova l’ampia Zona Industriale di Campomela, che appartiene in parte al comune di Cargeghe ed in parte a quello di Codrongianos. I resti della Stazione ferroviaria dismessa di CampomelaNella frazione Stazione di Campomela si trovano i resti della Stazione ferroviaria di Campomela, una piccola stazione posta sulla linea ferroviaria a scartamento ordinario denominata Dorsale Sarda in direzione di Sassari e Porto Torres Marittima, dopo la stazione di Ploaghe, e prima delle stazioni dismesse di Scala di Giocca, di Tissi e Usini, di Caniga, e della Stazione ferroviaria di Sassari. Edificata da parte della Compagnia reale delle Ferrovie Sarde nel 1874, nel 1920 la gestione passa alle Ferrovie dello Stato, e la fermata nei decenni successivi è interessata a un maggior impiego data la dislocazione nelle vicinanze dello scalo di alcune installazioni dell’Esercito Italiano, e nell’ottobre 1946 viene trasformata da fermata in stazione, con la realizzazione di un binario di incrocio. Negli ottanta nello scalo viene realizzato un nuovo fabbricato viaggiatori, affiancato all’originale che viene demolito a fine anni ottanta. Tra la fine del secolo e i primi anni duemiL’impianto viene chiuso al servizio viaggiatori, ed inoltre viene privato del binario di incrocio divenendo una semplice fermata. Nel 2001 la gestione passa dalle Ferrovie dello Stato alla controllata RFI, e da allora lo scalo di Campomela rimane attivo solo come localitàdi servizio, e nessuna relazione prevede pi la sosta nell’impianto. La chiesa romanica di Santa Maria de ContraDal Municipio di Cargeghe, seguiamo la via Brigata Sassari verso nord, in direzione di Muros, ed arriviamo all’oratorio di Santa Croce dove, invece di proseguira lungo la via Brigata Sassari, prendiamo sulla destra la via Sebastiano Satta che esce a est dall’abitato. Percorsi quattrocento metri, prendiamo una deviazione sulla destra che, in cinquecento metri, ci porta alla chiesa campestre di Santa Maria de Contra una chiesa romanica circondata da campi, uliveti e frutteti, intorno alla quale, recentemente, è stato costruito un piazzale lastricato. Si tratta di una delle Chiese pi piccole della Sardegna, in cantoni calcarei di media pezzatura, a una sola navata, realizzata presumibilmente intorno alla seconda metà del dodicesimo secolo. La chiesa era una dipendenza della basilica di Saccargia, compresa nella curatoria di Ploaghe, e, con il titolo di Sancte Mariae In Contra, viene menzionata, a partire dal 1125, fra i possedimenti sardi della chiesa del San Salvatore dell’eremo di Camaldoli. Nel prospetto orientale, sormontante l’ingresso, si trova una piccola finestra cruciforme, se ne trova una simile anche al lato orientale della navata, immediatamente sopra l’abside. In ogni fianco e nell’abside sono presenti delle monofore a doppio strombo con centina ogivale. La facciata sormontata da un campanile a vela, il portale realizzato con stipiti in blocchi monolitici e arco di scarico rialzato di un concio. Da notare la presenza di due mensole per il sostegno di quella che doveva essere una tettoia o un portico ligneo sopra lo stesso portale. L’interno privo di elementi decorativi e caratterizzato dalla muratura a vista e da sei robuste capriate. La pavimentazione costituita da lastre rettangolari in calcare e l’illuminazione naturale dell’aula garantita solo dalla luce che filtra attraverso le monofore del lato sud e dell’abside. Sulla parete si trova un dipinto che è una copia di un dipinto seicentesco non pi presente, il quale rappresenta la nascita della Madonna, festeggiata l’8 settembre, con le ancelle che indossano il costume tradizionale locale. Merita una menzione un pregevole paliotto seicentesco, nome con il quale viene indicata la parte anteriore e decorata dell’altare, riccamente decorato con temi di carattere naturalistico. La chiesa è ancora oggi frequentata, soprattutto in occasione dell’annuale Festa della Nativitàdi Maria Vergine, che si svolge l’8 settembre. con cerimonie religiose. Nel 1976 questa chiesa è servita, insieme al territorio circostante, come set per il film Padre Padrone di Paolo e Vittorio Taviani, tratto dall’omonimo romanzo di Gavino Ledda, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1977. In particolare, di fronte al bell’arco in pietra, stata girata la scena di un omicidio a tradimento. Le tombe a prospetto architettonico di PescialzuDal Municipio di Cargeghe, seguiamo la via Brigata Sassari verso sud, in direzione di Florinas, e prendiamo la SP3 verso sud est. Usciti dal paese, dopo circa settecento metri svoltiamo a destra seguendo le indicazioni per la via ferrata di Giorré in una stradina in salita stretta e tortuosa ma cementata, dopo circa settecento metri, arriviamo al parcheggio per la via ferrata di Giorr . Qui un sentiero sulla destra porta su un costone roccioso, sul quale si trovano, coperte dalla vegetazione, le due Tombe a prospetto architettonico di Pescialzu. Si tratta di due tombe a prospetto architettonico, ossia che si caratterizzano per la riproduzione, sul fronte roccioso, di elementi tipici delle Tombe di giganti nuragiche, ossia lo spartito architettonico della stele centinata e le ali dell’esedra. Alcuni le chiamano impropriamente domus de janas, in quanto in questo specifico caso le tombe a prospetto non sono stato frutto di modifiche di domus de janas originarie, ma sono state realizzate ex novo in epoca nuragica. Si trovano a circa quaranta metri di distanza una dall’altra. Le sepolture si datano al Bronzo Medio, e lo studio delle due tombe è stato pubblicato dall’archeologa Editta Castaldi. La Tomba I realizzata al centro di un prospetto di roccia sul quale scavata la lunetta superiore di una stele delimitata in basso da un listello trasversale che la separa dal riquadro inferiore. Al centro di quest'ultimo si apre il portello di accesso alla sepoltura. L’ingresso affiancato da una sorta di bancone o sedile mentre un corridoio, ora ribassato, introduce nella camera rettangolare col soffitto piatto, che presenta sulla parete sinistra una nicchia sopraelevata rispetto al livello del pavimento. A una quarantina di metri di distanza dalla prima tomba si trova la Tomba II, che riproduce sulla parete di roccia lo spartito centinato della stele formato da una lunetta, incompleta nel settore superiore, separata dal riquadro inferiore da un listello orizzontale. Il taglio superiore della parete rocciosa riproduce lo sviluppo delle ali dell’esedra e, in parte, del tumulo. Leggermente arretrati rispetto alla fronte ossia alla stele si trovano tre fori che dovevano probabilmente contenere altrettanti betilini litici. Ancora un breve corridoio immette nella cella rotonda che conserva sulla parete destra una nicchia, e nella quale sono presenti i segni della lavorazione delle superfici eseguita con uno strumento metallico. I resti della necropoli di S’Elighe EntosuDal Municipio di Cargeghe, seguiamo la via Brigata Sassari verso sud, in direzione di Florinas, e prendiamo la SP3 verso sud est, ai lati della quale si trova la Necropoli di S’Elighe Entosu, ossia l’elce ventoso, ubicata in località Pedras Serradas ai piedi verso nord dell’altopiano di Giorrè, una immensa muraglia rocciosa di alcuni chilometri che accompagna la strada da Cargeghe per Florinas dalla cima della quale si gode un panorama che spazia fino al mare del nord. La necropoli è costituita da almeno tredici domus de janas delle quali sette in territorio di Giorrè e sei nel territorio di S’Elighe Entosu, scavate in grossi blocchi isolati di roccia calcarea, staccatisi a suo tempo dalla sovrastante parete rocciosa, in un’area ad alta concentrazione di insediamenti neolitici e nuragici. L’impianto generale della necropoli è attribuito alla Cultura di Ozieri nel Neolitico recente, mentre fa eccezione una sola tomba che è a prospetto architettonico, cioe con la stele delle Tombe di giganti, ed è quindi riferibile all’eta del Bronzo. Le tombe sono per lo più bicellulari o tricellulari, con la sola eccezione di una tomba pluricellulare, e gli ingressi sono il più delle volte sollevati sul piano di campagna. Malgrado il degrado naturale, i danneggiamenti e le manomissioni umane, in alcune tombe sono ancora visibili elementi architettonici che riproducono parti dell’abitazione dei vivi come lesene, zoccoli, fasce, gradini, setti divisori, riquadri, soffitti della capanna rettangolare a doppio o unico spiovente, o circolare. Si apprezzano, inoltre, false porte, bozze e decorazioni incise o scolpite, interpretate come i segni rituali dell’ideologia funeraria. La presenza di tali decorazioni inserisce il complesso funerario di Cargeghe nell’ampio e ricco quadro dell’arte ipogeica isolana. Vediamo per prime le domus de janas che si trovano a sud ovest nel territorio di Giorrè. Dal Municipio di Cargeghe, presa la SP3 verso sud est, la seguiamo per circa settecentocinquanta metri e, passate le indicazioni per la via ferrata di Giorré, svoltiamo a destra nella strada in salita per su littu de Subra e, dopo circa duecentocinquanta metri, si accede a un terreno recintato privato, nel quale dopo un centinaio di metri si trova un grosso masso sporgente per diversi metri dal suolo. La Tomba XIII si apre sul fronte di tale masso ed bicellulare a sviluppo longitudinale, composta dall’anticella, con portello quasi circolare e uno zoccolo inciso alle pareti, e un secondo vano con portello rettangolare, che dalla parte dell’anticella è istoriato da motivi corniformi a fascia sovrapposta. Purtroppo i decori sono molto erosi, gli stessi si ripetevano sul lato sinistro ma ormai non sono più visibili. Dal Municipio di Cargeghe, presa la SP3 verso sud est, la seguiamo per circa settecentocinquanta metri e, passate le indicazioni per la via ferrata di Giorré, svoltiamo a destra nella strada in salita per su littu de Subra e, dopo circa cinquecento metri, si accede a un terreno privato recintato, all’interno del quale si trova la Tomba VIII che si apre sulla parete di un affioramento roccioso calcareo. È una domus de janas bicellulare a sviluppo longitudinale, composta da un’anticella dalla quale accede ad un secondo vano circolare con il soffitto ribassato. In futuro si prevede che verranno effettuati anche scavi archeologici all’interno di questa tomba per verificarne i contenuti. Per proseguire la visita delle domus de janas che si trovano nel territorio di Giorrè ci rechiamo a visitare quelle più a nord. Lungo la SP3, da dove avevamo trovato la deviazione nella strada per su littu de Subra, proseguiamo per altri trecento metri e, sul lato destro della strada, si trova la Tomba XI, edificata in terreno privato recintato, sulla fronte di un grande masso affiorante. Si tratta di una domus de janas monocellulare, nella quale un portello rialzato dal piano di campagna, introduce all’unico ambiente che è di forma approssimativamente reniforme. La Tomba X si trova a una ventina di metri di distanza dalla Tomba XI che abbiano appena visto, in terreno privato recintato, sulla fronte di un affioramento roccioso che emerge dal terreno per alcuni metri. Questa è l’unica tomba della necropoli a prospetto architettonico, ossia che riproduce l’aspetto esterno delle Tombe di giganti, con l’esedra e la stele centinata. Dispone di un’unica cella con una nicchia laterale, ed all’interno è presente un pressoio circolare scavato nel pavimento, con alla base una vasca rettangolare per la raccolta dei liquidi. Anche all’interno della nicchia stata ricavata una vasca rettangolare la cui funzione è però incerta. La Tomba IX si incontra proseguendo per un centinaio di metri lungo la SP3, dove sul lato destro della strada parte un sentiero che porta in terreno privato recintato, nel quale la domus de janas si trova su un grande fronte roccioso calcareo. È una tomba di tipo monocellulare, nella quale l’unico vano presente di forma circolare. Questo vano è stato però manomesso di recente. Dopo aver visto le principali tombe in territorio di Giorrè possiamo ora vedere quelle che si trovano in territorio di S’Elighe Entosu. Lungo la SP3, dopo circa un chilometro e mezzo da dove la avevamo imboccata, subito prima del cartello che indica il chilometro 17, svoltiamo a sinistra in una strada a fondo naturale in discesa che porta al mulino Siscia. Parcheggiata l’auto, proseguiamo a piedi e, dopo duecentocinquanta metri, superiamo il mulino Siscia, uno dei numerosi mulini ad acqua per la macinazione del grano presenti lungo il rio di San Pietro o dei Molini. Superiamo poi il rio San Pietro, proseguiamo per trecento metri sino ad un antico forno per la calce del diciannovesimo secolo, e continuiamo dritti. Prendiamo, quindi, un ulteriore sentiero, con varie diramazioni, che attraverso la vegetazione conduce alle diverse domus de janas presenti nella necropoli. Il percorso agevolato dalla presenza di segnali in pietra e targhette direzionali collocati dalla Sardegna Canyoning di Ossi. Al termine del sentiero principale proseguiamo a sinistra, ossia verso nord con il sentiero che ci porta a raggiungere la Tomba V, la quale si trova sulla sommità di un grande blocco calcareo, scolpita in roccia a circa due metri dal piano di campagna, e ad essa si accede salendo su un albero di fico cresciuto ai suoi piedi. Si tratta di una domus de janas pluricellulare, ed uno dei vani di questa tomba mostra la riproduzione di elementi architettonici lignei, quali il tetto a doppio spiovente, completo di trave di colmo e di travetti laterali. Ad essi si accompagna la riproduzione del focolare domestico al centro della cella principale e, in aggiunta, un singolare motivo a zig zag scolpito su una parete di tale cella, ossia il disegno delle stramaglie che seguivano la linea dei due spioventi. Al termine del sentiero principale proseguiamo ora verso destra, ossia verso sud, e prendiamo il sentiero di S’Elighe Entosu nel suo secondo tratto, verso le domus XII, II, I e, proseguendo poi, verso le domus IV e III. Imboccato questo secondo tratto, prendiamo una deviazione a sinistra in un sentiero secondario che ci porta alla Tomba XII, una tomba a ipogeo bicellulare composta da una classica anticella e da un secondo ambiente. Il masso calcareo sul quale si apre risulta spezzato da una frattura che ha comportato lo slittamento pi in basso della tomba stessa. Nel secondo vano pare scorgersi un motivo taurino di tipo naturalistico, che è però molto deteriorato. un’ulteriore tomba monocellulare anch’essa lesionata si trova, crollata, accanto alla tomba XII. Proseguendo verso sud raggiungiamo la Tomba II, la quale si trova in posizione sopraelevata dal piano di campagna su un blocco di roccia calcarea il cui cedimento ha in parte distrutto gli ambienti interni. La tomba è pluricellulare, costituita da ben cinque ambienti, l’anticella, la cella e altri tre vani costituenti una tomba a sviluppo longitudinale. In essa, durante le ricerche, è stato rinvenuto un inedito motivo inciso, appena visibile ad occhio nudo, relativo alla rappresentazione del tetto ligneo. La Tomba I, distante solo pochi metri dalla Tomba II, si apre alla base di un grosso masso calcareo. L’interno costituito da due vani disposti secondo uno schema planimetrico a T, un’anticella semicircolare seguita dalla cella principale di forma subtrapezoidale, che si sviluppa trasversalmente rispetto alla precedente, ed in entrambi i vani è presente una nicchia. La tomba è caratterizzata dalla presenza di ornamenti decorativi rappresentati da motivi spiraliformi realizzati in rilievo, ed elementi architettonici tipici delle abitazioni, quali travi a riprodurre un tetto a doppio spiovente, cornici, lesene, zoccolature, gradini e false porte, scolpiti a bassorilievo nella roccia. Sulla parete sud orientale dell’antecella è rappresentato un doppio motivo spiraliforme, impostato su una linea verticale che si diparte da una banda orizzontale incisa parallelamente al pavimento. Gli elementi simbolici sono realizzati in rilievo con la tecnica della martellina diretta. Sul soffitto è possibile ancora individuare due serie di scanalature parallele disposte lungo un asse trasversale rispetto a quello della sepoltura e originate da una solcatura centrale, a riprodurre un tetto a doppio spiovente. Proseguendo molto a sud, si arriva alle domus de janas IV e III, le pi distanti da raggiungere, che presentano caratteri di maggior monumentalità rispetto alle altre, anche a causa della presenza di un lungo corridoio di ingresso. Per prima raggiungiamo la Tomba IV, che si contraddistingue per il lunghissimo corridoio d’ingresso, il più lungo di tutta la Sardegna, di evidente funzione cerimoniale confermata dai dati di scavo, che si ritiene servisse come percorso per la processione della funzione religiosa. La Tomba IV, chiamata anche Tomba delle spirali, ricavata su un affioramento roccioso isolato, è una tomba bicellulare, costituita da due ambienti con schema a T, composta da un’anticella seguita da un vano suddiviso in tre ambienti da lesene. Presenta riprodotto nella parte alta del portello d’ingresso, il disegno del doppio spiovente, che doveva coprire la struttura portante della dimora dei vivi. Le pareti dell’anticella sono entrambe decorate con motivo a doppia spirale eseguito a martellina impostato su una linea orizzontale che si muove parallela al pavimento. La struttura architettonica è stata fortemente danneggiata a causa dei ripetuti utilizzi, in particolar modo quelli di epoca contemporanea. Ciononostante la porzione residua del deposito archeologico ha consentito di ricostruire parte della sequenza d’uso dell’ipogeo, in particolare in relazione alla sua frequentazione nel periodo del Bronzo Medio. Rari frammenti ceramici, provenienti dagli strati sconvolti superficiali, si riferiscono alle prime fasi d’uso del Neolitico Finale ed Eneolitico Antico, delle culture di Ozieri e di Sub Ozieri. Segue un’importante fase d’uso nel periodo del Bronzo Medio, testimoniata, nel dromos, da un focolare e una successione di acciottolati, cronologia confermata da una datazione radiocarbonica. Meno intensa la frequentazione nelle fasi del Bronzo recente e del Bronzo Finale, e nell’Età del Ferro. Dall’esterno di questa tomba proviene un oggetto di forma cilindroconica, ricavato nel calcare locale, con sezione subcircolare e una faccia appiattita, spezzato ad entrambe le estremità, che la scopritrice Maria Grazia Melis ha riconosciuto essere un betilino. Nel corso dei secoli, per essere stata vandalizzata ed anche vittima di furti, al suo interno non sono stati ritrovati oggetti religiosi e ben poco delle famose offerte che venivano fatte per accompagnare il defunto nell’aldilà, infatti è stato ritrovato solo qualche guscio di lumaca e pezzi d’ossa di qualche animale sacrificale. Purtroppo la pietra calcarea sta cedendo, e questa struttura non è accessibile al pubblico ma solo agli addetti ai lavori, che l’hanno rinforzata con delle strutture apposite per evitare che le pareti del corridoio crollassero. A pochi metri dalla domus IV si trova la Tomba III, la più bella della necropoli, che si apre su un blocco roccioso di natura calcarea. La domus de janas costituita da tre ambienti, un’anticella, con ricca decorazione architettonica, preceduta da un breve padiglione, un vano con due nicchiette sopraelevate, e un ulteriore vano. Viene chiamata anche Tomba delle sette stanze per via delle sette celle disposte a corona intorno al vano principale, che risultano rialzate rispetto al piano di terra, in maniera tale che i loro portelli d’ingresso sembrano rappresentare le vere aperture laterali che servivano da finestre nelle capanne prenuragiche. La stanza principale, quando è stata scavata, era sorretta da due pilastri ricavati dalla roccia calcarea ma, nel corso dei secoli, uno dei due è stato abbattuto, e si stava per abbattere anche il secondo ma poi ci si accorse che la volta, senza pilastro, sarebbe crollata, ed è stato lasciato al suo posto. Al centro della camera principale si trova scolpita sul pavimento la riproduzione del focolare, mentre le colonne ricavate nella roccia che sembrano reggere la volta piana dell’ipogeo, altro non possono essere interpretate se non come la copia delle strutture lignee che nella casa dei vivi sostenevano il trave di colmo del tetto. Inoltre, le cellette di deposizione che fanno da corona al vano centrale. Nei pressi del monumento si trova, ancora parzialmente, il chiusino di pietra, che doveva coprire il portello d’ingresso relativo al vano maggiore dell’ipogeo. La Tomba III ha restituito lembi del deposito archeologico nel corridoio, ma la maggior parte dei materiali è stata rinvenuta nelle aree esterne, nelle quali sono stati accumulati i resti delle deposizioni e dei corredi, nel corso dei ripetuti riutilizzi. Sono rarissimi infatti i materiali relativi al primo utilizzo, della Cultura di Ozieri del Neolitico finale, e tra questi è presente un frammento di statuina in marmo. La tomba è stata, in seguito, utilizzata nelle fasi del Campaniforme, nuragica, punica e romana. Nel corso degli anni, anche questa tomba ha subito vandalismi e dopo i primi millenni di vita, quando era stata utilizzata per riporvi i defunti, in tempi più recenti è stata utilizzata come abitazione di un pastore eremita che ha scavato la stanza principale per aumentare l’altezza del soffitto e ha scavato un focolare nell’anticamera della tomba. Si pensa che oltre a viverci ci facesse dimorare anche le sue pecore. I Vandali, oltre a lasciare delle scritte e scavare nella roccia, hanno lasciato anche alcuni disegni tra cui una croce, ma si pensa che l’eremita fosse anche un artista e un religioso. Fino a qualche secolo fa, inoltre, anche per i cattolici la tomba era considerata un luogo sacro e spesso venivano celebrate delle funzioni religiose. Le ultime domus de janas che si trovano nel territorio di Giorrè. Lungo la SP3, dopo circa un chilometro e seicento metri da dove la avevamo imoboccata, subito prima del cartello che indica il chilometro 17, avevamo svoltato a sinistra in una strada a fondo naturale in discesa che aveva portato al mulino Siscia. Proseguendo per circa centoventi metri, si trova sulla destra poco distante un terreno privato chiuso da una cancellata, nel quale, a pochi metri a destra dell’ingresso, è visibile un grosso masso calcareo. Sul citato masso, sollevata poco oltre un metro dal piano di campagna, si trova la Tomba VI, andata distrutta per l’attività di una vicina cava. Si tratta di una domus de janas monocellulare, costituita da un solo piccolo ambiente, o forse in un’altra interpretazione con una struttura che poteva essere pluricellulare. Percorsi circa altri centosettanta metri lungo la SP3, si vede alla destra della strada un cancello dal quale parte un sentiero privato che conduce a un capannone, oltrepassato il quale è visibile un grosso masso calcareo isolato. alla base di tale masso isolato, si trova la Tomba VII, senza dubbio la più suggestiva dell’intera area di Giorrè, chiamata anche Tombe delle Colonne. È costituita da tre ambienti, una prima cella, un vano trasversale con due nicchiette, e un ulteriore vano. Nel vano trasversale sono presenti inoltre due colonne a sezione circolare e probabili motivi corniformi. Degne di rilievo sono le tre bozze scolpite dell’ipogeo, forse di significato magico o religioso oppure pratico, come segni di lavorazione della cella. L’altura di Pedras Serradas con sulla sommità i resti del Nuraghe omonimoDal Municipio di Cargeghe, presa la SP3 verso sud est, la seguiamo per circa un chilometro e mezzo e, subito prima del cartello che indica il chilometro 17, troviamo a sinistra la strada a fondo naturale in discesa che porta al mulino Siscia. Il sentiero principale, dopo aver portato al Mulino Siscia, termina e da lì proseguiamo a sinistra, ossia verso nord con il sentiero che porta a raggiungere la Tomba V della necropoli di S’Elighe Entosu. Da qui parte il sentiero per l’area archeologica di Pedras Serradas, che domina la valle di S’Elighe Entosu e sovrasta la necropoli omonima. Nel versante nord, l’altura presenta pareti a picco a causa di antiche frane, da cui deriva il suo nome di Pedras Serradas. Un pastore racconta una diceria dei vecchi di Cargeghe i quali ricordano come Benito Mussolini, in visita a Cargeghe, avrebbe voluto dare prova della sua virilità, arrampicandosi su queste rocce. Sulla sommità della parete rocciosa, in poco più di cinquecento metri lungo il sentiero per l’area archeologica di Pedras Serradas, si raggiunge una singolare costruzione appena distinguibile, chiamata il Nuraghe di Pedras Serradas, una sorta di uno strano Nuraghe semicircolare, secondo alcuni di un vero e proprio Nuraghe semicircolare, secondo altri non è chiaro se sia stato costruito volutamente in forma di mezza torre o se la parte mancante sia franata a valle. La costruzione, che è stata nel tempo del tutto smantellata, segna il confine tra il territorio Comunale di Cargeghe e quello del vicino comune di Florinas. I resti della necropoli di Pedras SerradasLungo l’altura che porta alla cima rocciosa di Pedras Serradas, a sud dei resti del Nuraghe si aprono a diversi livelli le tombe ipogeiche che costituiscono la Necropoli di Pedras Serradas. La necropoli è costituita da cinque tombe scavate nella roccia calcarea, che presentano uno sviluppo planimetrico abbastanza semplice, costituito da un’anticella e dal retrostante ambiente principale sul quale, in alcuni casi, si apre un vano laterale realizzato in tempi successivi. Alcuni vani sono caratterizzati dalla presenza, sulle pareti, di partiture architettoniche in rilievo, ossia da lesene, zoccoli e fregi. Due domus de janas, la III e la IV, si presentano ancora notevolmente interrate. Passato il Nuraghe, lungo il sentiero per l’area archeologica di Pedras Serradas che si dirige verso sud, si raggiunge in una cinquantina di metri la Tomba I, una tomba ipogeica composta da tre ambienti, l’anticella e una camera principale sulla quale si apre una celletta secondaria. Introduceva nell’anticella un portello con rincasso a cornice aperto sulla parete di fondo di un piccolo padiglione quadrangolare. Un foro semicircolare, prodotto dell’ampliamento dell’originario portello, introduce nell’ambiente principale quadrato che conserva, in corrispondenza dell’angolo nord, un bancone risparmiato nella roccia. Il vano, quadrato, è caratterizzato dalla presenza, sulle pareti, di partiture architettoniche in rilievo, ossia lesene, zoccoli e fregi. Presso l’angolo est della cella è scavato l’ingresso del vano laterale, un ambiente di pianta semiellittica che presenta, al centro del pavimento, una fossetta. In prossimità dell’ingresso alla tomba si trova adagiato sul terreno il frammento della lunetta superiore di una stele centinata che forse, originariamente, era applicata sul prospetto di una delle sepolture, e che quindi potrebbe testimoniare un riutilizzo della sepoltura in età nuragica. Appena una ventina di chilometri di distanza verso sud dalla Tomba I si trova la Tomba II, una tomba ipogeica di tipo monocellulare nella quale l’ambiente si caratterizza per la presenza di una nicchia realizzata sulla parete di fondo, preceduta da un portello con doppio rincasso a cornice. Una trentina di metri a nord est rispetto alla Tomba II si trova la Tomba III, una tomba ipogeica notevolmente interrata e nascosta dalla vegetazione, che si componeva di un’anticella oggi quasi scomparsa, e di almeno altre tre stanze. Un centinaio di metri a sud rispetto alla Tomba II si trova la Tomba IV, una tomba ipogeica seminascosta dal pietrame e dalla vegetazione, che si componeva di una anticella interrata e quasi scomparsa, e di una grande cella trasversale, con molte ossa umane in superficie. All’estremo meridionale della necropoli, circa duecento metri a sud rispetto alla Tomba IV, si trova la Tomba V della necropoli, nella quale una nicchia realizzata sulla parete di fondo dovrfebbe essere preceduta da un portello con doppio rincasso a cornice. La Tomba V si trova al di là dei limiti del territorio Comunale di Cargeghe, già all’interno del territorio Comunale di Florinas. A circa centocinquanta metri a sud della Tomba V della necropoli, si raggiuunge la SP3, poco più avanti del cartello segnaletico che indica l’uscita dall’area Comunale di Cargeghe e l’ingresso all’interno di quella di Florinas. Lungo la SP3, a seicento metri da dove abbiamo incontrato le deviazione per il mulino Siscia, troviamo il cartello segnaletico, e poco più avanti avremmo potuto lasciare l’auto per entrare nel campo alla sinistra, poco prima di una casa colonica, per poi risalire sull’altura sulla quale si aprono a diversi livelli le tombe ipogeiche che costituiscono la necropoli di Pedras Serradas. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, da Cargeghe ci recheremo a visitare Florinas il paese che ha dato i natali al famoso bandito Giovanni Tolu, probabilmente il più famoso fra tutti i banditi sardi, che visiteremo con i suoi dintorni e con i diversi siti archeologici tra i quali il Nuraghe Corvos ed il villaggio nuragico di Punta Unossi. |