Nella periferia di Nuoro sul Monte Ortobene, a visitare i suoi resti archeologici, e poi all’antica frazione Lollove
Dopo aver visitato il centro storico di Nuoro, in questa tappa del nostro viaggio visiteremo i suoi quartieri periferici della città ed i suoi dintorni, con le sue principali frazioni, tra le quali quella del Monte Ortobene e quella di Lollove, e con i resti archeologici che si trovano all’esterno della città. La regione storica del Nuorese o Barbagia di Nuoro o Barbagia di BittiIl Nuorese (nome in nuorese Su Nugorèsu, in logudorese Su Nuorèsu), indicato da alcuni anche con il nome di Barbagia di Nuoro o Barbagia di Bitti, è una regione storica della Sardegna nord orientale. In periodo giudicale il suo territorio apparteneva per lo più al Giudicato di Torres, nella Curatoria di Dore-Orotelli. In realtà oggi per Nuorese si intende un territorio molto più ampio, che comprende anche parte dei territori che in periodo giudicale appartenevano alle curatore di Bitti e di Orosei-Galtellì, nel Giudicato di Gallura. I comuni che ne fanno parte sono Bitti, Lula, Nuoro, Onani, Oniferi, Orani, Orotelli, Orune, Osidda, Ottana, e, secondo molti, ed anche secondo noi, al Nuorese apparterrebbe anche il comune di Sarule. Secondo alcuni vi apparterrebbe anche il comune di Dorgali, che, a nostro avviso, appartiene invece alla Barbagia di Ollolai, dato che durante il periodo nel quale la Sardegna era sotto il controllo dell’impero Bizantino e nel primo periodo del Giudicato di Arborea ne costituiva uno sbocco al mare, andato perduto a seguito dell’espansione, promossa dai Pisani, verso sud del Giudicato di Gallura. Il Nuorese è costituito da luoghi, paesi, tradizioni, enogastronomia, artigianato artistico, musica e cultura, che si sviluppano nei paesaggi dei paesi del comprensorio barbaricino, richiamati nelle opere letterarie del Nobel per la letteratura Grazia Deledda. Visita dei dintorni della città di NuoroVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Nuoro, sono stati portati alla luce i resti di diverse domus de janas, tra le qali quelle di Janna Bentosa, Molimentu, Sa ’e Belloi; delle necropoli di domus de janas di Borbore, Maria Frunza, Piras, su Cossu; della Tomba di giganti Noddule all’interno del villaggio nuragico omonimo; dei Nuraghi semplici Biscollai, Costiolu, Curtu, de Orizanne, Durgulileo, Iacupiu, lardine, loghelis, di Monte Gabutele, di Monte Gurtei, Nurdole, Padule Vili, Pedra Pertusa, Porcopi, Sa Ficarba, Sa Murta, Sa Preda longa, su Cuccuru, su Puleu, su Saju, Tanca Manna, Tertilo, Tres Nuraghes I, Tres Nuraghes II, Tres Nuraghes III, Ugolio; ed anche dei Nuraghi complessi Noddule, S’Abba Viva, Tigologoe. Visita del Monte Ortobene e dei diversi siti archeologiciSubito fuori dal centro abitato di Nuoro si trova il Monte Ortobene con tre interessanti piccole Chiese ed alcuni importanti siti archeologici. Il Santuario della Madonna della Solitudine che ospita le spoglie di Grazia DeleddaDa Nuoro riprendiamo la via Aspromonte, che ci aveva fatto entrare nel centro storico, e la percorriamo in uscita. Non torniamo sulla SS129, ma proseguiamo lungo il viale Francesco Ciusa ed arriviamo a un bivio. Lasciamo sulla sinistra la deviazione per la SP45, che qui ha il nome di via Valverde, e prendiamo invece via Monte Ortobene, dove troviamo subito sulla destra il piccolo Santuario della Madonna della Solitudine. È stato edificato nella seconda metà del ventesimo secolo, seguendo un progetto realizzato tra il 1947 e il 1954 su disegno di Giovanni Ciusa Romagna, quasi sicuramente sul sito dove era un tempo posta un chiesa preesistente molto cara al premio Nobel Grazia Deledda che nel 1959 si fece tumulare proprio qui. Il Santuario conserva ancora oggi la semplicità delle linee descritte da Grazia Deledda. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la presenza della sepoltura dato che, all’interno del Santuario a lei dedicato, sono conservate in un grande sarcofago le spoglie di Grazia Deledda, il premio Nobel per la letteratura che a questo piccolo edificio ha dedicato anche un romanzo. Nella chiesa interessante è il portale in bronzo, opera dell’incisore sassarese Eugenio Tavolara che ha contribuito ad arricchire questo posto suggestivo e ricco di fede anche con la Via Crucis, alcuni candelabri ed un Crocifisso. A Nuoro nel 1907 Giovanni Ciusa Romagna nasce dai negozianti Salvatore Ciusa e Maria Veronica Romagna, e, per distinguersi dallo zio scultore, Francesco Ciusa, egli si firma sempre Ciusa Romagna, assumendo anche il cognome della madre. Completati gli studi all’Accademia di Firenze, torna a Nuoro, dove si dedica all’insegnamento e all’arte. Le sue passioni sono la pittura e il disegno, con un occhio di riguardo per la sua terra: dal Carnevale agli scorci paesani, dai contadini alle donne al lavoro. Insieme ad amici contribuisce in modo significativo alla promozione dell’artigianato sardo in tutta Italia, riscrivendo i modelli per maschere, scialli, tappeti, gioielli e organizzando mostre e esposizioni. Come architetto, realizza la chiesa della Solitudine dove riposano le spoglie di Grazia Deledda, oltre al completo restauro della piazza Vittorio Emanuele II. muore a soli 51 anni, nel 1958. Per saperne di più su questo grande artista possiamo leggere una ampia Biografia di Giovanni Ciusa Romagna scritta da Maria luisa Frongia ed illustrata con la riproduzione delle sue opere più significative. |
Sul Monte Ortobene con le domus de janas chiamate Sas BirghinesLa strada panoramica che sale sul Monte Ortobene chiamato semplicemente dagli abitanti della città Il Monte, si arrampica sul costone granitico della montagna, tra fitti boschi di lecci. Da essa si ammira un bellissimo panorama della città. Lungo il percorso troviamo numerose fonti, la prima è quella di Sa ’e loda, più avanti c’è quella Milianu, luogo dove si sarebbe costituito il primo insediamento che poi ha dato vita alla città. Il Monte Ortobene arriva, con la cima Punta Cuccuru Nigheddu o Nieddu, ossia Cucuzzolo Nero, a 955 metri, e con la cima denominata Il redentore a 925 metri. Il Monte Ortobene è stato abitato nel Neolitico recente e nella prima età dei metalli, come attestano le necropoli ipogeiche scavate nel granito, costituita da domus de janas che vengono qui chiamate Sas Birghines. Sul monte si trovano quattro necropoli ipogeiche e cinque ipogei isolati, tutti costituite da pochi ambienti. Sul versante occidentale abbiamo le domus de janas Borbore chiamata anche di Valverde, Janna Bentosa, Maria Frunza, su Cossu. Sul versante orientale le domus de janas Molimentu e Sa ’e Belloi. Non ci sono giunti resti evidenti di villaggi ma possiamo ipotizzare che ne esistessero, non lontano dalle sepolture, e che siano andati distrutti nel tempo o non siano ancora stati scoperti. Sulla cima del Monte Ortobene si trovano le antenne televisive e la chiesa di San Giovanni GualbertoLa strada panoramica, evitando le deviazioni che si incontrano nel suo percorso, ci porta in sette chilometri fino sulla vetta della cima denominata Cuccuru Nigheddu, di 955 metri, che è la cima più alta del Monte Ortobene, sulla quale sono posizionate le antenne televisive di diverse emittenti. Quasi in cima al Monte Ortobene, poco prima di arrivare alle antenne, si trova la chiesa di San Giovanni Gualberto che è il patrono dei Forestali d’Italia. La piccola chiesa è stata costruita alla fine degli anni cinquanta del novecento, in occasione della prima Festa nazionale della Montagna che si è celebrata sul Monte Ortobene. La Festa di San Giovanni Gualberto era una Festa alquanto partecipata che si svolgeva, sino a non molti anni orsono, il 12 luglio, al termine della campagna anticendi, per cui spesso viene spostata ad altra data. La frazione Nostra Signora de su Monte con la sua chiesa chiamata anche Santuario della Madonna di Monte NeroProseguendo lungo la strada panoramiva, si arriva sulla cima Il redentore del Monte Ortobene, dove si trova la frazione Nuoro denominata di Nostra Signora de su Monte (altezza metri 907, distanza in linea d’aria circa 8,4 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 2). Nella frazione sulla cima del Monte Ortobene si trova il Santuario della Madonna di Monte Nero, chiamato anche chiesa di Nostra Signora del Monte ossia della Virgin ’e monte, la cui fondazione risale al 1608 per volontà dei fratelli Pirella. Secondo la leggenda, riportata anche nel romanzo Cosima di Grazia Deledda, uno dei tre fratelli Pirella, che erano Melchiorre, Giovanni Angelo e Pietro Paolo, sacerdoti nativi di Nuoro, di ritorno dal Santuario della Madonna del Monte Nero vicino a Livorno, trovatosi in una tempesta, aveva promesso di costruire una chiesa sulla prima cima dell’Isola che avesse visto se si fosse salvato. Come si leggesu una lapide esposta sopra l’ingresso, la chiesa è stata costruita sul Monte Ortobene nel 1608, in soli trenta giorni, e dedicata alla Madonna del Monte Nero. La prima pietra della chiesa viene posta il 26 aprile 1608 dal nuorese Melchiorre Pirella, canonico della cattedrale di Cagliari e poi dal 1631 vescovo di Bosa e dal 1635 di Ales, delegato del vescovo di Alghero Niccolò Cannavera, che nei giorni precedenti aveva visitato Nuoro, dovendo ripartire in quel giorno per il prosieguo della visita. Una lapide al di sopra della porta laterale ricorda i fondatori del Santuario, nel portone principale si trova la lapide con lo stemma della famiglia Pirella. Il Santuario della Madonna di Monte Nero dal 1962 al 1987 è stata una chiesa parrocchiale, mentre attualmente si trova sotto la giurisdizione della cattedrale. La chiesa rappresenta un classico esempio di architettura campestre con le sue Cumbessias, ed all’interno si presenta con una singola navata. Svariati sono stati gli interventi di restauro che sono stati effettuati, uno nel 1887, come testimonia la lapide sul basamento dell’immagine della Madonna. Un altro intervento si rende necessario nel 1972 ed interessa il tetto, ma si è trattato di un ntervento Giudicato Sciagurato per aver alterato la natura originaria dell’edificio. Nel 2002 la chiesa viene colpita da un attentato incendiario, un grave atto di vandalismo che ha causato seri danni alla struttura. L’opera di restauro ha avuto termine solo nel 2010. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla statua conservata nel Santuario, in cui il Bambino ha una mano infilata nel colletto della Vergine. Preceduta da un triduo di preghiera, il 22 agosto si svolge la celebrazione eucaristica pomeridiana, seguita dalla processione. Dal 20 al 28 agosto questa chiesa ospita la novena del redentore, in preparazione dell’attesissima Sagra che viene celebrata il 29, ai piedi dell’imponente statua in bronzo situata sul Monte Ortobene. La statua in bronzo del redentoreIl Monte Ortobene è stato uno dei monti scelti da papa Leone III per accogliere, in occasione del Giubileo del 1900, una delle venti statue dedicate a Cristo redentore, fatte realizzare dalla chiesa e donate ad altrettante città d’Italia. Quindi, sulla cresta occidentale del Monte Ortobene, il 29 agosto del 1901, è stata collocata la Statua in bronzo del redentore alta sette metri e del peso di due tonnellate, realizzata dallo scultore calabrese Vincenzo Ierace, di Polistena. Dietro il piede destro del Cristo vi è il volto di un bambino, a Nuoro erroneamente identificato come un angioletto o un diavoletto, e che in realtà, come ebbe a scrivere lo stesso autore, rappresenta l’umanità che al cospetto di Dio è come un bambino. Vincenzo Jerace non ebbe la forza di presenziare all’inaugurazione della statua del redentore, per la morte, a Napoli, a soli 27 anni, della moglie luisa. Dopo quattro anni i Nuoresi dedicarono a luisa Jerace un’epigrafe dettata da Grazia Deledda. alla statua del redentore sul Monte Ortobene sono legate le manifestazioni religiose legate alla Sagra del redentore. Il 29 agosto di ogni anno, dopo una processione a piedi dal paese fino sulla cima del Monte Orobene, si celebra una messa solenne, che conclude una Sagra ricca di fascino soprattutto per la sfilata dei costumi, canti e balli tradizionali a cui partecipano tutti i paesi della Sardegna. La necropoli di Borbore chiamata anche di Valverde data la sua vicinanza con l’omonima chiesaDa Nuoro, preso il viale della Solitudine e passato il piccolo Santuario della Solitudine, passati circa trecentocinquanta metri, prima di una svolta della strada verso destra, prendiamo una strada in cemento sulla sinistra che ci porta verso ovest, e, in circa duecento metri, ci porta alla Fonte di Borbore. Da qui, proseguendo a piedi in un sentiero abbastanza accidentato, dopo un paio di centinaia di metri arriviamo alla Necropoli di Borbore. Il luogo, di grande effetto scenografico, è caratterizzato da un cortile quadrangolare, al quale si accede tramite un arco in granito di rara bellezza e, da qui, alla tomba, che ha un’unica camera, con un ingresso laterale e uno dall’alto. In questa necropoli, che viene chiamata anche di Valverde data la sua vicinanza all’omonima chesa, sono stati rinvenuti manufatti di ossidiana scheggiati su le due facce, col vertice generalmente appuntito, ed asce di pietra. Secondo l’interpretazione di molti studiose, il luogo era, probabilmente, anticamente dedicato al culto delle acque e del dio Pan. Il Santuario dedicato alla Madonna di ValverdeDa Nuoro, lungo il viale della Solitudine, arriviamo al bivio e prendiamo sulla sinistra la SP45, che scende verso la vallata di Marreri. Percorsi circa 1,3 chilometri, troviamo sulla destra della strada le indicazioni che ci fanno prendere una stradicciola sulla destra che, in circa quattrocento metri, ci porta al Santuario dedicato alla Madonna di Valverde, nota fino da tempi remoti come Balubirde o Palu Birde. È un Santuario campestre costruito in stile rustico sardo a partire dal 1699, come indica una epigrafe posta sull’altare maggiore, per iniziativa della ricca donna nuorese Nicolina Sulis Manca vedova Demonti, che volle edificare una chiesa in onore della Madonna, assegnandole come dote la metà della Tanca che, unitamente al defunto marito, possedeva in località Goine. Originariamente aveva pianta a croce latina, ma le due navate laterali sono state successivamente separate da quella centrale, e sono state adibite una a sagrestia e l’altra ad abitazione del prete. Il ricordo della chiesa viene citato anche dalla scrittrice Grazia Deledda nel suo principale romanzo Canne a Vento. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, perché connesso all’iniziativa stata presa dalla fondatrice come atto della particolare devozione alla Madonna, che si era andata a diffondere nell’intera Sardegna quando si era incominciato a parlare dei tanti fatti straordinari che avvenivano in un una chiesetta esistente a pochi chilometri da Alghero, dove era custodita una statuetta della Vergine Maria, favorendo così il diffondersi in tutta la Sardegna della devozione alla Madonna sotto questo titolo. Per questo la Madonna di Valverde è oggetto di devozione popolare, e l’8 settembre si celebra la Festa della Madonna di Valverde, esclusivamente religiosa. Dalla città si scalano a piedi le pendici dell’Ortobene per giungere al Santuario campestre in una processione accompagnata da una novena, che inaugura una delle feste religiose più sentite e coinvolgenti del territorio. La domus de janas Janna Bentosa o Janna VentosaLa domus de janas Janna Bentosa o Janna Ventosa si trova sul versante occidentale del Monte Ortobene. Da Nuoro, lungo il viale della Solitudine, arriviamo al bivio e prendiamo sulla sinistra la SP45, che seguiamo per quasi due chilometri e mezzo, poi troviamo sulla sinistra, all’interno di una pineta, la stradina che porta all’ipogeo. L’ingresso è preceduto da un corridoio di accesso, ossia da un dromos rettangolare, delimitato da due file di pietre appoggiate alla parete rocciosa. Dal dromos si accede alla sepoltura costituita da due vani. Troviamo prima una antecella di forma pressoche rettangolare, molto danneggiata. Durante gli scavi si sono trovati sul pavimento una fossetta ovale ed un focolare rituale, oggi non più visibili perché ricoperti da detriti. Dall’antecella si accede alla cella vera e propria di forma irregolare, con alle pareti laterali due nicchie. Tracce di ocra rosso scuro fanno ritenere che le pareti fossero decorate. Nel dromos e nell’anticella sono stati rinvenuti materiali ceramici della Cultura di Ozieri, che si è sviluppata tra il 4000 ed il 3200 avanti Cristo. Si è avuto un suo riutilizzo successivo, sono stati rinvenuti, infatti, materiali ceramici della Cultura di Monte Claro, una perlina di pasta vitrea, resti di due vasi del periodo del Bronzo Antico, ed anche frammenti di età romana. I resti della necropoli ipogeica di Maria FrunzaAnche la Necropoli ipogeica di Maria Frunza si trova sul versante occidentale del Monte Ortobene. Da Nuoro prendiamo il viale della Solitudine, al bivio a sinistra la SP45 che scende verso la vallata di Marreri. Dopo circa tre chilometri troviamo a destra una casa bianca e sulla sinistra un bosco di pini. Parcheggiamo l’auto e prendiamo il sentiero nella pineta, e dopo trecento metri vediamo sulla sinistra un costone roccioso sul quale si trovano i resti della necropoli di Maria Frunza, costituita da quattro domus de janas scavate nel granito. La prima tomba si trova sul bordo sinistro del sentiero, è una tomba a due celle, con un padiglione di ingresso a forma rettangolare, dal quale di accede da un ingresso trapezoidale alla prima cella. Questa ha pianta ellittica, con pareti rettilinee e il soffitto spiovente verso l’ingresso. Un portello nella parete di fondo, con una doppia cornice, porta alla seconda cella. Sono presenti tracce di ocra scuro sia alla base del portello che tra le due cornici. La seconda cella è rettangolare, con pareti rettilinee e soffitto piatto, spiovente verso l’ingresso. All’interno conserva un grande bancone perfettamente dritto sul quale si posavano le salme. Sul costone roccioso, a circa venti metri dalla strada, si trova, circondata dalla vegetazione, la seconda tomba, di grandezza e forma insolita che ne fanno l’ipogeo più singolare della necropoli. È una tomba a tre celle, preceduta da una scalinata formata da tre alti gradini forse aggiunti in epoca successiva. Dal padiglione di ingresso, quasi distrutto nel tempo, si accede attraverso un portello alla prima cella di forma pressoche rettangolare, con pareti rettilinee ben levigate. Verso il fondo della cella c’è un pilastro, che riproduce un tipico elemento della casa dei vivi. Sulla parete di sinistra, un portello conduce alla seconda cella, di pianta pressoche circolare, con le pareti curve ed il soffitto piano. Un portello a destra dell’ingresso della prima cella porta alla terza cella, di forma ellittica, con pareti rettilinee e soffitto piatto. La terza tomba si trova un poco più in alto. È una tomba a tre celle. Il portello di ingresso è ornato da una sottile cornice ed ha il segno di una scanalatura nella quale si inseriva il chiusino. La prima cella è di forma ellittica, con pareti rettilinee e levigate. Sulla parete di fondo si apre il portello che porta alla seconda cella, con forma pressoche circolare, pareti rettilinee ben levigate. Nella parete destra della seconda cella troviamo l’ingresso per la terza cella, di forma ellittica. La quarta tomba si trova più in alto rispetto alle altre tre. L’ingresso rettangolare è ornato da una cornice quadrangolare in rilievo, e da su un unico ambiente non completato, dato che il vano sembra quasi una nicchia priva di un vero soffitto. La necropoli ipogeica di Maria Frunza è databile al tempo della Cultura di Ozieri, ossia tra il 4000 ed il 3200 avanti Cristo. Visita del resto della città di Nuoro con i suoi siti archeologiciCi rechiamo, ora, a visitare il resto della città. Dalla piazza Santa Maria della Neve prendiamo, alla destra della facciata della cattedrale, la via Antonio Mereu, che seguiamo per circa cento metri, poi svoltiamo a sinistra e imbocchiamo via Domenico Guerrazzi. Seguiamo la via Domenico Guerrazzi per circa settanta metri, poi svoltiamo a destra nella via Sant’Onofrio, che seguiamo per circa centocinquanta metri e che ci porta alla base del Colle di Sant’Onofrio, sul quale è presente il parco Sant’Onofrio. Fonti storiche assicurano la presenza di un Nuraghe andato forse distrutto nel 1929 durante la creazione del deposito d’acqua, o più probabilmente spogliato dei massi granitici per reimpiegarli nella costruzione di edifici. Il Museo Etnografico Sardo o Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari SardeArrivati alla fine della via Sant’Onofrio, proseguiamo dritti per poco più di centocinquanta metri sulla via Antonio Mereu, fino a trovare sulla destra l’edificio che ospita il Museo Etnografico Sardo o Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde aperto nel 1976. In esso sono rappresentati tutti gli aspetti della cultura della Sardegna tradizionale, con circa 80 abiti maschili e femminili e diversi capi d’abbigliamento infantile, tutti autentici e realmente utilizzati, gioielli, manufatti tessili e lignei, armi, oltre 60 strumenti della musica popolare, utensili domestici, strumenti di lavoro, ecc. Ed inoltre maschere facciali lignee, e campanacci e pelli di pecora, le maschere dei Thurpos di Orotelli, dei Boes e Merdules di Ottana e dei Mamuthones e Issohadores di Mamoiada. Il complesso degli edifici che ospita il Museo riproduce la struttura di un villaggio tipico della Sardegna. Il Museo è stato recentemente oggetto di un grande progetto di restauro, riqualificazione e ampliamento, realizzando un maggior volume di quasi cinquemila metri cubi rispetto al precedente complesso museale. Il parco pubblico del Colle di Sant’OnofrioDalla fine della via Sant’Onofrio, invece di proseguire dritti sulla via Antonio Mereu, prendiamo una strada a sinistra che ci porta a salire sul Parco pubblico del Colle di Sant’Onofrio. Secondo un’antica tradizione, sul colle di Sant’Onofrio sarebbe esistito un piccolo tempio dedicato alla divinità fenicia Astarte, la dea primigenia, la Terra Madre, progenitrice di tutti gli esseri viventi. Sul colle è data per certa la precedente presenza di un’antica chiesa campestre intitolata a Santa Marina, e solo in seguito a Sant’Onofrio da cui prende il nome il colle, andata distrutta completamente all’inizio del periodo fascista. È un ampio spazio con giardini, che funge da parco pubblico. Sulla strada per il colle troviamo il cosiddetto Castello, ossia il Villino Antonietta, realizzato negli anni trenta in stile neogotico. Nel 1934 venne posto sulla sommità del colle di Sant’Onofrio un monumento dedicato a Sebastiano Satta, opera di Francesco Ciusa. Di questo monumento, distrutto da atti vandalici, oggi purtroppo non rimane che il ricordo. Il Cimitero di NuoroArriviamo a Nuoro da sud con la SS129, che porta nella città. Prendiamo seguendo le indicazioni per il Municipio e per tutte le direzioni, una deviazione che fiancheggia la strada statale sulla destra, tornando quasi indietro, e che è la via Francesco Ciusa. La seguiamo per poco meno di cinquecento metri, quando sbocca sulla via della Solitudine, proveniente da ovest dal Monte Ortobene. La prendiamo verso sinistra e la seguiamo fino a largo Pirari, dove prendiamo a destra la via Antonio Ballero, che ci porta, al civico numero 129, all’ingresso del Cimitero di Nuoro. La chiesa di San Giovanni BattistaPassato l’ingresso del Cimitero, proseguiamo verso sud ovest lungo la via Antonio Ballero, dopo trecento metri prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per la frazione Lollove, la via Zeila, che diventa poco dopo via Lollove. Dopo averla seguita per un chilometro e duecento metri, prendiamo a sinistra la via della pietra, che seguiamo per cinquanta metri, poi svoltiamo a destra ed imbocchiamo la via San Giovanni Battista. Su questa strada si trova, dopo meno di duecento metri, sulla sinistra, al civico numero 11, la nuova chiesa di San Giovanni Battista. Proseguendo sulla via Lollove per una diecina di chilometri, si arriverebbe alla frazione Lollove, che visiteremo più avanti. Ci arriveremo, però, in modo più comodo seguendo un’altra strada. In piazza Italia troviamo il palazzo della Provincia ed il Municipio di NuoroProseguendo circa cinquanta metri, prendiamo a sinistra per rimenere sulla via San Giovanni Battista che seguiamo per trecentocinquanta metri, poi svoltiamo a sinistra in via delle Frasche che seguiamo per centottanta metri. Dove la via delle Frasche sbocca su via Nurra, prendiamo a destra la strada che in ottanta metri ci porta, a destra, in via Ubisti, la seguiamo fino a dove sbocca sulla via Trieste, ed arriviamo nella piazza Italia con i suoi giardini, dove vediamo alla sinistra il Palazzo della provincia di Nuoro, che confina con il palazzo che ospita la sede e gli uffici del Municipio di Nuoro, il cui ingresso si trova, però, in via Dante Alighieri, al civico numero 44. La Giuseppe Gabbas Azienda VinicolaSeguiamo la via Trieste per seicentocinquanta metri, alla sinistra della strada, al civico numero 59, si trova l’edificio che ospita la Gabbas Azienda Vinicola. L’Azienda Vinicola di Giuseppe Gabbas si estendesu una superficie di circa trenta ettari, dei quali venti a vigneto e cinque ad oliveto, in una vallata ai piedi del Supramonte, nel cuore della Sardegna, a dieci chilometri da Nuoro. Il vitigno maggiormente coltivato è il Cannonau, al quale sono state aggiunte altre varietà locali, selezionate tra le più interessanti del ricco panorama viticolo sardo. Questa piccola e dinamica realtà produttiva in un territorio particolarmente vocato alla coltivazione della vite riesce sempre ad esprimersi al meglio, regalando al vino tratti di eleganza e di territorialità altrove difficilmente raggiungibili. |
La chiesa di San GiuseppeNela via Trieste, proprio di fronte a dove si trova l’azienda vinicola, prendiamo a destra la via redipuglia, la seguiamo per quaranta metri e prendiamo a destra la via Trento, alla sinistra della quale, al civico numero 31, si affaccia la nuova chiesa di San Giuseppe. Costruita negli ultimi cinquantaanni, ha l’intera struttura in mattoncini rossi sporgenti. L’Ospedale San FrancescoProseguendo lungo la via Trento, dopo meno di duecento metri svoltiamo a destra in via Piave, dalla quale prendiamo a destra la via Trieste che seguiamo per circa seicentocinquanta metri. alla rotonda prendiamo la prima uscita e imbocchiamo la continuazione della via Trieste che, dopo duecentocinquanta metri, continua sulla via Salvatore Mannironi, che seguiamo fino a trovare, dopo circa cinquecento metri, sulla sinistra l’ingresso dell’Ospedale San Francesco. La parte nuova della città vede in questo Ospedale una delle strutture sanitarie più importanti di tutta la Sardegna, anche se io non posso certo conservarne una grande stima dopo avervi vissuto una delle esperienze più brutte della mia vita. Mi permetto di dare un consiglio ai turisti in visita alla Sardegna centrale: se avete problemi di salute fate il possibile per evitare l’Ospedale San Francesco di Nuoro. Nel 2002 i quotidiani sardi riportavano il calvario di una donna ricoverata d’urgenza per coliche e dimessa dopo tre giorni senza neppure una diagnosi, alla quale per miracolo a Cagliari sono poi riusciti a salvare un rene. È una notizia ripresa dalla stampa, non so quanto attendibile, io comunque riporto la mia esperienza diretta. Nel 2000 mi hanno portato con il braccio sinistro rotto al Pronto Soccorso alle 19.20 e dopo venti minuti di attesa alle 19.40 mi è stato detto che non si poteva fare nulla poiché dalle 20 alle 8 di mattina radiologia rimane chiusa (Ma mancano venti minuti... - Volete che in agosto venti minuti prima della chiusura i medici siano ancora al lavoro?). Sono stato invitato a tornare la mattina successiva, ma prima delle 7.30 se volevo sperare di avere i risultati per metà pomeriggio. Poi gli infermieri mi hanno Chiesto dove era il dolore e mi hanno steccato il gomito, ma non avendo i materiali necessari si sono ingegnati ed hanno utilizzato per la steccatura ritagli di una scatola di cartone. Disperato ho interrotto le vacanze e il giorno successivo mi sono imbarcato e sono rientrato a Milano, dove tra l’altro hanno constatato che il gomito stava benissimo e la frattura (un mese di ingessatura di tutto il busto) era alla spalla, al trochite omerale sinistro... Mi hanno detto che neppure nel terzo mondo accadono cose come quella che mi era capitata! |
La chiesa dedicata a San Francesco d’AssisiProseguendo sulla via Salvatore Mannironi, passati circa duecento metri, adiacente all’Ospedale, vicino al punto di arrivo dell’elisoccorso, al civico numero 61 si trova la chiesa di San Francesco d’Assisi una chiesa moderna eretta a chiesa parrocchiale. Il parco con il Nuraghe semplice UgolioDi fronte alla chiesa di San Francesco si trova l’ampio parco di Ugolio, con percorsi pedonali e ciclistici, con aree di sosta, e con, all’interno, il Nuraghe Uguliu un Nuraghe semplice monotorre che si trova vicino all’Ospedale San Francesco. Il Nuraghe è stato costruito in cima alla collinetta, su un affioramento granitico. Il Nuraghe si trova, purtroppo, in pessimo stato di conservazione. Del Nuraghe rimane solo una parte della torre, che vediamo inserita al centro di un contrafforte. È realizzato con blocchi semplicemente sbozzati. Sul lato sinistro del Nuraghe, ai piedi del monumento si trova un piccolo terrazzo naturale, dal quale di può ammirare tutto il panorama. Non lontano dal monumento, verso oriente, si vedono pochi resti di alcune capanne del villaggio nuragico. Durante la costruzione dei palazzi, dalla parte opposta della pineta, sarebbero stati rinvenuti numerosi resti ceramici. La Stazione ferroviaria di NuoroTorniamo indietro lungo la via Salvatore Mannironi, proseguiamo su via Trieste e, percorsi circa tre chilometri, arriviamo a una rotonda, dalla quale più a sinistra prosegue la via Trieste, mentre a destra parte la via la Marmora. Prendiamo quest’ultima e la seguiamo per cinquecento metri, e troviamo alla sinistra della strada l’edificio che ospita la Stazione ferroviaria di Nuoro, capolinea della linea a scartamento ridotto che proviene da Macomer, che oggi è lo scalo ferroviario dell’ARST della città di Nuoro.La stazione è stata edificata alla fine degli anni ’50 del novecento, in luogo dell’originale prima stazione del paese, situata nell’area dove ora sorge la piazza Italia, e della quale attualmente non rimane più nulla. La realizzazione della nuova stazione, ad opera delle Ferrovie Complementari della Sardegna, è avvenuta nell’ambito del programma di ammodernamento della rete ferroviaria a scartamento ridotto, con il quale si sono apportate varie modifiche al tracciato della ferrovia da Macomer. Il nuovo complesso, inaugurato nel 1958, è stato gestito dal compartimento delle Ferrovie Complementari della Sardegna di Macomer fino al 1989, quando queste linee ferroviarie si sono fuse con le Strade Ferrate Sarde per dare vita alle Ferrovie della Sardegna, divenute poi ARST. Lo scalo, che ospita anche un deposito delle autolinee ex Ferrovie di Sardegna e i relativi impianti di rimessa e manutenzione degli autobus, è dotato, davanti al fabbricato viaggiatori, di tre binari, ognuno con una propria banchina, utilizzabili per il servizio viaggiatori. Nell’area ovest della stazione è inoltre presente una piattaforma per girare i rotabili. Lo stadio Comunale di calcio intitolato a Franco Frogheri situato all’ex QuadrivioDalla rotonda, prendiamo una strada un poco più a destra della via Trieste che, in centocinquanta metri, ci porta in piazza Sardegna. Tra il viale repubblica che parte verso ovest dalla piazza, ed il viale Sardegna che parte verso est dalla piazza, si trova, in un luogo chiamato Quadrivio, lo Stadio Comunale Franco Frogheri che nel 2005 è stato intitolato all’indimenticato bomber della squadra nuorese, ricordato in una targa commemorativa posta all’ingresso della tribuna principale. I lavori della costruzione dell’impianto sono iniziati nel 1928, ove il sovrano Vittorio Emanuele di Savoia pose la prima pietra dell’attuale stadio che andò a sostituire il vecchio campo di Crapasabba, che era situato nel cuore della città. Il campo ha un terreno erboso, e contiene 3.440 posti dei quali 495 coperti. Nello stadio Froghieri gioca la Nuorese calcio, la principale squadra calcistica di Nuoro, fondata nel 1930, una delle squadre di calcio più antiche della Sardegna. Qui, con la Nuorese, ha giocato nei primi anni della sua carriera, dal 1984 al 1986, il grande giocatore Gianfranco Zola. L’Ospedale sanatoriale Cesare Zonchello con il suo parco e con la chiesa dell’OspedaleIn piazza Sardegna, di fronte allo stadio si trova l’ingresso del grande parco e dell’Ospedale sanatoriale Cesare Zonchello. realizzato negli anni trenta del novecento su progetto dell’architetto Ghino Venturi e già adibito a tubercolosario, attualmente ospita diversi servizi dell’Azienda Sanitaria locale. Il parco è stato di recente aperto al pubblico. All’interno del parco si trova anche la chiesa dell’Ospedale Zonchello. Questa chiesa è stata consacrata nel 1938, ed è caratterizzata da un curioso altissimo portico dorico sormontato da un timpano spezzato, e da piccole finestre tonde, che danno luce all’interno. La chiesa di San Paolo ApostoloDalla piazza Sardegna prendiamo verso ovest il viale repubblica, che prosegue su via Ragazzi del 99, dove, prima dell’incrocio con la via Raffaele laporta, alla destra della strada si trova il largo San Paolo, che conduce alla chiesa di San Paolo Apostolo una nuova chiesa costruita per servire i quartieri residenziali ad nord ovest dell’abitato. Da fuori di questa chiesa si può vedere un bellissimo panorama verso i quartieri di città giardino e città nuova. La chiesa di San Domenico SavioProseguiendo, via limbara continua su via Tempio che, dopo quattrocento metri, sbocca su viale della repubblica. La prendiamo verso destra e la seguiamo superando una prima rotonda, dopo seicento metri, a una nuova grande rotonda, prendiamo verso sinistra il viale della resistenza, dopo trecentocinquanta metri a un’altra rotonda prendiamo a destra la via San Domenico Savio. Dopo cinquecento metri, troviamo, alla sinistra della strada, la nuova chiesa di San Domenico Savio gestita dai Salesiani di don Bosco. Accanto alla chiesa si trovano gli impianti sportivi dei Salesiani. La chiesa del Sacro Cuore di GesùRitorniamo in piazza Sardegna e prendiamo verso nord ovest il viale Sardegna, lo seguiamo per settecentocinquanta metri, fino a dove incocia la via Toscana, che prendiamo verso sinistra. La seguiamo per poco meno di duecentocinquanta metri, prendiamo a sinistra la via Lombardia, dopo centocinquanta metri prendiamo a destra la via lazio, e dopo circa ottanta metri prendiamo a destra la via Piemonte, dove, alla sinistra della strada, al civico numero 8, si trova la chiesa del Sacro Cuore di Gesù edificata nel 1956 per servire i nuovi rioni di Istiritta e Tanca Manna, nei quali sorgevano molte abitazioni private e case popolari. Inizialmente è stato costruito un salone adibito a luogo di culto, seguito dalla costruzione della nuova chiesa con il campanile. > Purtroppo, negli anni ottanta del novecento, si sono evidenziati dei difetti strutturali, la chiesa è stata chiusa al culto e si è tornati ad officiare nel vecchio salone. In seguito è stata ristrutturata la chiesa e si è anche sistemato il terreno circostante, con un giardino dominato da una rupe granitica su cui è piantata una croce. Le strutture sportive denominate campo Scuola Tomaso PoddaDopo aver visitato la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, torniamo indietro e proseguiamo lungo la via Toscana. Al termine di questa strada, arrivati in piazza Caduti sul lavoro, prendiamo a sinistra e imbocchiamo la via Veneto, che seguiamo per circa duecentocinquanta metri, poi, arrivati in piazza Veneto, svoltiamo a destra in via Eugenio Montale e, dopo duecento metri, arriviamo all’ingresso dello stadio di Nuoro denominato Campo Scuola Tomaso Podda dove si trovano anche altri spazi e zone per l’addestramento dei ragazzi. L’Anfiteatro Comunale dedicato a Fabrizio De Andrèalla sinistra dello stadio, si trova l’Anfiteatro all’aperto, che è visibile anche da qui, dall’alto, ma che raggiungiamo tornando indietro per via Eugenio Montale fino alla piazza Veneto, dove prendiamo a destra la via Peppino Catte, e, sulla destra, al civico numero 91, troviamo l’ingresso dell’Anfiteatro Comunale. Con una capienza di circa cinquemila posti a sedere numerati, è uno dei più grandi della Sardegna. Qui il grande cantautore genovese Fabrizio De Andrè, al quale è stato dedicato l’anfiteatro, nel luglio 1998 ha tenuto il suo ultimo concerto in Sardegna. Nell’Anfiteatro si tenevano spettacoli e manifestazioni di grande richiamo e di alto livello artistico, tra cui l’esibizione dei gruppi folkloristici la stessa sera in cui si svolge la sfilata in costume per la Festa del redentore. Ora la struttura è stata quasi abbandonata, ed è andata in degrado, tanto che nel 2014 l’esibizione dei gruppi folkloristici non si è tenuta qui, ma in piazza Vittorio Emanuele II. Peccato avere realizzato una così bella e grande struttura ed abbandonarla a sè stessa! I resti del Nuraghe semplice Tanca MannaPassata la chiesa del Sacro Cuore, la via Piemonte sbocca sulla via Martiri della Libertà, che prendiamo verso sinistra. Dopo quattrocentocinquanta metri, parte sulla sinistra la via Enrico De Nicola, e tra le due strade, si trova il parco Tanca Manna, nel quale si trova l’omonimo Nuraghe. Il Nuraghe Tanca Manna costituice il più antico insediamento archeologico presente a Nuoro, ed è situato nella zona sud della città, nel rione su Nuraghe, in località Tanca Manna. Il Nuraghe è stato costruito su un affioramento granitico, al limite del costone,su una piattaforma naturale affacciata sulla vallata. Si tratta di un Nuraghe monotorre realizzato con blocchi in granito. All’interno della camera, con copertura a tholos, sono presenti due nicchie laterali contrapposte. della scala interna, che correva lungo le pareti, restano solo un paio di gradini. Il Nuraghe non è conservato molto bene. Oltre al Nuraghe, nell’area doveva essere presente anche una necropoli ipogeica. Con i raggi infrarossi, si sono individuati i resti di un villaggio nuragico, che si estende su oltre due ettari e si ritiene fosse costituito da oltre 800 capanne. I primi scavi archeologici risalgono al 1961, e si è rilevato che l’area del Nuraghe e quella circostante sono state spogliate da parte di tombaroli. Un ulteriore intervento di scavo e di restauro è stato fatto nel 2005. Il comune si sta impegnato per il recupero dell’intero sito archeologico, che viene datato 2000 avanti Cristo. Il monastero delle Carmelitane Scalze e chiesa dedicata alla Mater SalvatorisPassato il Nuraghe, prendiamo la via Enrico De Nicola in direzione sud est per circa trecentocinquanta metri, poi svoltiamo a sinistra e, dopo meno di duecento metri, svoltiamo a destra, altri meno di duecento metri e svoltiamo a sinistra, seguiamo la strada per quasi cinquecento metri. Arriviamo al monastero delle Monache Carmelitane realizzato negli anni novanta del novecento su progetto dell’architetto francese Savin Couelle. Inaugurato nel febbraio 1994 il monastero si trova su un’altura e si sviluppa in una pianta esagonale intorno al chiostro, le celle e gli ambienti comunitari fino alla Cappella dedicata alla Mater Salvatoris unico ambiente aperto al pubblico, dotata di un’alta cupola contraffortata e bucata da un’altissima croce inquadrata da conci di granito che illumina l’interno. La chiesa parrocchiale della Beata Maria GabriellaDallo stadio Franco Forghieri, prendiamo il viale Sardegna, e lo seguiamo fino a dove sbocca sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, che seguiamo per circa un chilometro, alla rotonda prendiamo la prima uscita rimanendo sulla SS389 di Buddusò e del Correboi. Dopo duecento metri svoltiamo a destra ed imbocchiamo la via Giuseppe Biasi, che, in poco più di cento metri, ci porta di fronte alla chiesa della Beata Maria Gabriella dedicata alla Beata Maria Gabriella Sagheddu, nata a Dorgali. Situata nella periferia più estrema, a pochi passi dal Carcere di Badu ’e Carros, la chiesa, realizzata in stile moderno, è stata completata appena nel 1999. La parrocchia Beata Maria Gabriella è il più recente esempio di edilizia religiosa nella città di Nuoro. Altre frazioni e siti archeologici che si trovano nei dintorni della città di NuoroIn questa tappa del nostro viaggio, da Nuoro ci recheremo a visitare le diverse frazioni che si trovano nei suoi dintorni. La frazione Predas ArbasDalla chiesa parrocchiale della Beata Maria Gabriella, procediamo in direzione nord ovest con la via Giuseppe Biasi e, dopo ottocento metri, svoltiamo a sinistra e prendiamo la SS129 in direzione ovest. Percorsi circa cinque chilometri, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni, e in un chilometro raggiungiamo la frazione Nuoro denominata Predas Arbas (altezza metri 539, distanza in linea d’aria circa 6 chilometri, abitanti circa 46). La zona industriale di Prato SardoDal centro di Nuoro, arrivati all’Ospedale San Francesco, proseguiamo con la via Salvatore Mannironi che, dopo aver costeggiato a sud il parco Ogolio, termina immettendosi sulla via Antonio Segni, che esce dall’abitato come SS389 di Buddusò e del Correboi. La seguiamo per settecentocinquanta metri, poi prendiamo la corsia di destra seguendo le indicazioni per Orune Bitti Buddusò Alà del Sardi e Monti. La seguiamo e dopo seicentocinquanta metri arriviamo alla prima rotonda, dove prendiamo la seconda uscita che ci porta sulla via Enrico Devoto, dopo novecento metri arriviamo a un’altra seconda rotonda dove, la seconda uscita, ci fa prendere il viale dell’Industria, che ci porta nella zona industriale di Prato Sardo. Si tratta di una zona industriale di interesse regionale, che è anche una frazione del Comune di Nuoro, e che ospita oggi, oltre alle industrie, impianti sportivi, strutture pubbliche e diversi centri commerciali. La Stazione ferroviaria di Prato Sardoela frazione omonimaDa dove, dalla SS389 di Buddusò e del Correboi avevamo presa la corsia di destra e, dopo seicentocinquanta metri, eravamo arrrivati alla prima rotonda, dove questa volta prendiamo la prima uscita che ci porta sulla prosecuzione della SS389 di Buddusò e del Correboi. Percorsi seicento metri, arriviamo a un’altra rotonda, dove prendiamo la quarta uscita, che ci porta sulla strada che, in seicento metri, ci porta di fronte alla Stazione ferroviaria di Prato Sardo della linea che collega Nuoro con Macomer, la quale è situata nei pressi di via Enrico Devoto, in un’area scarsamente abitata, a est dell’abitato di Nuoro. La stazione presenta una coppia di binari, ed ha il fabbricato viaggiatori con la tettoia presso il deposito, sul piano caricatore, lungo il lato in direzione di Nuoro, rinnovati in occasione dei recenti lavori di rifacimento della linea, con l’intonaco esterno verniciato di colore rosa. La stazione si presenta, al momento, in buone condizioni, ma chiusa e impresenziata. Qui si trova la frazione Nuoro denominata Stazione di Prato Sardo (altezza metri 627, distanza in linea d’aria circa 4,6 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 500). La frazione prende il nome dalla presenza della stazione omonima. I resti del Nuraghe semplice Sa Pedra longaDa dove, dalla SS389 di Buddusò e del Correboi avevamo presa la corsia di destra e, dopo seicentocinquanta metri, eravamo arrrivati alla prima rotonda, dove prendiamo la prima uscita che ci porta sulla prosecuzione della SS389 di Buddusò e del Correboi. Percorsi seicento metri, arriviamo a un’altra rotonda, dove prendiamo di nuovo la prima uscita, che ci fa rimanere sulla SS389 di Buddusò e del Correboi. Proseguiamo per un chilometro e mezzo, poi svoltiamo a destra e, dopo poco più di duecento metri, si raggiunge la località nella quale, sulla destra, si trova il Nuraghe Sa Pedra longa. Si tratta di un Nuraghe semplice, monotorre, costruito in granito a 504 metri di altezza. All’interno, la camera è marginata da due nicchie, e da una delle nicchie diparte la scala che portava al piano superiore. Il Nuraghe è nascosto alla vista da un affioramento granitico, e si presenta semidistrutto. Vicino al Nuraghe è probabile la presenza di un villaggio. Nel luogo è presente anche un menhir, dal quale ha probabilmente preso nome sia l’insediamento che la regione. I resti del Nuraghe complesso NurdoleDa dove, dalla SS389 di Buddusò e del Correboi avevamo presa la corsia di destra e, dopo seicentocinquanta metri, eravamo arrrivati alla prima rotonda, dove prendiamo la prima uscita che ci porta sulla prosecuzione della SS389 di Buddusò e del Correboi. Percorsi seicento metri, arriviamo a un’altra rotonda, dove prendiamo di nuovo la prima uscita, che ci fa rimanere sulla SS389 di Buddusò e del Correboi. Percorsi seicentocinquanta metri, svoltiamo a sinistra in una strada secondaria, dopo sei chilometri e quattrocento metri arriviamo a un bivio dove prendiamo a sinistra, dopo un paio di chilometri a un nuovo bivio dove prendiamo a destra e, percorsi appena quattrocentocinquanta metri, al successivo bivio prendiamo a sinistra, la strada che ci porta vicino al Nuraghe Nurdole, il quale si trova ai confini tra il territorio di Nuoro e quello di Orani, e che si considera appartenente al comune di Nuoro. Si tratta di un Nuraghe complesso con una torre principale e bastioni con altre quattro torri aggiunte, edificato in materiale indeterminato a 659 metri di altezza. Gli importanti reperti rinvenuti all’interno del villaggio di NurdoleIl Nuraghe è circondato da un grande villaggio nuragico che si trova il parte in territorio di Nuoro ed in parte in quello di Orani. Si tratta di un villaggio dove ancora oggi si evidenziano i ruderi, la maggior parte delle capanne ha la forma circolare, edificate uttilizzando pietre di piccola pezzattura, un tempo coperte da un tetto conico di rami e frasche. Attualmente si trovano pietre sparse su un raggio di circa due ettari. Il villaggio ospita al suo interno una fonte sacra nella quale son stati rinvenuti bronzi votivi, materiali fittili e alcuni oggetti egizi. Tra i vari manufatti c’è anche lo Scarabeo di Nurdole, che porta sul retro la scritta in caratteri geroglifici Neb-Maat-Ra, ossia Ra signore della giustizia, uno dei titoli attribuiti al faraone Amenhotep III della diciottesimo dinastia. La stessa titolatura è riprodotta anche in un unguentario trovato a Tebe insieme ad altri oggetti che facevano parte del corredo funebre del faraone, a conferma degli stretti rapporti esistenti tra i Nuragici e gli egiziani del tempo. Nella prima foto lo scarabeo e il suo retro su cui è riportato, evidenziato dalla freccia, il cartiglio del faraone Amenhotep III, e nella seconda foto l’unguentario di Tebe con il cartiglio dello stesso faraone, ugualmente indicato da una freccia. Ma il reperto più importante rinvenuto, anche se poco conosciuto, è la Pietra di Nurdole riportata all’attenzione del pubblico da Leonardo Melis nel 2008 con il suo volume Shardana. I calcolatori del tempo, che è l’emblema scelto per rappresentare il Museo Nazionale Archeologico di Nuoro nel suo sito web istituzionale, la cui scelta nasce dalla oggettiva straordinarietà del reperto e dalla volontà di esprimere, attraverso il segno grafico, la preminenza del tema del sacro nelle sale dedicate alla Civiltà nurgica nell’attuale allestimento museale. Si tratta di una sorta di disco con otto sezioni incise e con motivi agricoli come la spiga e femminili come una rappresentazione della vulva disegnati a fianco, che, a detta dello studioso Leonardo Melis, sarebbe assai simile al Calendario celtico delle stagioni, nel quale sono riportate otto tappe nel percorso dell’anno che simbolizzano altrettante tappe nella vita del dio, che nasce dalla dea, cresce fino a diventare adulto, si accoppia con lei, regna durante l’estate per poi indebolirdsi e morire, dando così inizio al nuovo anno. Comprende le feste solari con i due solstizi ed i due equinozi, e le feste delle stagioni, ciascuna delle quali è posta a circa quaranta giorni dalla precedente e dalla successiva Festa solare. Inizia con l’Equinozio di primavera il 21 marzo, poi la Festa di primavera, il solstizio d’estate il 21 giugno, la Festa del raccolto, l’Equinozio d’autunno il 21 settembre, la commemorazione dei defunti, il solstizio d’inverno il 21 dicembre, la Festa dei fuochi. Il primo calendario che noi conosciamo bene per la sua forma di ruota a otto parti è stato creato nella città sumerica di Nippur in Mesopotamia nel 3761 avanti Cristo, e originariamente aveva l’aspetto di una + con sovrapposta una x. Aveva il nome di Dn.Gir o Dan.Gir, che significa anche Colui che ha il comando in cielo, ed era il simbolo stesso della massima divinità, che in quel periodo era il sumerico An chiamato anche Anum o Anu in accadico; poi Enlil; e in seguito il sumerico Nanna chiamato anche Sin in accadico. Da questo segno evolsero le stelle a otto punte che noi ben conosciamo, presenti in numerosi calendari antichi che riportavano sempre la suddivisione in otto parti, che non poteva quindi essere casuale, in particolare al calendario egizio, a quello atzeco, a quello maya, a quello cinese e ad altri. L’area archeologica di Noddule con il pozzo sacro, il Nuraghe complesso e la Tomba di gigantiDa dove, dalla SS389 di Buddusò e del Correboi avevamo presa la corsia di destra e, dopo seicentocinquanta metri, eravamo arrrivati alla prima rotonda, dove prendiamo la prima uscita che ci porta sulla prosecuzione della SS389 di Buddusò e del Correboi. Percorsi seicento metri, arriviamo a un’altra rotonda, dove prendiamo di nuovo la prima uscita, che ci fa rimanere sulla SS389 di Buddusò e del Correboi. Percorsi quasi nove chilometri e mezzo, arrivati al chilometro 13.5, troviamo il cartello che indica l’area archeologica di Noddule. Il complesso, che è costituito da un pozzo sacro, da un Nuraghe con l’abitato nuragico, e da una Tomba di giganti, è stato oggetto di indagini archeologiche negli anni sessanta del secolo scorso. Entrati all’interno del villaggio nuragico, si trovano dapprima due ampi circoli megalitici dei quali si ignora la funzione. I resti del pozzo sacro di NoddulePassati i due circoli megalitici, andando a destra, dietro una grossa roccia emergente, si trova il pozzo sacro di Noddule, edificato in granito e trachite a 746 metri di altezza, e conservato in buone condizioni. Il pozzo si trova in un’area sacra delimitata da un muro in pietre di granito di forma irregolare, ed è alimentato da una fonte ancora attiva. Il monumento è costituito da un ampio vestibolo quadrangolare provvisto di panchine e dal pozzetto che raccoglieva l’acqua sorgiva. Il pozzetto di forma cilindrica è costruito con conci di trachite lavorati a martellino e disposti a filari regolari a tenuta perfetta. Nel fondo piano, anch’esso in trachite, è stata scavata una fossetta di decantazione di forma circolare irregolare. Il pozzo ha una copertura a tholos chiusa da un concio che presenta un foro conico impervio. Il paramento esterno del pozzo delimita un vano di forma rettangolare con fondo absidato che presenta un leggero aggetto nei filari della parte più alta. La facciata della fonte ha un andamento rettilineo e si conserva, in altezza, per tre metri e trenta a partire dalla soglia del pozzetto, ed è costruita per un’altezza di un meroe sessanta con otto filari di conci trachitici lavorati con cura, mentre la parte superiore è costituita da conci di granito locale di varia grandezza e disposti a filari molto irregolari. Un portello architravato, rettangolare, con una piccola nicchia sopra l’architrave, immette nel pozzo attraverso una breve rampa di scala, strombata verso l’esterno, composta da quattro larghe pedate formate da lastre di granito locale e da tre piccoli gradini messi in opera con conci squadrati di trachite. Questa scala è delimitata da un muro di blocchi granitici disposti a filari irregolari, a chiudere un’area interna di forma trapezoidale. Sulla sinistra del muro che racchiude la scala, si apre, in corrispondenza del terzo filare, una piccola nicchia architravata di forma trapezoidale. alla base dello stesso muro e in corrispondenza del terzo gradino sono visibili due panchine, costituite da due blocchi di forma rettangolare, in granito, usate forse come piano d’appoggio per oggetti di uso cultuale o come sedili. Ai muri rettilinei si innestano i muri di un emiciclo irregolare, pavimentato parzialmente con lastre di granito, con ingresso esposto a nord e decentrato rispetto all’asse della scala. Dei sedili sono visibili alla base dei muri del vestibolo, mentre sul lato sud rimane un focolare circolare irregolare. La trachite non si trova nella zona, per cui si ritiene che provenisse da località lontane e sia stata scelta per la buona lavorabilità e per la sua resistenza all’acqua. Scavi archeologici sono stati effettuati nel 1961 ed in seguito dal 2008 al 2009. I resti del villaggio di Noddule con la capanna delle riunioniIntorno al pozzo sacro, sul terreno circostante il Nuraghe, sono visibili i resti di numerose capanne relative al villaggio nuragico, con le capanne di forma perfettamente circolare. Una di queste capanne, forse quella di maggiori dimensioni, del diametro di dieci metri, ha una struttura che ricorda una capanna delle riunioni presente in molti altri villaggi, e presenta al centro un grosso altare che ricorda le basi degli altari a forma di torre nuragica trovate in altri ambienti simili in Sardegna, ma che potrebbe anche essere stato un focolare. Era dotata di una probabile copertura di filari di lastrine aggettanti. Questa capanna è stata esplorata da Ercole Contu negli anni sessanta del novecento in occasione dello scavo del pozzo acro. I resti del Nuraghe di Noddulealla sinistra della capanna delle riunioni, si trovano i resti del Nuraghe di Noddule un Nuraghe complesso realizzato con blocchi di granito leggermente lavorati ed arrotondati a 748 metri di altezza, costruito su un affioramento di roccia naturale in una zona coperta da grossi massi erratici di granito. Il monumento ha una planimetria complessa, di tipo trilobato, con l’addizione a un mastio centrale di altre tre torri, una di fronte e due ai lati, che racchiudono un cortile interno. La torre principale, ossia il mastio, a pianta circolare con un diametro di quasi otto metri allo svettamento, ha l’ingresso esposto a sud ed è accessibile attraverso un corridoio di forma rettangolare, alla cui destra si apre una garitta di Guardia. La torre si conserva all’esterno con nove filari di blocchi di granito sagomati a coda, per un’altezza massima di oltre quattro metri che è comprensiva anche di alcuni filari del piano superiore, raggiungibile attraverso una scala, attualmente ostruita dal crollo, chiusa in alto a piattabanda. Un cortile a emiciclo, con pareti leggermente aggettanti, raccorda due torri che si aggiungono a quella principale sul lato sud. La prima di esse ha una pianta di forma circolare irregolare del diametro di tre metri, con le pareti interne che aggettano visibilmente in corrispondenza delle parti più alte. Sulla destra si intravede parte di un corridoio con copertura ad ogiva, che mette in comunicazione la torre stessa con un’altra torre con un vano attiguo crollato e ricoperto dalla vegetazione. Sul lato sinistro si conserva una terza torre, unita a quella principale da un riempimento di pietre che integrano lo spazio di risulta compreso tra le due torri. La torre ha un ingresso che, attraverso una porta architravata e un corridoio, attualmente ingombro di crollo, porta in un ambiente di forma sub-Circolare del diametro di tre metri e mezzo, che presenta due nicchie quasi affiancate, ed in esso si apre un ingresso con copertura ogivale che, probabilmente, conduce al cortile che raccorda tutti gli ambienti. Il Nuraghe è parzialmente crollato e non è ben conservato, dato che si può osservare solo una piccola parte della torre principale. Intorno al Nuraghe vi è una grande ed imponente cinta muraria, a tratti megalitica, che lo abbraccia dalla parte del mastio, quasi fosse un antemurale ma poi si allarga e si allontana dal Nuraghe così tanto fino a perdersi nella fitta sterpaglia e fa pensare che possa cingere tutto il vasto insediamento che investe un’area di almeno sette ettari. Le capanne del periodo romano vicino al Nuraghe di NodduleSul lato sud est, alla base di una torre, si conservano i resti di tre vani rettangolari costruiti con il materiale di crollo del Nuraghe, ascrivibili ad opera romana ed alto medievale. Si tratta si tre capanne del periodo romano, che sono state messe in luce dagli archeologi, ed una di esse si conserva particolarmente bene. I muri sono stati edificati utilizzando conci provenienti da antichi crolli delle parti alte del Nuraghe. Potrebbero essere state una piccola stazione lungo un antico tracciato che in Sardegna collegava Olbia con Cagliari, riferibile anche a una direttrice del famoso Itinerario Antonino, ossia dell’Itinerarium provinciarum Antonini Augusti, registro delle stazioni e delle distanze tra le località poste sulle diverse strade dell’Impero romano. Sono una dimostrazione del fatto che il sito è stato frequentato dal terzo millennio avanti Cristo fino ad epoca romana, forse con qualche sporadico periodo di abbandono. I resti della Tomba di giganti di NodduleA circa cento metri di distanza dal Nuraghe, in direzione ovest sud ovest, esistevano, almeno fino agli anni settanta del secolo scorso, i resti Tomba di giganti Noddule costruita a 738 metri di altezza, in tecnica isodoma. Questa sepoltura presentava il corpo allungato di otto metri e mezzo, con ingresso rivolto verso est sud est, preceduto dall’esedra semicircolare di poco più di sette metri, ed includeva il corridoio funerario della lunghezza di quasi cinque metri e della larghezza di un’ottantina di centimetri. della tomba si conservava solo il profilo della pianta. La tomba era mal conservata, tanto che di essa restavano solo parte dell’esedra, ed i filari di base del paramento esterno ed interno della camera. Questa Tomba di giganti è stata indagata da Editta Castaldi negli anni sessanta del secolo scorso, che vi ha rinvenuto scarsi e poco significativi frammenti ceramici. Secondo colei che la ha scavata è probabile che la struttura fosse pavimentata, ipotesi basata sul ritrovamento, attorno alla tomba, di pietre piatte di piccola pezzatura. Il monumento è stato, però, fortemente compromesso dagli scavi effattuati dai tombaroli. I resti della necropoli PirasDa Nuoro, vicino alla chiesa della Madonna della Solitudine, prendiamo la SP45 e la seguiamo verso nord est fino quasi all’incrocio con la SS131 Diramazione Centrale Nuorese che da Nuoro porta a Siniscola. Prima di raggiungere l’incrocio della SP45 con la strada statale, arrivati in località Piras, all’altezza del cartello indicatore del chilometro 9, subito prima del ponte sul rio Marreri, prendiamo a destra la strada che parte dal rudere della casermetta dei Carabinieri e porta alla Foresta Demaniale di Jacu Piu. Svoltiamo alla prima curva a sinistra, dopo circa quattrocento metri di nuovo a sinistra in un sentiero sterrato. Percorsi duecento metri, troviamo un cancello sulla destra che porta alla Necropoli Piras che si trova all’interno di una proprietà privata. La necropoli è costituita da due domus de janas, scavate nel granito. L’ingresso, rettangolare della prima tomba immette in una sola cella, a pianta circolare con il soffitto piatto. Il secondo ipogeo, a circa quaranta metri di distanza in direzione sud ovest, ha quattro celle. L’ingresso è preceduto da un lungo corridoio di accesso a cielo aperto, ossia un dromos, con pianta trapezoidale. Dall’ingresso si entra in un’antecella, a pianta pressoche rettangolare, con il soffitto piatto e le pareti rettilinee. Nella parete di destra dell’antecella, un’apertura rettangolare leggermente sopraelevata fa accedere alla seconda cella. Ha pianta ellittica con pareti curve ed il soffitto a profilo curvo. Un portello rettangolare nella parete di fondo dell’antecella, ornato da una sottile cornice e con una scanalatura nella quale andava ad inserirsi un chiusino, porta alla terza cella, a pianta quadrangolare con pareti rettilinee e soffitto piatto. Nella parete a sinistra dell’antecella, si trova l’ingresso della quarta cella, a pianta pressoche rettangolare, pareti rettilinee ben levigate ed il soffitto piatto. Il ristorante S’Apposentu di Tore DessenaProseguendo sulla SS131 Diramazione Centrale Nuorese che da Nuoro porta a Siniscola, all’altezza del chilometro 71 si trova uno svincolo, nel quale si prende l’uscita per Dorgali e Cala Gonone e prendiamo la rampa di uscita, per poi svoltare a destra nella SP73 in direzione di Dorgali, dopo duecento metri prendiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Lula immettendoci sulla SP38 che porta appunato verso Lula. Percorsi trecentocinquanta metri, passati sotto la SS131 Diramazione Centrale Nuorese, svoltiamo a destra in una deviazione che, in circa quattrocentocinquanta metri, porta a un edificio che ospita il ristorante S’Apposentu di Tore Dessena. Il ristorante S’Apposentu di Tore Dessena è un locale tipico sardo che nasce per dare ristoro ai viaggiatori che dalla costa si dirigono nell’entroterra della Sardegna, ed offre anche una bottega in cui acquistare ottimi prodotti tipici sardi, realizzati da maestri artigiani locali con le materie prime a loro disposizione, che sono sughero, legno e pellami. Anche i prodotti agro-alimentari di origine controllata sono il fiore all’occhiello de S’Apposentu, un punto di riferimento per una sosta rigenerante. L’ampia sala della pizzeria e della tavola calda offrono un ambiente informale e mai banale, la cordialità del personale e gli ottimi ingredienti utilizzati per la realizzazione dei piatti prelibati e delle pizze lo rendono un evento indimenticabile. Sia che si tratti di persone del luogo che di viaggiatori, qui si può respirare l’atmosfera sarda, un pezzo di casa nelle sue forme più eleganti. |
Il ristorante di Tore Dossena ha lo stesso nome del famoso S’Apposentu di Robero Petza, lo chef di San Gavino Monreale che nella sua location di Siddi aveva ottenuto una stella della Guida Michelin dal 2013 al 2019 anno in cui ha chiuso i battenti, ma non ha nessuna relazione con esso. Ci rechiamo a Lollove che è una piccola antica frazione della città di NuoroUsciti da Nuoro in direzione nord ovest sulla SS389 di Buddusò e del Correboi in direzione della zona industriale di Prato Sardo, da questa strada deviamo sulla SS131 di Carlo Felice Diramazione Centrale Nuorese in direzione nord est. La seguiamo per dieci chilometri e mezzo, poi prendiamo l’uscita verso Orune, e, seguendo le indicazioni, svoltiamo a destra e seguiamo la strada che, in cinque chilometri e mezzo, ci porta alla piccola antica frazione Nuoro denominata Lollove, altezza metri 384, distanza in linea d’aria circa 20,8 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 26). La frazione Nuoro chiamata Lollove è costituita da un antico borgo medioevale che sembra sospeso nel tempo, e che viene spesso citato per rappresentare lo spopolamento dei villaggi dell’interno della Sardegna. Fino al diciannovesimo secolo veniva chiamata Loy in periodo aragonese, e successivamente Loloy nella lingua spagnola ufficiale. In lingua sarda è chiamata anche Lollobe. Si tratta di un paese antico che si caratterizza per un proprio costume, e per un dialetto che non è uguale a quello di Nuoro, dato che condivide particolarità con il dialetto orunese e con quello dorgalese, probabilmente derivato dai contatti con il vicino paese chiamato Isalle, che era esistito fino al diciassettesimo secolo. Il banditismo a LolloveA Lollove è nato Raffaele Gusai, uno dei più famosi banditi sardi ottocenteschi. Nell’ottocento, periodo in cui, nella Sardegna centrale, si sviluppa il fenomeno del banditismo, soprattutto per contrastare angherie e soprusi, a Lollove nei dintorni di Nuoro nasce Raffaele Gusai che diviene presto un bandito. Si dà alla latitanza dopo essere stato accusato ingiustamente di abigeato. Comunque, nonostante il suo aspetto truce e scarmigliato, egli non viene considerato un bandito terribile. La taglia sulla sua testa è, infatti, di sole Duecento lire, tanto da venire considerata assai misera, rispetto a quelle di altri banditii che arrivano a raggiungere addirittura le dodicimilacinquecento lire. Raffaele Gusai, il bandito di Lollove, viene arrestato dai Carabinieri della compagnia di Nuoro nel 1893, anno a cui risale a foto qui riprodotta. |
Visita di LolloveLollove ha conosciuto il suo maggior splendore negli anni cinquanta del novecento, quando è arrivato a contare circa 540 persone. Le principali fonti di ricchezza del paese erano prettamente l’agricoltura e l’allevamento, principalmente di pecore, maiali selvatici e vacche, oltre la gran produzione di miele e olio. In seguito, però, la continua mancanza di acqua nella rete, la totale assenza di fogne ma soprattutto, le corse degli autobus sempre più rare e dagli orari sempre più scomodi, non hanno fatto altro che spingere gli ultimi giovani del paese a trovare una fissa dimora altrove, al fine di ottenere una maggiore comodità e disponibilità di servizi. A questi va aggiunto il boom del polo industriale di Ottana oltre che una Nuoro sempre più in crescita capace di offrire impieghi ben più diversi rispetto alla monotonia propria della campagna. Per queste ragioni è scoppiata una seria epidemia di partenze, e si è passati da due scuole, la materna e le elementari, una caserma dei carabinieri, due bar, un tabacchino, un piccolo negozietto di generi alimentari e un telefono, alla quasi totale assenza di servizi e di segnale. Piano piano negli anni molte dimore hanno perso identità, tra tetti crollati, ciottolato disgregato, pali della luce non funzionanti, campi incolti e cani randagi. C’è chi dice che tutto ciò sia dovuto da un’antica maledizione lanciata sul villaggio anni addietro. Gli abitanti ricordano, infatti, ancora oggi l’antica maledizione scagliata dalle suore, scacciate dal paese perché avevano preferito i rapporti con i pastori ed i piaceri della carne alla vita monastica, e che durante la fuga avrebbero urlato contro Lollove: «Sarai come acqua del mare; non crescerai e non morirai mai». Oggi a Lollove abitano poche persone, non c’è il medico, non ci sono scuole, negozi e bar. Un autobus collega Lollove a Nuoro, con appena due corse giornaliere. Se andate a visitare questo borgo, vi prego, usate la stessa nostra discrezione e lo stesso rispetto, per chi ha voluto conservare il suo semplice e sereno modo di vivere. La chiesa di Santa Maria Maddalena a LolloveFra i ruderi abbandonati e le poche case abitate, si erge la seicentesca piccola chiesa di Santa Maria Maddalena, edificata, in stile tardo gotico, ai primi del seicento, probabilmente come ampliamento di una struttura più antica. Ospita all’interno tre navate, scandite da quattro eleganti pilastri, e nove arcate in trachite rosa, e conserva le statue lignee di Sant’Eufemia, San Biagio e San Luigi dei Francesi, ossia Luigi IX di Francia, il quarantaquattresimo re di Francia canonizzato nel 1297 da papa Bonifacio VIII. Il culto di quest’ultimo è legato all’antica presenza a Lollove delle monache del terzo ordine di San Francesco, dato che San Luigi dei Francesi è stato egli stesso un terziario francescano. La chiesa dispone anche di una casa parrocchiale. A Lollove c’è la chiesa, ma non c’è un prete. Solo la domenica, un sacerdote viene da Nuoro a celebrare la messa. Presso questa chiesa, il 3 febbraio viene celebrata la Festa di San Biagio e la terza domenica di settembre la Festa di Sant’Eufemia. Il progetto LolloversNegli anni sessanta del secolo scorso, alcuni miliardari inglesi hanno fatto una cosiddetta proposta indecente ai Lollovesi, proponendo loro di comprare in blocco il paese per farci un villaggio turistico. Fortunatamente i Lollovesi, con la tenacia che li ha da sempre contraddistinti, hanno rifiutato la proposta, nonostante l’interessante offerta economica. Possiamo dire fortunatamente, perché Lollove con la sua unicità, fa parte della storia della Sardegna e come tale ci si augura che venga preservato. Un nuovo progetto, sostenibile e rispettoso della cultura del paese e dei suoi abitanti, è nato invece per opera di un giovane e lungimirante Nuorese di origini Lollovesi, Simone Ciferni, che dopo varie esperienze all’estero, ha deciso di ritornare a casa e di investire sulla peculiarità del suo paese d’origine, creando una detox destination, una destinazione per disintossicarsi, forte del fatto che chi abita nelle grandi città abbia bisogno di cercare destinazioni lontane dalla frenesia e immergendosi nella natura, nella tranquillità e genuinità che solo i piccoli paesi possono dare. Lollovers, questo il nome scelto per il suo progetto, offre tante esperienze, dai laboratori alle escursioni, per conoscere a fondo questa piccola realtà, unica nel suo genere. La prossima tappa del nostro viaggioDa Nuoro ci recheremo verso sud per iniziare la visita della Barbagia di Ollolai, dove andremo a vedere le cittadine di Orgosolo, Mamoiada e Fonni. Nella prossima tappa del nostro viaggio, continueremo la visita della Barbagia di Ollolai partendo da Orgosolo quello che è stato il paese del banditismo ed è ora il paese dei murali. Qui assisteremo alla processione dell’Assunta. Visiteremo poi i dintorni di Orgosolo e soprattutto l’altopiano di Pratobello. |