Orune, patria di Antonio Pigliaru autore del saggio sulla vendetta barbaricina, con la fonte sacra di Su Tempiesu
In questa tappa del nostro viaggio ritorniamo nel Nuorese recandoci a visitare Orune patria di Antonio Pigliaru autore del saggio sulla vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, dove visiteremo l’abitato ed i suoi dintorni, nei quali si trova la fonte sacra Su Tempiesu. La regione storica del Nuorese o Barbagia di Nuoro o Barbagia di BittiIl Nuorese (nome in nuorese Su Nugorèsu, in logudorese Su Nuorèsu), indicato da alcuni anche con il nome di Barbagia di Nuoro o Barbagia di Bitti, è una regione storica della Sardegna nord orientale. In periodo giudicale il suo territorio apparteneva per lo più al Giudicato di Torres, nella Curatoria di Dore-Orotelli. In realtà oggi per Nuorese si intende un territorio molto più ampio, che comprende anche parte dei territori che in periodo giudicale appartenevano alle curatore di Bitti e di Orosei-Galtellì, nel Giudicato di Gallura. I comuni che ne fanno parte sono Bitti, Lula, Nuoro, Onani, Oniferi, Orani, Orotelli, Orune, Osidda, Ottana, e, secondo molti, ed anche secondo noi, al Nuorese apparterrebbe anche il comune di Sarule. Secondo alcuni vi apparterrebbe anche il comune di Dorgali, che, a nostro avviso, appartiene invece alla Barbagia di Ollolai, dato che durante il periodo nel quale la Sardegna era sotto il controllo dell’impero Bizantino e nel primo periodo del Giudicato di Arborea ne costituiva uno sbocco al mare, andato perduto a seguito dell’espansione, promossa dai Pisani, verso sud del Giudicato di Gallura. Il Nuorese è costituito da luoghi, paesi, tradizioni, enogastronomia, artigianato artistico, musica e cultura, che si sviluppano nei paesaggi dei paesi del comprensorio barbaricino, richiamati nelle opere letterarie del Nobel per la letteratura Grazia Deledda. La strada da Nuoro verso OruneIn questa tappa del nostro viaggio ritorniamo nel Nuorese, o Barbagia di Nuoro, nella zona che viene chiamata anche con il nome di Barbagia di Bitti. Usciamo da Nuoro verso ovest con la SS129, poi, dopo duecentocinquanta metri, a una rotonda prendiamo la prima uscita verso destra, che è la SS289 di Buddusò e del Correboi, che collega Nuoro con Bitti, e la seguiamo per poco meno di ventitre chilometri, per arrivare alla frazione Orune denominata Su Pradu. Passata questa frazione, proseguiamo sulla SS389 di Buddusò e del Correboi e, dopo 1,3 chilometri, ci si presenta agli occhi l’abitato di Orune arrampicato su un rilievo dal quale domina le vallate ed i pascoli sottostanti. Qui, alla destra della SS389 di Buddusò e del Correboi, arriviamo a trovare la deviazione sulla destra che ci fa prendere la SP51, che ci porta all’ingresso dell’abitato di Orune. Esistono altri due modi per arrivarci. Un primo modo è prendere da Nuoro la SS129, poi, dopo duecentocinquanta metri, prendere la SS289 e seguiarla perfino a Pratosardo, dove questa strada incrocia la SS131 di Carlo Felice Diramazione centrale Nuorese, che si prende verso destra, ossia verso est. La si segue fino all’incrocio con la SP51, che si prende verso nord, e che, in poco più di dodici chilometri, ci porta a Orune. Un terzo modo per arrivarci e, da Nuoro, prendere prima la SP45 e poi la SP51, che ci portano a Orune, ma tutto il percorso è su strade provinciali, che ci fanno muovere più lentamente ed impiegare, pertanto, un poco più di tempo. Il comune chiamato OruneIl comune chiamato Orune (altezza metri 750 sul livello del mare, abitanti 2.150 al 31 dicembre 2021) è un centro ad economia essenzialmente pastorale, situato nella parte centro orientale della Provincia di Nuoro, ai confini con quella di Sassari, facilmente raggiungibile con la SS389 di Buddusò e del Correboi, il cui tracciato si snoda a un solo chilometro dall’abitato. Da lassù lo sguardo spazia dalla Barbagia alla Baronia, dal Logudoro alla Gallura. I rilievi granitici si alternano a valli profonde, occupate da boschi di lecci e sughere e irrorate da sorgenti. Situato su un rilievo dal quale domina le vallate ed i pascoli sottostanti, l’abitato, con le sue tipiche case dalle coperture a terrazza, è abbarbicato sull’estremità dell’altopiano, tra le punte di tre monti, da cui si gode la veduta sulla valle di Isalle. La parlata orunese è una tra le più conservative della lingua sarda, tanto che la si può catalogare come variante arcaica del sardo logudorese. Di Orune, che chiama Oronou, parla Grazia Deledda nel romanzo Colombi e sparvieri, dove scrive «Il villaggio di Oronou con le sue casette rossastre fabbricate sul cocuzzolo grigio di una vetta di granito, con le sue straducole ripide e rocciose, parve emergere dalla nebbia come scampato dal diluvio. Ai suoi piedi i Torrenti precipitavano rumoreggiando nella vallata, e in lontananza, nelle pianure e nell’agro del Siniscola, le paludi e i fiumicelli straripati scintillavano ai raggi del sole che sorgeva dal mare. Tutto il panorama, dai monti alla costa, dalla linea scura dell’altopiano sopra Oronou fino alle macchie in fondo alla valle, pareva stillasse acqua. Ma il paesetto era asciutto; e i vecchi e gli sfaccendati avevano già ripreso i loro posti sulle panchine davanti al Municipio, su nella piazza che sovrasta la valle come una grande terrazza». E ne parla anche Carlo Levi nel romanzo Tutto il Miele è finito, dove scrive che «è un paese antico e chiuso, dove permangono gli usi, le abitudini, i costumi, le tradizioni popolari più lontane, e l’intelligenza e il valore di una vita tanto più energica quanto più limitata, piena di capacità espressiva, di potenza individuale e di solitudine». |
Origine del nomeNon è chiara l’origine del nome, comunque alcuni studiosi ritengono che possa derivare dallo strato linguistico protosardo, e che possa rientrare nella serie onomastica caratterizzata dal prefisso Orr-. Secondo altri studiosi il nome deriverebbe, invece, dal greco Oros, ossia montagna, infatti da lassù lo sguardo spazia dalla Barbagia alla Baronia, dal Logudoro alla Gallura. I rilievi granitici si alternano a valli profonde, occupate da boschi di lecci e sughere e irrorate da sorgenti. La sua economiaL’economia di Orune è basata essenzialmente su agricoltura ed allevamento, anche se sono conosciuti e apprezzati i prodotti artigianali come coperte e tappeti. L’agricoltura svolge ancora oggi un ruolo di primaria importanza nell’economia locale, ed è specializzata nella coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, vite, ulivi e frutteti. Accanto al lavoro dei campi si pratica anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. Il settore industriale è modestamente sviluppato, e modesta è anche la presenza del terziario. Orune è immersa in una suggestiva cornice paesaggistica, ed è una importante meta turistica, la cui principale attrazione è costituita dai numerosi siti archeologici presenti nel suo territorio, ma interessanti sono anche le ricchezze naturali che la circondano, rappresentate dall’altopiano di Bitti Sa Serra, dalla valle di Marreri, e dai rii Sa Chessa e Isalle. Brevi cenni storiciLe origini del suo insediamento risalgono al periodo Neolitico, come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti sul suo territorio. Nel periodo medievale, il borgo di Orune appartiene al Giudicato di Logudoro, nella curatoria del Goceano. Passa, quindi, nel 1255, sotto il dominio dei Doria, ed in seguito sotto quello del Giudicato d’Arborea. Compresa nel 1410 dagli Aragonesi nel Marchesato di Oristano, passa nel 1478 sotto il completo controllo degli Aragona, in seguito alla loro vittoria nella battaglia di Macomer. Nel 1839, con l’abolizione del sistema feudale, viene riscattata al demanio dello stato sabaudo. La sua storia successiva non evidenzia avvenimenti particolari. Del comune di Orune nel 1927, dopo la creazione della Provincia di Nuoro, viene cambiata la provincia, da quella di Sassari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. Il banditismo ad OruneNel periodo ottocentesco in cui, nella Sardegna centrale, si sviluppa il fenomeno del banditismo, Orune è stata una delle patrie del banditismo sardo, dato che il paese ha dato la luce a due famosi banditi ottocenteschi, Dionigi Mariani e Giovanni Moni Goddi. A Orune nasce il 19 luglio del 1860 Dionigi Mariani. Si tratta di un pastore di Orune, divenuto bandito nel 1894, dopo l’accusa di aver ucciso il compaesano Antonio Goddi detto Isteddadu, crimine commesso durante una lite da tale Ciolentinio Pala, che attribuiva al Goddi la perdita di alcune mucche, a seguito del quale Mariani, che aveva assistito alla scena, era stato il primo ad allontanarsi dal luogo del delitto per informare i familiari dei due contendenti. Nel luglio del 1897, Dionigi, uccide un certo Pala Zampieri, reo di aver testimoniato il falso contro di lui al processo per l’omicidio Goddi. Successivamente inizia a commettere reati di ogni genere, e tra i suoi vari crimini figura l’omicidio di Giuseppe Sanna Goddi, detto Coccone, nel piccolo borgo di Lollove. I documenti giudiziari lo attestano come un bandito Di fama cattivissima, scaltro, ladro, vendicativo e sanguinario. Dionigi Mariani trascorre in latitanza quattro anni e sette mesi, fino a quando decide di costituirsi ai Carabinieri del tenente Ravizza il 3 luglio 1899, a trentanove anni di età. |
Il suo nemico numero uno è l’altro bandito di Orune, Giovanni Moni Goddi nato nel novembre del 1860, che è divenuto bandito per aver reagito ad un atto ingiusto ed infatti uccide un tale che si era impossessato di un suo capo di bestiame. Buona parte della comunità orunese, in seguito all’omicidio di Isteddadu e alle successive vicende, si divide in due frazioni: Monisti e Marianisti, come la definirà, stando al giornalista Eliseo, il procuratore di Nuoro nel discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 1900. Sappiamo che in seguito ai vari processi e alle varie testimonianze rese, l’odio tra i due si fà sempre più feroce. Giovanni Moni Goddi viene raccontato come tanto feroce che, dopo aver ucciso un pastore di Benetutti che aveva fama di essere una spia delle forze dell’ordine, dapprima lo sgozza elo squarta davanti agli occhi della moglie e del figlioletto, per poi decapitarlo. La sua testa viene quindi deposta su un muretto a secco, affinché l’atroce esecuzione dell’uomo sia di monito per tutti i traditori. Infine, come estremo atto di scherno, arriccia i baffi della vitlima usando il sangue che colava dal collo mozzato. |
Anche nell’immediato dopoguerra ad Orune nascono altri banditi sardi. Vi nascono, infatti, Giuseppe Campana, Nino Cherchi, Luigi Serra, Giovanni Talanas e Franco Bachisio Monni. A Orune nasce il 17 marzo 1935 Giuseppe Càmpana, conosciuto anche col soprannome di Rubinu, che nel 1965, per vendicarsi di un’offesa subita, durante una festa uccide in pieno centro il compaesano, Ignazio Chessa e si dà alla latitanza. Condannato a trent’anni di carcere, il 6 febbraio 1966 nelle campagne di Sa Matta, a tre chilometri da Lollove, una pattuglia di Carabinieri guidata dal capitano Francesco Delfino, circonda l’ovile dove si nasconde, lui riesce a sfuggire sparando e nel conflitto a fuoco rimane ucciso il carabiniere Pietrino Piu. Per questo viene condannato all’ergastolo. Durante la cosiddetta stagione dei sequestri viene accusato di aver preso parte nel 1968 ai rapimenti di Giovanni Campus e di Nino Petretto di Ozieri, ed il suo nome circola anche per il sequestro dell’ingegnere olbiese Francesco Palazzini. Sospettato di aver preso parte al sequestro di Assunta Gardu Calamida, manda ambasciatori per far sapere alla famiglia della sequestrata di non essere coinvolto nel rapimento. La sua latitanza finisce il 2 giugno del 1971 nella zona chiamata Tichineddu nelle campagne di Orune. Fino al 2010 è stato in semilibertà, finché a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute gli è stato concesso di vivere nel suo paese fino alla sua morte il 20 gennaio del 2013. |
A Orune nasce nel 1941 Nino Cherchi che, quello che appena a vent’anni viene accusato di omicidio, imputazione che si dissolve come neve al sole in Corte d’Assise. Ma quello è solo l’inizio di una lunga teoria di accuse di omicidi, rapine, estorsioni, sequestri, conflitti a fuoco con le forze dell’ordine che lo fanno definire il numero due del banditismo sardo dopo Graziano Mesina. Ma la sua parabola criminale è legata soprattutto a due storie di sangue, il sequesto ed omicidio nel 1967 del possidente Gianni Dessolis di Orani, l’assassinio dei due emissari della famiglia Angelino Bassu e Giovanni Mereu, e tre giorni dopo il rinvenimento di Dessolis, straziato a colpi di pietra. L’8 gennaio del 1968 veniva catturato per la prima volta dalle forze dell’ordine mentre fuggiva sul tetto di una casa diroccata a Mamoiada. Viene condannato per una serie di reati, anche se non tutti quelli che gli venivano contestati inizialmente. Nel 1979 ottiene la grazia dal presidente della repubblica Sandro Pertini, ma nel 2010 torna al centro delle cronache dopo aver ucciso in un eccesso d’impeto due cittadini albanesi a Olbia. Viene condannato all’ergastolo, ma poi finirà ai domiciliari per motivi di salute. |
A Orune nasce nel 1942 Luigi Serra, il paese dei Càmpana e dei Cherchi, di banditi, cioè, molto più famosi e feroci di lui. Il ragazzo non se la sentiva più di vivere tra i monti, braccato come un cinghiale. Colpito da vari mandati di cattura per sequestri di persona a scopo di estorsione e per vari altri reati minori, non esistevano tuttavia prove valide contro di lui. Nessuno poteva provare che egli fosse un delinquente. Se si fosse costituito può darsi che i giudici si sarebbero dimostrati clementi, anzi, è possibile che al processo egli venisse addirittura assolto. Quindi meglio farla finita, ma ad una condizione: «La taglia di 5 milioni che pende sul mio capo la voglio riscuotere io stesso, tutta intera. Se non altro, una volta condannato, lascio in banca dei soldi per sostentare la mia famiglia». |
A Orune nasce il 18 agosto 1946, Giovanni Talanas, che si da alla macchia dopo l’omicidio nel 1973, a seguito di una lite, del compaesano Francesco Barracca, detto Ciccio il barbiere, per il quale verrà condannato a 24 anni. Durante la sua latitanza, si trasferisce nel continente, dove partecipa al sequestro del piccolo Augusto De Megni, di 10 anni, rapito nell’ottobre 1990 e liberato nel gennaio 1991 in una grotta nella zona di Volterra. Per questo sequestro viene condannato a 30 anni di reclusione. Verrà arrestato solo nel luglio 2003, dopo ventisette anni di latitanza, nell’azienda agricola dei fratelli nelle campagna tra Orune e Nuoro, dai militari della Compagnia di Bitti. |
A Orune nasce nel 1947 Franco Bachisio Goddi che, trasferitosi nel continente, a Viterbo, è l’autore del sequestro e del successivo omicidio di Mirella Silocchi, moglie dell’imprenditore di Parma Carlo Nicoli, avvenuto il 28 luglio del 1989 a Stradella di Collecchio, ed il cui cadavere non è stato mai ritrovato. È una strana banda, quella della quale, secondo i giudici, fa parte Franco Bachisio Goddi, una banda nella quale convivono anime diversissime e mondi culturali lontanissimi, pastori e latitanti sardi, siciliani, calabresi, anarchici, un’americana e perfino un libico di origini armene. Condannato a 30 anni, dal 26 febbraio 1999 elude gli obblighi della firma, poco prima di venire arrestato, dopo la conferma della sua condanna da parte della Cassazione. La suprema corte aveva infatti confermato i 30 anni di reclusione, e con lui erano stati condannati Francesco Porcu, di Lula, l’americana Rose Ann Scrocco ed il libico di origine armena Garagin Gregorian. Il Goddi viene arrestato il 12 luglio nel suo appartamento di Viterbo, dove si trovava con la moglie ed i figli. |
In anni più recenti vi nasce anche il gruppo di banditi che sequestra Fabrizio De André, il cui principale esponente è Martino Moreddu, ed anche numerosi altri sequestratori, tra i quali, Salvatore Angelo Moni con il fratello Gianfranco. A Orune nasce nel 1956 Martino Moreddu, uno degli autori del sequestro avvenuto il 27 agosto 1979 di Fabrizio De André e della compagna e futura moglie Dori Ghezzi, liberati dopo quattro mesi a seguito del pagamento di un riscatto di 550 milioni, in buona parte pagato dal padre Giuseppe. Le chiavi dell’Hotel Supramonte, come viene chiamato il luogo nel quale sono detenuti i due sequestrati, sono ben salde nelle mani del vivandiere Martino Moreddu, e dei sui due aiutanti, i fratelli Carmelo e Giovanni Mangia, tutti di Orune. Al sequestro partecipano in molti, tra i quali Graziano Porcu, anche lui di Orune, Salvatore Vargiu, di Pattada, Pietro Ghera, di Berchidda. Martino Moreddu, quando scatta il blitz contro la banda dei sequestratori, si da alla macchia. Condannato a 23 anni di reclusione, ridotti a 20 anni e due mesi in Cassazione, Martino si costituisce il 12 febbraio del 1982, ma viene scagionato da altri sequestri di persona che la banda dei Sardi aveva messo a segno in Toscana. |
A Orune nasce nel 1965 Salvatore Angelo Moni. Trasferitosi in Provincia di Grosseto, il 2 dicembre del 1987, nei dintorni di Grosseto, partecipa come carceriere al sequestro della studentessa esteranne Ricca. Viene condannato a 26 anni, ed il fratello Gianfranco nato anche lui a Orune, di cinque anni più vecchio, residente in un podere dell’entroterra maremmano, viene condannato a 18 anni e sei mesi. Salvatore Agnelo doveva uscire nel 2013, ma il 21 maggio 1992 evade dal supercarcere di Sollicciano. Approfitta di un momento di disattenzione delle guardie, mentre lavora come giardiniere vicino all’uscita, e si arrampica come un gatto sulle inferriate del cancello, alto più di otto metri. Salvatore Angelo Moni, probabilmente, passa i giorni di latitanza quasi sempre nel sud d’Italia, muovendosi il meno possibile. La sua latitanza termina il 20 giugno, quando viene arrestato all’uscita della stazione di Ancona. Con i baffi per camuffarsi e una carta d’identità falsa, prima dell’arresto ha solo il tempo di salutare l’amico Beppino Pirisi, anche lui sardo, che era andato a prenderlo in stazione. |
Alcuni dei principali personaggi che sono nati a OruneTra i diversi personaggi che sono nati a Orune va citata Margherita Sanna, la prima donna eletta sindaco. Nel dopoguerra vanno citati l’importante filosofo e giurista Antonio Pigliaru, autore fondamentale per la conoscenza dei nodi storici all’origine della diversità sarda; ed anche Bachisio Zizi, autore di numerose opere letterarie. A Orune nasce nel 1904, in una famiglia di pastori molto numerosa, Margherita Sanna. Nel 1930 consegue il diploma in contabilità a Sassari ma, per seguire il suo sogno di insegnare, si reca a Cagliari e nel 1935 consegue il diploma di maestra elementare. Negli anni seguenti si dedica al suo lavoro di insegnante. Nel 1939 si iscrive al Partito Nazionale Fascista per continuare ad insegnare, ma è fin da subito contraria alle idee e alla politica di Mussolini. Il suo attivismo preoccupa il regime fascista, che la inscrive nel Dizionario Biografico degli antifascisti di Sardegna, e nel 1943 sconta due mesi di reclusione nella carcere di Buoncammino a Cagliari sotto l’accusa di spionaggio a favore degli alleati inglesi. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1946 viene eletta sindaco di Orune, incarico che detiene fino al 1956, quando viene eletta consigliere provinciale, ricoprendo l’incarico di Assessore all’assistenza per due legislature. Viene eletta sidaco nuovamente dal 1964 fino al 1966, anno in cui presenta le dimissioni per motivi di salute. muore a Orune nel 1974 a 70 anni. Particolare è la sua lotta per l’emancipazione femminile, crea inoltre nuove opportunità di lavoro per il suo paese, realizzando in collaborazione con Ennio Delogu la prima società cooperativa di pastori della Sardegna. Carlo Levi la cita nel suo libro Tutto il miele è finito con la frase «Dal municipio - siamo nel 1952 - uscì una donna dai capelli grigi, avvolta in uno scialle da contadina: era il sindaco di Orune». |
A Orune nasce, nel 1922, l’importante filosofo e giurista Antonio Pigliaru (pronuncia Pìgliaru, con l’accento sulla prima i). alla fine delle elementari si trasferisce a Sassari per completare gli studi ginnasiali e liceali. A Sassari trascorre la maggior parte della sua vita, divenendo professore ordinario di Dottrina dello Stato. Antonio Pigliaru si interessa fortemente a tutti i problemi della sua terra, all’autonomia regionale, a una democrazia autenticamente popolare, a una cultura più moderna. Esprime questo suo forte impegno fondando e dirigendo, dal’49 al’64, la rivista Ichnusa, alla quale collaborano i più significativi nomi della cultura sarda del periodo. Antonio Pigliaru muore a Sassari nel 1969, a solo 48 anni. Lascia numerose opere, tra le quali la principale è La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico del 1959, che resta un testo fondamentale per la conoscenza dei nodi storici all’origine della diversità sarda. Oltre a questo, ripubblicato nel 1970 insieme ad altri testi nel volume postumo Il banditismo in Sardegna, scrive tra l’altro Persona umana e ordinamento giuridico, nel 1953; Meditazioni sul regime penitenziario italiano, nel 1959; La piazza e lo Stato, nel 1961; Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto, nel 1965; L’eredità di Gramsci e la cultura sarda, relazione al convegno internazionale di studi gramsciani di Cagliari del 1967; Promemoria sull’obiezione di coscienza, nel 1968; e Gramsci e la cultura contemporanea, nel 1969. Per approfondire il suo pensiero è possibile leggere il saggio Promemoria sull’obiezione di coscienza, e dal volume Il banditismo in Sardegna il testo de Il codice della vendetta barbaricina. |
A Orune nasce, nel 1925 Bachisio Zizi, che ha vissuto e studiato a Nuoro, laureandosi poi presso l’Università di Genova. L’attività di alto dirigente bancario l’ha condotto a Napoli, Roma e Cagliari, è vissuto fino alla sua scomparsa nel 2014. Ha pubblicato: Marco e il banditismo, nel 1968; Il filo della pietra, nel 1971; Greggi d’ira, nel 1974; Il ponte di Marreri, nel 1981; Erthole, nel 1984; Santi di creta, nel 1987; Mas complicado, nel 1988; Il cammino spezzato, nel 1994; Cantore in malas, nel 1997, per il quale ha conseguito nel 1998 il Premio speciale della giuria nel concorso letterario Giuseppe Dessì; Lettere da Orune, nel 1999; Da riva a riva, nel 2001; I supplici, nel 2002. Romanziere definito da Michelangelo Pira come un’autore di letteratura alla macchia, intesa come misconoscenza, non valorizzazione della sua opera da parte di circuiti letterari che fanno sistema. Eppure in Bachisio Zizi c'è tutto un novecento letterario con ampi riverberi per il tempo che viene, il terzo millennio già avviato. I romanzi di Bachisio Zizi sono dentro la Sardegna come dimensione storica, antropologica, di etica economica, della gente, diceva lui, del fare. |
Le principali feste e sagre che si svolgono a OruneAbbiamo riportato un’immagine dell’abito tradizionale femminile di Orune. A Orune svolge la sua attività il Gruppo Folk Santa Lulla, nelle cui esibizioni sia nel paese che in altre località dell’Isola è possibile apprezzare l’abito tradizionale maschile e femminile del paese. E ad Orune svolge la sua attività anche il Coro Incantos, che è il tradizionale coro polifonico di Orune. Orune è uno dei centri in cui è più viva la tradizione del canto a tenore, e famosi in tutta l’isola era il Tenore Santa Lulla, non più attivo, ed il Tenore Folk Studio, noto anche come Su Tenore ’e Vittorièdda, anch’esso non più attivo, nel quale cantava come Contra il famoso Vittorio Montesu, da molti considerato Sa Menzus Contra ’e Su Munnu, ossia la miglior Contra del mondo. Di più recente formazione sono il Tenore S’Arborìnu, il Tenore Nunnale ed il Tenore Santu Sidore, che sono ancora oggi in attività. Tra le sagre e feste che si svolgono a Orune vanno citate, il 16 e il 17 gennaio, la Festa di Sant’Antoni ’e Su Ocu, ossia la Festa di Sant’Antonio Abate; il 3 febbraio, la Festa di Santu Biàssu Duttòre, ossia di San Biagio Dottore, al quale la tradizione attribuisce il miracolo di aver salvato un bimbo che stava per morire soffocato da una spina di pesce, conficcataglisi in gola, ed in riferimento a questo prodigioso evento gli Orunesi gli hanno attribuito il titolo di Duttòre; a metà febbraio, i festeggiamenti per il carnevale, ossia il Carrassecare Orunessu; a metà maggio, la Festa di Santu Sidore Agricola, ossia San Isidoro l’Agricoltore; a inizio giugno, la manifestazione Curittos, Solopados e Grillos in Beranu con sfilata dei cavalieri e delle amazzoni e diverse attività collaterali; il 22 giugno, la Festa di Su Segnore, ossia del Corpus Domini; il 24 giugno, la Festa di Santu Juvanne, ossia di San Giovanni; a inizio luglio, la manifestazione Poetas e Emigrados, due giornate di grande festa, ricche di cultura, tradizione e tanto divertimento. In preparazione della Festa patronale, il 17 luglio si tiene il SuperPalio Orunese nel galoppatoio di Su Cossolu, a pochi chilometri dal centro abitato, per il quale i festeggiamenti iniziano nel pomeriggio della vigilia quando, partendo dalla parrocchia al centro del paese, al termine della celebrazione della messa, si svolge la processione per le vie del paese con in testa il simulacro della Madonna, ed alle celebrazioni religiose seguono quelle civili con, in serata, i balli in piazza; il primo lunedì di agosto, la Festa di Nostra Sennora ’e Su Cossolu, ossia della Beata Vergine della Consolazione, che fa seguito ad una novena preparatoria; l’ultima domenica di agosto, la Festa patronale in onore della Nostra Sennora ’e Su Craminu, ossia della Beata Vergine del Carmelo, per la quale dopo la Messa, si svolge la processione per le vie del paese, e la serata di festa prosegue poi con il concerto di un gruppo di musica leggera ospite dell’Evento; a metà dicembre, tre giorni di festeggiamenti per la manifestazione Autunno in Barbagia. Visita del centro di OruneL’abitato, con le sue tipiche case dalle coperture a terrazza, è abbarbicato sull’estremità di un altopiano da cui si gode della veduta sulla valle di Isalle. alla destra della SS389 di Buddusò e del Correboi, arriviamo a trovare la deviazione sulla destra che ci fa prendere la SP51. Prendiamo questa deviazione, che si dirige verso sud, e, dopo trecento metri, vediamo alla destra della strada uno slargo sul quale si affaccia un bel fontanile. Passato il fontanile, proseguiamo per un altro centinaio di metri e raggiungiamo una rotonda dove prendiamo la seconda uscita, sulla sinistra, che ci porta all’ingresso dell’abitato di Orune. Percorsi seicentocinquanta metri, dalla strada provinciale parte a destra il corso della repubblica, dal quale dopo una cinquantina di metri si separa a sinistra la via Antonio Pigliaru, mentre al centro prosegue il corso della repubblica, ed a destra, in leggera discesa, parte la via Attilio Deffenu. Gli impianti sportivi delle Scuole primarieDal corso della repubblica, prendiamo a destra la via Antonio Pigliaru e, dopo un centinaio di metri, arriviamo a un bivio, dove la via Antonio Pigliaru continua sulla destra, mentre dritta prosegue dritta la via Cuccuretetti. Continuando lungo la via Antonio Pigliaru, dopo duecentottanta metri si trova sulla destra, al civico numero 10, l’ingresso delle Scuole primarie di Orune. Presso questo complesso scolastico, sono presenti gli impianti sportivi delle Scuole primarie, alla quali accede dal retro prendendo la Cuccuretetti che, dopo circa duecento metri, porta a vedere alla destra della strada l’ingresso degli impianti sportivi. Qui si trova la Palestra, senza tribune per gli spettatori, nella quale è possibile praticare come discipline pallacanestro, pallavolo, calcetto ossia calcio a cinque, ed attività ginnico motorie. È presente anche uno Spazio pesistica, nel quale praticare lotta, judo, karate e pesistica. La chiesa parrocchiale di Santa Maria MaggioreDa dove avevamo preso il corso della repubblica, questa strada procede verso sud ed attraversa tutto il centro dell’abitato. Percorsi ottocentocinquanta metri, subito dopo aver visto sulla destra il civico numero 9a ed il retro della chiesa parrocchiale, arriviamo a un bivio dove parte verso destra in discesa la via Roma, la prendiamo e, dopo una quarantina di metri, svoltiamo a destra nella via Ennio Delogu che costeggia il fianco destra della chiesa e che, dopo una cinquantina di metri, si immette sulla via Papa Giovanni XXIII, sulla quale si sviluppa la piazza Santa Maria dove, sulla destra, si affaccia la chiesa di Santa Maria Maggiore, che è la chiesa parrocchiale di Orune. È stata edificata quando, decimata dalla Pesta nighedda, ossia dalla peste nera, si è trasferita ad Orune la popolazione di un’antica parrocchia del borgo di Dulisorre, che apparteneva alla villa chiamata nei documenti ufficiali Muru o Montanna, la cui chiesa parrocchiale era dedicata a Santa Lulla, ossia Santa Giulia. Così si è formata la parrocchia di Orune, dapprima dedicata alla natività della Madonna, poi in seguito, dedicata a Santa Maria Maggiore, ossia alla Beata Vergine della Neve. A Roma nel quarto secolo, sotto il pontificato del Papa Liberio, ad un patrizio di nome Giovanni ed alla moglie di nome Maria, apparve in sogno la Madonna, che manifestò il suo desiderio ed indicò il luogo ove dovevano far costruire una chiesa in suo onore, annunziando che nel giorno appresso avrebbero trovato uno dei sette colli di Roma bianco di neve. Questo grandioso monumento edificato sul colle Esquilino di Roma, dapprima chiamato basilica Liberiana per ricordale il Papa Liberio, è stato in seguito chiamato Santa Maria Maggiore e dedicato alla Beata Vergine della Neve. |
La sua storia risale a diversi secoli fa, quando fu fondata come cappella nel quattrodicesimo secolo. Nel corso degli anni, la chiesa è stata ampliata e restaurata più volte, assumendo l’aspetto attuale nel corso del diciannovesimo secolo, quando è stata distrutta da un incendio nel 1847, ed è stata successivamente riedificata il 1847 e il 1855, su progetto dall’architetto Giacomo Galfrè, nonno materno di Salvatore Satta. La chiesa presenta uno stile architettonico tipico della Sardegna, con influenze romaniche e gotiche. La facciata è adornata da un portale in pietra con sculture dettagliate, ed uno degli elementi più interessanti della parrocchia di Santa Maria Maggiore ad Orune è il suo campanile. Questa torre campanaria, alta e slanciata, è visibile da diverse parti del paese ed è diventata un’icona riconoscibile della chiesa. Il campanile ospita un concerto di campane che suonano regolarmente per segnalare le funzioni religiose e gli eventi speciali. All’interno, che ospita cinque cappelle per lato, impreziosite da tante statue. La chiesa è particolarmente famosa per il suo altare principale, che è dedicato a Santa Maria, con al centro un dipinto che raffigura La Madonna della Neve su un trono di nubi circondata da un fitto stuolo di angeli, con in basso una bella veduta di paese, opera eseguita con eleganti maniere neoclassiche da Antonio Caboni nel 1837. La chiesa parrocchiale è stata arricchita nei cinque anni successivi alla sua riedificazione, dalle tempere murali del pittore cagliaritano Antonio Caboni che ne fanno una delle chiese neoclassiche tra le più interessanti dell’Isola, tanto che viene chiamata la Cappella Sistina della Barbagia. Dopo un secolo dalla sua costruzione l’intera chiesa è stata dipinta di bianco nascondendo tutti gli affreschi, che per fortuna sono stati riportati alla luce durante il restauro effettuato dal 2003 al 2011. Santa Maria Maggiore lascia ogni suo visitatore letteralmente senza fiato davanti allo splendore dei suoi affreschi. Da allora è meta imperdibile di tanti appassionati d’arte e uno dei capolavori neoclassici più interessanti in Sardegna. Negli ultimi anni la sua bellezza ha richiamato sempre più visitatori, tant’è che il parroco ha deciso di lasciarla aperta al pubblico in modo da garantire l’accesso a tutti. La Festa della Beata Vergine del Carmelo è il 16 luglio, in ricordo di quando il 16 luglio del 1251, la Vergine circondata da Angeli e con il Bambino in braccio, apparve al leggendario priore generale dell’Ordine dei Carmelitani, il beato Simone Stock, al quale diede lo scapolare con la promessa della salvezza dall’inferno e la liberazione dalle pene del Purgatorio il primo sabato dopo la morte. I festeggiamenti iniziano nel pomeriggio quando, partendo dalla parrocchia al centro del paese, al termine della celebrazione della messa, si svolge la processione per le vie del paese, con in testa il simulacro della Madonna. Alle celebrazioni religiose seguono quelle civili ed, in serata, i balli in piazza. Il SuperPalio Orunese, riservato agli anglo arabi sardi, si svolge nel galoppatoio di Su Cossolu, a pochi chilometri dal centro abitato, il 17 luglio. La Festa della titolare della parrocchia cade il 5 agosto, ma in suo onore non vengono fatti festeggiamenti solenni nell’abitato di Orune in quanto in quei giorni la comunità si ritrova a celebrare la Festa della Madonna sotto il titolo di Su Cossolu, la Vergine Consolata ossia la Vergine che consola, nella chiesa campestre situata in località Su Pradu. La Festa in onore della Nostra Sennora ’e Su Craminu, ossia della Beata Vergine del Carmelo, che viene considerata la Festa patronale di Orune, si svolge presso la chiesa parrocchiale ogni anno l’ultima domenica di agosto in onore della Vergine Maria. Durante questa festività, la chiesa viene decorata con fiori e luminarie e si svolgono processioni e cerimonie religiose. È un momento di grande gioia e devozione per la comunità, che si riunisce per celebrare insieme la propria fede. La chiesa di Santa Caterina d’AlessandriaDalla piazza Santa Maria, guardando la facciata della chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, prendiamo verso destra ossia in direzione sud la via Papa Giovanni XXIII, dopo una cinquantina di metri svoltiamo a sinistra e prendiamo la via Giorgio Asproni e, dopo un’altra cinquantina di metri, svolta a destra nella via Trento che, in un’ottantina di metri, ci porta nella periferia sud occidentale dell’abitato, nella parte più antica del paese, nella piazza Santa Caterina. Avremmo potuti arrivarci anche dall’arrivo ad Orune, dove dal corso Vittorio Emanuele potevamo prendere sulla destra, in leggera discesa, la via Attilio Deffenu, potevamo seguire la via Attilio Deffenu per circa seicento metri, per poi continuare dritti sulla via Giorgio Asproni e, dopo meno di trecento metri, prendendo verso destra, ossia verso ovest, per arrivare in piazza Santa Caterina. Nella piazza Santa Caterina si affaccia la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria. della vita di Santa Caterina, oltre all’incerta data di nascita e al fatto che fu sottoposta a martirio ad Alessandria d’Egitto, si sa poco ed è difficile distinguere la realtà storica dalle leggende popolari. Secondo la tradizione era una principessa egiziana che, in occasione dell’insediamento ad Alessandria del governatore Massimino Daia, venne invitata a palazzo e nel bel mezzo dei festeggiamenti con sacrifici di animali agli dei, rifiutò i sacrifici e chiese al governatore di riconoscere Gesù Cristo come redentore dell’umanità. Venne condannata a morte con il supplizio della ruota dentata che si ruppe e costrinse Massimino a far decapitare la Santa e, sempre secondo le varie leggende, il suo corpo sarebbe stato trasportato dagli angeli fino al Sinai. |
La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, che delle sedici Chiese presenti nella ricostituzione della diocesi di Galtellì Nuoro del 1779, era indicata come chiesa della Vergine dell’Altura e comunemente detta chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, è stata nel tempo riedificata per tre volte, l’ultima nel 1860 e restaurata nel 2018. Il prospetto esterno di questa chiesa, in muratura verde ospita al centro il suo portone d’ingresso affiancato da due massicce e sovrastato da una lunetta vetrata. ed al di sopra è posto il timpano triangolare con cornice. All’interno la chiesa è caratterizzata da una pianta rettangolare ad una sola navata. Tra l’altro ospita un bel dipinto di Antonio Caboni, l’artista che ha eseguito La Madonna della Neve nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore. Si tratta di un dipinto di raffinata tecnica e di equilibrato impianto neoclassico, che raffigura La Madonna col Bambino su un trono di nubi, tra la Santa Caterina e la Santa Lucia, nel quale in basso è raffigurato, vicino a tre donne in costume orunese, il sacerdote don Giovanni Maria Chessa, nato ad Orune nel 1961 e nominato nel 2017 parroco della cattedrale di Santa Maria della Neve di Nuoro, che ha perso quattro fratelli nella faida che da mezzo secolo ha insanguinato il paese e della quale i resposabili non sono stati mai assicurati alla giustizia. Attualmente la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria di Orune è chiusa per la prosecuzione degli importanti lavori di restauro conservativo. Gli impianti sportivi di via della RinascitaArrivati con la via Trento in piazza Santa Caterina, prendiamo a sinistra la strada che si dirige verso la via Cagliari, che è parallela alla via Trento. Dopo circa una ventina di metri svoltiamo a sinistra sulla via Dante Alighieri, che è la prosecuzione della via Cagliari e si dirige verso sud, la seguiamo per un centinaio di metri, finché questra strada sbocca sulla via della Rinascita. La prendiamo verso destra e, subito dopo, alla sinistra della strada si trovano il cancello di ingresso degli impianti sportivi di via della Rinascita. Qui è presente un Campo da calcetto con fondo in erba sintetica, senza tribune per gli spettatori, nel quale è possibile praticare come disciplina il calcetto, ossia il calcio a cinque. Gli impianti sportivi delle Scuole secondarieArrivati con la via Trento in piazza Santa Caterina, prendiamo a sinistra la strada che si dirige verso la via Cagliari, che è parallela alla via Trento. Dopo circa una ventina di metri svoltiamo a destra sulla via Dante Alighieri, che è la sua prosecuzione e si dirige verso est, la seguiamo per una cinquantina di metri, e vediamo alla sinsitra dellastrada al civico numero 13 l’ingresso delle Scuole secondarie di Orune. Presso questo complesso scolastico, sono presenti gli impianti sportivi delle Scuole secondarie, che ospitano la Palestra, senza tribune per gli spettatori, nella quale è possibile praticare come discipline pallacanestro, ed attività ginnico motorie. La Untana Manna raggiungibile anche dalla piazza remigio GattuPer raggiungere la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, da dove avevamo preso il corso della repubblica, questa strada procede verso sud ed attraversa tutto il centro dell’abitato. Percorsi ottocentocinquanta metri, subito dopo aver visto sulla destra il civico numero 9a ed il retro della chiesa parrocchiale, arriviamo a un bivio dove parte verso destra in discesa la via Roma, la prendiamo e, dopo una quarantina di metri, troviamo a destra la via Ennio Delogu che porta alla chiesa parrocchiale. La superiamo e proseguiamo lungo la via Roma per una ventina di metri, poi prendiamo a sinistra la via Torino e, dopo una cinquantina di metri, vediamo alla sinistra della strada la Untana Manna, ossia la fontana grande, che è il lavatoio di Orune del 1899, decantata dal celebre romanzo di Grazia Deledda Colombi e Sparvieri. Possiamo arrivare alla Untana Manna anche dalla piazza remigio Gattu, nella quale si trova la sede del Municipio di Orune. Per raggiungere la piazza remigio Gattu, arrivati al bivio dove parte verso destra in discesa la via Roma, mentre prosegue a sinistra il corso della repubblica, proseguiamo lungo il corso della repubblica fino a che, dopo un centinaio di metri, si apre alla destra della strada la bella piazza remigio Gattu. Proprio all’inizio di questa piazza, sulla destra si trova la scalinata in discesa, che porta nella parallela via Torino che, presa verso sinistra, porta di fronte alla Untana Manna. Nella piazza remigio Gattu si affaccia il Municipio di OruneIn piazza remigio Gattu, alla sinistra al civico numero 14, si affaccia il Municipio di Orune, con la sua sede e gli uffici che forniscono i loro servizi agli abitanti del paese. Si tratta di un edificio del 1886, definito planimetricamente da un rettangolo di ventiquattro metri per dieci circa, al quale probabilmente in epoca successiva è stato aggiunto un corpo di quindici metri per cinque, sul lato nord ovest affacciato sulla via Vittorio Meloni, che definisce una L creando una corte posteriore. Il prospetto principale, affacciato sulla piazza remigio Gattu, rigidamente simmetrico, è definito dai due moduli laterali e quello centrale leggermente sporgente. I modili laterali sono caratterizzati da un portale centrale con sopraluce separato e due finestre ai lati al piano terra, e tre in quello superiore, decorate tutte da grosse cornici in granito. Il modulo centrale rappresenta l’accesso principale all’edificio, il portale è più grande e sopraelevato rispetto agli altri due, l’asse centrale è enfatizzato dalla presenza al piano superiore del balcone anch’esso in granito modanato con parapetto finemente decorato in ferro battuto. Il tutto scandito da basamento, cornice marcapiano e cornicione modanati, e angoli in bugnato al piano terra e leggermente fuori spessore al primo. All’interno del Municipio di Orune è stata riportata un’elegante lapide in marmo in ricordo dei Caduti della Grande Guerra realizzata nella prima metà del ventesimo secolo da Foddai G. La lapide è decorata a incisione nella parte superiore con lo stemma sabaudo coronato e due rami di alloro e di quercia intrecciati. I nomi dei Caduti sono riportati su quattro colonne senza gradi e non in ordine alfabetico. In basso ai lati sono incise due stelle, mentre in alto, ai lati dell’intitolazione, sono riportate le date 1915 -1918. Vicino al Municipio si trova quella che era la Casa Murgia con il suo mulino artigianale in legnoQui nella piazza, qualche anno fa quando eravamo arrivati a visitare Orune, avevamo trovato un gruppo di persone che ci aveva dato le indicazioni per andare a visitare, dopo il Municipio, anche la Casa Murgia, realizzata dal cavaliere del lavoro Battista Murgia, che si trova affacciata sul lato destro della via Vittorio Meloni, la strada che fiancheggia sulla sinistra il Municipio di Orune, al civico numero 4, subito dopo il corpo aggiunto del Municipio. È un palazzotto signorile dei primi del ventesimo secolo composto da due corpi disposti ad L, il primo con facciata disposta lungo la via Vittorio Meloni e caratterizzata da basamento in bugnato fino alla cornice marcapiano del primo piano, sulla quale poggiano due lesene laterali interrotte dalla seconda cornice marcapiano e reggenti il grosso cornicione sul quale si affaccia il corpo leggermente arretrato delle soffitte coperte con tetto a capanna; mentre il secondo è legato al primo dallo stesso basamento, ma si sviluppa in maniera diversa nel primo piano fuori terra, cromaticamente affine al basamento e con superficie scanalata a emulare blocchi squadrati, finestra centrale con cornice modanata e due oculi ciechi laterali, alla seconda cornice marcapiano si appoggia il parapetto della terrazza sovrastante. Sul retro della casa Murgia è presente un giardino, che conserva ancora un pozzo ed un mulino artigianale in legno. Il mulino alimentava la centrale elettrica, situata ad un piano superiore, che forniva energia anche a tutto il resto del paese. Attualmente è in corso un progetto per il recupero e l’allestimento della ex Casa Murgia che dovrebbe diventare una sede espositiva di beni archeologici. Il mulino al piano terra si presenta in condizioni di estremo degrado e il suo restauro, per certi versi, si presenta decisamente problematico. La vecchia e l’attuale sede della Biblioteca Comunale Antonio Pigliaru di OrunePassato il Municipio, prendiamo la strada che lo fiancheggia sulla destra, che ci porta nella piazza Salvatore Satta, nella quale al civico numero 3 si trovava la Biblioteca Comunale di Orune, che oggi è stata trasferite in una nuova sede nella via Ennio Delogu, nei locali del Centro Culturale Antonio Pigliaru, che un tempo erano la sede dell’asilo comunale gestito dalle suore. Per raggiungere questi locali, dalla piazza Salvatore Satta prendiamo verso destra la via Salvatore Satta, che dopo una cinquantina di metri, sbocca sulla via Ennio Delogu, una strada piastellata che arriva da sinistra e prosegue dritta quasi fosse la prosecuzione della via Salvatore Satta. Prendiamo la via Ennio Delogu come continuazione della via Salvatore Satta e, in un’altra cinquantina di metri, arriviamo a vedere sulla sinistra l’edificio nel quale è ospitato il Centro Culturale. Potevamo arrivarci anche a piedi, da dove il corso della repubblica porta nella piazza remigio Gattu. Poco prima di arrivare al Municipio, prendiamo verso destra la scalinata che scende nella sottostante via Torino e porta alla Untana Manna, e da questa prendiamo un’altra scalinata indicata come prolungamento della via Torino che ci porta alla sottostante via Ennio Delogu, poco prima del Centro Culturale, ed anche della Biblioteca Comunale Antonio Pigliaru, con sulla facciata un bel murale che rappresenta Antonio Pigliaru. La Biblioteca, che in un anno era stata visitata da oltre 5mila persone, è intestata ad Antonio Pigliaru, uno dei più fertili studiosi ed intellettuali che la Sardegna abbia mai avuto. E del maggio del 2019 è stata effettuata la donazione da parte degli eredi del padre del Codice barbaricino come ordinamento giuridico, al Comune di Orune suo paese di nascita, di oltre 2mila volumi, ma anche degli arredi del suo studio, la scrivania, la macchina da scrivere, tende divano, piccoli oggetti, tra i quali colpisce un grande ritratto del Che Guevara e del Papa Giovanni XXIII, entrambi a loro modo depositari di principi di fede e azione anche oggi di grandissima attualità. La Biblioteca conserva anche lasciti del dottor Ennio Delogu di Bitti, nato nel 1898, che esercitò come veterinario a Bitti e Orune, fu confinato durante gli ultimi anni del fascismo perché sospetto al regime e nel dopoguerra fu tra i rifondatori del Partito Sardo d’Azione. La piazza San Bernardo che è un belvedere sul Montalbo e sulla vallata di Marreri fino al mareDalla piazza Salvatore Satta prendiamo verso sinistra la via Salvatore Satta, dopo una sessantina di metri svoltiamo a destra nella via Grazia Deledda e, percorsa appena una ventina di metri, svoltiamo a destra e prendiamo la via Andrea Chessa che, dopo una sessantina di metri, ci porta nella Piazza San Bernardo, che costituisce un ottimo belvedere sul Montalbo e sulla vallata di Marreri fino al mare. Il Cimitero Comunale di Orune con il Monumento ai CadutiDalla piazza San Bernardo prendiamo a destra la via Duca d’Aosta, dopo centoventi metri svoltiamo a sinistra nella via Ennio Delogu che, dopo una sessantina di metri, fa una leggera curva a destra e diventa la via Ugo Foscolo. Dopo duecentocinquanta metri prendiamo a destra la via Vincenzo Bellini, dopo un’ottantina di metri a sinistra la via Giacomo Leopardi, che, in un centinaio di metri, ci porta all’ingresso del Cimitero Comunale di Orune. All’interno del Cimitero Comunale è presente il Monumento ai Caduti, che ricorda ed onora la memoria dei 102 compaesani morti nelle due grandi guerre mondiali. Peraltro la lista dei Caduti di Orune è in continuo aggiornamento, all’appello, infatti, ne dovrebbero mancare altri. Visita dei dintorni di OruneVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Orune, sono stati portati alla luce i resti delle Fonti sacre Lorana, Su Lidone, Su Pradu, Su Sidone, e Su Tempiesu, una delle più belle della Sardegna; delle Tombe di giganti Fila-Fila, Gorteddera I, Gorteddera II, Gorteddera III, e Gorteddera IV; dei Nuraghi complessi Santa Lulla, Orune, Istelai; dei Nuraghi semplici Nunnale, Sa Paione, e Sant’Efisio; dei Nuraghi Curtu, Dorosule, Galile, Istitti, Molas, Nurattolu, Sa Culumbaria, Sa Mandra, Sa Pudda Lada, Sa Tuppa, Salada, Sant’Efisio II, Sos Nuraghes, Su Nurattolu, e Usone , tutti di tipologia indefinita; ed anche del Nuraghe S’Ena de Orune, scomparso e del quale non rimangono tracce. La frazione Orune denominata Su PraduDall’uscita da Orune verso nord est con la SP51, dove, in corso della repubblica, arrivano dalla destra la via Antonio Pigliaru ed a sinistra la via Attilio Deffenu, arriviamo a uno svincolo dove prendiamo verso destra la SP51 che esce dall’abitato in direzione nord verso la SS389 di Buddusò e del Correboi. Dopo circa seicentocinquanta metri seguendo la prosecuzione del corso della repubblica, arriviamo a una rotonda dove prendiamo la seconda uscita, verso sinistra, che è la via Enrico Berlinguer, la quale procede parallela alla strada statale, che scorre alla sua sinistra. Percorsi circa trecento metri, questa strada entra nella frazione del comune di Orune denominata Su Pradu (altezza metri 870, distanza in linea d’aria circa 1,4 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 238), e la attraversa tutta. La frazione si trova nell’altopiano dei graniti e delle sughere a monte del centro abitato. La chiesa campestre di Nostra Signora de Su Cossolu ossia Nostra Signora della ConsolazionePresa la via Enrico Berlinguer dopo l’ingresso nella frazione Su Pradu, dopo quattrocentocinquanta metri troviamo una deviazione sulla sinistra che esce dalla frazione verso sud, e che, in circa seicentocinquanta metri, ci porta a sud ovest della frazione Su Pradu, a vedere alla sinistra l’ingresso della piccola chiesa campestre di Nostra Signora de Su Cossolu dedicato alla Beata Vergine della Consolata o della Consolazione, che delle sedici Chiese presenti nella ricostituzione della diocesi di Galtellì Nuoro del 1779, era indicata come chiesa della Vergine della Difesa, comunemente detta della Consolata. La fondazione della chiesa de Su Cossolu purtroppo non è databile, in quanto non ci sono documenti attendibili che ne attestino l’origine, al sedicesimo secolo, e secondo altri al diciassettesimo.La chiesa ha uno stile molto semplice, con ingresso ad occidente, mentre ad oriente è priva di abside e presenta un muro liscio. La copertura è costituita da un tetto a due falde ricoperto in tegola, ed alla congiunzione delle due falde, in corrispondenza dell’ingresso principale, si eleva una grande croce in ferro. All’estremità opposta c’è una rudimentale struttura metallica che sorregge la campana e sostituisce quello che in origine era un piccolo campanile a vela. La facciata, a profilo cuspidato, ad eccezione del portale non ha alcun tipo di apertura che consenta la penetrazione di luce, e manca qualsiasi elemento di decorazione. Le fiancate sono rinforzate da cinque contrafforti per ogni lato. All’aula si può accedere da due entrate, la principale orientata a occidente dirimpetto all’altare, l’altra secondaria che si apre sul fianco destro. L’interno presenta una struttura molto semplice ad aula mononavata. Un arco a sesto acuto separa la zona presbiteriale, sopraelevata, dalla zona riservata ai fedeli. Sopra l’altare di semplice fattura sono collocate all’interno di tre nicchie le tre statue in gesso, al centro quella della Madonna de Su Cossolu che tiene in braccio il Bambino, nella cui mano destra è poggiato un uccellino che è diventato il simbolo della festa; a destra il simulacro de Su reparu; a sinistra il simulacro de Sa Defesa che ha in mano un pugnale rivolto contro una statuetta nera disposta ai piedi della statua, raffigurante Su Diauleddu de Su Cossolu, il quale teneva in bocca un cardo simbolo di disprezzo. Questa statuetta, intorno agli anni settanta del novecento, è stata rimossa e sotterrata per volontà del parroco Don Licheri, nelle vicinanze della chiesa, e non è stata più ritrovata. Presso questo Santuario campestre ogni anno, il primo lunedì di agosto, si celebra la Festa di Nostra Sennora ’e Su Cossolu, ossia della Beata Vergine della Consolazione, che fa seguito ad una novena preparatoria che termina la prima domenica di agosto, con la cerimonia dei vespri e l’indomani, si celebra il giorno solenne, con l’incoronazione del simulacro della Vergine e la fiaccolata nel rione Su Pradu dove sorge la chiesa campestre e le cumbessias che ogni anno si anima di centinaia di fedeli. Seguono altri due giorni di festeggiamenti, con tra l’altro la corsa degli asinelli, e la corsa a cavallo nel galoppatoio di Su Cossolu. Ad organizzare queta festa, da oltre due secoli, sono cinque gruppi famigliari che si alternano ciclicamente, chiamati Sas Tripides, che in italiano corrisponde al termine treppiede, e che metaforicamente rappresentano le tre famiglie che avrebbero dato origine al culto de Su Cossolu, mentre oggi per un’evoluzione interna alle stesse famiglie si è passati da tre a cinque. Sos Puzzoneddos de Su Cossolu è un un gustoso pane dolce a forma di colomba che viene preparato a Orune in occasione della festa, un vero simbolo religioso donato durante la novena a tutti i fedeli da coloro che ringraziano la Madonna per una grazia ricevuta. La forma del pane è ispirata al pettirosso che nella statua della Consolata tiene in mano Gesù bambino. Il Galoppatoio di Su CossoluPassato l’ingresso della chiesa Campestre, proseguendo per un altro centinaio di metri raggiungiamo il Galoppatoio di Su Cossolu, che costituisce location ideale per assistere ai diversi appuntamenti equestri che attirano il mondo delle corse degli asinelli e soprattutto quelle dei cavalli, soprattutto il SuperPalio Orunese, il tutto organizzato a puntino dal comitato per i festeggiamenti della Beata Vergine del Carmelo, in attesa della festa solenne che, come da tradizione, si ripete l’ultima domenica di agosto. Il Complesso Sportivo Su PraduPresa la via Enrico Berlinguer dopo l’ingresso nella frazione Su Pradu, dopo quattrocentocinquanta metri evitiiamo la deviazione sulla sinistra che porta alla chiesa campestre di Nostra Signora de Su Cossolu ossia Nostra Signora della Consolazione, e proseguiamo invece dritti per circa centosettanta metri, fino ad arrivare sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, all’altezza del chilometro 76,9. All’altro lato della strada statale, si trova l’ingresso del Complesso Sportivo Su Pradu, che si sviluppa alla destra della SS389 di Buddusò e del Correboi che si dirige verso Nuoro. All’interno di questo Complesso Sportivo si trova il Campo da calcio di Orune, con fondo in terra battuta. Attorno al campo da calcio è presente una Pista di atletica leggera, nella quale è possibile praticare come discipline la corse su pista e diverse specialità di atletica leggera. Questi impianti sportivi sono dotati di tribune in grado di ospitare fino a 300 spettatori. L’area archeologica di Sant’Efisio con i resti di un vasto l’insediamento romanoProseguendo lungo la SS389 di Buddusò e del Correboi in direzione di Nuoro, a circa ottocento metri dal Complesso Sportivo Su Pradu arriviamo in località Sant’Efisio, a 750 metri di altezza, dove, in un fitto bosco di querce e lecci, sono stati rinvenuti i resti dell’Area Archeologica di Sant’Efisio. Per raggiungerli, al chilometro 81,9 della SS389 di Buddusò e del Correboi prendiamo una deviazione sulla destra della strada statale, subito dopo svoltiamo a destra, in una stradina bianca, che percorriamo per circa ottocento metri, fino all’ingresso dell’Area Archeologica dove sono presenti i resti di un vasto insediamento romano di tarda Età Imperiale, in ottimo stato di conservazione, parzialmente edificato sopra un abitato nuragico. Sono state portate alla luce abitazioni a pianta quadrangolare, con i muri realizzati a secco o con l’uso di fango per riempire gli interstizi, che si sono conservati per un’altezza di un paio di metri. I pavimenti sono realizzati con grandi lastroni, ed al di sotto è presente una fitta rete di condutture idriche. È interessante un grande edificio a pianta rettangolare, probabilmente un edificio pubblico o un tempio. Le campagne di scavo sono tuttora in corso, per cui l’area potrebbe essere non sempre accessibile. I resti del Nuraghe di Sant’Efisio IIL’insediamento romano è stato edificato sopra i resti di un precedente insediamento nuragico, e nella sua parte settentrionale del complesso archeologico fa parte anche il Nuraghe di Sant’Efisio II. Si tratta di un Nuraghe di tipologia indefinita, porobabilmente un Nuraghe complesso, edificato in materiale indeterminato a 740 metri di altezza su un affioramento di roccia granitica, al quale i muri si adattano. Il Nuraghe è formato da un mastio centrale, al quale si accedeva con una stretta scala, e probabilmente da tre torri laterali, originariamente collegate da un antemurale di cui rimane solo una piccola parte. Il Nuraghe, parzialmente visibile, è stato però compromesso da scavi clandestini. Intorno al Nuraghe si sviluppa un villaggio nuragico, che si estendeva per ben 50 ettari. È costituito da capanne a pianta circolare, molte delle quali composte da vari ambienti. L’insediamento è stato sottoposto a scavi archeologici nel 1992 e nel 1997. È stato occupato dal eneolitico fino al periodo imperiale romano, ed in esso sono stati rinvenuti oggetti di uso quotidiano datati tra il Bronzo Medio e la prima Età del Ferro. Ruderi della chiesa campestre di Sant’EfisioAll’interno del complesso archeologico omonimo, nella sua parte sud occidentale, si trovano anche i ruderi della chiesa campestre di Sant’Efisio. La struttura si ipotizza sia stata costruita nel seicento, almeno per quanto attiene la fase edilizia messa in luce dagli scavi effettuati sino ad ora. I resti del Nuraghe semplice Nunnale vicino alla roccia chiamata il solitario di NunnaleDall’uscita da Orune verso nord est con la SP51, dove, in corso della repubblica, arrivano dalla destra la via Antonio Pigliaru ed a sinistra la via Attilio Deffenu, arriviamo a uno svincolo dove prendiamo a sinistra la SP51 che esce dall’abitato verso sud in direzione di Ponte Marreri, da dove si può prendere la SS131 Diramazione Centrale Nuorese che ci porterebbe a Nuoro. Percorsi circa cinque chilometri, si comincia a vedere il Nuraghe Nunnale, e per raggiungerlo prendiamo una deviazione sulla destra, che ci porta a destinazione in circa duecentocinquanta metri. Il Nuraghe è stato costruito vicino ad una roccia con una forma insolita, costituita da massi diversi e sovrapposti, chiamata il Solitario di Nunnale, un maestoso pinnacolo granitico formato da grossi massi in equilibrio uno sull’altro. La roccia viene chiamata anche la Rupe di Nunnale o S'impiccu. Procediamo per trecento metri e arriviamo ai piedi un’altura. Si devono scavalcare alcune basse recinzioni, poi ci si arrampica sino alla cima dell’altura, dove si trovano i resti del Nuraghe semplice Nunnale, un Nuraghe monotorre edificato il materiale indeterminato a 541 metri di altezza. Il Nuraghe, seppure imponente, appare incredibilmente minuscolo al confronto con l’immensa roccia che lo sovrasta. Si tratta di un Nuraghe del tipo indicato come megalitico, ossia costruito, soprattutto nella parte bassa, con blocchi poligonali di grandi dimensioni appena sbozzati. Nelle parti più alte ci sono massi più piccoli e regolari. Dall’ingresso, molto alto, si entra in un corridoio, che porta alla camera interna. Questa è circolare, ed aveva copertura a ogiva. Una scala elicoidale lungo il muro portava al piano superiore, di cui però non rimane traccia. Attorno all’ammasso roccioso è possibile distinguere le capanne di un piccolo villaggio nuragico. L’ultima frequentazione del Nuraghe e del villaggio è databile al 1100 avanti Cristo come dimostra il ritrovamento di ceramiche di quel periodo. La Fonte sacra di Su TempiesuNei dintorni di Orune si trova una delle eredità più significative e integre che la civiltà nuragica ci ha lasciato, ossia la Fonte sacra di Su Tempiesu, un tempio a pozzo dedicato al culto delle acque, edificato in opera isodoma con conci di trachite e basalto perfettamente lavorati. Per arrivare alla fonte sacra, dal centro di Orune seguiamo le indicazioni, che ci conducono fino al Cimitero. Da qui prendiamo la strada asfaltata che lo costeggia sulla sinistra, e che esce all’abitato e si dirige verso nord. La seguiamo per cinque chilometri, prima verso nord e poi verso est, ed arriviamo in località Sa Costa ’e Sa Binza, dove troviamo il parcheggio dove lasciare la macchina per l’accesso alla splendida e importante Fonte sacra, raggiungibile con un non molto lungo percorso a piedi. La fonte è la più bella tra quelle portate alla luce, costruita in blocchi di trachite, basalto, granito e scisto collegati tra loro con un sistema di incastri alternati, a 302 metri di altezza, a ridosso di due pareti rocciose da cui sgorga l’acqua che alimenta il pozzo, con la sovrastruttura preservata come pochi edifici di questo tipo, e ci è arrivata quasi intatta, dato che è stata sepolta da una frana che la ha nascosta e protetta, fino alla sua scoperta nel 1953. Con la ricostruzione della facciata sono stati integrati blocchi di trachite più chiara. Scavi archeologici zono stati effettuati nel 1983 sotto la guida dell’archeologa Maria Ausilia Fadda. Il suo restauro è stato completato nel 1986. Ha la facciata alta 3.6 metri, che originariamente si elevava per oltre 4.2 metri, con tetto a doppio spiovente, che termina con una doppia cornice in rilievo. Si conserva gran parte del timpano, che originariamente terminava con un conciò forato, nel quale sono state rinvenute venti spade di bronzo, saldate tra loro con il piombo. Le misure e l’assenza di impugnatura fanno pensare ad un uso votivo. Il vestibolo è delimitato da un muretto, realizzato con blocchi di basalto. All’interno del vestibolo è presente un pozzetto di raccolta, profondo circa novanta centimetri, che riproduce in scala minore il pozzo principale, e che raccoglie le acque provenienti da quest’ultimo. Nello spessore murario sono ricavati due stipetti, utilizzati come piani d’appoggio di ciotole per bere e probabilmente per le offerte dei fedeli. Il locale nel quale è presente la fonte sacra, è alto due metri. All’interno, quattro gradini portano alla sorgente. Il pozzo ha un diametro di sessanta centimetri, e tra le pietre possiamo vedere ancora oggi il piombo usato per l’impermeabilizzazione. Dal pozzo sacro, l’acqua passa lungo un piccolo canale che attraversa prima l’atrio, poi un blocco di basalto e un altro blocco di steatite rosa, e da qui arriva al piccolo pozzo di raccolta esterno. Nell’area del tempio sono state rinvenute spade, pugnali, spilloni e pendagli, bracciali, anelli, statuine in bronzo. Sono importanti una figura maschile frontale stante su basetta espansa trapezoidale che indossa una tunica corta e impugna un bastone con la mano destra, mentre sorregge con l’altra mano un manto ripiegato sulla spalla sinistra; ed una coppia di offerenti ossia figure frontali stanti su basetta rettangolare sopra perno di fissaggio, delle quali la figura a destra indossa una tunica marcata in vita da una solcatura, la mano destra è sollevata nel gesto del saluto rituale, la sinistra tiene un animale poggiato sulla spalla destra, mentre il personaggio a sinistra indossa una tunica scampanata ed un mantello aperto sul davanti, con entrambe le braccia flesse. La datazione presunta di edificazione della fonte sacra è la fine del II millennio avanti Cristo, mentre il luogo di culto è stato comunque frequentato sino all’Età del Ferro. I resti del Nuraghe complesso di Santa LullaNon molto distante dalla Fonte sacra Su Tempiesu, nel salto di Orune, a circa cinquecento metri ad sud est rispetto ad essa, si trovano i resti del Nuraghe complesso di Santa Lulla, polilobato posto sulla sommità del monte omonimo, edificato in materiale indeterminato a 442 metri di altezza, vicino al quale rimangono tracce di un insediamento abitativo. Il Nuraghe è molto distrutto, appena si notano le mura e la camera, in compenso però tutt'intorno si può ammirare un paesaggio meraviglioso. Ruderi della chiesa parrocchiale di Santa LullaAccanto ai resti del Nuraghe complesso di Santa Lulla si trovano ancora alcuni pochi ruderi dell’antica chiesa dedicata a Santa Lulla, ossia Santa Eulalia. La chiesa è stata edificata a pochi metri dal Nuraghe che da essa ha preso il nome. Questa chiesa era la parrocchiale dell’antico borgo scomparso di Dulisorre, che apparteneva alla villa chiamata nei documenti ufficiali Muru o Montanna, un minuscolo villaggio di una sessantina di abitanti ancora nei primi del trecento, che apparteneva alla vecchia Sede diocesana di Galtellì, alla quale però Orune non è mai appartenuta. E, sempre nel trecento, la popolazione di Dulisorre, decimata dalla pesta nighedda, ossia dalla peste nera, si è trasferita più ad ovest, dove oggi sorge l’abitato di Orune. Dalla Fonte sacra Su Tempiesu si può vedere sullo sfondo il Monte AlboUna delle principali attrazioni naturalistiche non lontano da Orune è rappresentato dal Monte Albo chiamato così per le sue bianche rocce calcaree, caratterizzato da una linea di cresta lunga ben tredici chilometri, con un’altezza media superiore ai mille metri, che è stato frequentato sin dall’antichità dall’uomo. La catena calcarea del Montalbo, dichiarata dall’Unione Europea Sito di Interesse comunitario, si trova nei territori comunali di Lula a sud, ed a Lodè e soprattutto Siniscola a nord. Sulle cime del Monte Albo trovano il loro ambiente naturale l’aquila reale, il muflone, il cinghiale, l’astore sardo, il raro gracchio corallino, un elegante corvide dal colore rosso vermiglio. La prossima paginaNella prossima tappa del nostro viaggio, da Orune ci recheremo a Bitti il paese natale di Michelangelo Pira, detto Mialinu, e dei Tenores, nei cui dintorni si trova il villaggio nuragico di Romanzesu. |