Bitti, dove è nato Mialinu Pira, famosa per i suoi Tenores, con nei dintorni il villaggio nuragico Romanzesu
In questa tappa del nostro viaggio, da Orune ci recheremo a Bitti il paese natale di Michelangelo Pira, detto Mialinu, e dei Tenores, nei cui dintorni si trova il villaggio nuragico chiamato Romanzesu. La regione storica del Nuorese o Barbagia di Nuoro o Barbagia di BittiIl Nuorese (nome in nuorese Su Nugorèsu, in logudorese Su Nuorèsu), indicato da alcuni anche con il nome di Barbagia di Nuoro o Barbagia di Bitti, è una regione storica della Sardegna nord orientale. In periodo giudicale il suo territorio apparteneva per lo più al Giudicato di Torres, nella Curatoria di Dore-Orotelli. In realtà oggi per Nuorese si intende un territorio molto più ampio, che comprende anche parte dei territori che in periodo giudicale appartenevano alle curatore di Bitti e di Orosei-Galtellì, nel Giudicato di Gallura. I comuni che ne fanno parte sono Bitti, Lula, Nuoro, Onani, Oniferi, Orani, Orotelli, Orune, Osidda, Ottana, e, secondo molti, ed anche secondo noi, al Nuorese apparterrebbe anche il comune di Sarule. Secondo alcuni vi apparterrebbe anche il comune di Dorgali, che, a nostro avviso, appartiene invece alla Barbagia di Ollolai, dato che durante il periodo nel quale la Sardegna era sotto il controllo dell’impero Bizantino e nel primo periodo del Giudicato di Arborea ne costituiva uno sbocco al mare, andato perduto a seguito dell’espansione, promossa dai Pisani, verso sud del Giudicato di Gallura. Il Nuorese è costituito da luoghi, paesi, tradizioni, enogastronomia, artigianato artistico, musica e cultura, che si sviluppano nei paesaggi dei paesi del comprensorio barbaricino, richiamati nelle opere letterarie del Nobel per la letteratura Grazia Deledda. In viaggio verso BittiDa Orune proseguiamo verso nord sulla SS389 di Buddusò e del Correboi di Buddusò e del Correboi, che collega Nuoro con Bitti, la quale in quattordici chilometri ci porta ad entrare nell’abitato di Bitti. Il comune chiamato BittiIl comune chiamato Bitti (nome in lingua sarda Bithi, altezza metri 549 sul livello del mare, abitanti 2.597 al 31 dicembre 2021) è un centro agropastorale con svariati caseifici e allevamenti zootecnici, situato in fondo a una valle e situato nella parte nord orientale della Provincia di Nuoro, ai confini con quella di Sassari, a ovest del Monte Albo, attraversato dalla SS389 di Buddusò e del Correboi di Buddusò e del Correboi. Il paese appartiene al Nuorese, ma viene considerato il centro più importante della Barbagia settentrionale, quella che viene chiamata appunto, a volte, la Barbagia di Bitti. Dista 38 chilometri da Nuoro ed il suo territorio arriva fino ai confini con la Gallura. Numerose sono le Chiese nell’abitato e nei dintorni di Bitti, dato che le prime informazioni sicure sui titolari delle Chiese di Bitti e del suo antico borgo di Gorofai risalgono al 1496, ma, delle quarantadue Chiese esistenti allora, oggi ne resta in piedi circa la metà. Nelle domeniche comprese tra i mesi di maggio e ottobre Bitti rende omaggio ai numerosi Santi celebrati nelle dodici Chiese campestri tuttora aperte al culto, disseminate nel vasto territorio, tutte caratterizzate dalle linee graziose di un’architettura semplice e austera. Come di Orune, anche di Bitti, che chiama Tibi, parla la scrittrice Grazia Deledda nel suo romanzo Colombi e Sparvieri, che la indica come: La Tibi del Santuario del Miracolosi quando descrive la pacificazione, nel dicembre del 1887, tra le famiglie di Oronou e di Tibi, ossia di Orune e di Bitti, tra le quali era in atto un annoso contrasto per il possesso di alcuni terreni in località Dilisorre, posti a quattro chilometri a ovest di Orune, in un territorio confinante con l’agro di Lula. |
Origine del nomeLa prima attestazione scritta del nome di Bitti risale al 1170 circa, con la forma Bitthe, e secondo gli studiosi l’etimo, che nella dizione locale si presenta come Vìthi tra gli anziani e Bìttsi tra i giovani, sarebbe da ricondurre allo strato linguistico preromano. Secondo alcuni di essi le origini del nome deriverebbero dal termine latino Vincti ossia Vinti. Secondo la tradizione popolare, invece, il nome del paese deriverebbe dalla parola sarda Sa Bitta, ad indicare La cerbiatta che sarebbe strata uccisa da un cacciatore mentre si abbeverava a una fonte, l’attuale fontana de Su Cantaru all’interno del paese. La sua economiaL’economia di Bitti è basata sulle tradizionali attività agro pastorali affiancate da una modesta attività industriale. Il settore primario è presente con la coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, ulivi, viti e alberi da frutta, e con l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’attività prevalente è, comunque, l’allevamento ovino, dato che nel paese operano circa 150 aziende zootecniche, ed abbondante è anche la produzione lattiero casearia, in particolare del formaggio pecorino, e del Pane carasatu, che viene venduto non solo in Sardegna, ma anche nella Penisola e all’estero. Accanto a queste tradizionali attività si è sviluppato un discreto settore industriale, che fa registrare una buona produttività nei comparti alimentare, tessile, della lavorazione del legno, dei laterizi, dei mobili, edile e della produzione di energia elettrica. Importante è anche la produzione artigianale di tappeti tessuti con il caratteristico telaio verticale, di ceramiche artistiche e la lavorazione del ferro e del legno. Bitti è meta di un discreto afflusso turistico, dato il grande fascino esercitato dal suo territorio caratterizzato da boschi di sughere e sculture granitiche modellate dal vento, e dai resti del villaggio nuragico chiamato Romanzesu che si trova nel suo territorio. Brevi cenni storiciIl primo insediamento nel suo territorio si è formato in età preistorica, prima del 3000 avanti Cristo, ad opera dei Balari o Bàlari, una popolazione che vive nel Logudoro, e che confina a sud con gli Ilienses, e a nord est con i Corsi. Successivamente vi si stabiscono i Romani, che danno vita al primo vero e proprio nucleo urbano, ma contro di essi i Balari oppongono una dura resistenza, cui si pone fine con l’unione dei due popoli. Bitti viene citata nel 1170 circa con il nome di Bitthe. In epoca medievale viene dapprima incorporata nel Giudicato di Gallura, diventando sede di curatoria della Barbagia di Bitti, in seguito nel 1410, alla caduta del giudicato, passa sotto il controllo dei Pisani, e nel quattordicesimo secolo entra a far parte del Giudicato di Logudoro. Passa in seguito al marchesato di Oristano nel Giudicato di Arborea e, nel 1478, alla caduta del Marchesato di Oristano, agli Aragonesi. Dal 1577 al 1588 ha come pievano il sassarese Antonio Canopolo, uno dei più illustri presuli sardi a cavallo tra il Cinquecento ed il Seicento, che da arcivescovo garantisce in perpetuo ai giovani di Bitti un posto di studio gratuito nel Seminario da lui fondato a Sassari. Nel 1617 viene incorporato nel Marchesato di Orani, feudo prima dei De Silva e poi dei Fadriguez Fernandez, cui rimane fino all’arrivo dei Piemontesi, sotto il cui governo si assiste nel 1839 all’abolizione del feudalesimo. Diviene, quindi, un comune autonomo amministrato da un sindaco e da un consiglio Comunale. Nel 1874, lo storico comune di Gorofai, situato a nord est a poca distanza dal centro di Bitti, viene soppresso ed il suo territorio viene aggregato al comune di Bitti. Del comune di Bitti nel 1927, dopo la creazione della Provincia di Nuoro, viene cambiata la provincia, da quella di Sassari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. Alcuni dei principali personaggi storici che sono nati a BittiBitti ha dato i natali nel 1562 al gesuita, scrittore e storico Giovanni Proto Arca; nel 1797 al magistrato e politico Giuseppe Musio senatore del regno d’Italia; nel 1808 al politico Giorgio Asproni deputato del Parlamento subalpino prima e della camera del regno d’Italia in seguito. Ma a Bitti sono nati soprattutto il giornalista, antropologo e scrittore Michelangelo Pira, detto Mialinu Pira, ed il pittore e muralista Diego Asproni. A Bitti nasce, nel 1928, Michelangelo Pira detto Mialinu. Persa molto giovane la madre, si trasferisce a Oschiri a vivere presso il padre pastore. Frequenta le Scuole Medie e il liceo classico a Sassari. Laureatosi in lettere, inizia l’attività di antropologo, scrittore ed uomo politico. Dagli anni settanta insegna Antropologia Culturale alla Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari, e si dedica all’attività giornalistica. È uno dei più impegnati studiosi della lingua e della cultura sarda, e denuncia il pericolo della morte della lingua sarda per il suo disuso. È fortemente influenzato dagli scritti di Antonio Gramsci e di Antonio Pigliaru, collaborando tra l’altro alla rivista Ichnusa di Pigliaru. Per la rete televisiva RAI 3, cura un reportage su alcuni importanti aspetti della vita nel nuorese. Nel’68 pubblica Sardegna tra due lingue, e dieci anni dopo, nel’78, il suo testo più importante, La rivolta dell’oggetto. In esso descrive i problemi della Sardegna, nella transizione da una Civiltà di tipo agropastorale alla civiltà dei consumi, e prende una netta posizione sull’identità del popolo sardo. Nello stesso anno pubblica Antropologia della Sardegna, tre anni dopo Paska Devaddis, per un Teatro dei Sardi, poi Sos Sinnos, Pustis su camminare ed Isalle. Michelangelo Pira anticipa di quasi trent’anni il villaggio informatico di Internet, infatti, in un suo racconto profetico scritto nel 1997 ed intitolato Il villaggio elettronico, immagina una rete di computer che consente all’umanità, attraverso l’elettronica, la fruibilità e lo scambio della cultura universale, ma soprattutto il recupero della spontaneità di comunicazione e delle proprie radici culturali. muore improvvisamente a Capitana di Quartu Sant’Elena, vicino a Cagliari, nel 1980. |
A Bitti nel 1951 nasce Diego Asproni che si afferma come pittore e, soprattutto, raccoglie pietre e colori sulle montagne e li utilizza nelle pitture a fresco per dipingere murales sui muri dei paesi della Sardegna, soprattutto contro le esercitazioni militari e contro il taglio indiscriminato dei boschi. Culturalmente impegnato nella difesa e nella valorizzazione della lingua sarda, vicesindaco di Bitti per quattro anni, egli Apre le scuole comunali di tessitura tradizionale, ceramica, canto a tenores, progetta e avvia la gestione del parco archeologico di Romanzesu, apre il Museo della Civiltà Contadina e Pastorale. In precedenza aveva lavorato per tre anni nella miniera di Sos Enattos a Lula,, dal fango delle gallerie, sono nati Sos Disignos Brutos, encausti ed affreschi staccati a ricordare il lavoro delle donne e dei bambini, nel centenario della morte dei minatori avvenuta a Buggerru, e l’opera intitolata Pro su pane, per ricordare l’eccidio avvenuto nel 1906 a Villasalto, simbolo della situazione drammatica affrontata in molti centri minerari e terminata, in alcuni casi come questo, con la morte di alcuni dei manifestanti. |
Le principali principali feste e sagre che si svolgono a BittiBitti è il centro in cui è più viva la tradizione del canto a tenore, di cui parleremo più avanti, ed a Bitti è attiva l’Associazione Culturale Gruppo Folk Sa Bita ed il Coro Polifonico Oches de St’Annossata. I diversi gruppi si esibiscono in diverse occasioni sia sul posto che anche in altri comuni. Tra le manifestazioni che si svolgono a Bitti vanno citati il 17 gennaio la Festa di Sant’Antonio, con il falò di Sant’Antonio la sera del 16; il Carnevale Bitzichese; la cerimonia di S’Iscravamentu il venerdì Santo e quella di S’Incontru La domenica di Pasqua; il 23 aprile la Festa di San Giorgio, che è il patrono del paese; la terza domenica di maggio la Festa della Madonna dell’Annunziata; il 6 agosto la Festa del Santissimo Salvatore; presso la ex parrocchia di Gorofai; il primo fine settimana di settembre la manifestazione Cortes Apertas; il 30 settembre la Festa della Madonna del Miracolo; a dicembre il Natale bittese, con diverse rappresentazioni musicali folcloristiche; la Festa di su Nenneddu da Natale all’Epifania; il 31 dicembre la Festa di Sas Bulustrinas. La Festa di Sant’Antonio AbatePer la Festa Sant’Antonio Abate viene organizzato la sera del 16 gennaio di ogni anno il grande falò nel piazzale delle due Parrocchie. Ossia della chiesa parrocchiale di San Giorgio Martire, organizzato da un comitato eletto ad estrazione fra tutti i cittadini bittesi che abbiano come nome Antonio, Antonia, Antonietta, Maria Antonietta. E della chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore, organizzato da tre nominativi estratti dal parroco tra tutti i parrocchiani, anche quelli che non si chiamano Antonio, Antonia, Antonietta, Maria Antonietta. Il Carnevale BitzichesePer il Carnevale si svolge a Bitti il Carnevale Bitzichese, ossia il Carnevale Bittese, organizzato dal comune in collaborazione con gruppi di volontari o Comitati che organizzano la sfilata. I riti pasquali a BittiPer la Pasqua, si svolgono ogni anno i Riti della Settimana Santa, tra i quali la cerimonia di S’Iscravamentu il venerdì Santo e quella di S’Incontru La domenica di Pasqua, organizzate dal Coro Polifonico Oches de St’Annossata. La Festa di su NennedduLa Festa di su Nenneddu è il nome dato a una plurisecolare tradizione natalizia di Bitti, che inizia il giorno dopo Natale e si protrae fino all’Epifania. La Festa è caratterizzata da una visita notturna alle famiglie, fatta dall’antica statuina di un Gesù Bambino in piedi ritrovata nelle mura di un vecchio convento. Quando si entra nella casa ospitante, il Gesù Bambino viene accolto da numerose persone, dal Sacerdote e dal Coro Polifonico Oches de St’Annossata che esegue canti popolari in lingua sarda, propri della tradizione natalizia. alla fine vengono offerti dolci tipici e vini novelli. La Festa di Sas BulustrinasA Bitti il 31 dicembre si svolge la cosiddetta Festa di Sas Bulustrinas, nella quale, al termine del Te Deum, il sacerdote si affaccia sul balcone della casa parrocchiale lanciando, in segno di augurio, manciate di monete, dette in lingua sarda Sas Bulustrinas, e di caramelle. I Tenores di BittiA Bitti nascono e da trent’anni operano i più importanti e famosi gruppi di Canto a Tenore sardo. Come abbiamo già detto, non c’è in Sardegna Sagra o manifestazione nella quale non si esibiscano gruppi di canto a Tenore, il principale simbolo della musica tradizionale polivocale sarda ed anche la più viva testimonianza delle radici arcaiche della sua cultura. Il primo gruppo di Tenores di Bitti che ha avuto risonanza internazionale è il remunnu ’e locu che, nato nel 1974 ed intitolato per omaggiare il poeta estemporaneo Raimondo Delogu, noto come Tziu remunnu, nei suoi quarant’anni di storia ha ottenuto riconoscimenti nazionali ed internazionali. Attualmente il gruppo remunnu ’e locu è composto da: Daniele Cossellu, capo gruppo nel ruolo di Oche e Mesu Oche, ossia Voce solista e mezza voce, fondatore oltre 40 anni fa del gruppo; Mario Pira, Bassu, ossia Basso gutturale; Pier Luigi Giorno, Contra, ossia Controvoce gutturale; Piero Sanna, Oche e Mesu Oche, ossia Voce solista e mezza voce, che è morto nel gennaio 2014 dopo una brevissima malattia, ed è stato sostituito da Dino Ruiu. Si sono alternati durante la vita del gruppo anche: Salvatore Bandinu, Bassu; Trancredi Tucconi, Contra. Il gruppo ha vinto per sei anni consecutivi il Festival del redentore di Nuoro nella categoria Canti a Tenores. Vanta apprezzamenti di rilievo anche in campo internazionale da numerosi studiosi ai quali si possono aggiungere musicisti che vanno dal trombettista Jazz americano lester Bowie a Ornette Coleman, da Frank Zappa che definiva i canti a tenores musica bovina a Peter Gabriel che ha pubblicato i lavori del gruppo per la propria etichetta discografica real World. Da circa quarant’anni il gruppo remunnu ’e locu opera ininterrottamente, dedicandosi alla ricerca delle tradizioni culturali locali e, in modo particolare, del canto a Tenores. Nel 1995 in collaborazione con il comune di Bitti per tenere viva la tradizione, costituisce a Bitti la Scuola dei Tenores, aperta a tutti i giovani del paese per insegnare le metodologie del canto a Tenores. |
Più noto al pubblico televisivo, è il gruppo di Tenores Mialinu Pira, nato nel 1995 ed intitolato per omaggiare lo scrittore Mialinu Pira. Attualmente il gruppo è composto da: Omar Bandinu, capogruppo nel ruolo di Bassu, ossia Basso gutturale; Marco Serra, Contra, ossia Controvoce gutturale; Bachisio Pira, Oche e Mesu oche, ossia Voce solista e mezza voce; Dino Ruiu, Oche, ossia Voce solista. Del gruppo faceva parte anche un quinto elemento: Gianfranco Cossellu, Mesu oche, ossia Mezza voce, morto a 38 anni nell’agosto 2004 mentre cercava di spegnere un incendio che stava distruggendo la sua vigna. Il gruppo Mialinu Pira ha partecipato a prestigiose manifestazioni e concerti in tutto il mondo ed è stato reso famoso da importanti trasmissioni su radio e tv tra le quali i programmi Affari Tuoi e Quelli che il calcio. Nel Dicembre 2001 ha partecipato al tradizionale Concerto di Natale in Vaticano alla presenza del papa Giovanni Paolo II con molti altri artisti di levatura internazionale, Hevia, Randy Crawford, Terence Trent d’Arby, Russel Watson, per l’Italia Elisa, Edoardo Bennato, Massimo Ranieri. Il 21 Settembre 2003 è stato premiato come miglior gruppo nella sezione Tradizione della Sardegna dalla Fondazione Maria Carta, che promuove un premio intitolato alla cantante con l’obbiettivo di valorizzare quanti operano nello studio e nella valorizzazione della musica tradizionale sarda. Il gruppo inoltre svolge spesso attività didattica presso le scuole e le università con il compito di diffondere e salvaguardare il patrimonio musicale locale. Nel 1999 ha tenuto un corso di formazione professionale di canto a tenore con il patrocinio della regione Sardegna e della UE. Nei nostri viaggi in Sardegna ci è capitato di assistere a due esibizioni del gruppo Mialinu Pira, nel luglio 2002 ad Alghero la partecipazione a un concerto di Andrea Parodi quando il gruppo era ancora composto da cinque elementi, e nell’agosto 2005 a Dorgali durante le festività del ferragosto. |
Visita del centro di BittiL’abitato di Bitti, che ha conservato la sua impronta rurale, caratterizzato da antiche case costruite in pietra, si è sviluppato intorno a un nucleo storico al cui centro è la chiesa parrocchiale di San Giorgio Martire, senza lasciarsi condizionare dal cambiamento dei tempi come dimostra la mancanza di segni di espansione edilizia. Tutto l’abitato è disposto ad anfiteatro, adagiato all’interno di una valle circondata dai colli di Sant’Elia, di Monte Bannitu e di Buon Cammino, ed anche da una vasta pineta. Alcune delle immagini qui riportate sono tratte dal sito del gruppo dei Tenores di Bitti Mialinu Pira, presenti all’indirizzo www.tenoresdibitti.com Il Cimitero di BittiArriviamo a Bitti da Orune con la SS389 di Buddusò e del Correboi di Buddusò e del Correboi, la quale arrivata all’abitato prosegue verso sinistra con il nome di Circanvallazione sud, mentre prosegue dritta la via Attilio Deffenu. Percorsa una settantina di metri, prendiamo tutto a destra la via Cimitero, che seguiamo per trecentocinquanta metri, poi, in vista della parete esterna del Cimitero, prendiamo a destra la via Deffenu che ci porta in una cinquantina di metri all’ingresso principale del Cimitero Comunale di Bitti. All’interno del Cimitero c'è la Cappella chiamata Sa ’e Velitza, che è una piccola chiesa edificata nel 1983 e dedicata al Santissimo Salvatore. Il Municipio di BittiDal Cimitero Comunale di Bitti ritorniamo sulla via Attilio Deffenu, che proseguiamo per circa seicento metri e ci porta in una grande piazza sulla destra, la piazza Giorgio Asproni, con al centro una fontana. Nella piazza, al civico numero 47, si trova l’edificio che ospita il Municipio di Bitti, con la sua sede e con gli uffici che forniscono i servizi ai cittadini e che fanno parte dell’Area Amministrativa dalla quale dipendono l’Ufficio Amministrativo Affari Generali, l’Ufficio Stato Civile Anagrafe leva Statistica Elettorale, l’Ufficio Protocollo; dell’Area Contabile dalla quale dipendono l’Ufficio Economico Finanziario, l’Ufficio Personale, gli Uffici Tributari ed Entrate, l’Ufficio Patrimonio ed Economato; dell’Area Tecnica dalla quale dipendono l’Ufficio Manutenzioni, l’Ufficio Urbanistica, l’Ufficio Gestione Impianti, i lavori Pubblici, l’Edilizia Privata; dell’Area Servizi Socio Culturali dalla quale dipendono l’Ufficio Servizi Sociali, l’Ufficio Istruzione Cultura Sport e Tempo libero, le Politiche Educative e Giovanili, la Biblioteca, la Cultura e Musei; e dell’Area Vigilanza dalla quale dipendono l’Ufficio di Polizia Municipale, e l’Ufficio Vigili. Altri uffici comunali si trovano al civico numero 1 di piazza Giorgio Asproni, mentre la Biblioteca si trova in via Minerva. La chiesa di Santu Michelli dedicata a San Michele ArcangeloPassata la piazza Giorgio Asproni, la strada prosegue alla sua sinistra con il corso Vittorio Veneto, rispetto al quale parte a destra, in leggera discesa, la via Musio. Seguiamo la via Musio per meno di trecento metri ed arriviamo nel punto dove parte a sinistra la via Nino Bixio, mentre a destra si trova la facciata dell’antica chiesa di San Michele Arcangelo, la cui fiancata destra si affaccia sulla via Sardegna. La chiesa, costruita dopo il 1724, è caratterizzata da una semplice impianto mononavato, il prospetto esterno presenta al centro un portale in legno sormontato da un piccolo oculo di forma quadrata. Il tetto a doppio spiovente presenta un bel campanile a vela con luce ad arco a tutto sesto. La chiesa di Sas Grassas dedicata alla Madonna delle GrazieDalla via Musio, arrivati alla facciata della chiesa di San Michele Arcangelo, prendiamo a sinistra la via Nino Bixio, e percorsi poco più di venti metri, sempre nella parte vecchia del paese, troviamo alla sinistra della strada al civico numero 60 la facciata della chiesa di Sas Grassas dedicata alla Madonna delle Grazie ossia a Nostra Signora delle Grazie. Questa chiesa è stata realizzata nel 1682 in stile barocco popolaresco. La chiesa di Sa Pietate dedicata alla Madonna della PietàRitornati alla chiesa di San Michele, prendiamo la strada che la fiancheggia lungo il suo lato sinistro, e che, percorsi una cinquantina di metri, ci porta a uno slargo sulla sinistra, sul quale si affaccia la chiesa di Sa Pietate, dedicata alla Madonna della Pietà ossia a Nostra Signora della Pietà. Da un documento del 1777 questa chiesa risulta essere stata eretta tra il 1756 ed il 1758 dai Priori della Santissima Vergine dell’Annunziata. La chiesa parrocchiale di Santu Jorgi dedicata a San Giorgio MartireRitornati in piazza Giorgio Asproni, prendiamo il corso Vittorio Veneto sul quale, dopo circa trecento metri, si trova sulla sinistra la facciata dell’ottocentesca chiesa dedicata a Santu Jorgi ossia la chiesa di San Giorgio Martire, che è la chiesa parrocchiale di Bitti. Questa chiesa è datata 1410 e viene citata per la prima volta in un documento aragonese del 1495, che la indica come nuova parrocchiale, dal momento che la vecchia, dedicata a San Pietro, si trovava ormai fuori dalla villa. La chiesa è stata onorata dal titolo di chiesa Pievaniale, titolo che nell’alto Medioevo definiva la pieve, detta chiesa matrice o plebana, che era al centro di una circoscrizione territoriale civile e religiosa, alla quale erano riservate alcune funzioni liturgiche, e dalla quale dipendevano altre Chiese e cappelle prive di battistero. restaurata a più riprese, l’ultima volta nel 1969 e 1970, è attualmente realizzata in stile neoclassico ed è dotata di un bel campanile. Nella casa parrocchiale è possibile vedere una piccola collezione di reperti archeologici. Presso questa chiesa si svolge il 23 aprile la Festa di San Giorgio, che è il patrono del paese. La sera precedente si svolge nel salone parrocchiale la cena comunitaria a base di Sambenes e cordas, il piatto della tradizione. Il giorno della festa, dopo le cerimonie religiose, si svolge la processione per le vie del paese, partecipi i cavalieri di Bitti e diversi gruppi in costume. In serata, nella piazza Asproni, sono previsti i balli sardi ai quali fa seguito lo spettacolo folk. San Giorgio è uno dei più venerati martiri della chiesa cristiana, tanto da avere il titolo di Megalomartire, ossia di grande Martire. La storia di questo Martire è avvolta dalla leggenda, infatti son poche le testimonianze certe e attendibili. Per ricostruire le vicende umane di San Giorgio ci si riferisce alla Passio sancti Georgii, Che però è un’opera apocrifa. Secondo questa fonte, Giorgio nasce in Cappadocia tra il 275 ed il 285 da madre cappadoce e padre persiano, che lo educano nella religione cristiana. Divenuto adulto, si arruola nell’esercito dell’Imperatore romano Diocleziano. Giorgio dona tutti i suoi averi ai poveri e dichiara apertamente la propria adesione alla religione cristiana, ha così inizio per lui un lungo periodo di torture e tormenti, che terminano con la sua decapitazione, durante la persecuzione dei Cristiani sotto Diocleziano, a Nicomedia il 23 aprile 303. Su San Giorgio è nata una leggenda, che racconta che egli, trovandosi in libia, viene a conoscenza dell’esistenza di un terribile drago presente sotto le acque di un lago, in grado di uccidere con il suo fiato bollente chiunque gli si avvicinasse. Perciò gli abitanti limitrofi gli offrivano in sacrificio due pecore al giorno, e, quando le pecore iniziano a scarseggiare, si pensa di offrire una pecora e un fanciullo o una fanciulla estratti a sorte. Un giorno viene estratta a sorte la figlia del re, che per risparmiare la sua vita decide di offrire tutto il suo patrimonio, ma la popolazione si ribella. In quel momento passa il giovane soldato Giorgio, che, sentita la storia, suggerisce alla ragazza di legare la propria cintura intorno alla testa del drago. La principessa lega il drago, che diviene docilissimo. La popolazione rimane terrorizzata, ma Giorgio dice loro che, se avessero accettato di convertirsi alla religione cristiana, lui avrebbe avuto da Dio la forza per uccidere il drago. Tutti si convertono e Giorgio uccide il drago. |
Il Museo della Civiltà Contadina e PastoraleDurante la visita al centro storico di Bitti, una tappa obbligata è la visita del Museo della Civiltà Contadina e Pastorale intitolato a Giovanni Pittalis, nato a Bitti nel 1890 e morto a Sassari nel 1968, che per decenni è stato professore di lingua e letteratura latina e greca al liceo Azuni di Sassari. Il Museo si raggiunge proseguendo in direzione nord lungo il corso Vittorio Veneto, poi, dopo una cinquantina di metri, prendendo a sinistra la via Goffredo Mameli che in meno di cento metri ci porta all’ingresso del Museo, che si trova al civico numero 52. Qui si trova l’indicazione e, passato l’ingresso, si arriva a un cortile interno sul quale si affacciano le diverse camere. L’allestimento museale comprende nove sale distribuite su due piani espositivi all’interno di una struttura, nel passato un vecchio rione, che riproduce in modo fedele l’architettura della casa tradizionale bittese con il portico e le scale in granito, il pavimento e il soffitto in legno. Nel Museo vengono ricostruiti ben venti ambienti tipici della tradizione locale, come la cucina, la camera da letto, l’ambiente per il culto ecclesiastico e la stanza dedicata alla produzione del Pane carasau, che qui viene chiamato Pane carasatu. Il Museo Multimediale del Canto a TenoreIl Museo Multimediale del Canto a Tenore costituisce una realtà davvero singolare in Sardegna, attraverso la quale, grazie alle tecnologie più moderne, è possibile conoscere un tipo di canto unico al mondo. Si tratta di un museo innovativo e affascinante dove la multimedialità consente di entrare nel mondo misterioso e unico di una tradizione che si perde nella notte dei tempi. Ospitato dal 2005 in un’ala del Museo della Civiltà Contadina e Pastorale, ha come obiettivo lo studio e la valorizzazione delle diverse tradizioni di canto a tenore presenti nell’Isola, un centro di ricerca che ambisce a diventare un luogo di riferimento per studiosi, ricercatori, gruppi di cantori, appassionati e visitatori. Il Museo si compone di quattro sale. La prima con postazioni multimediali dotate di schermo e cuffie. La seconda con i totem, quattro colonne audiovisive poste in cerchio così come si dispongono per cantare i quattro tenores, oche, mesu oche, contra e bassu. La terza con i numerosi CD a disposizione che permettono di ascoltare la musica delle varie zone dell’Isola. E la quarta con otto videoclip che, con suoni e immagini, invitano alla scoperta dei gruppi più conosciuti. La chiesa di Santa Ruche ossia Santa Croce detta anche chiesa di CumbentuDalla via Attilio Deffenu, prima che arrivi sulla piazza Giorgio Asproni, parte sulla destra la via Brigata Sassari. La seguiamo per seicento metri, poi prendiamo a destra la via Minerva che, in una sessantina di metri, ci porta fra i vicoli della parte vecchia del paese davanti al bastione che sostiene la chiesa di Santa Ruche, ossia di Santa Croce, edificata nel 1658 in stile barocco popolaresco. Questa chiesa, inizialmente dedicata a San Francesco d’Assisi, è stata in seguito dedicata alla Santa Croce, ed apparteneva all’antico convento dei Cappuccini. Per questo viene comunemente chiamata chiesa di Cumbentu. Il Campo Sportivo di BittiRitornati da via Minerva sulla via Brigata Sassari, la seguiamo per un centinaio di metri ed arriviamo in piazza San Giovanni, dopr prendiamo a sinistra la via Firenze, dopo quattrocento metri svoltiamo a sinistra per rimanere sulla via Firenze, e dopo duecentocinquanta metri raggiungiamo il Campo Sportivo Comunale intestato a Peddu Burrai, che si è preso cura per anni dei bambini del paese. All’interno di questo impianto sportivo è presente un Campo da Calcio, con fondo in erba naturale, dotato di tribune in grado di ospitare 150 spettatori. Accanto al campo da Calcio è presente una Pista di Atletica leggera, nella quale è possibile praticare come discipline le corse su pista. E sempre vicino al campo da Calcio, sul retro della pista di atletica, si trova anche un Campo da Tennis, il quale è dotato di tribune in grado di ospitare una cinquantina di spettatori. Nel Campo da Calcio svolge la sua attività la Polisportiva Bittese 1949, la quale gioca nel girone B sardo di Promozione. Questa squadra è nata nel 1949, i suoi colori sociali sono il granata ed il bianco, e nella sua storia ha vinto anche una Coppa Italia di Eccellenza. L’antico comune di Gorofai divenuto quartiere periferico di Bitti con le sue ChieseNel 1874 lo storico comune di Gorofai, situato a nord est a poca distanza dal centro di Bitti, viene soppresso ed il suo territorio viene aggregato a quallo del comune di Bitti. Per arrivarci, ritornati da via Minerva sulla via Brigata Sassari, la seguiamo per altri un centinaio di metri ed arriviamo in piazza San Giovanni. Invece di proseguire sulla via Brigata Sassari, prendiamo un poco più a sinistra, seguendo le indicazioni, la via Dante Alighieri, che ci porta all’interno del quartiere periferico di Gorofai, del quale sopravvivono quattro Chiese. La chiesa di su Sarvatore ossia del Santissimo Salvatore che era la chiesa parrochiale di GorofaiSeguiamo per settecento metri la via Dante Alighieri, poi prendiamo a sinistra la via Giulio Cesare, che in una sessantina di metri ci porta di fronte alla chiesa di su Sarvatore ossa del Santissimo Salvatore eretta nel 1690, che è subentrata come chiesa parrocchiale di Gorofai nel 1782 alla precedente chiesa di San Michele, che si trovava fuori dal centro abitato, a nord est dello stesso, demolita alla fine degli anni trenta del Novecento. Ogni anno il 6 agosto presso questa chiesa si svolge la Festa del Santissimo Salvatore, la cui novena ha inizio il 28 luglio mentre i festeggiamenti iniziano la sera del 5 agosto, quando è prevista la cena comunitaria a base di Cordas e sambene offerta dal comitato volontario dei priori. Il giorno successivo, il 6 agosto, è la giornata centrale della ricorrenza che coincide con la Festa della trasfigurazione, con la messa solenne alla quale fa seguito la processione, ed in conclusione viene offerta ai presenti la cena comunitaria. Poi via ai balli e ai canti che chiudono la serata. Infine il terzo e ultimo giorno della festa il programma prevede i giochi per bambini seguiti da una serata musicale. La chiesa di Sant’Antoni ossia di Sant’Antonio da PadovaRitorniamo sulla via Dante Alighieri. Da dove era partita a sinistra la via Giulio Cesare, proseguiamo lungo la via Dante Alighieri per altri duecentocinquanta metri e troviamo, alla sinistra della strada, la chiesa di Sant’Antoni ossia di Sant’Antonio da Padova che si trovava all’interno dell’abitato di Gorofai, per la quale nel 1587 è stata riChiesta la licenza di costruzione, ma che è stata eretta solo nel 1684 e restaurata alla fine del Settecento. Nella piazzetta antistante la chiesa, ossia in piazza Sant’Antonio da Padova, viene allestito ogni anno il Presepe di Gorofai. Il Santuario di su Meraculu ossia il Santuario di Nostra Signora del MiracoloProseguiamo lungo la via Dante Alighieri per altri duecento metri, e troviamo alla destra della strada il cancello d’ingresso al Santuario di su Meraculu ossia della Madonna del Miracolo che è posto all’interno di un vasto complesso che si trova in una panoramica area collinare in posizione decentrata rispetto all’abitato. Il culto della Madonna del Miracolo risale al 1757, quando si menziona in alcuni documenti la presenza di un altare dedicato proprio alla Madonna del Miracolo nella chiesa parrocchiale di San Michele a Gorofai. Il plastico raffigura a sinistra le Cumbessias, al centro l’antica chiesa di San Michele con il suo campanile rotondo, che è stata demolita alla fine degli anni trenta del novecento per lasciare il posto all’Orfanotrofio Femminile, a destra il primo Santuario della Madonna del Miracolo, costruito nel 1886 e demolito nel 1964. Il Santuario odierno è stato edificato fra il 1964 e il 1984 dopo la demolizione del precedente, e del vecchio complesso rimane l’ingresso con l’antico arco in granito e una parte delle Cumbessias. All’interno la chiesa si presenta con pianta a tre navate suddivise da travi che si incrociano, con il presbiterio rialzato, l’altare è posto al centro del presbiterio, dietro l’altare si trova una piccola statua della Madonna con Bambino di incerta datazione. Il culto della Madonna del Miracolo risale al 1757, quando si menziona in documenti la presenza di un’altare dedicato proprio alla Madonna del Miracolo nella chiesa di San Michele a Gorofai. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla piccola statua della Madonna con Bambino di incerta datazione custodita al suo interno. Ogni anno il 30 settembre si celebra la Festa di su Meraculu, ossia la Festa della Madonna del Miracolo, una delle feste più importanti di Bitti, dalla forte caratura religiosa. Dal 22 settembre, sul colle di Gorofai, dove sorge il Santuario, inizia la novena. Il 27, giornata dei malati e degli anziani, nel pomeriggio si svolge la messa col rito dell’Unzione, e la sera, nel cortile in Sa Corte de su Meraculu, si tiene l’appuntamento conviviale a base di Sambenes e Cordas. Il giorno successivo si tiene la messa in onore di San Michele Arcangelo, compatrono di Gorofai, alla quale fanno seguito giochi e manifestazioni folkloristiche. Il 30 è la giornata clou, nella quale il simulacro della Madonna viene accompagnato fino alla chiesa parrocchiale di San Giorgio, dove viene officiata la messa, per poi riportarlo nel Santuario con i gruppi in costume, seguono in serata balli sardi e la serata folk. Nel cortile del Santuario, in Sa corte de su Meraculu, il giorno 1 ottobre, che viene chiamato Sa die Vitzichesa, dopo la corsa de Su Palu, ossia del Palio, si tiene il tradizionale pranzo comunitario o la cena comunitaria, ed i tipici balli sardi. La chiesa di Nostra Signora de Sa Defessa ossia della Madonna della DifesaTorniamo indietro lungo la via Dante Alighieri e, dopo cento metri, prendiamo leggermente a destra la via Padre Salvatore Carzedda. Percorsi altri circa cento metri, passato l’incrocio con la via Colonnello Palmas che arriva da destra, troviamo leggermente rialzata la chiesa di Nostra Signora de Sa Defessa ossia della Madonna della Difesa della quale si ignora la data di costruzione, persino se sia da collocare nel Seicento o nel Settecento. La chiesa, a una sola navata, non ha facciata, ma in essa si entra da una porta laterale situata lungo la fiancata. L’interno ha una sola navata, e sull’altare è presente la statua della Madonna della Difesa. Nel mese di ottobre presso questa chiesa si svolge la Festa de Sa Defessa, della durata di un giorno, con celebrazione di una messa in onore della Madonna alla quale segue un pranzo comunitario. L’antico villaggio di Dure con le sue ChiesePer raggiungere l’antico villaggio di Dure, abbandonato a seguito delle guerre e a causa della peste che nel quattordicesimo secolo ha decimato tutta l’Europa come risulta da diversi scritti dell’epoca, prendiamo dal centro di Bitti la via del Cimitero e la seguiamo fino ad arrivare alla traversa sulla destra che ci porta all’ingresso del Cimitero di Bitti. Proseguiamo lungo la prosecuzione di via del Cimitero fiancheggiando la fiancata sinistra di questo, la seguiamo per circa un chilometro, fino ad arrivare a quello che era il villaggio di Dure, che un tempo era molto popoloso tanto che, anche se abbandonato, di esso sopravvivono oggi cinque Chiese. C’è una leggenda, ripetuta ai bambini in tutte le famiglie, che descrive Dure e i suoi abitanti. Si racconta che Nostra Sennora, povera e scalza, avesse bussato alle porte dei Duresi, chiedendo lievito per preparare il pane. Ma tutte le porte erano state richiuse in malo modo, e Nostra Sennora era andata via sconsolata. Allora Babbu Mannu ha punito il villaggio e abbandonato gli abitanti al loro triste destino. E per questo, lentamente, Dure sarebbe stato abbandonato. La chiesa di su Babbu Mannu ’e Dure, ossia dello Spirito Santo o della Santissima TrinitàPercorso un chilometro sulla prosecuzione della via del Cimitero, troviamo sulla destra della strada la chiesa di su Babbu Mannu ’e Dure. Su Babbu Mannu è il nome con il quale in Sardegna si indica lo Spirito Santo, e per questo la chiesa viene indicata anche come chiesa dello Spirito Santo o della Santissima Trinità. Situata su una deviazione sulla destra della strada principale, affacciata alla sua sinistra, si trova a meno di due chilometri ad est di Bitti. La chiesa è stata menzionata per la prima volta in un documento del 1496. Il culto dello Spirito Santo è stato introdotto dalla chiesa Greca Sarda, ed in particolare in Sardegna sono sedici le Chiese che sono dedicate a tale culto. La chiesa presenta un’ampia facciata in stile neoclassico conclusa da un elaborato timpano di forma triangolare e campanile a vela. Presso questa chiesa, la terza domenica di ottobre si svolge la Festa di su Babbu Mannu, della durata di un giorno, con celebrazione di una messa in onore dello Spirito Santo e pranzo comunitario. La chiesa di Santa Maria ’e DureProseguendo sulla deviazione, percorsi una cinquantina di metri dalla chiesa di su Babbu Mannu, troviamo ancora alla sinistra della strada la chiesa di Santa Maria ’e Dure situata anch’essa a meno di due chilometri ad est di Bitti. La chiesa, risalente presumibilmente al 1200, faceva parte dell’antica Curatoria di Dure, nella quale inizialmente fu chiesa parrocchiale. La chiesa di Santa Maria ‘e Dure viene menzionata nel trattato di pace conclusivo risalente al 1388 tra Eleonora d’Arborea ed il re d’Aragona. Inoltre viene citata in alcuni documenti, come nel De rebus Sardois dallo storico Fara nel De Sancti Sardinia, e nei Libri Tres da Giovanni Proto Arca. Il giorno 8 del mese di settembre si svolge la Festa della Natività di Santa Maria, un novenario al quale fa seguito la Festa della durata di un giorno, con celebrazione di una messa in onore della Santa ed il pranzo comunitario, poi si tengono balli, e si svolgono le gare nella notte dei poeti improvvisatori. La chiesa di Santu Jurgeddu ’e Dure ossia di San Giorgio di Suelli VescovoTornati indietro sulla prosecuzione della via del Cimitero, proprio di fronte alla deviazione sulla destra che ci ha portato alle due Chiese, prendiamo una sterrata sulla sinistra che, in cento metri, ci porta a una traversa, in terra battuta sulla sinistra ed ancora sterrata sulla destra. Presa questa sterrata, la seguiamo per poco meno di trecento metri, poi svoltiamo a sinistra in una strada in salita chiusa da un cancello, prendiamo questa strada in salita che, in trecentocinquanta metri, ci porta alla chiesa di Santu Jorgeddu ’e Dure ossia di San Giorgio di Suelli Vescovo che viene menzionata la prima volta in un documento del 1598 e che è stata completamente restaurata tra la fine degli anni sessata e l’inizio degli anni settanta del novecento. La chiesa di Sant’Istevene ’e Dure ossia di Santo Stefano Primo Martire che era la chiesa parrocchiale di DureDalla prosecuzione della via del Cimitero, presa la sterrata sulla sinistra ed arrivati alla traversa, prendiamo la strada in terra battuta sulla sinistra. Percorsi circa centottanta metri sulla strada che diventa sterrata, prendiamo un vicolo sulla sinistra che ci porta alla chiesa di Sant’Istevene ’e Dure ossia di Santo Stefano Primo Martire che secondo Giovanni Arca sarebbe stata la chiesa Pievaniale di Dure, che è menzionata la prima volta in un documento del 1598-1604. La chiesa è stata restaurata tra il 1969 ed il 1970. La chiesa di Santa luchia ’e Dure ossia di Santa Lucia Vergine e MartireDalla prosecuzione della via del Cimitero, presa la sterrata sulla sinistra ed arrivati alla traversa, prendiamo la strada in terra battuta sulla sinistra. Percorsi circa Trecentosessanta metri sulla strada che è diventata sterrata, prendiamo una deviazione sulla destra che, in una sessantina di metri, ci porta alla chiesa di Santa luchia ’e Dure ossia di Santa Lucia Vergine e Martire che viene citata la prima volta in un documento del 1496 nel quale viene attribuita al villaggio abbandonato di Dure, e che risulta essere stata profanata e riedificata nel 1775. Che cosa altro si trova nei dintorni di BittiVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Bitti sono presenti numerose altre Chiese campestri, oltre a quelle cha abbiamo già visto a Gorofai ed a Dure. Sono stati, inoltre, portati alla luce i resti dell’insediamento nuragico su Romanzesu con il pozzo sacro su Romanzesu, venuto alla luce nel 1919, collegato a un anfiteatro ellittico gradonato che comprende un’area che era probabilmente destinata a cerimonie religiose legate al culto delle acque, ed anche dei pozzi sacri Orolia e Poddi Arvu; delle Tombe di giganti Ascusogliu, Guore, Maindreu, Nitossila, Ortai, Sa Pathata, Solle, Su Pranu, Tuturchi; del Nuraghe complesso Ortai; dei Nuraghi semplici Cheddai, e Ortuidda; ed anche dei Nuraghi Curtu, Dure, Funtana Etza, Ghellai, lanzanis, lassanis, luitze, Murere, Muru ’e Colovras, Oloustes, S’Ena, Siddu, Solle, su Eritta, Tuturchi, tutti di tipologia indefinita. Tra le vestigia del passato di maggior pregio figurano, inoltre, diversi resti di età romana, tra cui un’interessante epigrafe funeraria relativa a un soldato della corte degli Aquitani. Prima di entrare nell’abitato di Bitti si incontra la chiesa di Sant’Elia ProfetaArrivando a Bitti da Orune proseguiamo con la SS389 di Buddusò e del Correboi, poco meno di un chilometro prima di arrivare nell’abitato, all’altezza del chilometro 65.8, si trova sulla sinistra un cancello passato il quale si trova una sterrata in salita che porta alla chiesa di Sant’Elia Profeta. Questa chiesa viene citata la prima volta in un documento del 1496 ed indicata come la chiesa situata ai bordi del villaggio, a sud est, sopra un’altura. Presso questa chiesa ogni anno, durante il mese di maggio, si svolge la Festa di Sant’Elia Profeta, la quale ha la durata di un giorno, con la celebrazione della messa in onore del Santo, seguita dal pranzo comunitario. La chiesa di Santa Tzigliana ossia di Santa Giuliana Vergine e Martire detta di Nostra Signora di BonariaRitornati sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, la seguiamo per circa un chilometro e mezzo, e troviamo sulla sinistra l’indicazione per la chiesa di Nostra Signora di Bonaria, seguendo la quale prendiamo una strada in salita che, passato un cancello, ci conduce alla chiesa di Santa Tzigliana ossia di Santa Giuliana Vergine e Martire. Questa chiesa è stata citata la prima volta in un documento del 1496 come chiesa situata ai bordi del villaggio, a sud est, sopra un’altura, ed è stata completamente demolita nel 1777, per venire successivamente ricostruita. Presso questa chiesa, a partire dal diciottesimo secolo, si è iniziata a praticare anche la devozione alla Madonna di Bonaria, il cui titolo ha finito col prevalere, tanto che oggi viene chiamata con il nome di chiesa di Nostra Segnora ’e Bonaera, ossia di Nostra Signora di Bonaria. Ed infatti ogni anno, la seconda domenica di ottobre, presso questa chiesa si svolge la Festa di Nostra Segnora ’e Bonaera, della durata di un giorno, con celebrazione di una messa in onore della Santa, seguita da un pranzo comunitario. La chiesa di Bonu Caminu ossia di Nostra Signora del BuocamminoPercorsi ancora circa un chilometro e trecento metri sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, vediamo alla destra della strada, su un piccolo rialzo, la chiesa di Bonu Caminu ossia di Nostra Signora del Buon Cammino, una chiesa abbastanza grande edificata nel 1618 nelle immediate vicinanze dell’antica chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro, la quale si trovava a un centinaio di metri di distanza in direzione nord est, sulla sommità di un’altura dove oggi è presente in suo ricordo esclusivemente una croce. È stata proprio questa vicinanza che ha contribuito ad attirare verso la chiesa di Bonu Caminu la venerazione ed il rispetto che erano stati fino a quel momento tributati all’antica chiesa parrocchiale, la quale era stata abbandonata e distrutta. Presso questa chiesa ogni anno, la terza domenica di settembre, si svolge la Festa di Bonu Caminu, della durata di un giorno, con celebrazione di una messa in onore della Santa, seguita da un pranzo comunitario. La chiesa di Santu Matzeu ossia di San Matteo ApostoloPercorsi circa cinque chilometri sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, prendiamo a sinistra la SP40 e, dopo 1.3 chilometri, arriviamo a una rotonda. Qui prendiamo l’uscita a sinistra e seguiamo la strada per cinquecento metri, poi prendiamo una deviazione sulla destra, percorso quasi un chilometro e mezzo prendiamo una deviazione leggermente a sinistra e, in meno di cinquecento metri, arriviamo a prendere a destra la strada che ci porta alla chiesa di Santu Matzeu ossia di San Matteo Apostolo. Questa chiesa, della quale si ignorano la data e le circostanze della costruzione, viene indicata nei documenti dell’epoca come situata a poco meno di due ore di cammino ad ovest del paese. Presso questa chiesa ogni anno, il 21 settembre, si tiene la Festa di Santu Matzeu, della durata di due giorni, con celebrazioni religiose in onore del Santo, e manifestazioni civili di grande interesse. La chiesa di Santu Juanne ’e S’Ena ossia di San Giovanni BattistaRitornati sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, dopo aver superato la deviazione sulla SP40 che ci ha portato alla chiesa di San Matteo Apostolo, proseguiamo verso nord in direzione di Buddusò per un chilometro e mezzo ed arriviamo a una rotonda dove prendiamo la prima uscita, rimanendo sulla SS389 di Buddusò e del Correboi. Proseguiamo per quattrocentocinquanta metri, passiamo una traversa sulla sinistra e, subito dopo, troviamo una traversa sulla destra. Tra la strada statale e questa traversa, si trova un cancello, passato il quale una strada sterrata ci porta alla chiesa di Santu Juanne ’e St’Ena ossia di San Giovanni Battista eretta nel 1628 circa otto chilometri a nord ovest dell’abitato a ricordo della decollazione di San Giovanni in località detta Mandra de Pitales, su riChiesta di Pietro Lorenzo e Stefania Asproni e di Giovannangelo Quiguine, che con i loro successori ottengono il diritto di patronato sulla chiesa stessa. Presso questa chiesa ogni anno, mel mese di maggio, si tiene la Festa di Santu Juanne, della durata di un giorno, con celebrazione di una messa in onore del Santo, seguita dal pranzo comunitario. Il villaggio nuragico chiamato RomanzesuProseguiamo con la SS389 di Buddusò e del Correboi verso nord e, percorsi altri due chilometri, al chilometro 54.2, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per l’area archeologica, e, percorsi due chilometri, si arriva al parcheggio dell’area archeologica. Dal parcheggio si raggiunge il Villaggio nuragico chiamato Romanzesu che si trova a settecentocinquanta metri di altitudine in località Poddi Arvu, ossia il pioppo bianco, nella foresta di sughere dell’altopiano granitico di Sa Serra, vicino alla sorgente del fiume Tirso, a circa 13 chilometri da Bitti. Il suo nome deriva dalla presenza di numerose testimonianze lasciate dai Romani, che in epoca imperiale realizzarono sull’altopiano diversi insediamenti produttivi. L’area sacra ed abitativa si estende per circa sette ettari. Le prime notizie del villaggio risalgono al 1919, quando l’archeologo Antonio Taramelli, durante dei lavori di ricerca d’acqua, scoprì il pozzo sacro. In seguito agli scavi, la scala trapezoidale che scendeva al pozzo è stata distrutta dagli operai e l’acqua sorgiva deviata verso un abbeveratoio, in seguito ngli anni ’50 del novecento i tubi in ceramica sono stati sostituiti da un canale in blocchi di granito, rendendo così difficilmente leggibili le antiche strutture. La parte del villaggio portata alla luce è composta da una ventina di capanne circolari, comunque secondo le stime le capanne dovrebbero essere almeno un centinaio, comunque ancora oggi una grande parte del villaggio non è stata portata alla luce. Tra le capanne, ve ne sono alcune di grandi dimensioni, con un sedile di pietra che corre lungo la muratura, con il pavimento lastricato e con un focolare in pietra al centro. Una capanna ha un muro divisorio interno in pietra. Nel villaggio sono presenti anche due templi a megaron, cioè con pianta di forma rettangolare, e con la presenza di un vestibolo che precede la cella. È presente anche un grande edificio di forma rettangolare, con l’ingresso posto su uno dei lati lunghi, da alcuni ritenuto forse un terzo tempio a megaron. C’è anche una grande struttura labirintica, chiamato appunto Labirinto, forse la capanna del sacerdote stregone, è formato da muri di pietre concentrici, dei quali si ignora la funzione, e nel quale, all’interno del muro concentrico più centrale, è presente un grande focolare in pietra, forse utilizzato a scopi rituali. All’interno del vano centrale sono stati rinvenuti molti ciottoli fluviali di quarzo rossiccio. Nei pressi della sorgente del fiume Tirso, è stato costruito il pozzo sacro, che costituisce la struttura più antica del complesso, situata al centro dell’area sacra. Aveva copertura a tholos, e di esso rimangono diciannove filari di blocchi di granito. La sorgente è ancora attiva. Dal pozzo parte un canalone, realizzato con grossi blocchi di granito e lungo quarantadue metri, con gradoni sul lato destro. Il canalone portava l’acqua dalla sorgente all’anfiteatro, un grande bacino circolare contornato da tribune a gradoni, dove si presume che la popolazione si raccogliesse per le cerimonie religiose. L’Anfiteatro viene periodicamente invaso dall’acqua in esubero del vicino pozzo sacro. Riportiamo un bel racconto che ne ha fatto nel 2015 Andrea Battantier, nato a Cagliari, che ama visceralmente la terra sarda e ne ha scritto molto, dopo una visita al villaggio di su Romanzesu: «Nel fresco ho scoperto le mie origini lontane. Tutto ebbe inizio intorno a un pioppo bianco. Ricordo l’acqua che placida scorreva, il pozzo sacro, la capanna della mia famiglia, e sui gradoni noi bambini correvamo, senza farci vedere dagli anziani che, seri, scrutavano il futuro. Arrivarono i romani, e noi dall’alto ridevamo, e l’acqua placida scorreva. Era di marzo, i rumori svanirono, e tutta quella zona si coprì dell’abbandono, e i manzi, le pecore, le mosche, le anime nostre presero possesso per sempre del tempo infinito». La grande foresta demaniale ed il parco Naturale di Crastazza, Sos littos, Tepilora e la cascata di St’IlloraiRitornati sulla SS389 di Buddusò e del Correboi, la seguiamo per 1.8 chilometri, poi prendiamo leggermente sulla destra la SP50. Dopo poco meno di 9 chilometri, troviamo sulla destra l’ingresso della casa Circondariale di Mamone, mentre a sinistra parte una strada che porta verso nord, in un’area di grande interesse naturalistico che porta al confine con il territorio di Alà dei Sardi. Qui si sviluppa la grande Foresta demaniale di Sos littos-Sas Tumbas che è attraversata dal fiume Posada, una foresta molto importante per la flora, la fauna e l’ambiente naturale, che costituisce una distesa di macchia mediterranea ricca di laghetti e di varia flora e fauna. A poco distanza è possibile visitare il Monte Tepilora dalla caratteristica forma triangolare, che nelle sue guglie impervie ospita una varietà di volatili comprese varie specie di rapaci come l’aquila del Bonelli. Vicina c'è la zona rimboschita di Crastazza nella quale i sentieri un tempo percorsi dai carbonai permettono il passaggio a piedi, in bicicletta e a cavallo. Situata un poco più a sud est rispetto alla grande foresta demaniale, particolarmente affascinante è anche la Cascata di S’Illiorai incastonata tra dirupi e macchie di rosmarino e lavanda. Il futuro Parco regionale di Crastazza, Sos littos, Tepilora offre pareti chiodate e numerosissimi percorsi da trekking di difficoltà variabili, dalle Cascate di S’Illiorai alle pozze con le ninfee di Tepilora fino alla vista a tutto tondo del picco Sa donna. Ricco di specie animali, di particolare importanza come il gatto selvatico, il muflone e l’aquila reale, il daino ed il cervo sardo, è visitabile anche dai meno esperti, con numerosissime sorgenti e spazi attrezzati per pic-nic. Il Santuario di S’Annossata ossia la Santuario della Santissima Madonna dell’AnnunziataRitornati sulla SP50, la seguiamo per poco più di undici chilometri e mezzo, poi, seguendo le indicazioni, prendiamo verso destra la strada che ci porta al Santuario di S’Annossata ossia della Santissima Madonna dell’Annunziata. Il Santuario è situato presso i confini comunali di Bitti, Onanì e Lodè, e sorge a oltre trentacinque chilometri a nord est dell’abitato,su un rilievo collinare costeggiato dalla SP50 che collega Bitti con Lodè. Un fiume, il rio dell’Annunziata, lo racchiude a nord, mentre un affluente di quest’ultimo lo cinge a sud e a ovest. L’attuale edificio risale al diciottesimo secolo, e sorge al posto di una chiesa medioevale preesistente, della quale è stata riChiesta la licenza di costruzione nel 1619, caduta in disgrazia e riedificata tra il terzo ed il quarto decennio del settecento. La sua principale caratteristica è l’alto numero di Cumbessias, ovvero piccole abitazioni, utilizzate dai locali durante le varie festività religiose, che sorgono attorno all’edificio religioso. Fino alla metà del novecento era presente qualche diecina di Cumbessias, ma tra il sessanta e l’ottanta del novecento ne sono state costruite una sessantina, quasi tutte da privati. Attualmente nel Santuario, esclusi i luoghi di culto e la casa del cappellano, sono presenti 94 Cumbessias, delle quali 52 di proprietà del Santuario che nel periodo della novena vengono sorteggiate fra i novenanti, o assegnate ai richiedenti durante il resto dell’anno, e 42 ad uso privato. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli al gruppo scultoreo in legno della Vergine con un libro aperto in mano e accanto un angelo e una piccola colomba in vetro, che si trova all’interno del Santuario in una nicchia al di sopra dell’altare. La Festa della Madonna dell’Annunziata, viene preceduta dalla tradizionale novena, che inizia il secondo venerdì del mese di maggio, quando i novenanti si stabiliscono nelle Cumbessias, e molti fedeli si recano a piedi al Santuario in segno di penitenza. Il terzo sabato del mese, alla vigilia della festa, arriva al Santuario un gruppo di cavalieri partiti dal Santuario di Nosta Signora del Miracolo. Gli stessi cavalieri, il martedì successivo, scortano il ritorno del simulacro della Madonna verso il paese. Nel 1804 il papa Pio VII ha concesso in perpetuo l’indulgenza plenaria a tutti coloro che, penitenti, si recano al Santuario e ricevono i sacramenti. La prossima paginaLa prossima tappa del nostro viaggio, ci porterà al piccolo borgo di Osidda che si trova nel Nuorese, ma a cui si arriva più facilmente da nord ossia da Buddusò. |