Banari che visiteremo con il suo centro ed i dintorni nei quali si trova il Santuario di Santa Maria di Seve
In questa tappa del nostro viaggio nel Meilogu ci recheremo nel paese chiamato Banari che visiteremo con il suo centro ed i dintorni, con la chiesa di Santa Maria di Seve o di Santa Maria di Cea. La regione storica del Meilogu, chiamata anche Mejlogu o Logudoro MeiloguIl Logudoro è stato, nel periodo medioevale, uno dei quattro Giudicati che ha avuto come capoluogo prima Porto Torres, in seguito Ardara, ed infine Sassari. Oggi possiamo dividere questa regione in tre parti: Logudoro Turritano, il cosiddetto Sassarese, a nord; il Logudoro Meilogu a ovest; ed il Logudoro Montacuto a est. In particolare, il Meilogu ha il nome che deriva dal suo posizionamento in Mediu logu, vale a dire nel cuore del Giudicato. I comuni che fanno parte del Meilogu sono Ardara, Banari, Bessude, Bonnanaro, Bonorva, Borutta, Cheremule, Cossoine, Giave, Ittireddu, Mara, Mores, Padria, Pozzomaggiore, Semestene, Siligo, Thiesi, Torralba. Il Meilogu è caratterizzato da un territorio prevalentemente pianeggiante, che produce cereali, verdure, ortaggi. Sono fiorenti gli allevamenti ovini, da cui deriva la ricca produzione casearia. Le numerose sorgenti e corsi d’acqua favoriscono questa ricchezza. In viaggio verso BanariArriviamo a Banari partendo da Siligo. Dal centro di Siligo, dove in via Vittorio Emanuele, al civico numero 32, si trova il Municipio di questo paese, si procede in direzione nord ovest verso la via Dante Alighieri. alla rotonda si prende la seconda uscita e si imbocca la SP41bis verso sud ovest, che si segue per circa tre chilometri, fino ad arrivare al cartello segnaletico che indica l’ingresso all’interno dell’abitato di Banari. Il comune chiamato Banari al cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato di BanariIl comune chiamato Banari (pronuncia Bànari, altezza metri 419 sul livello del mare, abitanti 533 al 31 dicembre 2021) è un piccolo borgo agricolo del Meilogu con un’economia di tipo prettamente agricolo e nel quale si pratica anche l’allevamento, ed è situato fra l’altopiano di Logudoro e Meilogu. Sorge ai piedi della collina chiamata Pale Idda, circondato da monti e altipiani di trachite rossa. A nord del paese possiamo ammirare il profilo del monte Maiore, mentre a sud si eleva il monte Sa Silva, un luogo di grande importanza naturalistica. Il comune è raggiungibile tramite la SS131 di Carlo Felice, che dista appena sette chilometri dall’abitato. Il territorio Comunale, sul quale si alternano alture di trachite e valli percorse da piccoli corsi d’acqua, ha un profilo geometrico irregolare, con variazioni accentuate che vanno da un minimo di 167 a un massimo di 583 metri sul livello del mare. Dal paese prende nome la cipolla di Banari. Origine del nomeIl nome del paese, di probabile origine preromana, non è di chiara interpretazione. Secondo alcuni studiosi potrebbe derivare dalla voce fenicia Bana, che stava ad indicare un edificio o un’abitazione, mentre secondo altri potrebbe derivare etimologicamente dal nome della popolazione preistorica dei Balari che avrebbe abitato una zona montuosa nella parte settentrionale dell’Isola. La sue economiaL’economia del paese è di tipo prettamente agricolo, specializzato nelle colture di cereali, frumento, ortaggi, foraggi, viti, ulivi e frutta, ed è famoso per la produzione di cipolle dal gusto delicato e profumo persistente. Dal paese prende, infatti, il suo nome la cipolla di Banari. Si pratica, inoltre, l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini ed equini. Il settore industriale risulta di dimensioni modeste, ed anche il terziario è poco sviluppato. Allo stesso modo, hanno da sempre caratterizzato la cultura e le tradizioni locali le produzioni artigianali in terracotta, sia artistiche che legate all’edilizia, come tegole e mattoni. La roccia più diffusa, ancora oggi fonte di reddito e lavoro grazie all’estrazione e commercializzazione anche al di fuori dell’Isola, è la trachite rossa, utilizzata per adornare antiche e nuovi costruzioni. Sebbene Banari non sia meta di particolare richiamo turistico, tuttavia offre la possibilità di effettuare escursioni a chiunque desideri godere della tranquillità dell’ambiente naturale. La cucina tipica di Banari rispecchia l’antica tradizione agro pastorale del paese, con piatti poveri, preparati utilizzando i prodotti genuini della terra. Verdure, legumi, salsicce e carne d’agnello sono gli ingredienti principali. Eccellenza del borgo è la cipolla, alla quale è dedicata una sagra paesana. La varietà locale è della specie allium cepa, dal bulbo grosso e piatto, che può arrivare a pesare oltre un chilo. Il sapore è particolarmente dolce e in cucina viene impiegata nella preparazione di diversi piatti, al forno, in padella o nelle zuppe. Altri piatti tipici a Banari sono i Biancheddus, meringhe sarde preparate con le mandorle, ed anche il cinghiale alla montanina, cucinato con aglio, ginepro e lauro, poi lasciato marinare al fresco per due ore e dopo aver fatto rosolare la carne si aggiungono olive e prezzemolo. Le Cozzuleddas sono frittelle, simili ai panzarotti, preparate con miele, arancio, noci, mandorle, zenzero e cannella. A Banari le strutture ricettive offrono la sola possibilità di ristorazione, non quella di alloggio. Brevi cenni storiciIl territorio di Banari viene frequentato già in epoca preistorica, come testimoniato dalle diverse tombe neolitiche rinvenute. L’abitato sorge nel primo secolo avanti Cristo, durante il periodo dell’occupazione romana. Sono le testimonianze medievali che consentono di delineare con più certezza la storia del borgo, sia dal punto di vista sociale che politico. In epoca medievale appartiene al Giudicato del Logudoro, compresa nella curatoria di Meilogu. Citato per la prima volta sulla bolla papale del 1125, Banari si è originata a seguito della fusione di tre nuclei, Vanari che era l’antico villaggio, e i centri monastici di San Lorenzo e San Michele, affidati al controllo pontificio. È in questo periodo che l’economia del paese trova le sue solide radici nel settore agricolo e in quello artigianale, dato che l’attività più importante era la costruzione di utensili in terracotta, esportati poi in tutta l’Isola. A partire dal 1259, anno di morte della giudicessa Adelasia di Torres, il controllo del territorio passa, in qualità di feudo, alla famiglia dei Doria. Passata sotto il controllo degli Aragona e successivamente degli Spagnoli, nel diciassettesimo secolo entra a far parte del Marchesato di Cea. Dopo il passaggio ai Savoia, con la soppressione del sistema feudale avvenuta nel 1837 viene aggregata alla contea di Villanova e Montesanto. Personaggi nati a BonariA Banari è nato il pittore e scultore Giuseppe Carta. Giuseppe Carta nasce nel 1950 a Banari dove attualmente vive e lavora. Dipinge nature morte rappresentative non solo degli oggetti che rittraggono, ma anche e soprattutto delle aspirazioni e del comportamento dei tempi, in cui il carattere iperrealista dei soggetti è superato da suggestioni che alimentano gli elementi introspettivi delle opere stesse, capaci di sollecitare l´osservatore creando una serie di mosaici figurativi e reazioni a catena, che danno vita ad una narrazione che si apre e conclude nel perimetro dell´opera. Esplora il linguaggio della scultura con la stessa intensità e valenza estetica, realizzando frutti e figure in bronzo policromo, alluminio e marmo statuario di Carrara. Ritorna, dopo una lunga permanenza a Genova che vede la sua formazione prima come musicista e poi come artista, al suo paese natale per creare un sito museale, è così che nascono le realtà culturali di Banari Arte e della Fondazione Logudoro Meilogu. |
Le principali feste e sagre che si svolgono a BanariTra le principali feste e sagre che si svolgono a Banari vanno citati, solitamente il primo fine settimana di luglio, la Festa dell’Asinello per la quale protagonista della sagra sono panini e piatti a base di asinello, ma sono disponibili in menù varianti vegetariane per accontentare tutti i gusti; a fine luglio, la Festa della Cipolla Dorata, nella quale si possono gustare piatti tipici a base della prelibata grane cipolla locale il cui peso varia dai quattrocento grammi a oltre un chilo, bere un buon bicchiere di vino locale e passeggiare tra le antiche vie del borgo; il 9,10 ed 11 agosto la Festa patronale di San Lorenzo Martire; l’8 settembre, la Festa dedicata alla Madonna di Cea; il 28 e 29 settembre, la Festa in onore di San Michele Arcangelo; solitamente a metà dicembre, la manifestazione Carrelas in Festa: Artes, Trastes e Sabores, che offre la possibilità di visitare il centro storico, degustare i prodotti tipici del territorio, assistere alla creazione di diverse produzioni artigianali e a esibizioni di musica dal vivo. Visita del centro di BanariLa struttura urbanistica del paese lascia intravedere quella originale medioevale, caratterizzata dalla presenza di due ville, una che sorge veso est, intorno alla chiesa di San Michele, e l’altra ad ovest, intorno alla chiesa parrocchiale di San Lorenzo. L’abitato, interessato da forte espansione edilizia, è caratterizzato da un centro storico, nel quale, tra le vestigia del passato di maggiore interesse storico ed architettonico, figurano i bei palazzi signorili. Banari è un museo a cielo aperto e lo si scopre passeggiando tra le vie del suo grazioso centro storico tra palazzetti nobiliari, Chiese, case che si mescolano tra l’insediamento medioevale e gli edifici nati tra il settecento e l’ottocento. È, inoltre, caratterizzato anche da una parte più moderna. Il Cimitero di BanariIl Cimitero Comunale di Banari si trova fuori dall’abitato, lungo la strada proveniente da Siligo. Subito prima del cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato, alla destra della SP41bis, si vedono gli ingressi dell’area cimiteriale. Si vede prima l’ingresso nall’area cimiteriale nuova, e poi, un poco più avanti, all’antica storica area cimiteriale tradizionale. Passato il cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato di Banari, arrivati alle prime case dell’abitato di Banari, la SP41bis costeggia l’abitato verso nord est, poi curva a sinistra e si dirige verso ovest, dove procede con il nome di via Vittorio Emanuele, che porta in piazza a Solinas, dove, al civico numero 1 si troverà il Municipio di Banari. Il Campo Sportivo di BanariDal Cimitero, percorsi 650 metri verso l’abitato, passate le prime case, lungo la via Vittorio Emanuele, si trova sulla sinistra la deviazione sulla via Alfonso la Marmora, che in pochi metri ci porta al Campo Sportivo di Banari, che si trova alla sinistra della strada subito prima che quasta strada svolti a destra diventando parallela della via Vittorio Emanuele. Nel Campo Sportivo, che è chiamato il Campo Comunale Alberelli, è presente un Campo da Calcio con fondo in terra battuta, dotato di tribune in grado di ospitare un centinaio di spettatori. La Funtana ’e SubraPassato il Campo Sportivo, proseguiamo per circa cinquanta metri lungo la via Alfonso la Marmora, poi prendiamo a sinistra la via Trieste. Seguiamo la via Trieste per circa duecento metri, dopo di che la strada prosegue nella via Mannu che, in poche decine di metri, ci porta al vedere, alla sinistra della strada, la Funtana ’e Subra, ossia la vecchia fontana, con il vecchio lavatoio pubblico coperto, entrambi rigorosamente di pietra rossa, che si trovano nella parte alta dell’abitato. Tutto l’antico centro storico di Banari si è sviluppato attorno alla Funtana ‘e Subra, ed all’antica chiesa di San Michele Arcangelo. Il Complesso Sportivo di via LaconiTorniamo sulla via Vittorio Emanuele dove era partita a sinistra la via Alfonso la Marmora che aveva portato la Campo da Calcio. Proseguendo, circa centotrenta metri più avanti si trova sulla destra una deviazione che, in una quarantina di metri, sbocca sulla via renzo Laconi. Presa verso destra, la via renzo Laconi ci porta all’ingresso del Complesso Sportivo di via Laconi, un complesso sportivo nel quale si trovano un Campo da Calcetto nel quale praticare come disciplina il calcio a cinque, un Campo da pallacanestro, un Campo da Tennis. Accanto al campo da Calcetto, è presente anche un Campo per il gioco delle bocce. Presso i diversi impianti sportivi, non sono presenti tribune per gli spettatori. La chiesa di San Michele ArcangeloTorniamo sulla via Vittorio Veneto dove era partita a destra la deviazione che ci aveva portati al Complesso Sportivo di via Laconi. Proseguendo, circa un centinaio di metri più avanti, a sinistra parte la via Mannu che, passata la piazza Umberto I, prosegue. Percorsi circa centocinquanta metri, deviamo sulla destra imboccando la via Azuni, dalla quale svoltiamo subito a sinistra, ed arriviamo in una piazza dove troviamo l’ingresso della chiesa di San Michele Arcangelo. Sebbene manchino documenti che accertino in modo preciso la sua erezione, è però probabile che essa esistesse già nell’undicesimo secolo, sembra, infatti, che il giudice di Torres Costantino I, nell’anno 1113, abbia donato le Chiese di San Lorenzo e di San Michele di Banari ai monaci Camaldolesi che per molti anni ne ebbero cura. Con la partenza dei monaci nel corso del quattordicesimo secolo e l’assunzione d’importanza sempre maggiore della chiesa di San Lorenzo, attorno alla quale si era sviluppato principalmente il villaggio di Banari, il rione di San Michele, scarsamente abitato, perderà sempre più importanza e la stessa chiesa beneficerà di scarse rendite a vantaggio di San Lorenzo e San Giacomo. alla visita pastorale di Monsignor Juan Morillo alla fine del diciassettesimo secolo la chiesa risulterà proprietaria di due appezzamenti di terreno, e la relazione conferma che la festa si celebra da tempo immemorabile, organizzata con grande impegno dagli Obrieri che, sia la sera della vigilia sia il 29 settembre, offrono alla popolazione un rinfresco. La chiesa di San Michele Arcangelo aveva l’impianto a una sola navata, completata dall’abside e con la copertura in legno a capriate. alla chiesa in stile romanico, avvolta tra un ricco paesaggio verdeggiante e restaurata maldestramente più volte, si accede salendo un’importante scalinata, mentre non resta traccia degli interventi effettuati nel corso del diciannovesimo secolo che avevano portato alla luce numerose sepolture risalenti probabilmente sia ai primi secoli dell’era cristiana, sia a quando la chiesa permetteva la sepoltura dei fedeli negli atri. alla fine dell’ottocento, eseguendo dei lavori di manutenzione all’altare, è stato trovato un tubo di rame contenente all’interno alcuni grani d’incenso, delle reliquie ed una pergamena con una iscrizione latina tradotta come «Anno del Signore 23 dicembre 1320 quest'altare è stato consacrato ad onore dell’Onnipotente Iddio e del beato Michele Arcangelo per mano del Venerabile Padre Guantino per grazia di Dio vescovo di Sorres». Il tubo con il suo contenuto è stato riposto al suo posto. Presso questa chiesa, e all’interno di tutto l’abitato, si svolge, il 28 e 29 settembre, la Festa in onore di San Michele Arcangelo, l’antica festa organizzata dagli Obrieri con riti sacri seguiti da manifestazioni civili. In largo Antonio Gramsci troviamo la scultura la Pera di Giuseppe CartaTornati sulla via Vittorio Veneto dopo che è partita a sinistra la via Mannu, proseguiamo e subito dopo a destra, dove parte la via Marongiu, si trova uno slargo chiamato largo Antonio Gramsci, all’interno del quale, in occasione della Festa della Cipolla Dorata del 2022, è stata l’occasione per rendere omaggio a Giuseppe Carta con l’inaugurazione di un’enorme scultura in marmo inaugurata in Piazza Gramsci, realizzata dal celebre artista nato proprio a Banari nel 1950. La scultura chiamata La Pera, di oltre due metri e mezzo di lunghezza, realizzata in candido marmo statutario di Carrara, era stata prima esposta nella città di Pietrasanta e poi nel Museo del Costume di Nuoro, ed ha trovato stabile collocazione a Banari, il paese della trachite rossa. La Pera di Giuseppe Carta è arrivata a Banari con sentimento di amore e di appartenenza che lega idealmente il suo paese, nel quale è nato e cresciuto e ancora risiede, e la città di Pietrasanta che da oltre 20 anni lo ha accolto come scultore. Il Municipio di Banari con sulla facciata il Monumento ai Caduti di BanariSul largo Antonio Gramsci si affaccia il retro del palazzo Comunale di Banari, ed infatti tornati sulla via Vittorio Veneto, dopo pochi metri troviamo sulla destra della strada la piazza Antonio Solinas, la piazza centrale del paese. In piazza Antonio Solinas, al civico numero 1, si trova la facciata del palazzo che accoglie la Casa Comunale, ossia che ospita il Municipio di Banari, nel quale si trovano la sua sede e gli uffici che forniscono i loro servizi agli abitanti del paese. Il palazzo Comunale, risalente ai primi decenni dell’800, è abbellito con decori e rifiniture in trachite rossa. Di grande valore è la stessa piazza Antonio Solinas, da secoli conosciuta come Sas Bovedas, per le sue case tutte dotate di volte. Nel corso del settecento, la piazza aveva preso il nome di largo Riunione, diventando il centro della vita culturale e sociale del paese. Sulla facciata della casa Comunale, è presente il Monumento ai Caduti di Banari, realizzato tra il 1920 e circa il 1935, ed attribuito a Giuseppe Tilocca. Una lastra in trachite rosa funge da cornice ad una lapide marmorea con iscrizione commemorativa e medaglione nella parte superiore, raffigurante il profilo di un soldato affiancato da una figurina femminile stilizzata, personificazione della Vittoria. Motivi fitomorfi incisi abbelliscono i lati lunghi della lapide mentre nella parte inferiore è applicato un festone con nastri pendenti, in bronzo. Ai lati sono applicate delle lastre in trachite, più recenti, che riportano i nomi dei Caduti. La dedica Banari ai suoi gloriosi Caduti e i nominativi dei Caduti della Seconda Guerra sono un’aggiunta posteriore. La Fondazione Logudoro Meilogu ed il Museo per l’Arte contemporaneaDalla piazza Antonio Solinas prendiamo verso nord e svoltiamo a destra in via Architetto Marongiu, che esce a nord dall’abitato. Percorsi meno di cento metri, al numero 30 di via Architetto Marongiu, nel Palazzo Tonca che è un antico palazzo nobiliare in vulcanite rossa che risale nell’impianto originale al duecento, è possibile visitare la sede storica della Fondazione Logudoro Meilogu. La Fondazione ha due sedi espositive, una storica nel Palazzo Tonca, e una moderna con annessi servizi, giardini, piazze e un nascente parco museale di cinque ettari. alla sede moderna si arriva prendendo prima di arrivare al Palazzo Tonca, dopo il civico numero 26 della via Architetto Marongiu, a destra la via Sassari, che in una trentina di metri porta alla sede, che si affaccia alla sinistra della strada. Nella sede di Palazzo Tonca sono allestite dal 2011 un centinaio di opere tra dipinti e sculture del maestro Giuseppe Carta. Nella sede moderna è invece allestita, a cicli, la collezione del Museo d’Arte contemporanea della Fondazione Logudoro Meilogu, composta da oltre 500 opere, tra pittura e scultura, di artisti attivi in Sardegna e nel resto d’Italia dalla prima metà del Novecento ad oggi. Di particolare rilevanza è senza dubbio la collezione di terrecotte e bronzi che rappresentano un’occasione unica per conoscere opere meno note ma comunque importanti di famosi artisti sardi. La Fondazione Logudoro Meilogu organizza anche delle mostre temporanee dedicate ai più importanti artisti dell’arte moderna, come Giorgio de Chirico, o rassegne dedicate a temi particolari. La chiesa parrocchiale di San Lorenzo Diacono e MartireTornati sulla via Vittorio Veneto e proseguendo verso ovest, la percorriamo per una cinquantina di metri, poi troviamo una deviazione sulle destra nella via San Lorenzo Martire, che procede in salita e ci porta alla chiesa di San Lorenzo Diacono e Martire che, dedicata al protomartire, è la chiesa parrocchiale di Banari. Sebbene manchino documenti che accertino in modo preciso la sua erezione, è però probabile che essa esistesse già nell’undicesimo secolo, sembra, infatti, che il giudice di Torres Costantino I, nell’anno 1113, abbia donato le Chiese di San Lorenzo e di San Michele di Banari ai monaci Camaldolesi che per molti anni ne ebbero cura. La primitiva chiesa era stata edificata in stile romanico, al pari della chiesa di San Michele. alla fine del 1597 le è stato aggiunto il massiccio portone centrale. È a partire dai primi anni del Settecento che la chiesa inizia ad assumere le sembianze attuali, quando è stata ristrutturata radicalmente la navata. La chiesa è stata ampliata, nel 1722, con l’aggiunta del presbiterio e della Cappella dei Santi Gavino, Proto e Gianuario, poi nel 1732 è stata aggiunta la Cappella di Sant’Antonio, ed infine, nel corso del diciannovesimo secolo, sono state aggiunte le altre cappelle. Nel corso del diciannovesimo secolo, la facciata è stata rifatta in forme neoclassiche. alla chiesa è annesso un caratteristico campanile a forma ottagonale. Sempre nell’ottocento, durante i lavori di ampliamento della sagrestia, è stata rinvenuta, sotto l’altare maggiore, una pietra sepolcrale contenente frammenti di ossa e antiche pergamene che ne hanno attestato l’anno di costruzione. Durante l’ultimo restauro è stato riportato alla luce uno degli affreschi che abbellivano la chiesa. Presso questa chiesa e nel centro dell’abitato ogni anno il 9,10 e l’11 del mese di agosto si svolge la Festa di San Lorenzo Martire, una Festa religiosa che è la Festa patronale di Banari. Per questa festa si svolgono le cerimonie religiose, seguite dalla processione per le strade del paese con il simulacro del Santo, accompagnata dai fedeli in abiti tradizionali e dai cavalieri, e seguita da dverse manifestazioni civili. Si tratta di tre giorni di festa, tra spettacoli, processioni, degustazioni e balli tradizionali. L’oratorio della Santa CroceProseguendo lungo la via Vittorio Veneto, circa settanta metri più avanti, si trova, alla sinistra della strada, la via Santa Croce, sulla quale si affaccia l’oratorio della Santa Croce, che fino a una cinquantina di anni fa era la sede della omonima Confraternita, la cui origine risaliva alla prima metà del cinquecento. Dallo statuto della Confraternita, redatto in lingua sarda, si presume che, anche a Banari, fosse presente il movimento laico dei Disciplinanti Bianchi di San Giovanni Battista di loano, fondato nel 1262, che aveva avuto le sue origini nei movimenti dei Disciplinanti, o Flagellanti, fondati a Perugia dove un grande moto di devozione popolare prese campo per opera di un laico, tale Raniero Fasani, datosi alla vita religiosa e penitente. Dal 1834 fino al 1887 all’oratorio era annesso un Cimitero. La chiesa, risalente nella sua versione attuale ai primi anni del ventesimo secolo, ha una pregevole facciata in trachite rossa di Banari e un bell’interno a una sola navata. Giorno particolarmente solenne per i membri della Confraternita era il 3 maggio, Festa della Invenzione della Santa Croce, durante il quale si procedeva all’elezione del Priore e della Prioressa. Fra le cerimonie più importanti alle quali erano obbligati alla partecipazione sono da ricordare la processione per San Sebastiano, per la Benedizione dei campi, il giorno dell’Annunciazione alla Madonna di Cea ed i riti della Settimana Santa. La Funtana ’e JossoPresa la via Santa Croce che costeggia a sinistra l’oratorio, la seguiamo per circa sessanta metri, poi svoltiamo leggermente a destra e, dopo circa un’altra sessantina di metri, troviamo alla sinistra della strada la Funtana ’e Josso, l’antica fontana in trachite rossa che si trova nella parte bassa dell’abitato, anch’essa con annesso un ampio lavatoio pubblico coperto. Visita dei dintorni di BanariPer quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Banari, sono stati portati alla luce i resti della domus de janas di su Crapione, e della necropoli di Ziu Juanne; ed anche dei Nuraghi semplici Buffulinu, Chescos, Corona Alta, Domu Pabaras, Farre, Monte Franca, Sa Tanchitta, su Crapione. Vediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Il Nuraghe su CrapioneUsciamo dal paese da ovest, seguendo la SP41bis, che è la strada che ci aveva portato da Siligo a Banari. Percorso un chilometro e mezzo, si trova alla sinistra della strada l’accesso a un casale, passato il quale sopra un’altura, a duecentocinquanta metri di distanza in direzione sud ovest, si trovano i resti del Nuraghe su Crapione. Si tratta di un Nuraghe monotorre a tholos, costruito in pietra bianca locale a 382 metri di altezza, che è stato individuato attraverso lo studio della cartografia. Collocato su un banco orizzontale di calcare, adatta la propria muratura al profilo roccioso. Quasi completamente distrutto conserva tre filari a nord est e due filari a sud est. Il diametro, allo svettamento è di una diecina di metri. Il diametro ed il profilo della camera, cosi come l’orientamento dell’ingresso non sono invece rilevabili. La torre centrale sembra a struttura semplice e non sono visibili ulteriori elementi che consentano la classificazione del Nuraghe, che viene quindi a tutti gli effetti considerato un Nuraghe semplice. domus de janas di su CrapioneA circa trecento metri di distanza dal Nuraghe su Crapione, in direzione verso ovest, in seguito a segnalazioni orali è stata ritrovata la domus de janas di su Crapione. Si tratta di una tomba isolata di tipologia semplice, monocellulare, che è stata realizzata sotto un costone di roccia tufacea, ed è l’unica tomba presente nella zona vicina al Nuraghe. La tombe è caratterizzata da un’apertura rettangolare o meglio ovidale, dalla quale si accede a un piccolissimo atrio. Dall’atrio si accede alla cella vera e propria, le cui pareti riportano evidenti tracce di recenti roghi, realizzati da pastori o cacciatori che la hanno usata e la usano tuttora come ricovero. Il rimaneggiamento è chiaro, ed è difficile trovare segni delle frequentazioni antiche, dato che il suo attuale utilizzo è quello di ricovero per il bestiame. I resti della necropoli di Ziu Juanne chiamata localmente Sos settes CoroneddosProseguendo con la SP41bis, percorso un altro chilometro ed ottocento metri in direzione di Ittiri, troviamo una sterrata sulla destra che, superato un cancello, porta sul fianco di una ripida collina, in località Ziu Juanne, su un terreno di proprietà Comunale, all’interno di un bel contesto naturalistico ambientale. Qui, su un costone calcareo quasi impenetrabile sul fianco della collina, si trovano i resti della Necropoli ipogeica di Ziu Juanne, costituita da un gruppo domus de janas ipogeiche assai difficili da raggiungere, delle quali ad oggi ne sono state rinvenute in seguito a segnalazioni orali due. Ma a sentire il racconto orale sarebbero molte di più, tanto da venire chiamate nella parlata locale Sos settes Coroneddos, ossia le sette tombe, e per individuare le altre non passerà molto tempo. La Tomba 1, che è stata censita dalla Soprintendenza Archeologica, è monocellulare a struttura semplice, e si trova nel lato nord ovest del costone calcareo. In portello di accesso alla tomba, orientato a sud sud ovest, immette a una piccola anticella quadrangolare, la cui copertura è parzialmente crollata, che un sottile diaframma separa, attraverso un secondo portello, dalla cella centrale. La cella centrale ha pianta quadrangolare, una copertura leggermente spiovente verso l’esterno, ed è dotata di un piano regolare ad eccezione di un piccolo rialzo sul lato nord ovest, con una crepa centrale nella roccia, forse una canaletta. La Tomba 2, che non risulta censita fino a oggi, si trova sempre nel lato nord ovest del costone roccioso, ed è una tomba a struttura complessa con un singolare impianto a L. La decisione di sviluppare in questo senso la tomba potrebbe essere stata dettata dal fatto che, in questa direzione, la roccia si presenta più facilmente lavorabile. La tomba è formata da una anticella con portello squadrato e comunicante con la cella A tramite un portello con cornice che ricorda un architrave ligneo, munito di incasso per il chiusino di pietra o ligneo. Sul lato lungo dell’ampia cella A è stata ricavata probabilmente una falsa porta, forse un tentativo fallito di espansione della tomba. Dalla cella A si accede alla piccola cella B tramite un portello rialzato. A sua volta la cella B comunica con la cella C, da considerarsi per le sue dimensioni come cella centrale. Questa cella presenta sul suo lato corto una nicchia e nel suo lato nord ovest, nel pavimento della cella una grossa buca. Nelle pareti delle celle B e C sono chiaramente distinguibili i segni dello scavo della tomba. Nella parete sinistra della cella A si distinguono probabili tracce di pittura rossa. Tutte le celle hanno una volta piana o leggermente spiovente verso l’esterno. Nel corso del proseguimento dell’indagine di censimento, è stata effettuata una ripulitura del costone dalla fitta vegetazione. Dopo questo intervento, lungo la parete nord ovest sono state individuate altre due domus de janas. La prima domus de janas, che chiameremo la Tomba 3, di dimensioni considerevoli, si intravede attraverso un crepaccio nella roccia. è stato possibile individuare un primo ingresso, quasi completamente ostruito, che conduce ad una grande cella con una nicchia, un portello non meglio identificabile che potrebbe essere anche un ampliamento della tomba, ed un secondo ingresso completamente ostruito che dovrebbe comunicare con la parete esterna e quindi essere l’ingresso principale della tomba. Per quanto riguarda la seconda domus de janas, che chiameremo la Tomba 4, l’analisi della struttura è relativa esclusivamente all’anticella, che presenta un crollo quasi totale della copertura, in quanto non è stato possibile accedere all’interno perché l’ingresso è completamente ostruito. Ad una prima analisi si potrebbe trattare di una domus de janas a struttura semplice. Il complesso monastico di Seve o di CeaProseguendo con la SP41bis, percorsi circa due chilometri e mezzo, troviamo un bivio, al quale la SP41bis prosegue verso sinistra, mentre prendiamo una strada secondaria sulla destra che, in circa duecentocinquanta metri, ci porta al Complesso monastico di Seve, originariamente di Cea, che si trova in una fertile vallata bagnata dalle acque del rio Biddighinzu, anticamente conosciuto con il nome di Tamarice, e del rio de S’Adde, che alimentano il rio rio Mannu, dove sorgeva il villaggio medievale di Seve, o Sea, o Cea, scomparso alla fine del sedicesimo secolo. Allo stato attuale, il complesso monastico si presenta costituito dalla chiesa romanica di Santa Maria di Seve o di Cea, e da un cortile interno recintato con pozzo, che era stato adibito sino alla seconda metà del novecento all’allevamento di animali e a colture agricole, nel quale sono presenti alcuni edifici conosciuti come il Romitorio dell’antico monastero di Seve, che si trovano ancora in buono stato di conservazione. Il monastero di Seve è uno dei pochi monasteri medioevali giunti quasi intatti fino al ventesimo secolo, quando è stato oggetto di alcune campagne di scavo archeologico che hanno cercato di riportarlo alla luce, e nel sito si sono recuperati materiali archeologici di età romana. All’interno del complesso monastico si trova il Santuario di Santa Maria di Seve o di CeaAll’interno del complesso monastico si trova il Santuario di Seve, originariamente di Cea, edificato in stile romanico nel 1260, che dipendeva dal monastero dei Vallombrosani di San Michele di Salvenero, a Ploaghe, ed è collegata al Romitorio. Il Santuario è ascrivibile a maestranze toscane attive nel giudicato turritano e nel settentrione sardo nella seconda metà del secolo dodicesimo secolo. La facciata è conclusa da campanile a vela con luce semicircolare. Al posto della bifora o dell’oculo originario si apre oggi una finestra rettangolare. L’architrave del portale poggia su capitelli con decoro fitomorfo. La lunetta è descritta da un arco di scarico, sopraccigliato con cantonetti afilo e affiancato da lunette parietali della stessa sagoma. Nei conci del paramento di destra è incisa un’iscrizione datata 1260. L’interno si presenta con una navata singola, e con il tetto in legno e tegole, sopra il quale esisteva un tempo una volta a botte. La facciata è tripartita con arcate, e chiusa dal campanile a vela. I capitelli con decoro fitomorfo reggono l’architrave, mentre una monofora centinata a doppio strombo si apre nell’abside liscia, priva di lesene di partizione in specchi. Al suo interno si venera una statua della Madonna con il Bambino. La Vergine è vestita in marrone e indossa un mantello celeste con bordi in oro, mentre il Bambino ha in mano una sfera d’oro e appare nudo. Entrambi sono addobbati con ex voto. Nel 1837 la statua è stata spostata nella nicchia posta sopra l’altare. L’oggetto di culto originale era probabilmente di origine medievale e differente in fattura e dimensione, ma di esso non si conosce l’esatta destinazione. La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla statua della Madonna, che è ancora oggi molto venerata dalla popolazione di Banari. L’8 ed il 9 di settembre si svolge la Festa di Santa Maria di Seve o della Madonna di Cea, una ricorrenza che i banaresi venerano con particolare devozione. I festeggiamenti hanno una durata di due giorni durante i quali si svolgono riti religiosi, seguiti da spettacoli folkloristiche, canti e balli nel sagrato antistante la chiesa. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio nel Meilogu ci recheremo nel paese chiamato Bessude che visiteremo con il suo centro ed i dintorni, con le diverse Chiese campestri e con i suoi siti archeologici. |