Bono dove è nato Giovanni Maria Angioy che ha fomentato e diretto la grande sollevazione popolare del 1796
In questa tappa del nostro viaggio, proseguiremo la visita del Goceano e ci recheremo a visitare Bono il paese natale di Giovanni Maria Angioy, che visiteremo con i suoi dintorni. La regione storica del GoceanoIl Goceano (nome in lingua sarda Sa Costèra) è la regione della Sardegna centro settentrionale che comprende il tratto del bacino superiore del fiume Tirso, di fronte al quale si affaccia la catena montuosa che porta il nome della regione stessa. Secondo lo storico Giovanni Francesco Fara, il Goceano, in latino Gothiani, dovrebbe il suo nome ai Goti che vi si stabilirono, mentre secondo altri il termine Goceano, o Guttiánu, Deriverebbe da Gúttiu, ossia goccia, ad indicare l’abbondanza di sorgenti d’acqua. I comuni che fanno parte del Goceano sono Anela, Benetutti, Bono, Bottidda, Bultei, Burgos, Esporlatu, Illorai e Nule. Le principali risorse del suo territorio sono la cerealicoltura, praticata nel fondovalle, la pastorizia e lo sfruttamento forestale. In viaggio verso BonoUsciamo dall’abitato di Anela sulla SS128bis, che si muove in direzione sud ovest, ed, in circa cinque chilometri, ci porta all’interno dell’abitato di Bono, paese che viene considerato il capoluogo storico ed economico del Goceano, di cui rappresenta il comune commerciale più importante. Dal Municipio di Anela a quello di Bono abbiamo percorso in tutto 5.7 chilometri. Il comune di Bono paese natale di Giovanni Maria AngioyIl comune chiamato Bono (altezza metri 540 sul livello del mare, abitanti 3.331 al 31 dicembre 2021) costituisce il centro commerciale più importante di tutto il Goceano. Il suo nome deriva dal latino Bonu, ossia buono, utile, sito propizio per l’allevamento del bestiame. Situato ai piedi del Monte Rasu, il più alto del Goceano la cui più significativa vetta, Sa punta Manna, raggiunge i 1.259 metri, è stato residenza vescovile nel quindicesimo secolo. Il suo territorio è ricco di testimonianze storiche, come le cinque Chiese medioevali chiamate Sas Cresias de su Campu. La sua economiaLa sua economia è soprattutto di tipo agropastorale, con anche la presenza dell’artigianato, rappresentato dalla lavorazione del ferro e del legno, e della tessitura e panificazione. Brevi cenni storiciIl territorio di Bono viene frequentato già in epoca preistorica, come dimostrano i diversi resti presenti nel suo territorio. Sulle origini di Bono non esiste nessuno scritto che ci indichi l’anno in cui viene edificato. Prima dell’affermazione in Sardegna dei quattro Giudicati, il territorio di Bono gode sicuramente di un lungo periodo di pace e prosperità, interrotto soltanto dalle incursioni saracene dal 711 al 1016 verso l’interno dell’Isola. Il paese, comunque, si riesce ad opporrre all’invasione dei suoi territori, sempre più sostenuto dalla potenza dei Giudicati. In periodo medioevale Bono entra nel Giudicato del Logudoro, nella curatoria del Goceano, con Bottidda, Burgos, Anela, Esporlatu, Bultei e Benetutti. Nei primi decenni del dodicesimo secolo l’isola si arricchisce di Chiese, monasteri e castelli, ed anche a Bono viene edificata una chiesa in stile pisano, che oggi è la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo. Viene edificato anche un convento, uno dei più antichi della Sardegna, sul Monte Rasu, e, a pochi chilometri di distanza, viene edificato il Castello del Goceano. Sotto la successiva dominazione aragonese, e, successivamente, quella spagnola, anche Bono subisce la sorte del resto della Sardegna, con le pestilenze, lo spopolamento del territorio, e la conseguente depressione economica. Nel 1721, dopo la cessione del Regno di Sardegna ai Savoia, la situazione migliora, con un notevole incremento dell’attività agricola. Ma nel 1796, in seguito alla partecipazione ai moti antifeudali di Giovanni Maria Angioy, il centro viene attaccato dalle truppe piemontesi che, dopo averlo bombardato, lo conquistano, ma la popolazione aspetta i soldati sulla via del ritorno, li attacca e ne fa anche prigionieri alcuni. Agli inizi del novecento, per qualche anno Bono appartiene alla Provincia di Nuoro, poi viene inserito in quella di Sassari, sebbene tutt’oggi mantenga maggiori rapporti culturali ed economici con quella di Nuoro. Alcuni dei principali personagginati a BonoA Bono sono nati Giovanni Maria Angioy, che ha fomentato e diretto la grande sollevazione popolare del 1796, ed il pittore Cramelo Floris che però si è trasferito giovanissimo ad Olzai. Non c’è città o paese della Sardegna in cui una piazza o una via non sia dedicata a Giovanni Maria Angioy o Angioj che è stato uno dei principali personaggi della storia sarda. È stato un rivoluzionario, politico e funzionario del Regno di Sardegna, poi ribelle ai Savoia dopo i vespri sardi, considerato un patriota dall’autonomismo ed indipendentismo sardo, ed è stato un protagonista della seconda fase dei moti rivoluzionari sardi contro i privilegi feudali. Nato nel 1751 a Bono da genitori della borghesia rurale, ancora bambino rimane orfano. Si occupa della sua educazione uno zio materno, gli altri insegnamenti gli vengono impartiti dai padri Mercedari e prosegue gli studi a Sassari presso i Gesuiti. A 21 anni diviene docente universitario, poi avvocato e, a 39 anni, giudice della reale Udienza, il supremo organo giurisdizionale del regno. La sua azione in difesa della sua terra, iniziata già nel’93, durante le operazioni che hanno portato alla cacciata dall’isola delle squadre navali francesi, emerge dopo la rivolta del’94, quando diviene l’anima del Governo Autonomo sardo. Tra il 1795 e il 1796 la nobiltà conservatrice di Sassari ed i feudatari del Logudoro tentano di rendersi autonomi da Cagliari, per dipendere direttamente da Torino. Allora il nuovo vicerè Vivalda, invia Giovanni Maria Angioy a Sassari come suo vicario per riportare gli insorti all’obbedienza. Angioy viene accolto dalle popolazioni ovunque come un liberatore e si trova presto in contrasto con lo steso vicerè, quando invece di rappresentare gli interessi Piemontesi fomenta e dirige la Grande sollevazione popolare del 1796 un moto giacobino e antifeudale che lo vede da Sassari guidare la marcia su Cagliari. La marcia, che inizialmente sembra vittoriosa, viene fermata nel giugno del 1796 ad Oristano, dove viene sconfitto e deve abbandonare l’isola rifugiandosi, l’anno successivo, a Parigi, dove morirà esule nel 1808. Le rivolte, comunque, proseguono, seguite da una sanguinosa repressione che causa molti morti e moltissimi arresti. E ritornano, in Sardegna, il potere feudale, le carestie e la forte pressione fiscale. |
Il pittore Carmelo Floris nasce a Bono nel 1891. Il padre muore prematuramente e Carmelo si trasferisce con la madre ad Olzai, nell’antica casa appartenuta a don Sebastiano Melis, detto Su Fidecummissu, che aveva il diritto di extraterritorialità per alcuni privilegi ecclesiastici degli antenati. In questa casa ereditata dalla madre, Carmelo trascorrerà tutta la vita. Completati gli studi classici a Nuoro, si iscrive alla libera Accademia del Nudo a Roma, dove diviene amico del pittore e ceramista Melkiorre Melis. Volontario nella Brigata Sassari nella Prima Guerra Mondiale, rinsalda l’amicizia con Attilio Deffenu, che l’aveva voluto collaboratore della rivista Sardegna pubblicata a Milano. Decorato con la medaglia d’argento, al rientro è tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione. Nel 1921 espone alla Biennale d’Arte di Roma. Nel’26 viene chiamato da Francesco Ciusa ad insegnare alla Scuola d’Arte di Oristano. Nel’38 si trasferisce a Parigi dove incontra Emilio Lussu. Ma al rientro, nel’39, il governo fascista gli toglie la decorazione e lo condanna per attività sovversiva al confino, fino all’amnistia del’42. Torna ad Olzai, da dove non si sposta che per partecipare ad alcune mostre, e nel’54 lavora con Ciusa Romagna alla via Crucis per la cattedrale di Nuoro. muore ad Olzai nel 1960. Nel periodo giovanile la sua pittura è dominata da suggestioni moderniste, poi, tra gli anni venti e ’30, si dedica al paesaggio: campagna, piccoli centri, Chiese campestri, scene di vita quotidiana e di vita popolare, balli, costumi, processioni. Si dedica, quindi, ai ritratti considerati tra i più belli della pittura sarda e più in generale dell’intera pittura del novecento. Significative anche le sue xilografie ed acquaforti che lo fanno rientrare tra i maestri sardi dell’incisione in bianco e nero. Per saperne di più possiamo leggere una ampia Biografia di Carmelo Floris scritta da Marzia Marino ed illustrata con la riproduzione delle sue opere più significative. |
Le principali principali feste e sagre che si svolgono a BonoA Bono è attivo il Gruppo Folk Giovanni Maria Angioy, i cui componenti si esibiscono nelle principali feste e sagre che si svolgono nel comune ed anche in altre località. A Bono si celebra la Festa di Sant’Andria con la tradizione delle zucche intagliateA Bono il 30 di novembre si svolge la Festa popolare denominata La notte di Sant’Andria una Festa di antiche tradizioni pagane. Secondo alcuni la Festa sarebbe legata all’antico culto di Bacco, dio del vino, chiamato in sardo Sant’Andria. Secondo altri occorre, però, precisare che nella parlata sarda di Bono Sant’Andrìa non significa Bacco, ma Sant’Andrea, o anche Novembre. L’etimologia del nome ci dice che il termine significa Virilità, tanto che Artemidoro lo utilizza per indicare il membro virile, e viene voglia di ricordare una tradizione che risale a tanti secoli prima della Festa di Halloween. La Festa è caratterizzata, infatti, dalla tradizione delle Zucche intagliate, che è un’antica tradizione di Bono. I giovani del paese si procurano le zucche che, una volta svuotate dei semi e rese il più sottili possibile, vengono intagliate in modo tale da assumere sembianze di un volto umano. Una candella posta all’interno illumina la zucca. La tradizione era quella di assaggiare il vino nuovo e di vagare per le strade alla ricerca di qualche dolce o frutto. All’imbrunire, con la zucca appesa al collo, inizia, quindi, il tragitto per le vie del paese, dove i giovani si recano a bussare alle porte delle abitazioni, e, al grido di Sant’Andria accompagnato dal suono di campanelle, raccolgono le offerte, quali dolci tipici, noci, caramelle e denaro. Per chi non conosce questa tradizione Bonese è importante ricordare che la Festa di Sant’Andria Non è una imitazione della Festa di Halloween ma un rito pagano, che si compie da secoli in questo paese, e del quale si sta faticosamente cercando di ricostruire l’origine. Visita del centro di BonoEntriamo a Bono dalla SS128bis che, all’interno del centro abitato, assume il nome di viale San Francesco. Il Campo Sportivo di BonoDal viale San Francesco parte, sulla sinistra, la via Cesare Battisti che, passato il civico numero 5, porta dopo centocinquanta metri al Campo Sportivo Comunale di Bono, una struttura sportiva che si affaccia alla sinistra della strada, e che viene gestita dall’Atletico Bono, un impianto importante per il paese, visto che vi giocano tutta una serie di divisioni, fono alla squadra di seconda categoria, per un totale di 150 tesserati. La chiesa di Nostra Signora di BonariaPercorsi circa cinquecento metri sulla via Cesare Battisti, ad angolo alla sinistra della strada si trova la chiesa di Nostra Signora di Bonaria una struttura estremamente moderna, che è stata consacrata nel 2001, ed è dedicata alla patrona massima della Sardegna e protettrice dei naviganti. A fine aprile o inizio maggio, nel paese si svolge la Festa della Madonna di Bonaria, con riti religiosi e festeggiamenti civili, compresa una processione in costume con il simulacro della Santa. Il bellissimo simulacro della Nostra Signora di Bonaria, risalente ai primissimi anni del novecento, fino al 1954 era rimasta collocata ai lati del presbiterio della chiesa parrocchiale, dalla quale è stata rimossa durante i lavori di restauro avviati in quell’anno, per farvi rientro dopo essere stata custodita per lungo tempo in un’abitazione privata. Il palazzetto dello sportSeguendo la via Cesare Battisti, prima di arrivare alla chiesa, dalla via parte, sulla destra, la via Mario Sironi, che porta al Palazzetto dello sport a fianco del quale si trovano i campi di tennis di Bono. La piazza GramsciRitornati sulla via San Francesco, la seguiamo fino a dove arriva in Piazza Gramsci una bella piazza alberata, nella quale si immettono da est il viale San Francesco, che è la SS128bis dal quale siamo arrivati, e, subito dopo di essa, il viale Italia, che è il nome che assume all’interno dell’abitato la SP6 che porta, ad ovest dell’abitato, al Monte Rasu. Vi si immette pure, da sud est, la via Alessandro Manzoni, che è il nome che assume la SP31. La chiesa di Sant’EfisioSulla destra rispetto al viale Italia, dalla piazza Gramsci parte il salita la via Sant’Efisio, che, in circa duecento metri, porta nella piazza omonima, sulla quale si affaccia la chiesa di Sant’Efisio che risale al diciottesimo secolo; il primo documento che nomina la chiesa è, infatti, del 1765. La Festa di Sant’Efisio si svolge a Bono il 15 del mese di gennaio, l’1 di maggio e la prima domenica di settembre. Sul colle di San Raimondo troviamo la chiesa di San Raimondo NonnatoDa piazza Gramsci parte anche una strada lastricata in salita, subito a sinistra della via Alessandro Manzoni, che prendiamo seguendo le indicazioni per la Biblioteca ed il punto panoramico, e che ci porta alla chiesa di San Raimondo Nonnato che sorge sull’omonimo colle. Ai primi del settecento la chiesa era dedicata alla Vergine Assunta, verso il 1737 è stata interamente ricostruita e dedicata a Nostra Signora della Mercede. La chiesa viene, quindi, donata ai Frati Mercedari, ordine mendicante fondato a Barcellona nel 1218 da San Pietro Nolasco con lo scopo di liberare i prigionieri Cristiani fatti schiavi dei musulmani, Frati che lo stesso anno erano arrivato a Bono, provenienti dal Santuario di Bonaria a Cagliari, e si erano stabiliti nel convento attiguo alla chiesa ricostruita. I Frati Mercedari, successivamente, la dedicano al loro accolito San Raimondo, ossia a Ramon Nonat, nato in Catalogna verso il 1200. Il Santo è stato denominato Nonnato, ossia non-nato, non venuto al mondo in modo naturale, soprannome che ricorda come Raimondo non fosse stato partorito dalla madre viva, bensì estratto dal corpo della madre, che era morta il giorno precedente, utilizzando un’arma da taglio. Nel 1766 viene decretata la chiusura del convento, che, con la partenza dei Mercedari, inizia a decadere finche non crolla del tutto, ed al suo posto sorge un altro edificio, destinato prima ad asilo e poi ad orfanotrofio, mentre la chiesa rimane sempre intatta. Attualmente la chiesa di San Raimondo si presenta all’esterno semplice e povera, mentre l’interno è spazioso, con una sola navata, senza cappelle laterali e retta solo da due archi di sostegno. All’interno, in una nicchia, c'è il simulacro di San Raimondo vestito di abiti cardinalizi e con l’ostensorio in mano, mentre nelle due nicchie laterali sono esposte la statua di Santa Lucia e quella di San Francesco d’Assisi, che proviene dal convento di Monte Rasu. Il 31 agosto il paese festeggia San Raimondo nella Sagra di San Raimondo Nonnato. In questa Sagra si rievoca, con un corteo storico in costume che sfila fino alla chiesa omonima, posta in bella posizione elevata, gli episodi resistenza durante i moti antifeudali del 1796. In questo giorno una zucca di notevoli proporzioni viene decorata, issata su un cavo e portata sino al sommo colle di San Raimondo, e da lì viene viene fatta rotolare a valle, quasi a simboleggiare la ritirata dei nemici. Questo rito irride alla memoria dell’avvocato, Efisio Pintor Siligu, detto Pintoreddu, che nel luglio del 1796 è al comando delle truppe reggie mandate a Bono a dare la caccia a Giovanni Maria Angioy, il quale, sconfitto, ha deciso di lasciare la Sardegna. Il paese vienne bombardato e saccheggiato dalle truppe reggie, gli abitanti si rifugiano nella foresta, dove attendono il momento propizio per organizzare il contrattacco. Lo fanno mentre i soldati festeggiano la vittoria, ubriacandosi sul colle di San Raimondo. Colti di sorpresa molti dei militari nemici vengono fatti prigionieri, mentre gli altri sono costretti alla precipitosa fuga nella sottostante scarpata, cosa che viene rievocata con il rotolamento della zucca. Sul colle San Raimondo si trova anche l’Anfiteatro ComunaleUn poco dietro la chiesa di trova l’Anfiteatro Comunale di Bono, che si trova anch’esso sul colle San Raimondo, ma è, però, più comodamente raggiungibile partendo dalla piazza Gramsci e prendendo la via Alessandro Manzoni, che gli gira, appunto, tutto attorno. Presso questo Teatro ha la sua sede anche il Gruppo Folk Giovanni Maria Angioy che partecipa a tutte le sfilate che si tengono non solo nel paese, ed alle diverse manifestazioni folkloristiche. Il Municipio di BonoRitorniamo sulla piazza Gramsci. Passata la piazza, la prosecuzione del viale San Francesco è il corso Angioy, dove sulla destra, al civico numero 2, si trova l’ingresso del palazzo che ospita la sede e gli uffici del Municipio di Bono, che si affaccia anche sulla piazza Gramsci. Passato il palazzo del Municipio, il corso Angioy porta, sulla destra, in piazza Bialada, nella quale, tra gli edifici con bei Murales che ricordano i moti rivoluzionari angioini, si trova il Busto di bronzo di Giovanni Maria Angioj. Dietro di essa si trova una Fontana storica del 1886. La chiesa parrocchiale di San Michele ArcangeloProseguendo oltre la piazza bialada, la via Angioy si dirige verso sud ovest, e da essa si diparte sulla destra la via della parrocchia, sulla quale, al civico numero 28, si trova la chiesa di San Michele Arcangelo che è la chiesa parrocchiale di Bono. Costruita tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, è una delle più belle Chiese della diocesi di Ozieri, con la trecentesca facciata in trachite rosa, sulla quale è presente uno splendido rosone, che sovrasta un portale con snelle colonne e una fila di archetti pensili. Nella chiesa, nel 1420 si è teuto un Sinodo dell’antica diocesi di Castro, ed alla fine del ’500 la chiesa è stata ingrandita. La chiesa onserva al suo interno un antico calice d’argento dorato del quattordicesimo secolo, rubato nel 1796 dai soldati di Efisio Pintor Figus, ma del quale il parroco dell’epoca, don Agostino Tedde, ottiene dal Vicerè la restituzione. La chiesa conserva al suo nterno anche un’antica statua del quindicesimo secolo, in legno, alta quasi due metri, che rappresenta San Michele. L’edificio, che presentava rilevanti lesioni strutturali, è stato ristrutturato nella metà degli anni ’50 del novecento, conservandone, però, le caratteristiche più rilevanti, quali la volta a crociera dell’abside e il frontale principale, ed i due portoni principali sono stati sostituiti in bronzo con raffigurazioni bibliche. Infine la chiesa si è dotata di un importante organo a canne. Durante i lavori di ristrutturazione del 1953 sono state riportate alla luce due cripte laterali nelle quali venivano riposti gli scheletri esumati da un Cimitero antistante la chiesa, utilizzato tra la fine del sedicesimo secolo ed il 1858. Si tratta di circa 180 crani,372 femori,429 ossa coxali e un centinaio di ossi sacri. Il materiale scheletrico rinvenuto è particolarmente importante perché rappresentativo di una popolazione rimasta a lungo isolata dal resto della Sardegna. La chiesa di Sant’Antonio AbateDalla via Angioy, parte sulla sinistra la via Stazione, che si dirige in direzione sud est fino alla periferia estrema del paese. Dopo poche decine di metri, sulla sinistra della via Stazione, si apre il cortile nel quale si trova la chiesa di Sant’Antonio Abate una chiesa semplice, a un’unica navata, che risale al diciottesimo secolo, dato che viene ricordata per la prima volta in un documento del 1765. A Bono, così come in molti altri centri della Sardegna, è in uso accendere fuochi in onore di Sant’Antonio Abate, con alcune particolarità rituali che differenziano questo centro del Goceano da altri limitrofi. La Festa di Sant’Antonio Abate si svolge il 17 gennaio, e la sera precedente, dopo i primi vespri, viene acceso sul sagrato della chiesa dedicata al Santo un imponente falò, chiamato Su fagarone ’e Sant’Antoni, fatto soprattutto con rami di quercia da sughero e avente in cima una croce decorativa di frasche ornata di fronde verdi e di arance. I fedeli girano intorno al falò per tre volte in senso orario e altre tre in senso antiorario, tenendo in mano fiaschi di vino e Sas gogones de Sant’Antoni, le caratteristiche focacce fatte con il dolce tipico del nuorese chiamato Su pistiddu, ripieno di sapa ossia di mosto cotto. Le focacce, una volta benedette, vengono offerte a tutti i fedeli e ai numerosi ospiti. Il falò acceso sul sagrato della chiesa, diventa segno per l’accensione degli altri falò sparsi in tutti i rioni del paese. I resti della Stazione ferroviaria dismessa di BonoProseguendo lungo la via stazione fino al suo termine, dopo circa 650 metri, nella periferia orientale del paese. Qui si trova l’edificio che ospitava la Ex Stazione ferroviaria di Bono, una stazione sulla linea ferroviaria che collegava Tirso con Chilivani. Il fabbricato viaggiatori presentava cinque ingressi sulla facciata rivolta verso il piazzale interno della stazione, ed era affiancato sul lato sud dalla tettoia con pensilina, ed oggi, completamente restaurato dopo essere stato per un certo periodo abusivamente occupato e danneggiato, mentre il piazzale dove passavano i binari è stato completamente asfaltato e destinato al transito e parcheggio delle corriere. L’edificio ospita attualmente la sede degli uffici delle Ferrovie di Sardegna per il servizio di trasporto passeggeri su autobus. La chiesa di Santa Caterina VergineRitornati indietro dalla via Stazione, rientriamo su corso Angioy, che prendiamo verso sud, e dal quale si muove sulla destra via Goceano, che seguiamo fino a incrociare via Monte Rasu, che prendiamo verso sinistra, ossia di nuovo verso sud. Dopo circa duecentocinquanta metri, svoltiamo a destra imboccando la via Santa Caterina, sulla quale si affaccia, alla sinistra, la chiesa di Santa Caterina Vergine. Il più antico documento che nomina la chiesa risale al 1539. La Festa di Santa Caterina si svolge, a Bono, a fine del mese di maggio o all’inizio di quello di giugno, con festeggiamenti religiosi seguiti da quelli civili, con processione per le vie del paese accompagnata dai cavalieri in costume, esibizioni dei tenores e di gruppi folk. Il Cimitero di BonoRitornati su corso Angioy, lo seguiamo fino all’uscita a sud dall’abitato, e qui troviamo, alla sinistra della strada, l’ingresso del Cimitero di Bono. uscendo dal paese, il corso Angioy riprende il nome di SS128bis e ci porta in direzione di Bottidda. Visita dei dintorni di BonoVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Bono, sono stati portati alla luce i resti delle Tombe di giganti Ortivai, Pranighedda; del Protonuraghe Ortana; dei Nuraghi semplici Badde ’e Soliana, Biloto, Calitennero, Coa longa, Coa longa II, Coa longa III, Curtu, de S’Arza, Montigu Pilisserta, Ortivai, Pilisserta, Rupisarcu, Sa Gispa, San Nicola, Seddei, Sorca Tamuile; dei Nuraghi complessi Arisanis, Badde Cherchi, monte Acchile, Sas Doppias; ed anche dei Nuraghi Cannedu, Mattafurones, Pianu Istara, San Nicola II, tutti di tipologia indefinita. Il Monte RasuDa Bono usciamo verso nord ovest sulla SP6, che seguiamo per poco più di sette chilometri, con uno stupendo panorama, poi svoltiamo a sinistra sulla strada che, in un paio di chilometri, ci porta in direzione del Monte Rasu. Il Monte Rasu che con i 1.258 metri di Sa punta Manna rappresenta la vetta più alta del Goceano, è una delle interessanti mete di escursione nei dintorni di Bono. La SP6, passata la deviazione per il Monte Rasu, raggiunge il passo di Uccaidu a 1.042 metri. La foresta demaniale del monte Pisanu e la foresta di Sos NibberosDopo il passo, la strada scende tra i boschi della foresta demaniale del monte Pisanu. Quest’area naturale fa parte delle loreste demaniali del Goceano, suddivise in tre sezioni. Si tratta, da nord verso sud, della Foresta di Fiorentini, nel comune di Bultei della Foresta di Anela, nel comune omonimo, e della Foresta del monte Pisanu, nei comuni di Bono e Bottidda. A poca distanza dal paese si trovano monte Pisanu e l’area di sosta Sa Puntighedda. Percorsi circa quattro chilometri sulla SP6, le indicazioni ci portano a prendere una deviazione sulla sinistra, che ci porta in un’area di notevole importanza naturalistica, la Foresta di Sos Nibberos. Si tratta di una porzione di circa 5,5 ettari all’interno della foresta demaniale di Monte Pisanu, posta alle pendici nord occidentali del Monte Rasu, nella quale rimane il resto di un bosco di tassi, Taxus Baccata, una formazione piuttosto rara in Sardegna a causa delle condizioni climatiche e del disboscamento. Parte dell’area è occupata unicamente da tassi, mentre un’altra parte è mista con tassi, agrifoglio e roverella. Le imponenti dimensioni degli alberi, fino a sedici metri di altezza ed anche un metro e mezzo di diametro, hanno fatto sì che l’area sia rientrata tra i Monumenti Naturali della Sardegna. Le chiome dei tassi sono così ampie e coprenti da ridurre enormemente l’ingresso della luce sul suolo, per cui sono assenti tutte le specie del sottobosco. Seguendo per altri due chilometri sulla SP6, prendiamo a destra una deviazione che ci porta, in seicento metri, presso l’ex Caserma del Corpo Forestale di Monte Pisanu a 861 metri d’altezza. Qui sono state impiantate diverse specie arboree quali il cedro atlantico, la roverella, le tuie giganti tra esse emerge un notevole esemplare di abete bianco. La maggior parte del territorio di Bono, per il suo rilevante interesse naturalistico, è protetto e salvaguardato dall’attività svolta dal Corpo Forestale e dell’Ente Foreste della Sardegna, ed è frequentato da molti turisti attratti anche dalla presenza di numerosi laghetti. I resti del Nuraghe complesso Sas DoppiasCirca cinquecento metri dopo la deviazione, sulla SP6, per la foresta di Sos Nibberos, in località Sa Puntighedda prendiamo, seguendo le indicazioni, una deviazione che, in circa 1,2 chilometri, ciporta all’area di sosta Mercorai, dalla quale possiamo raggiungere il Nuraghe Sas Doppias che si trova a mezza costa su un pianoro in territorio di Bono, nel Goceano, la regione storica più montuosa del comune di Sassari. realizzato in scisto, si tratta di un Nuraghe di tipo complesso, con un mastio centrale ed almeno una torre secondaria frontale raccordata da un bastione murario di collegamento. alla Torre centrale, la meglio conservata, si accede attraverso un ingresso con architrave monolitico, che da su un breve andito. Sulla sua destra si trova la garitta di Guardia, sulla sinistra si apre il vano scala, ricavato all’interno della muratura, che portava al piano superiore, ma che ora è occupato da materiale di crollo, mentre l’apertura al centro immette all’interno della camera a pianta circolare, anch’essa parzialmente ingombra di materiale di crollo, con le tre nicchie disposte a forma di croce. Molto interessante per il suo buono stato di conservazione è la volta a tholos. Il bastione, che collega il mastio con l’altra torre, è costruito con blocchi litici appena sbozzati. L’antichissimo villaggio di lorthia con le cinque Chiese del campoPresa all’uscita da Bono in direzione sud est la SP31, che seguiamo per sette chilometri e mezzo, e ci porta nella valle del Tirso, denominata dagli abitanti del Goceano con il nome Su Campu. Qui si trovano i resti dell’antichissimo villaggio di Lorthia, attestato dal 1346 e distrutto entro la fine del sedicesimo secolo, ed all’interno di esso si trovano ben cinque Chiese, chiamate appunto le Chiese del campo ossia Sas Cresias de su Campu, che sono posizionate alla sinistra della strada provinciale. Le Chiese del campo inizialmente dovevano essere sei, compresa la chiesa della Santa Croce, della quale non è rimasto ormai più nulla. La piccola chiesa romanica di San GavinoLa piccola chiesa romanica di San Gavino ossia di Santu Baingiu, costruita nel dodicesimo secolo e dedicata ai martiri turritani, ossia ai Santi Gavino, Proto e Giannuario, è la sola delle cinque Chiese che risale all’epoca in cui il borgo era abitato e del quale era la chiesa parrocchiale, realizzata interamente in mattoni rossi di cotto, come la chiesa di San Nicola di Quirra, unici due casi in Sardegna. Ha un’unica navata con l’abside rivolto a nord est, ed il rifacimento della copertura ne ha un pò snaturato la facciata, ma l’abside conserva la spoglia semplicità della costruzione. Nella facciata si apre una finestra cruciforme, in asse con il portale centinato. All’interno di questa chiesa era conservato un Polittico con diverse tavole. Nella prima tavola era raffigurato un Santo con in mano un libro e una palma. Una seconda tavola, divisa in tre riquadri, portava al centro la deposizione di Cristo nella tomba, a destra due figure bendate piegate in avanti che aspettano il martirio, ed a sinistra un Santo con la barba. C ’era pure un’altra tavola, con al centro un’iscrizione in lingua sarda che indicava il committente dell’opera nell’anno 1540, ossia il canonico Carta, della prebenda di Bono. La Festa di San Gavino e dei martiri Turritani si svolge, presso questa chiesa, dal 5 al 7 di maggio. La chiesa di San Nicola di BariUn poco più avanti si trova la chiesa di San Nicola di Bari che ha la facciata a capanna in stile romanico come tutte le altre, sormontata da un piccolo campanile a vela. La facciata è intonacata interamente di bianco con dipinti color celeste. Una Cumbessia è appoggiata al lato sinistro della facciata. Presso questa chiesa si svolge il 22 del mese di settembre la Festa di San Nicola di Bari. La chiesa di Santa BarbaraAncora più avanti si trova la chiesa di Santa Barbara con caratteristiche simili a quelle di San Nicola, che sorge sulle rovine di un Nuraghe. La struttura attuale si può far risalire ai secoli quindicesimo-quindicesimoII, al periodo della dominazione spagnola. Questa chiesa è stata oggetto delle cure dei militari che, reduci del secondo conflitto mondiale, in questo modo cercavano di soddisfare un voto fatto nei momenti più difficili della guerra, o forse nella prigionia. Presso questa chiesa si svolge l’8 settembre la Festa di Santa Barbara. La chiesa di Santa restitutaPoco distante, in posizione più elevata, si trova la chiesa di Santa restituta La più imponente delle cinque, raggiungibile da una deviazione sulla sinistra un poco più avanti dalla strada provinciale. Ad essa è annessa una sacrestia e la casa di abitazione per il rettore, e si possono ancora ammirare le caratteristiche Cumbessias con il soppalco in legno. Al suo interno è custodito un altare ligneo del 1600, e sono accuratamente custodite le reliquie della Santa, che sono state trasferite da Cagliari a Bono. Presso questa chiesa si svolge il 2 del mese di giugno la Festa di Santa restituta. La chiesa di Sant’AmbrogioA pochi metri dalla chiesa di Santa restituta sorge la chiesa di Sant’Ambrogio l’unica che ha la facciata rivolta verso oriente, circondata da imponenti rocce che le lasciano appena uno spiraglio in direzione di Anela. Presso questa chiesa si svolge la seconda metà el mese del mese di settembre la Festa di Sant’Ambrogio. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, proseguiremo la visita del Goceano e ci recheremo a visitare Bottidda paese situato ai piedi della catena del Monte Rasu, ed a ridosso del colle Sa Corona, il cui nome deriva dal Nuraghe situato sulla sua sommità. |