Settimo San Pietro con nella periferia il sito archeologico di Cuccuru Nuraxi ed il suo pozzo sacro
In questa tappa del nostro viaggio, visiteremo l’abitato di Settimo San Pietro con i suoi dintorni nei quali si trovano il sito archeologico di Cuccuru Nuraxi ed il suo pozzo sacro. Il Campidano di CagliariIl Campidano è la grande pianura della Sardegna sud occidentale compresa tra il golfo di Cagliari e quello di Oristano, ha una lunghezza di circa cento chilometri e presenta la massima altitudine di settanta metri sul mare. Deve le sue origini al colmarsi di una depressione geologica terziaria da parte di sedimenti marini, fluviali e vulcanici. Sono frequenti gli stagni costieri con acque salmastre, nell’angolo nord ovest della regione sfocia il fiume Tirso, che contribuisce all’irrigazione del Campidano, la rete idrografica è inoltre formata da piccoli Torrenti. La principale risorsa è l’agricoltura e si coltivano specialmente grano, viti, olivi, frutta e agrumi. Il Campidano di Cagliari comprende nella Provincia del Sud Sardegna i comuni di Decimoputzu, Monastir, Nuraminis, Samatzai, San Sperate, Villasor e Villaspeciosa. Comprende, inoltre, nella città metropolitana di Cagliari i comuni di Assemini, Cagliari, Capoterra, Decimomannu, Elmas, Maracalagonis, Monserrato, Quartu Sant’Elena, Quartucciu, Selargius, Sestu, Settimo San Pietro, Sinnai, Uta. I comuni di Samassi, Serramanna e Serrenti si trovano tra il Monreale ed il Campidano di Cagliari, i comuni di Pula, Villa San Pietro e Sarroch si trovano tra il Sulcis ed il Campidano di Cagliari, così come Soleminis si trova tra il Campidano di Cagliari e il Parteòlla, per cui possono essere considerate appartenenti all’una o all’altra di queste regioni. Geograficamente rappresenta la parte più meridionale della pianura del Campidano, che ha come suo centro principale Cagliari, nonche Quartu Sant’Elena ed i comuni immediatamente a nord ovest del capoluogo sardo. Si affaccia sul mare e comprende la costa orientale del golfo di Cagliari, fino al paese chiamato Villasimius. In viaggio verso Settimo San PietroArriviamo a Settimo San Pietro da Selargius, dove si arriva anche dal vicino Quartucciu o da Quartu Sant’Elena. Dal centro di Selargius, prendiamo verso nord est la via Roma, che esce dall’abitato con il nome di SP15, e, dopo circa un chilometro, incrociata la SS554, diventa la via del Lavoro. La seguiamo, dopo un chilometro e trecento metri arriviamo alla rotonda in località Is Argiddas, prendiamo la seconda uscita e proseguiamo dritti attraversando l’area Industriale di Settimo San Pietro, e, dopo circa un chilometro e quattrocento metri, arriviamo a prendere la via San Salvatore, che ci porta all’interno dell’abitato di Settimo San Pietro. Dal Municipio di Selargius a quello di Settimo San Pietro si percorrono 4.9 chilometri. Il comune chiamato Settimo San PietroIl comune chiamato Settimo San Pietro (pronuncia S’ttimo San Pietro, nome in lingua sarda S’timu, altezza metri 70 sul livello del mare, abitanti 6.839 al 31 dicembre 2021) è un paese situato su un terrazzo alluvionale che si affaccia sul Campidano di Cagliari, che si estende nella parte centrale del territorio provinciale. Settimo San Pietro è il terzo comune più piccolo della città metropolitana di Cagliari per popolazione residente, ed è raggiungibile tramite la SS554 Cagliaritana, che dista soli tre chilometri dall’abitato. Agevole si presenta anche il collegamento con la rete ferroviaria, dato che la linea che collega Cagliari con Isili ha uno scalo sul posto. Il territorio Comunale, ricco di acqua, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche accentuate, che vanno da un minimo di 30 a un massimo di 296 metri sul livello del mare. Dal 2014 viene attivata una nuova area dedicata alla lotta al randagismo e alla promozione delle adozioni dei randagi ritrovati nel territorio Comunale. Il comune fa parte dell’Associazione nazionale delle città della Terra CrudaQuesto paese fa parte dell’Associazione nazionale delle città della Terra Cruda, nata per promuovere il recupero delle tradizioni e del patrimonio edilizio, naturalistico, artistico e storico delle comunità. Questa associazione comprende, in Sardegna, i comuni di Decimoputzu, donori, Fluminimaggiore, Furtei, Gonnosfanadiga, Guspini, Musei, Nuraminis, Pabillonis, Samassi, Samatzai, San Gavino Monreale, San Sperate, Sardara, Segariu, Selargius, Serramanna, Serrenti, Settimo San Pietro, Solarussa, Soleminis, Ussana, Ussaramanna, Vallermosa, Villa San Pietro, Villacidro, Villamassargia, Villasor. Origine del nomeIl nome, documentato fino dall’anno 1341 come De Septimo, che si trova anche nelle Rationes Decimarum Italiae a proposito della Sardegna, deriva dalla distanza stradale, infatti il nome Settimo deriva dalla frase Ad Septimum lapidem, ad indicare il settimo miglio lungo il percorso della strada che collegava Cagliari a Palau, presso il quale si sarebbe trovata, presumibilmente, una Statio romana, che avrebbe costituito il primo nucleo di quello che sarebbe stato il successivo abitato. La sua economiaSi tratta di un centro di pianura che, alle tradizionali attività agricole, ha affiancato modeste iniziative industriali. Nell’economia locale l’agricoltura conserva un ruolo importante, che viene praticata soprattutto grazie alle pianure fertili. Nella zona si coltivano cereali, frumento, ortaggi, foraggi, olivo, agrumi e frutta, e vi abbondano vigneti e mandorli. Viene praticato anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, equini e avicoli. Il settore economico secondario è costituito da piccole imprese che operano nei comparti alimentare, dei materiali da costruzione, dei laterizi, dell’industria metallurgica e dell’edilizia. Il terziario è presente con una rete distributiva di modeste dimensioni. A Settimo dalle uve si produce la famosa Malvasia di Settimo, si produce, inoltre, ottimo pane tradizionale di semola di grano duro e squisiti dolci. È attivo l’artigianato dei cestini fatti con steli di frumento. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. La Malvasia di SettimoLa Malvasia di Settimo, il cui vitigno è stato impiantato già n epoca bizantina, è un vino caratterizzato da un colore giallo paglierino, con sfumature tendenti al dorato. Può essere dolce o secca in base alla lavorazione e al tipo di suolo su cui viene coltivata, ed ha un profumo inconfondibile di mandorle, ed un gusto asciutto. Si tratta di una Malvasia che si adatta bene come aperitivo, ma può anche essere un ottimo passito per accompagnare i dolci tipici della zona, specie nelle occasioni di festeggiamenti. Questo vino, ed altri come Vermentino, Monica e Nuragus, hanno portato il paese di Settimo San Pietro a far parte degli itinerari culturali delle Strade del Vino, volti ad indirizzare il visitatore verso la buona cucina e l’ottimo vino. Brevi cenni storiciSignificativa la presenza preistorica nella zona, dato che le tracce più antiche di frequentazione umana risalgono al Neolitico recente, e ne sono testimonianza i resti di quello che doveva essere il grandioso Nuraghe di Cuccuru de Nuraxi, dove furono ritrovati numerosi resti di civiltà nuragica e l’interessantissimo pozzo sacro. ll Nuraghe è stato distrutto in epoca recente, ed i blocchi che lo costituivano sono stati utilizzati per la costruzione delle case, per chiudere cortili e per costruire le Chiese dell’antico abitato del paese. Più tardi, con l’arrivo dei romani, il territorio venne dotato di monumenti e servizi, tanto che, nel 1880, viene ritrovato nei pressi del paese, in località Is Argiddas, un acquedotto risalente all’epoca romana. Nell’undicesimo secolo viene compresa nel Giudicato di Càralis, nella curatoria di Civita. Successivamente, dopo la caduta di quest'ultimo, passa sotto il controllo dei conti della Gherardesca, e, nel 1257, entra a far parte dei possedimenti d’oltremare della repubblica di Pisa. Nel 1324, dopo la conquista aragonese entra a far parte del regnum Sardiniae, e, nel 1325, Giacomo d’Aragona lo infeuda a Berengario Carroz e alla moglie Teresa Gombal da Enteca, in cambio di una somma di denaro che serve a restaurare il Castello di San Michele a Cagliari. Nel 1363 viene creata la conte di Quirra, infeudata sempre ai Carroz di San Michele, e la villa di Settimo entra a farvi parte. Nel 1603, la conte di Qirra viene trasformata in Marchesato. Ultimi feudatari di Settimo sono i Centelles prima, e gli Osorio de la Cueva successivamente. A questi ultimi la villa di Settimo venne riscattata nel 1839. Passata nel regno d’Italia, dello storico comune di Settimo, nel 1862, viene aggiunto alla denominazione del comune di Settimo il suffisso San Pietro, che è il Santo patrono del paese, per distinguerlo da quello di altri omonimi comuni italiani. In periodo fascista, nel 1928 diventa una frazione del comune di Sinnai, dal quale nel 1946 viene nuovamente separato. Nel 2016 viene cambiata la Provincia alla quale appartiene, passando dalla Provincia di Cagliari alla città metropolitana di Cagliari. Le principali feste e sagre che si svolgono a Settimo San PietroA Settimo San Pietro sono attivi il Gruppo Folk Santa Lucia di Settimo San Pietro, il Gruppo Folk Nuraghe di Settimo San Pietro, l’Associazione Turistica Pro Loco di Settimo San Pietro, l’Associazione Culturale Gruppo Folk S’Acua e Dolus di Settimo San Pietro, ed il Parco Culturale de Is Cantadoris di Settimo San Pietro con il suo gruppo Canta e Balla. Non sono numerose le principali feste e sagre che si svolgono a Settimo San Pietro, che potrebbero allietare il borgo e richiamare visitatori dai dintorni, fatta eccezione per una manifestazione religiosa molto sentita nel paese, che è Sa Candelora, i cui festeggiamenti iniziano il 6 di gennaio con la consegna del Bambino Gesù alla madrina e le due priore, che lo tengono per tutto l’anno, e che lo riportano in chiesa il 2 di febbraio per i festeggiamenti della Madonna. Inoltre, il 2 giugno si svolge la Festa del pane; per quattro giorni intorno al 24 giugno, si celebra la Festa di San Giovanni Battista, nella sua chiesa campestre; la Festa patronale, dedicata a San Pietro, che si celebra il lunedì successivo alla prima domenica di settembre; il 13 dicembre, presso la chiesa parrocchaile si celebra la Festa di Santa Lucia Vergine e Martire. La Festa del paneA Settimo San Pietro, appuntamento, il 2 ed il 3 giugno presso la casa Dessy, per la Festa del pane. La manifestazione, organizzata dal Gruppo Folk Santa Lucia, grazie al patrocinio del comune, è attesissima, dato che il pane viene ancora preparato con i sistemi di un tempo. Si tratta di una manifestazione importante a livello culturale e tradizionale, che coinvolge componenti di un certo spessore come la Filiera del pane, la Ore, la Coldiretti, il Centro di diabetologia dell’Azienda Ospedaliera Brotzu, nutrizionisti, il Sindaco e l’Assessore alla cultura del paese, l’Antico Mulino per la lavorazione del grano, ed il Borgo del pane conosciuto per il metodo di panificazione tradizionale con il lievito madre. Visita del centro di Settimo San PietroL’abitato, interessato da un fenomeno di forte crescita edilizia, mostra l’andamento altimetrico tipico delle località pianeggianti. La parte più antica del paese si sviluppa attorno all’incrocio della viabilità principale, con una forma irregolarmente poligonale, e con la chiesa parrocchiale in posizione centrale. Particolarmente interessante è il suo centro storico, che conserva numerose costruzioni edificate secondo l’usanza tipica del Campidano. L’edificio, su due piani, è realizzato con una struttura portante in mattoni di fango, e con pilastri in mattoni laterizi pieni, l’elemento archittettonico caratteristico è il loggiato, meglio detto Sa lolla, dal quale si accede a tutte le stanze interne della casa. Il Cimitero di SettimoArriviamo all’abitato di Settimo San Pietro da sud ovest con la SP15 provenedo da Selargius. Appena passato dove si trovava il cartello segnaletico che indicava l’ingresso nel paese, che ora non c'è più ma, all’altro lato della strada, si può vedere il cartello segnaletico che ne indica l’uscita, si inizia a vedere, alla destra della strada provinciale, il muro di cinta del Cimitero di Settimo San Pietro, e, una cinquantina di metri più avanti, si trova il suo ingresso. La chiesa parrocchiale di San Pietro ApostoloDopo aver incontrato la via Primo Maggio, la SP15 entra nell’abitato con il nome di via San Salvatore. Proseguendo dritti lungo la via San Salvatore, dopo quattrocento metri prendiamo a sinistra la via Antonio Gramsci, che percorriamo per poco più di duecento metri. Qui incrociamo la via Roma, che prendiamo verso sinistra e, dopo una cinquantina di metri, a sinistra la via Aldo Moro. Prendiamo questa strada che, in circa quecentocinquanta metri, sbocca sulla via della parrocchia. Su questa strada si affaccia la chiesa di San Pietro Apostolo che è la parrocchiale di Settimo, che da essa ha preso il nome. Edificata in stile gotico catalano, la sua prima citazione risale al 1442 ed è riferita alla consacrazione da parte dell’arcivescovo Matteo Ioffre, e nel 1564 viene menzionata in un documento notarile, dove viene indicata come modello per la costruzione della Cappilla mayor, ossia del presbiterio, della chiesa di Sant’Ambrogio a Monserrato. In seguito, è stata più volte rimaneggiata, tra il cinquecento ed il seicento. L’interno presenta una navata unica con volta a botte, suddivisa in cinque campate attraverso arcate ogivali, ed ai lati si aprono alcune cappelle, tra le quali è particolarmente pregevole la Cappella del Battistero, situata sotto il campanile. Si tratta di una Cappella in stile tardogotico che risale al diciassettesimo secolo, alla quale si accede attaverso un arco ribassato, percorso da modanature, e culminante in una inflessione, decorato da fogliame scolpito, mentre alla base dell’arco si trovano due leoni, che erano custoditi nella chiesa medievale di San Giovanni Battista. Il presbiterio presenta un’articolata volta a crociera stellata, ornata a gemme pendule. Pregevoli sono gli arredi marmorei settecenteschi, quali l’altare maggiore, il fonte battesimale e il pulpito. All’esterno la chiesa ha la facciata che presenta coronamento piano con merlatura, il portale è strombato e sormontato da un arco a sesto acuto. Nella parte superiore del prospetto si trova un rosone tamponato, entro il quale si apre una finestra quadrangolare. La facciata è affiancata a sinistra dal campanile, il più alto del Campidano, costruito nel 1627 da un certo Simone Montanacho, a canna quadra, che presenta una sopraelevazione costituita da una cupola su un alto tamburo ottagonale. A Settimo San Pietro, il lunedì successivo alla prima domenica di settembre si celebra la Festa patronale dedicata a San Pietro Apostolo. Questa Festa è caratterizzata dalla processione lungo le vie del paese, alla quale seguono i diversi riti liturgici. In occasione di questa Festa si svolgono, inoltre, numerose manifestazioni ricreative, folkloristiche e culturali, oltre alla Mostra dei Dolci e del Pane, alla Sagra della Malvasia, alla Rassegna dei Costumi Antichi ed alle diverse gare di ballo. Inoltre, il 13 dicembre, a Settimo San Pietro si celebra la Festa di Santa Lucia Vergine e Martire, in ricordo dell’antica chiesa campestre di Santa Lucia oggi demolita. La Festa è caratterizzata dai riti liturgici nella chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, con la messa mattutina, cui fanno seguito a fine pomeriggio la recita del Rosario, e la processione per le vie del paese fino alla via Santa Lucia, dove si trovava la chiesa campestre omonima, ed al rientro alla piazza della chiesa. Sul sagrato della chiesa parrocchiale si trovava l’oratorio del RosarioAi primi del diciassettesimo secolo è ascrivibile anche l’oratorio del Rosario che veniva popolarmente chiamato chiesa de Santa Mariedda, che era la sede dell’omonima Confraternita istituita nel cinquecento. L’oratorio si trovava nel sagrato di quella che è oggi la chiesa parrocchiale, ed è stato demolito nel 1963 per fare posto all’aula consiliare dell’adiacente palazzo Comunale. Non ne è rimasta alcuna traccia, sono rimaste solo alcune immagini che permettono di conoscerne le caratteristiche, che univano elementi gotici d’estrazione catalana, documentati nel terminale piatto e merlato del prospetto principale preceduto da un portico, ad altri classici di origine italiana, presenti all’interno, costituito da unica navata con volta a botte, sottesa da archi trasversali. La casa Baldussi ex casa PilleriDalla chiesa parrocchiale, riprendiamo indietro la via Aldo Moro, dopo una cinquantina di metri prendiamo a sinistra la via Giuseppe Garibaldi. La seguiamo per centocinquanta metri, ed, alla sinistra della strada, al civico numero 27, troviamo una bella antica casa padronale di Settimo San Pietro è la Casa Baldussi un tempo nota come Casa Pilleri che è un’antica casa padronale in stile campidanese. La casa è attualmente abitata dai suoi propietari, ed è nota, tra l’altro, per la sua Cantina nella quale si svolgono eventi. Divisa in due parti per motivi ereditari, è stata riunita e recuperata, ed ha mantenuto la caratteristiche architettoniche originali. Nel recupero sono stati riutilizzati materiali da costruzione tradizionali e, dove necessario, sono stati introdotti elementi tecnologici della bioedilizia. L’Antico MolinoDalla chiesa parrocchiale, ripresa indietro la via Aldo Moro, la seguiamo per duecentotrenta metri, e prendiamo a sinistra la via Roma. La seguiamo per centoventi metri, e, alla destra della strada, al civico numero 91, troviamo l’edificio che ospita l’Antico Molino per la lavorazione del grano, che è stato aperto tra la fine degli anni ’40 e primi anni ’50 da Luigi Mascia e dal socio Costantino Bocchiddi. I macchinari in legno, la macina in pietra, i setacci sono stati restaurati e rimessi in funzione nell’edificio che lo ha sempre ospitato. Il molino si distingue come elemento centrale, e permette di riattivare la tradizionale filiera del grano valorizzando i prodotti e i saperi locali, che vanno dalla coltivazione del grano, alla molitura, ai panifici e pastifici, tutti elementi caratteristici del territorio di Settimo e della sua economia. Dove oggi si sviluppa il quartiere Santa Lucia si trovava la chiesa campestre omonimaDove avevamo imboccato la via Roma, le seguiamo per appena cinquanta metri, e prendiamo a destra la via Antonio Gramsci. La seguiamo per poco più di duecento metri e prendiamo a sinistra la via San Salvatore, e, dopo un centinaio di metri, troviamo sulla sinistra la piccola via Santa Lucia. Qui, nel quartiere Santa Lucia, non lontano dall’estrema periferia orientale del paese, ai primi del diciassettesimo secolo si trovava la chiesa campestre di Santa Lucia ossia De Santa luxia. La chiesa è stata demolita negli anni ’60 del secolo scorso, quando è stata sacrificata per la realizzazione della via San Salvatore, che collega l’abitato di Settimo San Pietro con quello di Sinnai. Essa, preceduta da un portico, presentava una facciata conclusa da terminale piatto coronato da merli dentati, e sovrastato da un campanile a vela con una sola luce. Di essa non rimane più alcuna traccia. La casa DessySe, da dove avevamo imboccato la via Roma e la avevamo seguita per appena cinquanta metri, prendiamo, invece, a sinistra la via Antonio Gramsci, proseguiamo per cento metri in direzione nord ovest, e vediamo, alla sinistra della strada, al civico numero 77, l’edificio detto Casa Dessy La cui costruzione risale per la parte esterna al 1905 e 1906, mentre la parte interna è più antica. In seguito all’acquisizione da parte del comune, avvenuta nel 1987, ha subito diverse ristrutturazioni che l’hanno riportata al suo antico splendore. Si tratta, quindi, di un edificio che viene utilizzato oggi come spazio espositivo e di pubblica utilità. L’Amministrazione Comunale la concede in uso al fine di favorire e promuovere le iniziative di carattere sociale, culturale e turistico, da parte di privati o associazioni pubbliche e private. su una parete del vecchio magazzino della casa Dessì, un artista locale ha realizzato una pittura murale che rappresenta degli olivi e delle vigne, simboli della richezza rurale. Il Municipio di SettimoPassata la casa Dessì, riprendiamo la via Antonio Gramsci e proseguiamo in direzione nord ovest. Seguita per altri centocinquanta metri, la strada termina sulla piazza Sandro Pertini, che si trova alla sinistra, prima che la strada prosegua con il nome di via 4 Novembre per recarsi fino fuori dall’abitato in direzione vord ovest. Al civico numero 1 della piazza Sandro Pertini, si può vedere l’edificio nel quale si trova il Municipio di Settimo San Pietro, che ospita la sua sede e tutti i suoi uffici. L’Orto di EmilioRitorniamo a dove, dalla via Roma, avevamo preso a sinistra la via Antonio Gramsci, che ci aveva portato alla casa Dessì ed al Municipio. Evitiamo questa deviazione e proseguiamo lungo la via Roma in direzione nord est, la seguiamo per centoventi metri, poi prendiamo a sinistra la via Emilio Lussu, e, dopo un centianio di metri, vediamo alla destra della strada l’Orto di Emilio un orto urbano affidato nel 2011 alla Onlus Terraterra con la collaborazione del comune, che ha concesso in uso all’associazione circa 1.100 metri quadrati di proprietà Comunale, esclusa la serra compresa in questo spazio. L’Orto di Emilio è il primo orto urbano nato in Sardegna su un terreno pubblico. Composto da piccoli lotti di 25 metri quadrati ciascuno da affidare a singoli orticoltori e da un’area comune, rappresenta il progetto pilota della neonata associazione, uno strumento per attività di informazione e animazione dirette a favorire la realizzazione di altri orti sociali nel territorio di Settimo San Pietro. La serra resta, invece, di proprietà della Casa Famiglia di Settimo. L’Esposizione Permanente dell’Abito Tradizionale Settimese nella Casa Museo ligas UdaEvitando la deviazione in via Emilio Lussu, proseguiamo lungo la via Roma in direzione nord est per poco meno di trecento metri, e prendiamo a sinistra la via Giuseppe Verdi, dove, dopo un ventinaio di metri, alla destra della strada al civico numero 20, si trova nella Casa Museo ligas Uda il Museo dell’Abito Tradizionale Settimese creato nel 2016 dal Gruppo Folk Nuraghe. All’interno di questo museo è presente l’esposizione di numerosi pezzi originali da metà ottocento ai primi anni del novecento. Si tratta di un Museo di straordinario interesse, proposto dal presidente del gruppo, Fabrizio ligas, grande appassionato e intenditore di costumi, che, con la sua famiglia, sono da sempre impegnati nella ricerca dei costumi locali, autentici monumenti di un passato che ha poggiato le basi soprattutto sulla civiltà contadina. Costumi poveri e ricchissimi, di uomini, donne e bambini, ora conservati nel Museo. Sono esposte anche diverse foto dei costumi storici del paese. Il parco pubblicoDopo la Casa Museo ligas Uda, percorso ancora un centinaio di metri in direzione nord est lungo la via Roma, questa strada si immette sulla via San Salvatore. Proseguiamo lungo la via San Salvatore per circa centocinquanta metri, poi prendiamo a sinistra la via Galileo Galilei. La seguiamo per centoventi metri, poi svoltiamo a destra e prendiamo la via Enrico Fermi e, dopo un centinaio di metri, vediamo alla destra della strada la piazza Primo levi, una bella piazza alberata nella quale si trova il bel Parco pubblico di Settimo San Pietro. La Cittadella Sportiva Cuccuru NuraxiProseguiamo lungo la SP15 per circa centocinquanta metri, poi, passato un distributore di benzina della Esso sulla destra, prendiamo la prima traversa a sinistra, che è la via Primo Maggio. Percorsi quasi cinquecento metri, subito dopo aver passato l’incrocio con la via Cuccuru Nuraxi che, presa verso sinistra, porterebbe all’area archeologica che descriveremo più avanti, vediamo alla sinistra della strada l’ingresso della Cittadella Sportiva Cuccuru Nuraxi. All’interno è presente un Campo da Calcio per le partite di serie D e altri livelli, dotato di tribune in grado di ospitare 200 spettatori. Circa cento metri più avanti, sempre alla sinistra della strada, si trova il Tennis Club con i suoi quattro Campi da Tennis, con tribune per una cinquantina di spettatori. Ancora più avanti, un’altra cinquantina di metri, e si trova il Palazzetto della Sport, per gare di pallavolo e pallacanestro, in grado di ospitare 350 spettatori. E, dopo un’altra cinquantina di metri, alla fine del viale primo Maggio, quasi all’incrocio con la via della Stazione, si trova il Campo da Calcetto, ossia da Calcio a cinque, con tribune per 400 spettatori. La Stazione ferroviaria di Settimo San PietroDopo settecento metri da dove la abbiamo imboccata, arriviamo al termine della via Primo Maggio, che termina sulla via della Stazione. La prendiamo verso sinistra, dopo cento metri ed arriviamo a un bivio, dove a sinistra ci si dirige verso l’area archeologica del Cuccuru Nuraxi, mentre leggermente verso destra si trova la prosecuzione della via della Stazione, che, dopo duecento metri, termina di fronte ad essa. La Stazione di Settimo San Pietro che si chiamava fino ai primi del novecento Stazione di Settimo, è una Stazione ferroviaria e tranviaria posta lungo la linea ferroviaria che collega Cagliari con Isili, nel tratto ad uso promiscuo con la linea 2 della tranvia di Cagliari. Viene inaugurata nel 1888, quando avviene l’apertura al traffico della prima linea della rete della Sardegna meridionale a scartamento ridotto della Società italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna, che verrà in seguito estesa verso Arbatax e Sorgono. L’impianto nel 1921 passa alle Ferrovie Complementari della Sardegna, a cui in seguito alla fusione di queste ultime con le Strade Ferrate Sarde, nel 1989 subentrarono le Ferrovie della Sardegna, e dal 2008 la ARST, che dal 2010 ne assume il controllo diretto. Negli anni successivi la stazione viene interessata a lavori di trasformazione per attrezzare lo scalo al traffico sia ferroviario che tranviario, e, dal 2015, viene interessata dall’inaugurazione della linea 2 di Metrocagliari. Il complesso archeologico in località Cuccuru NuraxiNella periferia di Settimo San Pietro si trovano diversi siti archeologici, che descriviamo ora. Arrivando a Settimo San Pietro con la SP15, raggiunta la periferia del paese, passato il distributore di benzina della Esso sulla destra, prendiamo la prima traversa a sinistra, che è la via Primo Maggio. Percorsi quasi cinquecento metri, prendiamo verso sinistra la via Cuccuru Nuraxi, che costeggia sulla sinistra il Campo da Calcio, la seguiamo per trecentocinquanta metri, poi prendiamo a destra la via Leonardo de Alagon. alla sinistra di questa strada si vede, situato sulla sommità di una modesta collina che si eleva per circa novanta metri con dolce profilo conico a dominare la campagna circostante, il Complesso archeologico di Cuccuru Nuraxi ossia della Punta del Nuraghe, segnalato dalla presenza di una croce di metallo. Il complesso comprende i resti di un Nuraghe, un tempio a pozzo ed un pozzetto votivo. La datazione del tempio a pozzo, attualmente chiuso con un cancello, è compresa tra l’Età del Bronzo recente e la prima Età del Ferro. I resti del Nuraghe Cuccuru Nuraxi e del suo villaggio nuragicoIl Nuraghe di Cuccuru Nuraxi costruito con enormi massi in arenaria e conglomerato, è oggi in gran parte distrutto, dato che di esso non restano che pochi conci. Verosimilmente esso viene abbandonato dopo la costruzione del tempio a pozzo. Già i primi studi del canonico Giovanni Spano, che risalgono al 1867, portano ad intuire quella che doveva essere la struttura del Nuraghe, ma solo i primi scavi archeologici, agli inizi del 1960, danno una più puntuale definizione del complesso monumentale. Il rilievo dell’edificio ha permesso la ricostruzione di un Nuraghe polilobato, del quale rimangono i resti di una torre principale e due torri secondarie ad addizione frontale. Internamente, doveva essere composto da almeno tre ambienti, di cui uno costituiva la camera principale. Le cortine murarie che univano le varie torri, garantivano la presenza al loro interno di un piccolo cortile, che ha restituito importanti strutture direttamente collegate ai culti che si svolgevano in questo Nuraghe. Attorno al Nuraghe si sviluppa il Villaggio e tutt'intorno a quest'area sono stati ritrovati numerosi resti della civiltà nuragica. Alle pendici della collina, i ritrovamenti in una capanna hanno testimoniato l’evoluzione della cultura nuragica dovuta ai contatti delle popolazioni locali e le civiltà provenienti dal mediterraneo orientale. Sono state infatti rinvenute ceramiche di produzione nuragica ed altre ceramiche fenicie, greco orientali ed estrusche. Ma il rinvenimento più stupefacente all’interno del villaggio, che decreta, insieme ai materiali rinvenuti, l’utilizzo come Nuraghe-tempio di questo complesso, è dato dall’interessantissimo pozzo sacro costruito con blocchi di arenaria di dimensioni piccole e medie, che aveva certamente una funzione religiosa e cultuale. È annoverato tra i circa cinquanta pozzi sacri finora censiti nell’Isola, chiamati anche templi a pozzo, che sono elementi distintivi del Megalitismo sardo. Del tempio a pozzo non è presente il vestibolo, e la scala costituita da diciassette gradini stretti e ripidi, che parte da una delle torri del Nuraghe, la torre B, manca di tre o quattro gradini nella parte alta. Il fatto che l’ingresso del pozzo sacro si trovi proprio all’interno di una di queste torri secondarie è lA seconda caratteristica che rende unico questo sito. Dalla scala si accede alla camera a tholos, che ha sezione ogivale, è alta circa cinque metri e trenta, con diametro alla base di due metri e mezzo, la cui copertura è costituita da sette architravi gradonati. Sul pavimento lastricato della camera si apre il pozzo, che scende a una profondità di dodici metri, con una larghezza media di un metro e mezzo, che si restringe a profilo parabolico fino a un metro, fino ad innestarsi in uno stretto sifone scavato nella roccia, che sprofonda ancora per circa dieci metri. La bocca del pozzo è circondato da una ghiera rotonda monumentale di pregevole fattura, la cui sezione è assimilabile a quella di un largo calice dotato di un ampio basamento circolare. Lo scavo del cortile ha portato alla luce, di fronte al pozzo sacro, un Pozzetto Votivo scavato nella marna arenacea, di forma cilindrica, che presenta un’imboccatura circolare alta un metro e mezzo sul suolo, ed è profondo circa tre metri, rivestito da filari di piccole pietre, dal quale sono emersi materiali utilizzati in funzione di culti che prevedevano l’accensione di roghi rituali, testimoniati dall’abbondante presenza di un terriccio ricco di residui di ceneri, frammisti ad ossi di animali domestici quali bovini, suini, ovini e roditori, ma anche valve di molluschi marini e di resti di pasto. I resti della necropoli in località Cuccuru NuraxiA duecento metri dal complesso archeologico, in località Carzeranu o Sa Cresia, durante i lavori ferroviari nel 1887, è stata rinvenuta la Necropoli prenuragica, con i resti di tombe a cista litica, ossia consistenti in contenitori chiusi costituiti da lastre di pietra. Le tombe erano scavate nella roccia arenaria, a sviluppo basso e allungato in da nord a sud. Delle due sepolture rimaste, una era costituita da una cisti litica Dolmenica, con cassone di lastre coperte da altri lastroni orizzontali, e, dentro la cisti, erano sepolti da dieci a quindici individui di varia età. Accanto ad essi erano conservate interessanti oggetti che costituivano il loro corredo funebre, e tra essi sono stati rinventui una sottile lamina di argento forata a un’estremità, punteruoli in rame e bronzo appiattiti a Losanga al centro, un brassard di pietra bruna, elementi di una collana composta da vaghi ad anello e troncoconici di conchiglia e denti atrofici di cervo, una quindicina di vasi e alcune monete del periodo romano. Parte di questi oggetti sono conservati nel Museo Nazionale Archeologico di Cagliari. Il Centro Sperimentale Didattico e Divulgativo Arca del tempoalla base dell’area archeologica di Cuccuru Nuraxi, al civico numero 37 della via Alagon, sulla sinistra, si trova l’edificio che ospita L’Arca del tempo. Si tratta di un Centro di attività espositive, didattiche, formative e di laboratorio di scavo, che consente al visitatore di fare un viaggio nel tempo lungo circa quattro millenni. Lungo la galleria espositiva sono sistemate alcune postazioni multimediali che introducono ai laboratori didattici di scavo e classificazione dei reperti. alla fine del percorso, una sala di proiezione con grande schermo panoramico permette di immergersi nelle ricostruzioni virtuali di sette diverse epoche, dal Neolotico, all’Età del Bronzo, verso il periodo punico, romano, giudicale, pisano, aragonese e sabaudo. Visita dei dintorni di Settimo San PietroVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Settimo San Pietro sono stati portati alla luce sultanto i resti della necropoli di Cuccuru Nuraxi, e quelli del Nuraghe semplice Cuccuru Nuraxi con il suo villaggio nuragico, che sono già stati descritti; ed anche quelli della domus de janas di S’Acqua ’e Is Dolus, che descriveremo più avanti. Nell’omonimo parco si trova la chiesa campestre di San Giovanni BattistaDal Municipio di Settimo San Pietro prendiamo, verso sud est, la via Antonio Gramsci, dopo un centinaio di metri prendiamo a destra la via della Stazione e, dopo cento metri, troviamo sulla destra la via Giuseppe Garibaldi. La prendiamo e svoltiamo subito a sinistra, sulla prosecuzione della via della Stazione che, dopo duecento metri, svolta a destra e diventa la via San Giovanni. Percorsa in direzione nord ovest, questa strada prosegue sulla via della Scienza, che esce dall’abitato con il nome di SP12, dopo settecento metri la Strada provinciale svolta verso destra, mentre prendiamo la deviazione a sinistra sulla prosecuzione della via della Scienza, e la percorriamo per un paio di chilometri, fino ad arrivare in località Apitzu de Pranu. alla destra della strada, in una rientranza, si sviluppa il Parco di San Giovanni, un’area recintata nella quale è presente un piazzale alberato con olivi secolari detti Dei Pisani, che include la chiesa campestre di San Giovanni Battista e l’area di un insediamento romano, e che viene utilizzata per i festeggiamenti in onore del Santo. All’interno del parco si trova la chiesa campestre di San Giovanni Battista una chiesa di epoca romanica in calcare locale, edificanta nel dodicesimo secolo ad opera dei monaci Vittorini di Marsiglia, che, pur appartenendo al periodo medievale, possiede molti elementi, come i capitelli, le colonne e alcune decorazioni che risalgono a mille anni prima, dato che, per costruire la chiesa, i monaci avevano usato diversi elementi di un’antica Villa Romana che sorgeva in quell’area. La pianta della chiesa, di forma rettangolare, ha tre navate divise da arcate su pilastri e colonne, e la navata ad oriente si ritiene sia stata costruita in epoca posteriore. La copertura a tetto presenta capriate lignee lavorate ad intaglio. La facciata è semplice, piana e con campanile a vela. Presso questa chiesa, per quattro giorni intorno alla giornata festiva del 24 giugno, che è il giorno della sua natività, si celebra la Festa di San Giovanni Battista, con una processione religiosa che parte dalla chiesa parrocchiale di Settimo San Pietro ed arriva fino alla chiesa campestre di San Giovanni Battista. Oltre alle cerimonie religiose, si svolgono numerfose manifestazioni civili, come la sfilata dei costumi tradizionali, di carri e buoi, ballo in piazza, spettacoli folcloristici, musica tradizionale sarda e Gogos, ossia canti sacri in sardo. I resti dell’insediamento romano di San Giovannialla destra della chiesa campestre di San Giovanni Battista, ed in parte al di sotto di essa, si potevano notare i resti dell’Insediamento romano di San Giovanni che presenta interessanti mosaici policromatici. Di un significativo mosaico scoperto alcuni anni fa è iniziata l’opera di recupero, ma, in attesa di nuovi fondi per completarla, il mosaico è stato protetto e ricoperto di terra per metterlo al riparo da eventuali danneggiamenti. Secondo gli studiosi, il mosaico, che si conserva in ottime condizioni, apparterrebbe a una villa del periodo tardo romano ubicata a pochi metri di distanza dalla chiesa campestre. Si spera che, quanto prima, un intervento possa finalmente renderlo visibile ai visitatori. La località Cantoniera Apitzu de Planu con la omonima casa CantonieraPassata la chiesa campestre di San Givanni Battista, procedendo in direzione nord ovest lungo la via della Scienza, dopo circa un chilometro arriviamo a una rotonda, alla quale prendiamo la seconda uscita che ci porta sulla Strada Comunale su Padru. La seguiamo per poco più di un chilometro, poi svoltiamo a destra e prendiamo la SS387 del Gerrei che si dirige verso Dolianova. Percorsa questa strada statale per seicentocinquanta metri, vediamo alla destra della strada, nella località Cantoniera Apitzu de Planu, la Casa Cantoniera Apitzu de Planu. La Cantina Ferruccio Deiana con un vino inserito nella guida 5StarWines di VinitalyPassata la Casa Cantoniera, proseguiamo lungo la SS387 del Gerrei per poco più di un altro chilometro ed arriviamo a uno svincolo, dove da destra arriva la SP12 che proviene da Settimo San Pietro, mentre noi prendiamo la deviazione a sinistra e, dopo un chilometro e mezzo, arrivati in località su leunaxi, vediamo alla sinistra della strada il cancello che immette nella tenuta dell’Azienda Vitivinicola Ferruccio Deiana. La Cantina dell’Azienda Vitivinicola Ferruccio Deiana è situata in una zona collinare da secoli votata alla viticultura. Si inserisce in maniera armonica nel territorio circostante, con il suo stile architettonico ispirato ai vecchi casolari campidanesi, modellati dall’uomo in funzione del territorio leggermente ondulato. Il tocco moderno permette di mischiare le tradizioni vitivinicole con l’ausilio della tecnologia moderna. Al piano terra si trovano tutti i più evoluti e sofisticati impianti enologici di vinificazione, conservazione e affinamento, un moderno e funzionale laboratorio di analisi chimica, una graziosa e accogliente sala ricevimenti e infine la zona amministrativa dell’azienda stessa. AI piano interrato troviamo la barricaia, con le sue barriques in rovere francese utilizzate per la fermentazione e maturazione in legno dei vini. Circondata da trenta ettari di vitigni autoctoni Vermentino, Nasco, Malvasia, Moscato, Cannonau, Monica, Carignano e vitigni alloctoni come lo Chardonnay, il Cabernet, il Syrah e il Merlot, la Cantina si inserisce su di un territorio incantevole e poetico, quasi abbracciata dagli ulivi disposti tutt'intorno e assume un particolare fascino nel periodo estivo in cui il verde risalta sul giallo dei campi circostanti e sull’argenteo degli ulivi. Il suo vino Isola Dei Nuraghi Igt Bianco Passito Oirad 2018, è stato inserito nella 5StarWines del 2023 di Vinitaly. |
Nell’omonimo parco si trova la chiesa campestre di San Pietro in VincoliDal Municipio di Settimo San Pietro prendiamo, verso sud est, la via Antonio Gramsci, dopo un centinaio di metri prendiamo a destra la via della Stazione e, dopo altri cento metri, prendiamo a destra la via Giuseppe Garibaldi. Dopo cinquecento metri arriviamo a una rotonda al centro della quale si trova Sa Gruxi Santa, ossia la Croce Santa. Presa la prosecuzione un poco sulla destra, proseguiamo per un chilometro e trecento metri ed arriviamo a un’incrocio, dove prendiamo a destra la strada che, in trecento metri, ci porta a vedere, alla sinistra della strada il Parco di San Pietro in Vincoli. All’interno del parco alberato, si trova la chiesa campestre di San Pietro in Vincoli denominata anche di Santu Perdu. Si tratta di una chiesa edificata dai monaci Vittorini di Marsiglia nel trsdicesimo secolo in forme romaniche, che però cade in rovina nel sedicesimo secolo, quando è ricostruita in forme gotiche. Nel corso dei secoli successivi la chiesa viene più volte rimaneggiata. Ha l’impianto ad una sola navata, completata da alcune cappelle laterali costruite nel seicento, ed a breve distanza viene aggiunto, nel 1627, il campanile a canna quadrata. L’esterno richiama la chiesa di San Giovanni per la semplicità dell’insieme e la mancanza di elementi decorativi importanti. La domus de janas di S’Acqua ’e Is DolusUsciti dall’abitato con la strada che ci ha porati alla chiesa campestre di San Pietro in Vincoli, arrivati dopo un chilometro e trecento metri all’incrocio, invece di prendere la deviazione verso destra proseguiamo dritti, dopo seicento metri troviamo un cancello sulla destra. Se si passasse questo cancello e si proseguisse sul sentiero per duecentottanta metri, si arriverebbe a un incrocio, dove si dovrebbe prendere a destra il sentiero da seguire per centocinquanta metri. Qui, alla destra del sentiero, nel bosco di Is landireddus dove prospera rigogliosa la macchia mediterranea, si troverebbe la domus de janas realizzata probabilmente nel Neolitico recente, che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra il 4200 ed il 4000 avanti Cristo, e, secondo la datazione tradizionale, tra il 3400 ed il 3200 avanti Cristo. È una piccola grotta artificiale scavata nella roccia, che si erge solitaria nella collina, ed ha un impianto planimetrico molto semplice, essendo costituita da due ambienti comunicanti, ossia da un’anticamera dalla quale si accede alla cella vera e propria attraverso un’apertura quadrata più piccola di quella dell’ingresso principale. A causa di infiltrazioni d’acqua piovana e provenienti da una sorgente sotterranea, probabilmente fin dall’antichità, è stato necessario scavare davanti all’ingresso un piccolo canale per far defluire l’acqua. La tradizione popolare racconta che quest’acqua, oltre ad essere potabile, avesse proprietà miracolose in grado di sanare tutti i dolori, e da qui deriverebbe il nome S’Acqua ’e Is Dolus ossia l’acqua che lenisce i dolori. A questa grotta è legata un’antica credenza popolare, secondo la quale qui San Pietro avrebbe trovato riparo per la notte, ed avrebbe pregato tanto che l’impronta delle sue ginocchia sarebbe rimasta visibilmente impressa nella roccia. Gli anziani, raccontano che ogni anno, nella giornata del 29 giugno, partendo da Sa Gruxi Santa, alla fine della via Giuseppe Garibaldi, numerose persone si incamminavano lungo la strada di campagna, e giungevano alla grotta percorrendo una stradina, una sorta di scorciatoia, che la collegava alla chiesa campestre, e che nel pomeriggio il sacerdote celebrava la messa e dava la benedizione. I resti dell’Acquedotto RomanoLungo la strada che da Selargius ci ha portati a Settimo San Pietro, in località Is Argiddas, ossia gli olivastri, nel 1880, è stato rinvenuto uno dei resti dell’occupazione romana del paese. Nello scavare un pozzo, alla profondità di due metri, si sono portati alla luce i resti di un Acquedotto Romano in muratura, con la forma a schiena d’asino, ricoperto da pesanti lastroni, del quale rimane una sezione libera di poco più di un metro di altezza e di cinquanta centimetri di larghezza. All’interno, la condotta era rivestita di malta, in ottimo stato di conservazione. In seguito agli studi condotti successivamente su questi resti, l’acquedotto è risultato lungo, in un sensodi diciotto metri, e, nell’altro, di dodici metri, a causa di sprofondamenti che ne hanno ostruito i passaggi. L’acquedotto si sviluppava parallelo alla strada romana che collegava Karalis a Biora, Sorabile, Capotirso, ed infine ad Olbia, e portava l’acqua alla stazione che stava alla settima lapide, ossia alla settima pietra miliare, che doveva essere ubicata in località Santa Lucia, dove si trovava la chiesa campestre omonima e dove si trovava la sede della Settimo romana. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, provenendo da Settimo San Pietri ci recheremo a visitare Maracalagonis che vedremo il suo centro ed i suoi dintorni con le diverse chiesa campestri e con la sua bella costiera meridionale. |